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Lettera 95 di Ettore Masina




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Date: Tue, 17 Feb 2004 11:23:28 +0100
Subject: LETTERA 95
From: Ettore Masina <ettore.mas@libero.it>
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LETTERA 95

febbraio 2004

1.           Niente tricolore per Valery

Dopo il funerale portano fuori dalla chiesa. la bara del soldatino Melis 
Valery, classe 1978, e ci si accorge che è nuda. Nessun tricolore, così 
come nessun picchetto d'onore, nessuno squillo di tromba. Quasi con rabbia 
gli amici gettano sulla cassa la bandiera di una squadra di calcio: il clan 
riconosce e onora il suo compagno, ma la Patria è assente: quella dei 
presidenti, dei ministri, dei generali, e magari del cardinale Ruini, 
questa volta. non c'è. Il soldatino Melis Valery  ha avuto il torto di non 
essere stato ucciso in Iraq per un "vile attentato": si potrebbe dire che, 
in qualche modo, è morto per "fuoco amico", o,  meglio, per un veleno 
"amico": quello dei proiettili all'uranio usati dagli americani nel Kosovo 
(e poi in Iraq). Quei proiettili non distruggono e non uccidono soltanto al 
momento in cui esplodono; i loro resti sono radioattivi, inquinano il suolo 
su cui cadono, gli esseri umani che li avvicinano. Sono 24 i soldati 
italiani  che, mandati nei Balcani per una guerra "umanitaria" ormai 
dimenticata, sono morti del morbo di Hodgkin, un cancro che lascia poche 
speranze. Altri 260 "nostri ragazzi", per usare una terminologia che piace 
tanto alle destre patriottiche, soffrono dello stesso male. Uno di essi in 
queste ore. è in agonia Il governo non riconosce la loro devastazione come 
"causa di servizio. "E' necessario approfondire" dice il ministro della 
Difesa, ma certo è che il contingente italiano è, fra i gruppi di militari 
stranieri nei Balcani, quello più colpito dal morbo. Il ministro Martino si 
domanda perché. Penso che una risposta potrebbe essere che i nostri 
soldati, secondo una gloriosa tradizione della nostra burocrazia militare., 
non erano adeguatamente equipaggiati come i colleghi; un'altra risposta è 
che forse qualcuno del comando alleato ha scelto per gli italiani l'area di 
intervento maggiormente inquinata.

2. I mostri della guerra

Lo stesso giorno dei funerali di Valery i quotidiani pubblicavano una 
notizia che arrivava dal Sud Est asiatico. Un gruppo di vietnamiti ha 
deciso di fare causa a due delle più grandi multinazionali, la Monsanto e 
la Dow Chemical. Sono due colossi industriali produttori di erbicidi e di 
insetticidi, oggi monopolisti degli omg. Negli anni '60 e '70  fornirono 
alle truppe americane l'Orange B, un defoliante che esse usarono per 
stanare dalle foreste i partigiani e le truppe di Hanoi. Vastissime zone 
furono irrorate e selve millenarie desertificate. Ho visitato nel gennaio 
del 1980 una grande area sulla quale si stendeva prima dell'Orange B una 
rigogliosa foresta tropicale. Ne rimanevano soltanto le fotografie: le 
montagne erano adesso coperte di arbusti, non vi erano più tornati gli 
uccelli, neppure gli insetti, soltanto le zanzare e, tra gli animali, i 
cobra. Cito dal mio diario: "Alla fine della guerra gli americani avevano 
irrorato di diserbanti più di10 milioni di ettari. In quelle zone vivevano 
centinaia di migliaia di persone (…). Il generale a quattro stelle William 
Westmoreland, che comandò le truppe americane dal '65 al '68, parlava dei 
vietnamiti come di "termiti". I vietnamiti furono dunque trattati come 
insetti - una inedita, e ben presto dimenticata. forma di genocidio e di 
ecocidio (…). Secondo le statistiche del Pentagono, piovvero 
complessivamente sulle foreste, le acque e gli abitanti del Vietnam 
centrale e meridionale, settantadue milioni di litri di defoliante (…). Gli 
erbicidi non si limitarono a fare dei morti e degli invalidi: l'Agent 
Orange penetrò nel seme stesso dell'uomo: e continuava a agire anche 
quindici anni dopo che la pace era tornata. (Queste parole sono state 
scritte nel 1990 ma sono valide ancora oggi) (…) Trasformati in arma, i 
prodotti usati dalle Miss Marple dell'Occidente per la cura delle loro rose 
e dei loro tulipani diedero origine a nuove "varietà" di piante e di 
animali; fornirono, cioè, nuovi volti e nuove tragedie agli orrori del Sud 
della Terra, facendo nascere bambini atrocemente deformi, somiglianti alle 
creature demoniache di Jeronimus Bosch."…

"I piloti degli aerei da irrorazione colpirono talvolta anche soldati 
americani (…). Vittime dell'Orange B continuarono a morire o a nascere 
anche negli Stati Uniti e in Australia. Nel 1991 una vicenda degna di 
Shakespeare sollevò grsnde emozione negli States, protagonisti "i due 
Zumwalt". un padre e suo figlio che pubblicarono un libro scritto a quattro 
mani. Il figlio stava per morire, colpito da due diverse forme di tumore e 
dopo avere generato un figlio fortemente handicappato. In Vietnam aveva 
comandato una cannoniera che pattugliava un'ansa del Mekong e che, essendo 
il centro di un'area di "disinfestazione", era stata più volte irrorata di 
defoliante. L'ordine dell'uso dell'Orange era stato dato da un generale che 
era il padre del giova   ne ufficiale. Egli non ignorava che il figlio (e i 
suoi soldati) sarebbe stato colpito, ma "era necessario stanare il nemico" 
scriveva adesso. E aggiungeva: "Lo rifarei". "Mio padre ha ragione" 
scriveva il figlio"-

3. Una feroce idiozia

Ho voluto parlare insieme della morte dei 24 soldati italiani e degli 
orrori dell'Orange B, per ricordare ancora una volta (mi pare che ce ne sia 
in giro un enorme bisogno) che la guerra è sempre una feroce idiozia. 
Feroce la guerra lo è sempre stata e sempre ha prolungato le sue atrocità 
oltre gli armistizi. Vedove e orfani, mutilati, ex soldati psichicamente 
degradati (il numero dei "veterani" in Vietnam finiti in  case di cura o in 
prigione è superiore a quello dei caduti in battaglia), distruzioni 
dell'habitat, e così via: dopo ogni guerra il nostro pianeta ha conosciuto 
impoverimenti e sofferenze infinite.  "Et tout ça pur rien, et tout ça pour 
rien"  (e tutto questo per niente) afferma una stupenda canzone popolare 
francese. L'ordine lasciato dagli eserciti è sempre stato quello dei 
cimiteri. Ma dal 6 agosto 1945 la guerra è diventata seminagione di orrori 
per generazioni e generazioni. La Bomba sganciata quel giorno su Hiroshima 
segnalava che l'odio avrebbe colpito i viventi ma anche i nascituri. Da 
quel momento, se pure il terrore per l'apocalisse atomica ha fermato i 
governanti e i generali sull'orlo dell'abisso, si è inaugurata la strategia 
non solo della guerra preventiva  ma anche della guerra  senza fine. Tutte 
le armi che contrassegnano gli eserciti della seconda metà del secolo XX e 
dei nostri giorni sono l'equivalente di tante piccole Hiroshima.

Alle armi nucleari  e chimiche altre si sono aggiunte. In tutto il mondo, 
ogni giorno, in zone in cui teoricamente la pace è tornata da anni e anni, 
26 mila persone, in grande maggioranza bambini rimangono mutilati o uccisi 
da centinaia di milioni di mine sparse su campi di battaglie che sembrano 
lontanissime nel tempo. Una mina rimane in funzione vent’anni, e quando 
domandai a uno dei tecnici della produzione italiana (i cui ordigni sono 
disseminati tuttora in immense aree) perché non si pensasse di dare a 
questi strumenti di ferocia tecnologica una efficacia limitata nel tempo, 
mi guardò sorpreso: “Nessuno ce l’ha mai chiesto”. Ricordo di avere visto a 
Beled Wayn, nell’Ogaden, due bambini somali "saltati" su una delle tante 
mine italiane vendute impar-zialmente alla Somalia e all’Etiopia in guerra 
fra loro. In un fatiscente ospedale, li curavano amorosamente medici 
italiani. “Sono condannati all’ergastolo” mi disse un dottore; e poiché io 
mostravo di non capire, spiegò: “Sono figli di pastori, nomadi che ogni 
giorno si spostano per 15-20 chilometri. Quando usciranno di qui, i 
genitori non potranno fare altro che appoggiarli all’ombra di un muretto 
dove camperanno la vita del men-dicante”. "Quella”  guerra era finita da 
quattro anni, “quella” guerra continua a uccidere.

Con un lunghissimo lavoro politico i pacifisti sono riusciti a far  mettere 
fuori-legge da molti paesi le mine-antiuomo ma intanto gli americani hanno 
inventato e continuano a usare le cluster-bombs, le bombe a frammentazione, 
le quali hanno anch'esse un lungo tempo di attività e grazie alla loro 
apparenza di giocattoli sono particolarmente minacciose per i bambini.

Chi sostiene che vi possono essere oggi guerre giuste, paci ristabilite 
dopo le battaglie, le occupazioni e le sconfitte o è vergognosamente 
disinformato o  mente sapendo di mentire.

4. Profezia e lobby

Il Papa ha ricevuto il presidente spagnolo, Aznar. Subito dopo i quotidiani 
si sono affrettati a registrare che, secondo le solite "fonti vaticane bene 
informate", Giovanni Paolo II vedrebbe volentieri, in un prossimo futuro, 
lo statista di Madrid alla guida della Commissione Europea. Da anni ormai 
una fazione della Santa Sede si arroga il diritto (e ha evidentemente i 
poteri) di diffondere indiscrezioni sulle convinzioni del Papa, anche se 
qualche volta è stata smentita dallo stesso pontefice.

  Se la notizia del favore papale ad Aznar fosse vera, segnerebbe una nuova 
sconfitta dell'evangelo e della stessa figura "profetica" di Karol Woytjla. 
Aznar, infatti, è l'unico capo di stato cattolico dell'Europa Occidentale 
che - contro il volere della maggioranza del suo popolo - ha allineato il 
suo Paese agli Usa e al Regno Unito nella guerra all'Iraq definita 
illegittima e immorale da Giovanni Paolo II. E' triste vedere come nelle 
istituzioni, anche quelle che si  ispirano ai più nobili princìpi prevalga 
la tentazione della lobby. Aznar ha scelto la guerra ma per la Santa Sede 
un cattolico di potere, anche se infedele, può sempre essere utile.

5. Costruire la pace

Ricevo dall'amico Giorgio Montagnoli di Pisa (e convintamente faccio mia) 
la seguente nota: Il Movimento per la Pace ha visto in tutto il mondo, ma 
in particolare nel nostro paese, un fiorire di intenzioni, che hanno 
comunque necessità di approfondire ragioni e metodi, nel cercare una 
strategia che porti ad alternative agli eserciti e agli armamenti nel 
compito della difesa, della gestione delle crisi internazionali e del 
mantenimento della pace. In questo quadro è stata progettata a Pisa, nello 
stesso tempo in cui l’Università ha istituito un corso di laurea in 
“Scienze per la Pace”, la rivista semestrale Quaderni Satyagraha, che vuole 
essere uno strumento per approfondire il metodo nonviolento per trascendere 
i conflitti. Il richiamo è alla cultura gandhiana, che accomuna mezzi e 
fini dell’azione, e costituisce un metodo più efficace delle strategie 
militari, decisivo per trasformare in modo creativo e nonviolento le realtà 
che generano l'ingiustizia e la guerra. Il nome scelto per la rivista, 
esprime il richiamo al metodo creativo e costruttivo della nonviolenza 
gandhiana: Sat è l'essere, la verità intesa come ricerca e tensione verso 
la verità; Agraha è il potere che agisce nei conflitti per trasformarli e 
trascenderli verso realtà di Pace.

La tradizione della nonviolenza in Italia è grande, come mostrato da molti 
maestri come Aldo Capitini, don Milani, Lanza del Vasto, Danilo Dolci, don 
Tonino Bello e altri ancora. Essi hanno avuto un effetto notevole sulla 
società civile, ma non altrettanto importante sulle grandi istituzioni 
culturali, fatto che ha impedito a lungo il riconoscimento istituzionale 
degli “studi sulla pace” Gli stessi studi sono stati trattati con 
diffidenza dagli accademici, che ne hanno negato il carattere di scienza, 
perché poco oggettivi. Johan Galtung, il decano norvegese delle ricerche 
sulla pace, ha confutato questa perplessità delineando con chiarezza i 
caratteri scientifici degli studi per la pace con l'immagine dell’azione 
medica: diagnosi-prognosi-terapia. Allo studio segue l'acquisizione di 
capacità funzionali per intervenire con una cura appropriata sulla 
malattia, di cui la violenza è il sintomo.

Quaderni Satyagraha, edita dal Centro Gandhi in collaborazione con il 
Centro di Scienze per la pace dell’Università di Pisa, pubblica saggi dei 
maggiori studiosi italiani ed esteri, ma si propone anche di stimolare la 
nascita di gruppi di ricerca che valorizzino giovani studiosi italiani. Il 
quarto numero, uscito a gennaio 2004, è incentrato sul contributo della 
nonviolenza al pacifismo, che potrebbe indurre nella cultura del movimento 
per la pace maggiore consapevolezza degli obiettivi, e delle modalità di 
azione più coerenti ed efficaci per il loro raggiungimento. Come è successo 
per i numeri precedenti, si tratta di un libro di riferimento per lo studio 
personale, una pubblicazione corposa di circa 200 pagine che si articola in 
cinque parti. La prima analizza storicamente il modo in cui Gandhi si è 
rapportato col pacifismo, e lo attualizza considerando come oggi il metodo 
nonviolento si pone di fronte alle più gravi crisi internazionali. Nella 
seconda sono compresi i lavori utili allo studio dei conflitti attualmente 
in corso nel mondo. Nella parte centrale si esamina il contributo che il 
metodo nonviolento introduce nella microconflittualità  sociale (scolastica 
e giudiziaria). La quarta sezione è dedicata alla metodologia degli studi 
per la pace. Si chiude, infine, con un saggio dedicato al pensiero di Aldo 
Capitini, cui è dedicata la copertina del quaderno.

Quaderni Satyagraha (via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa; tel. 050-54.25.73; 
e-mail:  roccoaltieri@aliceposta.it; sito web: 
pdpace.interfree.it/quaderni.html)

L’abbonamento annuo, per due numeri, è di 30 euro (ccp 19254531, intestato 
a “Centro Gandhi ONLUS”, ma è consentito anche il pagamento tramite banca, 
con bonifico intestato al conto corrente postale del Centro Gandhi sopra 
riportato, attraverso l’ulteriore indicazione del codice ABI 07601, CAB 
14000). La rivista può essere ordinata anche presso le librerie, dove ogni 
numero viene venduto come volume singolo (distribuzione PDE, Firenze).

"LETTERA" riprende il cammino

Mi scuso con le amiche e gli amici di "LETTERA" per il lungo periodo di 
silenzio. Come alcuni sanno, ho avuto problemi di salute. a  cominciare 
dalla frattura di un femore. Sto meglio e dunque, sia pure con le 
stampelle, LETTERA riprende il cammino

Tanti affettuosi saluti

ettore masina

P.S. LETTERA viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio 
indirizzo è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16. Un 
contributo alle spese di fotocopiatura  e postali è assai gradito. I 
versamenti possono essere effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo 
Cascio, via Leone Magno 56, 00167 Roma.

I testi di LETTERA possono essere integralmente o parzialmente riprodotti. 
Sarò grato a chi vorrà darmene notizia.