[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 768



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 768 del 28 dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: cantata per Danilo
2. Maria G. Di Rienzo: il momento e' ora
3. Franco Fortini: marxismo
4. Franco Fortini: comunismo
5. "Appello ecumenico al dialogo cristiano-islamico": il dialogo ha vinto
sul terrore
6. Comunita' Isolotto di Firenze: una veglia di natale con Lisistrata
7. Riletture: John Stuart Mill, On Liberty and other essays
8. Riletture: Norberto Bobbio, Liberalismo e democrazia
9. Riletture: Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA PER DANILO
[Ricorrendo il 30 dicembre l'anniversario della scomparsa di Danilo Dolci,
lo ricordiamo riproponendo questa cantata scritta un anno fa dal nostro
collaboratore Benito D'Ippolito. Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel
1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50
partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce
nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove
indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i
diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi.
Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza
nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una
sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone
(comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino
di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante &
Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in
provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella
Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada
tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del
paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi
digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta
viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a
eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel
1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere
all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita
nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico:
le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo
"sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati
dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con
i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi
e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari
giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile,
"continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto,
l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti
col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a
esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso
l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in
Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma
mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e
all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo
Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm),
per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare,
denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero
rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non
propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa
pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal
coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea
di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze
locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui
ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e
ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una
parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna,
rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E'
proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende
corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un
futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia,
che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno
strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di
acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo:
saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi
digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne
sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia
di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora
coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di
numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento
economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del
lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il
Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione
artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene
approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della
struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col
contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro
Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di
ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso:
muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e
dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre
societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di
ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso
la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della
"scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico,
propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei
rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul
"reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli
esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi
fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura
maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare,
legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina
del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un
infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie
residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della
sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di
accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di
intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra
i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i
libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda,
Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze
1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova
Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi,
Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci
educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992;
Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico
di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000]

Giunse Danilo da molto lontano
in questo paese senza speranza
ma la speranza c'era, solo mancava
Danilo per trovarcela nel cuore.

Giunse Danilo armato di niente
per vincere i signori potentissimi
ma non cosi' potenti erano poi,
solo occorreva che venisse Danilo.

Giunse Danilo e volle essere uno
di noi, come noi, senza apparecchi
ma ci voleva di essere Danilo
per averne la tenacia, che rompe la pietra.

Giunse Danilo e le conobbe tutte
le nostre sventure, la fame e la galera.
Ma fu cosi' che Danilo ci raggiunse
e resuscito' in noi la nostra forza.

Giunse Danilo inventando cose nuove
che erano quelle che sempre erano nostre:
il digiuno, la pazienza, l'ascolto per consiglio
e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare.

Giunse Danilo, e piu' non se ne ando'.
Quando mori' resto' con noi per sempre.

2. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: IL MOMENTO E' ORA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]

La costruzione di pace, in ultima analisi, e' un dialogo su che tipo di
mondo vogliamo costruire: non c'e' un modello fisso e sicuro, per questo,
percio' dobbiamo ragionare su quello che funziona e quello che non funziona
in complesse situazioni di conflitto.
Le relazioni della guerra con motivazioni e strutture economiche sono sempre
certamente da discutere, ma non si puo' ridurre l'analisi ad esse, poiche'
le dinamiche economiche si intersecano con le identita' sociali ed
individuali.
E' necessario che noi si impari ad incorporare nell'analisi nuovi "attrezzi
concettuali", che ci permettano di dar conto della complessita' senza
paralizzarci nell'inazione. Dar conto della complessita' non significa,
infatti, evitare le scelte o non dare giudizi (che sono peraltro implicite e
impliciti in ogni tipo di analisi). Resistere alle dicotomie concettuali, al
"pensiero o/o", ed imparare a guardare in modo diverso, puo' essere uno
degli "attrezzi" utili allo scopo.
*
1. Globalizzazione
Ovvero, la ricostruzione dell'economia mondiale in uno "spazio singolo", un
sistema che connette o esclude elementi senza tener conto dei confini
nazionali, ed ha creato nuovi ruoli e nuove relazioni. Le alleanze
economiche e militari hanno mutato la natura delle alleanze politiche, ed
indebolito seriamente l'autorita' degli stati nazionali: in precedenza, il
capitalismo si era espanso anche tramite l'enfasi messa su questi ultimi.
L'economia capitalista e' passata da un fondamento prettamente industriale
ad un base che ha come pilastri la conoscenza e l'informazione: il mercato
del lavoro e' mutato in modo corrispondente, e se prima potevamo disegnarlo
come una curva in espansione, con picchi crescenti e decrescenti, oggi ha
preso la forma di una curva ad U, con ai due estremi da un lato
lavoratori/lavoratrici altamente specializzati/e, e dall'altro la cosiddetta
"bassa manovalanza": nel mezzo, sta il declino di tutte le categorizzazioni
intermedie.
Probabilmente, non e' difficile trovare consenso su queste definizioni, ma
quanti di coloro che si diranno d'accordo hanno riflettuto sul fatto che
scenari differenti richiedono forme di resistenza ed alternative differenti?
*
2. La partecipazione alle economie di guerra
Non basta chiamarsene fuori dichiarando il proprio pacifismo: lo stile di
vita dell'occidente e' profondamente implicato nel moltiplicarsi dei
conflitti nel cosiddetto Terzo Mondo. Gli interventi e le imposizioni delle
corporazioni transnazionali, i loro legami con il finanziamento di eserciti
regolari e non, con il controllo dei territori e delle risorse: tutto questo
viene spiegato come la tutela del nostro interesse di consumatori, del
nostro benessere e, con spostamento semantico, tutela e benessere del mondo
occidentale vengono identificati con l'esportazione di "civilta'" e
"democrazia".
Uno dei dirigenti della Shell ha recentemente dichiarato che la sua
compagnia non ci guadagna nulla a restare in Nigeria, e se vi rimane e' solo
per proteggere gli interessi di noi consumatori di petrolio e benzina. Al di
la' dell'amara risata che vi e' sicuramente venuta spontanea, quello che
c'e' di vero in questa affermazione e' un sottinteso, e cioe' che coloro che
sono situati al centro del sistema globalizzato sono la causa della
degradazione e dell'impoverimento di coloro che sono messi ai margini.
Gli abolizionisti statunitensi boicottarono il rum e lo zucchero prodotti
dal lavoro in schiavitu': oggi dovremmo essere capaci di dire alla Shell, e
a compagnie similari, che poiche' le probabilita' che un paese viva in pace
aumentano quanto minori sono gli interessi economici esterni, e poiche' ci
riteniamo capaci di decidere e scegliere, noi faremo a meno della loro
tutela e della loro benzina.
*
3. Le nuove forme del conflitto
Il primo risultato dell'economia globalizzata e' stato il sorgere di
numerosi nuovi conflitti nei paesi non occidentali.
Se prendiamo ad esempio l'Africa, vedremo che per circa 30 anni dopo la
conquista dell'indipendenza i governi, qualunque fosse la loro ideologia,
hanno mantenuto un certo grado di legittimazione: costruivano il consenso
sul mantenere un livello di crescita economica e tendevano ad allargare le
classi medie e ad incrementare la scolarita' della popolazione.
Quando il surplus da dividere e' stato inghiottito dall'economia
globalizzata, le classi dirigenti hanno cominciato a combattersi,
incorporando nel conflitto qualsiasi cosa servisse a ricreare la loro
legittimazione, dall'identita' etnica alle risorse minerarie. Questo tipo di
conflitti non e' "locale" come sembra: le sue radici stanno nei cambiamenti
a livello globale: il carattere profondamente iniquo delle politiche
economiche globali ha creato le condizioni per la crescita delle connessioni
fra "signori della guerra" locali, elite economiche e intermediari delle
corporazioni d'affari, fuori dal controllo di qualsiasi governo.
Si tratta di conflitti complessi proprio per questo; potremmo dire che i
conflitti in genere lo sono sempre, ma durante il periodo conosciuto come
guerra fredda essi avevano dei confini e dei contenitori ben noti: le
cornici ideologiche (contenitori mentali); le cornici territoriali (i
conflitti venivano contenuti nei "teatri di guerra"); le cornici di
responsabilita' (l'identita' degli autori degli atti di violenza era
abbastanza chiara); le cornici organizzative (i conflitti venivano agiti fra
eserciti e formazioni armate ribelli); le cornici politiche (la competizione
era fra due visioni dei concetti di stato e nazione e fra due visioni della
distribuzione delle risorse). Ora questi contenitori sono distrutti. Il
neoliberismo non cerca di "contenere", ma di incrementare un tipo di
comportamento in cui idealita' e concettualizzazioni ruotano esclusivamente
attorno ad un mercato competitivo: i guadagni e le perdite sono sempre in
riferimento ad esso.
La difficolta' che ci troviamo di fronte e' nel riuscire a capire che i
macro-processi lavorano a livello capillare nelle relazioni umane, in
special modo nel contesto culturale. Le analisi statistiche possono fare
delle domande "giuste", possono darci nuova luce su molte questioni,
convalidarne alcune e sfidarne altre, ma non possono rendere per esteso la
complessita' del quadro, ne' produrre modelli e politiche che vadano bene
per ogni conflitto e/o per ogni luogo del mondo. Questa puo' essere la
visione della Banca Mondiale, ma non puo' essere la nostra, e dobbiamo
resistere alla sua seduzione. Cio' che i nostri tempi ci richiedono e' la
comprensione del conflitto sia in termini di motivazioni individuali sia in
termini di strutture di sistema. Un pensiero "e/e", al posto del consueto
"o/o".
*
4. Dare riconoscimento alla complessita'
Andare oltre le dicotomie del dominio e' il compito necessario: al suo cuore
ha un pensiero, una pratica ed un cammino che chiamiamo nonviolenza.
Nessuno studio moderno dei conflitti puo' oggi fare a meno di dar conto
della molteplicita' delle identita' umane, e di come queste si relazionano
con pace e guerra; nessuno studio moderno dei conflitti puo' piu' lasciare
in disparte l'indagine su come le identita' maschili e quelle femminili si
formano e quali sono le loro relazioni con schemi di socializzazione, schemi
economici, stili di vita.
Un processo nel quale la dignita' ed il valore delle donne siano
riconosciuti, con nuovi approcci alla formazione dell'identita' maschile, e
come scopo la trasformazione positiva delle relazioni fra i generi, non e'
certo sufficiente per la costruzione di una societa' nonviolenta, ma e'
assolutamente necessario: ed e' irrinunciabile.
Le analisi generali dei conflitti si sono fino ad ora incrociate con
l'analisi di genere solo ad un livello di buoni propositi e dichiarazioni di
principio, e sono state percio' incapaci di fornire soluzioni praticabili ed
attrezzi concreti quando hanno dovuti confrontarsi con le specifiche
situazioni. Il focus su "genere e sviluppo" di solito parla (e raramente
agisce) di autonomia economica delle donne, ma quando si interrogano le
donne coinvolte in scenari di conflitto o di post-conflitto, si scopre che
esse la desiderano se collegata a relazioni forti e positive, di mutuo e
profondo rispetto, con l'altro genere.
Uno dei maggiori problemi, infatti, che le dicotomie del dominio ci pongono
e' che ci impediscono di fare/farci domande, privandoci di uno degli
attrezzi piu' potenti a nostra disposizione per il cambiamento: ma solo se
noi glielo permettiamo, lasciando che tali dicotomie continuino a lavorare
nella nostra mente.
*
5. Nuove forme di organizzazione
Le forme di lotta e resistenza che si sono sviluppate durante la "belle
epoque" del capitalismo, ovvero in un periodo in cui nella nostra coscienza
sono stati seminati i concetti di "crescita" e "sviluppo" come correlati al
capitalismo stesso, e in cui la richiesta di cambiamento ha preso la forma
del welfare o del socialismo economico, non rispondono al nuovo scenario ne'
per efficacia, ne' per fecondita'.
Le strutture organizzative nate in quel periodo corrispondevano grosso modo
ad una classe lavoratrice cosi' connotata: composta da maschi, scarsamente
scolarizzata, informata da radio e giornali, organizzata in partiti e
sindacati, alleata ad intellettuali della borghesia (o classe media). Tali
strutture, che spesso hanno generato schemi di organizzazioni gerarchica
speculari a quelli del dominio, oggi conservano un po' di "efficienza" ma
hanno perso la propria credibilita' e, soprattutto, sono ancora cieche alla
complessita' della situazione che ci troviamo di fronte: i fattori
economici, sociali e politici sono strettamente interconnessi e molto
difficili da separare; la comprensione dei conflitti richiede il capire cosa
costruisce le identita' delle persone e dei gruppi, e cosa sostiene le loro
azioni; riconoscere la complessita' significa resistere a soluzioni
semplicistiche, proclami di maniera, linguaggi abusati ed abusanti. Inoltre,
la classe lavoratrice e' stata investita da grossi mutamenti e la sua
composizione e' ora radicalmente diversa.
I movimenti sociali odierni, generalmente, non accettano le vecchie forme di
organizzazione, ma devono ancora inventare un'alternativa reale ad esse per
il semplice fatto che esitano a compiere la scelta della nonviolenza.
Ma il momento e' venuto: se vogliamo costruire la pace, il momento e' ora.

3. MAESTRI. FRANCO FORTINI: MARXISMO
[Riproponiamo ancora una volta questo articolo del 1983 che abbiamo estratto
da Franco Fortini, Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991 (una bella
raccolta di testi brevi e dispersi curata da Paolo Jachia, qui fine editore
ma anche autore di egregi studi - vedi ad esempio le sue belle monografie
laterziane su Bachtin e De Sanctis). Li' il testo che riportiamo e' alle
pagine 145-149. Era primieramente apparso sul "Corriere della sera" del 29
marzo 1983. Poeta e saggista tra i maggiori del Novecento, Franco Lattes
(Fortini e' il cognome della madre) e' nato a Firenze nel 1917,
antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val
d'Ossola. Nel dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in
seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da
"Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora.
Ha lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come
insegnante. E' stato una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per
questo piu' isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed
intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco
Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte
complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre.
Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si
aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la
serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia
di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in
Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali
sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre
testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi
Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione
assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso
Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di
lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del
Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi
italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi
precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso
Pasolini, Einaudi. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da Paolo
Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; la recente bella raccolta di
interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri; e la raccolta di
Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003. Tra le opere su Franco Fortini
in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione, Manifestolibri,
Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1974;
Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986; Remo
Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su Fortini hanno scritto molti
protagonisti della cultura e dell'impegno civile; fondamentali sono i saggi
fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo; la bibliogafia generale degli scritti
di Franco Fortini e' in corso di stampa presso le edizioni Quodlibet a cura
del Centro studi Franco Fortini; una bibliografia essenziale della critica
e' nel succitato "Meridiano" mondadoriano pubblicato nel 2003]

Quelli che hanno la mia eta' Marx l'hanno letto alla luce delle nostre
guerre. Hanno sempre sentito chiamare marxista chi le potenze delle armi,
del profitto o del potere avevano voluto ridurre al silenzio. "E tu come li
chiami i popoli oppressi o uccisi in nome di Marx?", mi si chiedera' ora;
forse supponendo che non abbia trovato il tempo, finora, di chiedermelo.
Rispondo che sono dalla mia parte. Li conto insieme a quelli che dal
Diciassette, quando sono nato, sono nemici dei miei nemici, a Madrid come a
Shanghai, a Leningrado come a Roma, a Hanoi, a Santiago, a Beirut... I
cacciatori di "bestie marxiste" (cosi' si esprimono) devono sempre aver
avuto difficolta' ad apprezzare le differenze teoriche fra marxiano,
marxista, socialista, comunista, bolscevico e cosi' via.
Mi spieghero' meglio, per loro beneficio. C'e' una foto russa, del tempo
della guerra civile: un plotone di morti di fame, in panni ridicoli,
cappellucci alla Charlot in testa, scarpe slabbrate; e a spall'arm i fucili
dello zar. Questo e' marxismo. C'e' un'altra foto, Varsavia 1956, un giovane
magro, impermeabile addosso, sta dicendo nel microfono, a una sterminata
folla operaia che il giorno dopo l'Armata rossa, come a Budapest, puo'
volerli morti o deportati. Anche questo e' marxismo. Con chi queste cose
dice di non capirle, di marxismo e' meglio non parlare neanche.
Un certo numero di italiani miei coetanei sparve anzitempo dalla faccia
della terra, combattendo borghesi e fascisti. Grazie a loro se le forze
dell'ordine volessero perquisirmi, potrei mostrare che sul miei scaffali
invecchiano le opere di Marx, di Lenin e di Mao, senza temere, ancora, di
venire trascinato alla tortura e alla fossa com'e' accaduto e ogni giorno
accade a poche ore di aereo da casa nostra. Dieci o quindici anni fa poco e'
mancato che la civica arena o il catino di San Siro non accogliessero, come
lo stadio di Santiago del Cile, le "bestie marxiste". So chi mi avrebbe
aiutato, in quel caso: non sarebbero stati davvero quelli che mi conoscono
perche' hanno letto i miei libri. E ora approfitto di queste righe per
salutare Alaide Foppa, mia collega di letteratura italiana a Citta' di
Messico. La conobbi anni fa. In questi giorni ho saputo chi l'ha ammazzata,
in Guatemala. Anche questo e' marxismo.
Cominciai nel 1940 col Manifesto, per consiglio di Giacomo Noventa e
Giampiero Carocci; senza alcun entusiasmo. Capii poi qualcosa da Trockij e
Sorel. Durante la guerra vissi in fanteria un buon corso di marxismo
pratico. A Zurigo, nell'inverno 1943-44, non so quanti libri lessi,
riassunsi e annotai, che parlavano di socialismo e di materialismo storico.
Si faceva fuoco di ogni frasca, allora. Un opuscolo in francese, ricordo, mi
fu molto utile; l'aveva scritto un tale che firmava con lo pseudonimo, seppi
poi, di Saragat. L'apprendistato comprendeva testi anche troppo disparati:
Malraux e Rosselli, Victor Serge e Silone, Mondolfo e Eluard...
A guerra finita vennero letture meno selvagge: le opere storiche (Le lotte
di classe in Francia, Il diciotto brumaio, La guerra civile in Francia),
parte della Sacra famiglia, i primi capitoli, splendidi di genio e forza
sintetica, della Ideologia tedesca, i due volumi del primo libro del
Capitale, e a partire dal 1949 quei Manoscitti economico-filosofici del 1844
oggi tanto derisi e che mai hanno cessato di stupirmi per la loro capacita'
di guidarci da Hegel fino ai giorni che ancora ci aspettano; e di dirci
parole di incredibile attualita'. E altro ancora.
Dopo vent'anni di diatribe storico-filologiche sul primo e il secondo Marx;
dopo Lukacs e Sartre, Bloch e Sohn-Rethel, Adorno e Althusser, Mao e gli
amici torinesi di "Quaderni rossi", a quelle pagine non ho piu' sentito il
bisogno di tornare se non nei termini di cui parla Brecht in una poesia
intitolata, appunto, "Il pensiero nelle opere dei classici":

Non si cura
che tu gia' lo conosca; gli basta
che tu l'abbia dimenticato...
senza l'insegnamento
di chi ieri ancora non sapeva
perderebbe presto la sua forza rapido decadendo.

Non stiamo commemorando la nostra giovinezza. Anche se fondamentale, quel
pensiero non e' se non un passaggio dell'ininterrotto processo che porta da
luce a oscurita' poi ad altra luce, e dal credere di sapere al sapere di
credere. Se ne compone (come quella di chiunque) la nostra esistenza. O per
la gioia dei piu' sciocchi dovremmo ripetere qual che ci sembra di aver
detto sempre e cioe' di non aver creduto mai che il pensiero di Marx potesse
fungere da chiave interpretativa del mondo piu' o meglio di quanto lo
faccia, ad esempio, la poesia dell'Alighieri?  Una educazione alla storia ci
faceva almeno intravvedere quel che era stato detto e fatto ben prima e
sarebbe stato detto e patito molto dopo di noi.
Quando, per l'Italia, almeno dal 1900, data del libro di Croce, ci viene
ogni qualche anno ripetuto che quella di Marx e' filosofia superata, non ho
difficolta' ad ammetterlo; sebbene subito dopo domandi che cosa significa
superare la filosofia di Platone o di Kant. Quando ci viene spiegato che la
teoria marxiana del valore o quella sulla caduta tendenziale del saggio di
profitto sono manifestamente errate, non ho difficolta' ad ammetterlo; anche
perche' mai l'ho impiegata per capire come vadano le cose di questo mondo.
Quando mi si dimostra che l'idea, certo marxiana, di un passaggio dalla
preistoria umana alla storia mediante la fine della proprieta' privata,
dello Stato e del lavoro alienato, si fonda su di una antropologia fallace e
senz'altro smentita dai "socialismi reali", apertamente lo riconosco; anche
perche' ho sempre attribuita la figura d'un progresso illimitato all'errore
che afferma la indefinita perfettibilita' dell'uomo, un errore
illuministico-borghese che Marx ebbe a ereditare.
Ma quando mi si dice che la teoria delle ideologie e' falsa, che la lotta
delle classi e' una favola e che il socialismo e' una utopia senza neanche
l'utilita' pragmatica delle utopie, chiedo allora un supplemento di
istruttoria. Primo, perche' il pensiero epistemologico contemporaneo, dalla
critica psicanalitica del soggetto fino alla semiologia, conferma la fine
d'ogni immediata coerenza fra parola, coscienza e realta', come fra mondo e
concezioni del mondo; secondo, perche' a tutt'oggi e' difficile negare - e
lo si sapeva ben prima di Marx - l'esistenza di ininterrotti conflitti di
interessi fra gruppi umani per il possesso dei mezzi di produzione e la
ripartizione del prodotto sociale; conflitti determinati dai modi del
produrre e determinanti l'assetto, o lo sconvolgimento, dell'intera
societa'. Per quanto e' del terzo ed ultimo punto, convengo volentieri che
esso rinvia ad una persuasione indimostrabile.
La volonta' di eguaglianza e giustizia pertiene alla politica solo grazie
alla mediazione dell'etica e della religione. Marx non ne ha data nessuna
ragione migliore. Indipendentemente da ogni mito perfezionista, credo si
debba continuare a volere (un volere che implica lotta) una sempre piu'
sapiente gestione delle conoscenze e delle esistenze. Il "sogno di una cosa"
e' la realizzata capacita' dei singoli e delle collettivita' di operare sul
rapporto fra necessita' e liberta', fra destino e scelta, fra tempo e
attimo.
Il movimento socialista e comunista si e' fondato per cent'anni su quel che
si chiamava l'insegnamento di Marx. Ne era parte maggiore l'idea che il
passaggio al comunismo dovesse essere conseguenza dello sviluppo delle forze
produttive, della industrializzazione e della crescita della classe operaia;
e compiersi con una pianificazione centralizzata. In questi nodi di verita'
e di errore si e' legato il "socialismo reale". Oggi gli esiti del passato
ci impediscono di guardare al futuro. Sono esiti tragici non solo per cadute
politiche, economiche o culturali ne' solo per costi umani; ma perche',
anche al di fuori dei paesi comunisti, il "marxismo reale" ha accettato il
quadro mentale del suo antagonista: primato della tecnologia, etica della
efficienza, sfruttamento dei piu' deboli. Sembrano falliti tutti i tentativi
per uscire da questa logica: massimo quello cinese. Eppure, Bloch dice, non
e' stata data nessuna prova che quella uscita sia impossibile. L'eredita'
marxiana e' divisa: una meta' e' ancora nostra, l'altra e' dei nemici del
socialismo e comunismo, sotto ogni bandiera, anche rossa.
Quanto alla mente geniale morta cent'anni fa, e' anche grazie ad essa che e'
stato ridimensionato il ruolo delle grandi personalita' e dei loro sepolcri.
Pero' ho visitato con commozione a Parigi il Muro dei Federati, a Nanchino
la Terrazza della Pioggia di Fiori o dei Centomila Fucilati; mi fosse
possibile, andrei a onorare i morti dei Gulag: sono tutti di una medesima
parte, tuttavia parte; non ipocrita bacio tra vittime e carnefici. Marx ci
ha infatti insegnato a capire una volta per sempre quale opera implacabile
gli ignoti, gli infiniti vinti vincitori, compiano entro le societa' che
preferirebbero ignorarli ed entro di noi; quali cunicoli scavino, quali
fornelli di mina preparino anche in coloro che li odiano per aver voluto
qualcosa che interi popoli oppressi continuano, morti e vivi, a volere.
Tutta la storia umana, ci dice, deve essere ancora adempiuta, interpretata,
"salvata". E o lo sara' o non ci sara' piu' - sappiamo che e' possibile -
nessuna storia. O ti interpreti, ti oltrepassi, ti "salvi" o non sarai
esistito mai.
L'amico di Federico Engels non e' stato davvero il primo a dircelo. L'ultimo
si'. E meglio ancora ogni giorno lo dice, oscuro a se stesso, "il movimento
reale che abolisce lo stato di cose presente" (Ideologia tedesca, 1845-46,
I, a). Anche questo e' marxismo.

4. MAESTRI. FRANCO FORTINI: COMUNISMO
[Riproponiamo ancora una volta alla riflessione anche questo articolo che
abbiamo estratto da Franco Fortini, Extrema ratio, Garzanti, Milano 1990,
pp. 99-101, pubblicato per la prima volta sull'inserto settimanale satirico
"Cuore" del quotidiano "l'Unita'" del 16 gennaio 1989. Dopo la pubblicazione
in Extrema ratio, questo testo e' stato ristampato anche nell'opuscolo Una
voce: comunismo, Edizioni del Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990;
in Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991; in Saggi ed epigrammi,
Mondadori, Milano 2003]

"Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una
societa' basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e
consumo, in alternativa a societa' basate su forme di proprieta' privata
ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra
e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei
bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine e'
l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia
Garzanti).

Il combattimento per il comunismo e' gia' il comunismo. E' la possibilita'
(quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior
numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalita' - pervenga a
vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico
progresso, ma reale, e' e sara' il raggiungimento di un luogo piu' alto,
visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualita' di
ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi e'
condizione perche' ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma
presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando
ogni favola di progresso lineare e senza conflitti.
Meno consapevole di se' quanto piu' lacerante e reale, il conflitto e' fra
classi di individui dotati di diseguali gradi e facolta' di gestione della
propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti;
differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-liberta'
di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la
propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro
"liberta'" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana,
come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per
dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di
liberta', cioe' di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria.
Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati
solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilita' e
miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarieta' e nella
paura della morte ora nella insensatezza e non-liberta' della produzione e
dei consumi. Ne' gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che
ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in
oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo
invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta
durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone
alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilita' e
amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire.
Il comunismo in cammino (un altro non esiste) e' dunque un percorso che
passa anche attraverso errori e violenze, tanto piu' avvertiti come
intollerabili quanto piu' chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli
altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca
anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini
siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come
oggi avviene, per un fine che non e' mai la loro vita. Usati, ma sempre
meno, come mezzi per un fine, un fine che sempre piu' dovra' coincidere con
loro stessi. Ma chi dalla lotta sia costretto ad usare altri uomini come
mezzi (e anche chi accetti volontariamente di venir usato cosi') mai potra'
concedersi buona coscienza o scarico di responsabilita' sulle spalle della
necessita' o della storia.
Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico
degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si riconosce e ai quali, come
a se stesso, indirizza la propria azione; e non solo nemico di quanti
riconosce, di quel fine, nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e
misura, anche dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perche' non
dara' requie ne' a se' medesimo ne' a loro, per strappare essi e se stesso
agli inganni della dimenticanza, delle apparenze e del sempreuguale.
Dovra' evitare l'errore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia
che l'uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. Questo
errore, con le piu' varie manipolazioni, ha gia' prodotto, e puo' produrre,
dei sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini in cui
ci riconosciamo. Ereditato dall'Illuminismo e dallo scientismo, depositato
dalla cultura faustiana della borghesia vittoriosa dell'Ottocento,
quell'errore ottimistico fu presente anche in Marx e in Lenin e oggi trionfa
nella maschera tecnocratica del capitale. Quando si parla di un al di la'
dell'uomo, e' dunque necessario intendere un al di la' dell'uomo presente,
non un al di la' della specie. Comunismo e' rifiutare anche ogni sorta di
mutanti per preservare la capacita' di riconoscersi nei passati e nei
venturi.
Il comunismo in cammino adempie l'unita' tendenziale tanto di eguaglianza,
fraternita' e condivisione quanto quella di sapere scientifico e di sapienza
etico-religiosa. La gestione individuale, di gruppo e internazionale,
dell'esistenza (con i suoi insuperabili nessi di liberta' e necessita', di
certezza e rischio) implica la conoscenza delle frontiere della specie umana
e quindi della sua infermita' radicale (anche nel senso leopardiano). Quella
umana e' una specie che si definisce dalla capacita' (o dalla speranza) di
conoscere e dirigere se stessa e di avere pieta' di se'. In essa,
identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle non ancora nate e' un
atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi; ed e' allegoria e
figura di coloro che saranno.
Il comunismo e' il processo materiale che vuol rendere sensibile e
intellettuale la materialita' delle cose dette spirituali. Fino al punto di
sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini
fecero e furono sotto la sovranita' del tempo; e interpretarvi le tracce del
passaggio della specie umana sopra una terra che non lascera' traccia.

5. INIZIATIVE. "APPELLO ECUMENICO AL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO": IL DIALOGO
HA VINTO SUL TERRORE
[Dall'amico carissimo Brunetto Salvarani (per contatti:
b.salvarani@carpi.nettuno.it) e dalla redazione de "Il dialogo" (per
contatti: e-mail: redazione@ildialogo.org, sito: www.ildialogo.org)
riceviamo e diffondiamo questo comunicato sulla seconda giornata ecumenica
per il dialogo cristiano-islamico]

La seconda Giornata ecumenica per il dialogo cristiano-islamico tenutasi lo
scorso 21 novembre 2003, ultimo venerdi' del Ramadan dell'anno islamico 1424
dell'Egira, nonostante un clima difficilissimo favorito fra l'altro dagli
appelli allo "scontro di civilta'", una crescente islamofobia, la questione
del crocifisso provocatoriamente strumentalizzata da piu' parti ed i tragici
fatti di Nassirya, e' stata un vero successo.
Si sono contate a decine le iniziative svoltesi in tutta Italia non solo il
21 novembre, ma anche nei giorni seguenti fino alle prime settimane di
dicembre: hanno coinvolto molte citta' fra cui Torino, Milano, Desio,
Verona, Cremona, Padova, Mantova, Bergamo, Brescia, Venezia, Casale
Monferrato, Cuneo, Acqui Terme, Correggio, Modena, Genova, Ravenna, Reggio
Emilia, Sassuolo, Fiorano, Bolzano, Pieve di Cento, Roma, Bari, Maglie,
Napoli, Avellino, Salerno, Pachino, Catania, Messina... ma si tratta di un
elenco parziale.
Si puo' affermare con soddisfazione che, per la quantita' e la qualita'
degli eventi promossi, nonche' per il dibattito suscitato, il "popolo del
dialogo" c'e' e ha fatto sentire forte la sua voce.
Il dato forse piu' significativo di tutta la seconda Giornata del dialogo
cristiano-islamico e' stato l'impegno delle organizzazioni islamiche e di
singoli musulmani. Ricordiamo fra le altre l'iniziativa dei centri islamici
di Milano e dell'Emilia Romagna che hanno lanciato importanti appelli ai
cristiani e che hanno prodotto importanti iniziative come quella di Milano.
C'e' stato poi, proprio il 21 novembre, un appello di Farid Adly, direttore
di "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo", che, prendendo spunto dai micidiali
attentati registrati proprio poco prima, ha chiesto con forza a tutti i
musulmani in Italia ed Europa l'assunzione di una posizione chiara ed
esplicita di rifiuto del terrorismo.
Ricordiamo che l'ipotesi di una giornata del dialogo cristiano-islamico e'
stata lanciata, in chiave ecumenica, subito dopo i tragici fatti dell'11
settembre 2001. A tutt'oggi l'appello ha raccolto oltre mille adesioni fra
individuali ed associative di vario tipo, coinvolgendo associazioni locali o
nazionali, parrocchie e chiese locali e nazionali, giornali, personalita'
della cultura, vescovi, ordini religiosi, istituzioni politiche e comunita'
di fede. In particolare, l'evento e' stato sostenuto direttamente dalla
Federazione delle chiese evangeliche in Italia, dal movimento di Pax
Christi, dal Segretariato Attivita' Ecumeniche (Sae), dal Cipax, dalle
riviste "Mosaico di pace", "Confronti", "Tempi di fraternita'" e "Il
dialogo".
Anche quest'anno, come gia' nel 2002, e' stato individuato l'ultimo venerdi'
del Ramadan come Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico,
riprendendo l'indicazione che Giovanni Paolo II diede nel 2001 quando chiese
alle donne e agli uomini di buona volonta' di digiunare proprio nell'ultimo
venerdi' di Ramadan di quell'anno tragico. La sua positiva riuscita ci
impegna a continuare nella nostra iniziativa che e' una iniziativa di pace,
per la convivenza tra le fedi, contro il fondamentalismo, il terrorismo e
ogni chiusura identitaria.
Invitiamo cosi' quanti si sono impegnati negli scorsi mesi a continuare
nelle iniziative comuni fra cristiani e musulmani in vista della
celebrazione della terza giornata che celebreremo il prossimo 12 novembre
2004, ultimo venerdi' del Ramadan dell'anno islamico 1425 dell'Egira.
Auguriamo a tutti che il 2004 possa essere finalmente un anno di pace. Con
l'impegno di tutti e nell'amore del Dio unico crediamo e speriamo che si
tratti di un obiettivo realizzabile. Con un sincero augurio di shalom,
salaam, pace.
*
Per firmare l'appello e per adesioni o segnalazione di iniziative, ci si
puo' rivolgere a:
- redazione de "Il dialogo": e-mail: redazione@ildialogo.org, sito:
www.ildialogo.org, tel. 3337043384
- Brunetto Salvarani: e-mail: b.salvarani@carpi.nettuno.it, tel. 3291213885
- redazione di "Confronti": tel. 064820503, 0648903241, fax: 064827901,
e-mail: dialogo@confronti.net; sito: www.confronti.net
- redazione di "Tempi di fraternita'": sito: www.tempidifraternita.it,
e-mail: tempidifraternita.it@tempidifraternita.it
- redazione di "Mosaico di pace": sito: www.paxchristi.it
Per l'elenco completo dei firmatari dell'appello, per tutti i materiali ad
esso relativi e per le iniziative in corso si puo' visitare il sito:
www.ildialogo.org

6. INCONTRI. COMUNITA' ISOLOTTO DI FIRENZE: UNA VEGLIA DI NATALE CON
LISISTRATA
[Dall'amico carissimo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi@videosoft.it)
riceviamo e diffondiamo questo comunicato della Comunita' Isolotto di
Firenze, una delle piu' longeve e belle esperienze delle comunita' cristiane
di base (per contatti: comis@videosoft.it)]

Una piccola folla, circa trecento persone, ha animato la veglia della notte
di Natale in piazza Isolotto a Firenze, sfidando le gelide folate del vento
tramontano che dal Monte Morello traversava le Cascine e l'Arno e investiva
impietosamente la piazza. Erano soprattutto giovani e giovanissimi: la terza
e quarta generazione dell'Isolotto. A causa del freddo pochi dei piu'
anziani hanno potuto partecipare.
Perche', allora, in piazza? Autolesionismo? Incapacita' di modificare una
consuetudine, la veglia in piazza appunto, che dura da 35 anni?
Identificazione con l'archetipo dei pastori che vegliano all'aperto o con
Gesu' che nasce in una grotta perche' rifiutato da ogni luogo chiuso? Ma non
puo' diventare luogo chiuso anche la piazza? Bisogno di affermare una
identita' basata sulla piazza come luogo privilegiato della testimonianza di
fede? Ma che fede hanno da testimoniare i tanti non credenti che partecipano
alla veglia? O forse cio' che accomuna tutti coloro, credenti e non
credenti, che in qualche modo fanno riferimento alla comunita' Isolotto e'
proprio il bisogno di una religiosita' e di una spiritualita' socializzate,
non individualistiche, liberate dal dominio del tempio, del dogma, del
gregge, recuperate alla dimensione delle relazioni vitali, restituite
all'intreccio fecondo dei rapporti personali, e per questo espresse in modo
impareggiabile dalla piazza, luogo privilegiato della socializzazione?
Tutte domande che si ripetono ogni anno senza trovare una risposta. Si
ripropongono anzi ogni settimana, perche' l'incontro eucaristico della
comunita' Isolotto avviene tutte le domeniche nella piazza. Sebbene da
qualche anno nelle giornate di freddo piu' intenso la comunita' preferisca
ripiegare nella propria sede, le "baracche" in via degli Aceri 1. Sta di
fatto che quando qualcuno della comunita' e dintorni anche quest'anno ha
posto il problema, ha prevalso nei piu' l'esigenza della piazza.
*
Il filo conduttore era legato al tema, disegnato su un grande cartellone che
dominava la piazza: Diritti e responsabilita': l'unica pace possibile.
La metafora assunta per caratterizzare la veglia, oltre alla nascita di
Gesu', e' stata la figura di Lisistrata, personaggio di una commedia di
Aristofane rappresentata nel 411 a. C.
Lisistrata, il cui nome significa "colei che scioglie gli eserciti", saggia
massaia ateniese, visto che le cose vanno a rotoli per il poco senno degli
uomini, e' persuasa che le donne debbano prender l'iniziativa se si vuol
fare finalmente finir la guerra fra Atene e Sparta. Riunisce quindi le donne
delle due citta' belligeranti in una congiura. Le donne organizzano uno
sciopero singolare: rifiutano ai mariti ogni prestazione coniugale. Tanto ad
Atene che a Sparta l'insoddisfazione erotica ostacola ogni attivita' di
guerrra e, sotto la presidenza di Lisistrata, le trattative di pace son
presto concluse.
Ecco cosa afferma la sagace e ironica ateniese di fronte ai belligeranti:
"Se aveste cervello trattereste i conflitti come si fa con la lana. Come
quando la matassa e' ingarbugliata, la prendiamo e la dipaniamo sui fusi,
tendendola da una parte e dall'altra, cosi' se ci lasciate fare sbroglieremo
la guerra, lavorando da una parte e dall'altra, con le ambascerie. Prima di
tutto, come si fa con la lana, toglieremo via con un bagno il sudiciume
dalla citta'. Poi leveremo di mezzo con un bastone spine e malanni. Poi
carderemo quelli che tramano in societa' per le cariche, e gli speleremo
bene la testa. Poi in un paniere mescoleremo la concordia comune e la
pettineremo, mettendo insieme i meteci, gli stranieri che vi sono amici e
debitori dello stato. E le citta' dove abitano coloni ateniesi dovete
considerarle come i bioccoli caduti per terra, lontani gli uni dall'altro.
Bisogna prenderli e raccoglierli insieme e farne un solo grande gomitolo, da
cui tessere una tunica per il popolo".
*
I contenuti della veglia sono stati espressi da alcune testimonianze.
Testimonianza e' piu' che parola. E' esperienza di vita che si comunica, che
trasmette un messaggio. I testimoni della veglia non erano estranei. Erano
persone provenienti dalla rete di relazioni e di movimenti in cui e'
inserita la comunita', cioe' dai mondi dell'immigrazione, del lavoro, della
liberazione dei popoli, della nonviolenza attiva, della reclusione
carceraria, dell'opposizione alla guerra. Nell'epoca nostra di dominio della
cultura della competizione liberista globale, lo spazio privilegiato di
lavoro politico e di partecipazione democratica della societa' civile - e'
stato testimoniato da tutti - e' e non puo' che essere il terreno dei
diritti anch'essi globali. E' li' che si sta spendendo e che bisogna
spendere molto in questo momento se vogliamo tendere in modo efficace a
superare la cultura di guerra e ad avvicinare la pace possibile, mondiale e
globale.
Un gruppo di giovani, cultori di teatro, attivi nel comitato "Fermiamo la
guerra" e in Emergency, ha eseguito una performance in solidarieta' con le
vittime di ogni guerra, in particolare della guerra in Iraq, e per
richiedere il ritiro dei nostri militari da quel paese.
E naturalmente: canti, musiche, simboli, fuochi, letture, preghiere,
condivisione eucaristica.

7. RILETTURE. JOHN STUART MILL: ON LIBERTY AND OTHER ESSAYS
John Stuart Mill, On Liberty and other essays, Oxford University Press,
Oxford-New York 1991, pp. XXXVI + 596. Una raccolta di quattro
rilevantissimi saggi del grande teorico del liberalismo: On Liberty,
Utilitarianism, Considerations on Representative Government, The Subjection
of Women.

8. RILETTURE. NORBERTO BOBBIO: LIBERALISMO E DEMOCRAZIA
Norberto Bobbio, Liberalismo e democrazia, Anglei, Milano 1985, 1988, pp.
80, lire 10.000. Una limpida monografia introduttiva di un maestro di
politica e cultura, ergo: di vita civile.

9. RILETTURE. TZVETAN TODOROV: MEMORIA DEL MALE, TENTAZIONE DEL BENE
Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano
2001, pp. 406, euro 19,63. Un libro a nostro avviso di fondamentale
importanza: uno strumento di studio e di lotta contro ogni totalitarismo.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini@tin.it,
angelaebeppe@libero.it, mir@peacelink.it, sudest@iol.it, paolocand@inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 768 del 28 dicembre 2003