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La nonviolenza e' in cammino. 733
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 733
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Tue, 18 Nov 2003 02:08:20 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 733 del 18 novembre 2003
Sommario di questo numero:
1. Movimento Internazionale della Riconciliazione, Movimento Nonviolento:
nel giorno doloroso dei funerali
2. Enrico Peyretti: quando la patria diventa idolo
3. Maria G. Di Rienzo: una replica a Prodi sull'Europa, le donne, la pace
(un contributo alla proposta di Lidia Menapace)
4. Angelo Cavagna: concludendo il digiuno per una legge finanziaria di pace
5. Marina Forti: l'uccisione di Angel Shingre
6. Domenico Barberio: un incontro a Gubbio con Raniero La Valle
7. Mao Valpiana: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
8. Giorni nonviolenti 2004
9. Letture: Angela Dogliotti Marasso, Maria Chiara Tropea, La mia storia, la
tua storia, il nostro futuro
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. APPELLI. MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE, MOVIMENTO
NONVIOLENTO: NEL GIORNO DOLOROSO DEI FUNERALI
[Riceviamo e diffondiamo il seguente appello del Movimento Internazionale
della Riconciliazione e del Movimento Nonviolento. Per contatti: tel.
0458009803, cell. 3482863190, e-mail: azionenonviolenta@sis.it]
Nel giorno doloroso dei funerali, pensiamo che il modo migliore per onorare
i soldati morti sia quello di rafforzare il nostro impegno contro tutte le
guerre e gli strumenti che le rendono possibili.
La morte dei militari italiani in Iraq, che ci addolora come ogni vittima di
tutte le violenze, e' conseguenza della ingiustificabile guerra preventiva
degli Stati Uniti e della presenza militare italiana, che risulta non di
pace ma di fiancheggiamento della conquista militare.
Il nostro dolore e' anche maggiore per la vicinanza che sentiamo a questi
giovani ed alle loro famiglie, e per la consapevolezza che non si e' fatto
abbastanza per impedire la loro partenza.
Crediamo che il governo debba ritirare un contingente militare che non
doveva inviare, ed agire subito per sostenere la costituzione di Corpi
Civili di Pace addestrati per missioni di pace in contesti come quello
iracheno.
Ogni rappresentante delle istituzioni, a partire dal Capo dello Stato, ogni
forza presente nel governo e in parlamento e' chiamata ad assumersi la
propria responsabilita'.
Una comune iniziativa europea volta a portare distensione e pacificazione in
quell'area sembra la risposta adeguata. A questa intendiamo collaborare. In
questa prospettiva invitiamo i cittadini a sostenere concretamente la
presenza di organismi umanitari in Iraq e nel contempo ad opporsi alla
ulteriore presenza militare italiana, ed esortiamo i militari a rifiutarsi
di parteciparvi.
Per questo esponiamo ancora il nostro arcobaleno di pace e nonviolenza.
2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: QUANDO LA PATRIA DIVENTA IDOLO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscali.it) per averci
messo a disposizione questo scritto. Enrico Peyretti e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al
di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella
rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui
abbiamo pubblicato il piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di
questo foglio, ricerca una cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
appunto successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca
sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001,
Asterios, Trieste 2001. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti
di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario]
In questi giorni di dolore e di compassione, come per tutte le vittime di
guerra, per i soldati italiani uccisi in Iraq, e' necessario considerare
anche un aspetto che traspare, a ben vedere, da quel tanto di retorica
militare e patriottica che si aggiunge ai sinceri sentimenti popolari nei
personaggi piu' usi al potere. La Patria, nelle sue pretese, che
accompagnano il suo valore, esige sacrifici umani. Le politiche li mettono
in conto. Allora vorrei proporre oggi questa riflessione di oltre due anni
fa, scritta per la rivista di ricerca spirituale che era stata diretta da
padre David Maria Turoldo: e' apparsa col titolo Quando la Patria diventa
idolo, in "Servitium. Quaderni di ricerca spirituale, Sotto il Monte
(Bergamo), fascicolo "Idolatrie", marzo-aprile 2001, pp. 66-78.
*
1. La Patria merita di essere amata, deve essere amata. Dalla Patria, come
dai genitori, abbiamo ricevuto tutto: il corpo, la cultura e la lingua, la
terra e le tradizioni, il modo col quale tentiamo di vivere, la compresenza
in noi degli antenati e dei concittadini. La Patria ci ha generato. Se la
vita e' cosa buona, pur con le sue fatiche, siamone grati alla Patria.
La Patria ci nutre. E' la nostra terra, dove poggiamo i piedi, dove abbiamo
le cose della nostra vita. Senza la Patria saremmo dei vagabondi, degli
sbandati. Pensiamo ai "senza patria": sono i profughi, i rifugiati (oggi 22
milioni, un grande popolo di vittime), sradicati dalla bufera delle guerre e
dalla violenza delle "pulizie etniche", mutilati delle loro piu' prossime
relazioni umane; sono gli emigrati per necessita', per fuggire da
un'oppressione. E' una delle condizioni umane piu' tormentose, io credo.
Perche' noi, in cio' simili alle piante, apparteniamo davvero ad una terra,
ad un paesaggio, un'aria, un punto del suolo del mondo. Possiamo viaggiare
dappertutto, abbiamo diritto a non essere rinchiusi, ma in quella terra, di
nascita o di scelta, noi siamo radicati. Anche quel suolo materiale - che
poi vuol dire casa, societa' - e' Patria.
*
2. Perche' allora dico che diventa un idolo, con intollerabili pretese da
idolo? Perche' l'idolo che pretende omaggi servili e sacrifici divoratori si
installa proprio nelle cose buone. L'idolo appare buono, appare come un
bene, e' l'ombra del bene (vedi l'articolo di Aldo Bodrato in questo
fascicolo ["Servitium", marzo-aprile 2001]). L'idolatria e' religiosa.
L'asservimento ad un idolo ha le apparenze del sentimento buono e giusto
della gratitudine, della dedizione.
Forse la Patria (naturalmente con la maiuscola) e' oggi un po' spiazzata da
altri concorrenti nel pantheon degli idoli, pero' non se la passa poi tanto
male. Si puo' allargare all'Europa, persino al mondo (beh, non di piu' che a
quello "sviluppato"), oppure restringere alla cosiddetta Padania o alla
propria vallicella; si puo' presentare in veste sportiva di squadra del
cuore cittadina, o nazionale, nell'agone calcistico o in quello piu' nobile
olimpionico; puo' persino competere nella cultura, per un premio Nobel o per
un Oscar, col resto del mondo; in ogni caso e' la nostra Patria. E noi siamo
suoi.
Siamo suoi. E lei e' nostra. Un'appartenenza trascendente e viscerale. Ci
tremano le viscere quando sul pennone piu' alto sale la nostra bandiera (e
certamente e' meglio che vederla alzare in battaglia contro altre patrie) e
risuona l'inno nazionale. Ha vinto la Patria, abbiamo vinto noi. La Patria
ci da' questi fremiti perche' e' grande, ci avvolge, ci ha generato, ci
nutre, ci identifica. E anche ci chiama, ci chiede, puo' chiedere, puo'
esigere tutto, va amata, va servita.
La Patria fa i nostri interessi, ci difende dagli altri, arricchisce noi e
non gli altri. Come non esserle grati? Come non obbedirle? E' la piu' bella,
come la "bandiera dai tre colori" (diceva una canzone che cantavamo da
piccoli). E' anche la piu' severa.
*
3. Strano nome, il suo, un po' mostruoso, ermafrodito: Patria, un padre
femminile, una madre che e' padre. Qualcuno ha gia' lavorato su questo
potente nodo simbolico, che dice totalita', non lascia quello scampo che
ancora troviamo nella dualita' dei nostri genitori naturali. E' tutto.
Paterna come Dio, materna come la natura. Dio naturale e natura divina. Piu'
completa dei genitori. Ora la Patria comincia ad incombere, a farmi paura.
E se non la amiamo e non le obbediamo? Siamo empi, cioe' non pii, non grati,
non siamo persone per bene. Siamo anarchici, pericolosi.
Del resto, la Patria ci pensa lei a farsi obbedire. Come? Ci ha pensato per
tempo. Si e' fatta Stato (ecco il suo lato maschile, troppo maschile), pur
con tante eccezioni: ci sono al mondo meno di 200 stati, ma 2.000 nazioni.
Oggi, dissolto uno dei due imperi, e' venuta una stagione di
"autodeterminazione dei popoli", cioe' delle patrie. Va bene l'indipendenza,
l'autogoverno, ma il nazionalismo chiuso, l'etnicismo orribilmente "pulito",
e la volonta' a tutti i costi di essere patria nella forma dura, armata,
sovrana dello Stato, sono brutte versioni dell'autodeterminazione: una
piccola patria senza e contro e fuori dalla grande vera Patria comune che e'
l'umanita'.
Lo Stato e' storicamente basato su tre colonne: amministrazione (anche della
giustizia punitiva: le pene in cambio del delitto, far soffrire chi ha fatto
soffrire, male piu' male), moneta, esercito. Fa la legge e la fa rispettare.
Ha la forza. Anzi, il "monopolio della violenza legittima" (Max Weber).
E' importante la distinzione tra forza e violenza: la forza legale non e' da
confondere con la violenza arbitraria. La legge sancita dalla forza dello
Stato, forza regolata e limitata dalla legge, e' altra cosa e preferibile
alla forza senza altra legge che se stessa, detenuta dai vari poteri di
fatto, dalle varie mafie. Questa forza e' pura violenza. Dunque, la
Patria-Stato e' molto meglio dell'anarchia violenta (che distinguo dalla
ideale anarchia nonviolenta) e della mafia.
Ma lo Stato (nazionale o plurinazionale, di una o piu' patrie), in
definitiva, si fa obbedire usando la morte. Il dare la morte e' l'ultima sua
risorsa, e pretesa. Alcuni stati hanno ancora la pena di morte, altri
l'hanno abolita. Nessuno ha abolito il diritto di guerra, che e' un diritto
di morte, una pena capitale collettiva inflitta ai "nemici"
indipendentemente da qualunque loro colpa personale, quindi ancora piu'
iniqua di qualunque sentenza capitale. Il diritto di guerra oggi viene
ristretto (programmaticamente e nominalmente) alla difesa e alla "ingerenza
umanitaria". Ma c'e' una guerra che non sia stata giustificata come difesa
di un diritto conculcato? Anche Hitler rivendicava lo "spazio vitale" per la
Germania schiacciata dalla stolta "pace punitiva" del 1919.
*
4. Dunque, e' la morte l'ultima ragione (extrema ratio) e l'ultimo mezzo
dello Stato per affermarsi e difendersi, all'esterno come all'interno. E' la
morte data, amministrata, usata, come uno dei suoi mezzi d'azione (sia pure
l'ultimo, ma a volte usato anche tra i primi).
Non e' questa una pretesa divina? Il Dio vivente e' Dio di vita e non di
morte, ma la scimmiottatura umana di Dio impugna e usa la morte, come il
massimo potere (distruttivo) sulla vita. Per Hobbes, teorico dello Stato
moderno, ancora sostanzialmente seguito, esso e' un "dio mortale", una
divinita' terrena, terribile come il mitico mostro biblico Leviathan, un dio
necessario per imporre la pace agli uomini, incapaci di convivere se non vi
sono costretti, in definitiva con la minaccia di morte (anche se in Hobbes
c'e' contraddizione tra lo scopo primo dello Stato, che e' garantire la vita
fisica, e i suoi poteri totali).
"Quando lo Stato si prepara ad uccidere si fa chiamare Patria", ha scritto
Duerrenmatt. E' il potente ricatto materno-paterno sul figlio: devi essere
grato per la vita ricevuta fino ad obbedire facendo tutto, anche uccidere,
anche essere ucciso. Tu hai bisogno della Patria e la Patria "ha bisogno di
te", come si scriveva sui manifesti per il reclutamento. Tu puoi perire
perche' la Patria viva, e faccia vivere chi ti e' caro. Dimostri amore e
lealta' spogliandoti della padronanza dei tuoi atti, dell'estremo dei tuoi
atti - uccidere e morire - a favore del comando che la Patria-Stato ti da'.
Questo e' cio' che puo' esigere un dio-padrone.
Quando Abramo penso' che Dio gli chiedesse questo, si preparo' a farlo,
seppure con pena. Dio gli fece capire, e fa capire a noi una volta per
sempre, che il vero Dio non chiede e non vuole questa obbedienza. Il
rispetto della vita va opposto anche ad un eventuale dio, e cosi' serve a
distinguere il vero Dio della vita dagli idoli mortali, ad esso opposti, ma
apparenti sotto le sue spoglie.
L'idolo Stato continua a chiedere ai padri e alle madri il sacrificio dei
figli. Non e' un caso che la tomba del milite ignoto, a Roma, simbolo
imponente e sgraziato di questa serie immensa di sacrifici imposti ed
ottenuti, si chiami "altare della Patria".
La sovranita' e' il carattere idolatrico dello Stato. Significa
insubordinazione a qualunque ordine, non riconoscere nulla al di sopra.
Sovranita' e' dunque sopraffazione. Lo Stato sovrano e' di natura sua
belligeno. Sovranita' significa assolutezza, anarchia, anomismo, cioe'
illegalita' rispetto all'umanita' intera. Per dare un'anima a questa
pretesa, si ricorre alla figura della Patria, come un organismo vivente di
cui noi saremmo pure cellule, dotato di diritti personali di indipendenza.
Oggi vari fenomeni, in parte negativi in parte positivi, riducono di fatto
il potere sovrano che gli Stati si sono presi. Ma alla sovranita' dei vecchi
Stati succede la sovranita' di poteri economici e militari ancora meno
visibili e controllabili, meno democratici dei meno democratici tra gli
Stati. Idoli dalle mani ancora piu' libere e piu' rapaci, questi nuovi
poteri sembrano vestirsi di un'idea piu' grande delle patrie, la globalita'
della terra e dell'umanita': in realta', globale e' solo la dimensione
de-territorializzata dello sfruttamento, non e' realizzata l'uguaglianza
mondiale dei diritti umani, ne' la comunita' mondiale di rapporti di
collaborazione e di scambio giusti, ne' la Patria umana planetaria, che
Balducci profetizzava. Anzi, questa globalizzazione separa, assai piu' dello
Stato moderno nella sua evoluzione sociale, inclusi ed esclusi, cittadini
del mercato ed "esuberi" inutili perche' incapaci di acquistare. Di
acquistare anche le medicine, per cui l'economia e la scienza li lasciano
morire delle piu' curabili malattie. L'idolo e' sovrano.
*
5. Oggi si denuncia l'uso dei bambini soldati, in Africa. Lo sfruttamento
militare degli adulti c'e' sempre stato, nella realta', se non nei codici.
Kant lo denuncio' chiaramente: negli eserciti permanenti, che "costituiscono
essi stessi la causa di guerre aggressive", "assoldare uomini perche'
uccidano o si facciano uccidere ha tutta l'aria di trattarli come semplici
macchine e strumenti in mano altrui (dello Stato), e cio' non si accorda
affatto con il diritto dell'umanita' insito nella nostra stessa persona"
(Per la pace perpetua, art. 3 preliminare). Sovrani e governi hanno usato,
costretto, violentato, i soldati di tutte le guerre, li hanno resi omicidi e
fatti morire. Brecht, in Madre Courage, cosi' descrive l'opera del
reclutatore di uomini per la Guerra dei Trent'anni: "Dice il pescatore al
verme: vieni, andiamo a pescare". Se andarono volontari, e' ancora peggio,
perche' furono persuasi dalle propagande dell'uccidere. Ben di rado hanno
veramente difeso diritti delle persone e dei popoli, quasi sempre gli
interessi dei potenti.
L'abolizione della leva, avviata ora anche in Italia, toglie forse questa
strumentalizzazione della persona umana? No, per nulla. In luogo
dell'obbligo viene l'adescamento di uomini e anche di donne, e la corruzione
ulteriore del concetto di difesa. Imparare ad uccidere e distruggere come
professione, attrezzarsi da specialisti a risolvere cosi' le controversie,
diventa un lavoro pagato come un altro (con privilegi di assunzione nel
pubblico impiego), e' visto come una funzione normale nella societa', non
una tragica necessita'.
Cosi' offesi, usati per offendere, i soldati sono stati poi ipocritamente
onorati nei vari monumenti ai "caduti" (eufemismo ipocrita, per non dire
"ammazzati"), eretti fin sulle piazzette dei piu' piccoli paesi. La retorica
delle patrie matrigne ha chiamato caduti - come se fossero liberi
alpinisti - i figliastri mandati ad uccidere e morire, uccisi per non avere
abbastanza e piu' prontamente ucciso. Due sono le figure che rappresentano
quelle povere vittime, colpite tanto dalle loro patrie quanto dalle patrie
"nemiche": il vincitore che alza la bandiera o il moschetto, il colpito che
sta per ottenere la "bella morte". Una eccezione da segnalare e' il
monumento ai morti in guerra di Termignon, villaggio della Haute Maurienne,
in Savoia, a circa 100 km da Torino: una madre piangente, col capo chino e
il volto nascosto tra le mani. La famosa "Pleureuse", il piu' onesto dei
monumenti, dice che le patrie fanno piangere le madri.
Oggi le guerre sono soprattutto interne agli stati, piu' che guerre fra
stati. Il fenomeno e' dovuto alla frammentazione dell'impero sovietico, al
disfacimento della vecchia forma di stato, superata verso l'alto dalla
globalizzazione e verso il basso dal localismo etnico, e anche al nuovo
diritto internazionale dell'Onu, che ha ridotto i casi di guerre
inter-statali. Nel Novecento si calcola che siano state piu' numerose le
vittime in guerre degli Stati contro i loro stessi cittadini (genocidi degli
armeni, degli ebrei, repressioni sovietiche, in America Latina.) che le
vittime, gia' tantissime, in guerre tra Stati. Queste ultime, poi, sono
ormai molto piu' civili che militari.
*
6. Non si vuol negare, con tutto questo, che il dovere-diritto (prima
dovere, poi diritto) di difesa - difesa degli altri e anche di se' -
comporti in qualche tragica e rara circostanza la necessita' di uccidere.
Questa necessita' - come precisa bene Jean-Marie Muller in Le principe de
non-violence (Desclee de Brouwer, 1995), correggendo anche Gandhi - e'
appunto una necessita' e mai un dovere, perche' nella necessita' non c'e'
liberta', quindi non c'e' dovere. Il dovere e' sempre di non uccidere, ed e'
un dovere assoluto. Se si verifichi quella tragica necessita' - per esempio
nel caso che qualcuno sia attualmente sul punto di uccidere un altro, e
davvero non ci sia altro modo di impedirglielo - puo' giudicarlo solo, in
coscienza, la persona implicata in quella circostanza. Mai e poi mai
qualcuno puo' comandare ad un altro di uccidere. Mai e poi mai si puo'
obbedire ad un ordine di uccidere, dato da altri, e non imposto dalla
tragedia in cui si e' coinvolti, per evitare un male piu' ingiusto. Se
questo ragionamento e' valido, come mi pare evidente, esso deve scardinare
del tutto la struttura statale che organizza la morte sistematica dei nemici
per "risolvere" (falsamente) una "controversia internazionale" (art. 11
della Costituzione). L'esercito dunque e' sempre immorale, strutturalmente
contrario al dovere primo della vita umana. Gli eserciti vanno semplicemente
aboliti dal mondo, esattamente come i sacrifici umani, la schiavitu', la
pena di morte, di cui sono il cocktail legalizzato e imposto come
rispettabile. Il popolo che per primo lo capisce e lo fara', salira' un
nuovo gradino di civilta'.
Come ordina di uccidere, cosi' lo Stato ordina di morire, se cio' serve alla
strategia bellica. Ondate di uomini venivano gettati nel fuoco della
mitraglia, durante la prima guerra mondiale, per conquistare qualche metro
di terreno. In democrazia e' un po' piu' difficile farlo accettare, ma il
principio non e' rinnegato. Invece, tu ed io possiamo disporre della nostra
vita per una causa degna, per salvare altri, per difendere tutti, ma nessuno
puo' disporre di noi sostituendosi alla nostra coscienza e al nostro
diritto. L'idolo pretende il diritto di vita e di morte.
*
7. Facile obiezione: la possibile aggressione armata altrui ci costringe ad
attrezzarci adeguatamente, cioe' ad avere un esercito. Non posso avviare una
risposta completa nei limiti di questo articolo. Basti dire che il nuovo
diritto internazionale cosmopolitico, ancora in coabitazione conflittuale
col vecchio diritto degli stati sovrani, vieta la guerra, permette solo
l'autodifesa immediata, obbliga a devolvere la controversia alle Nazioni
Unite. Le quali - si veda lo Statuto dell'Onu - devono disporre, dopo i
mezzi non armati di difesa della pace, anche di mezzi armati, ma sotto il
proprio comando. Le maggiori potenze non hanno mai permesso il costituirsi
di questa forza sufficiente dell'Onu, che hanno piu' volte esautorato. Tale
forza e' per principio forza di polizia, e non esercito per azioni di
guerra, stante la differenza sostanziale, e non verbale, tra polizia (se
agisce legalmente) ed esercito che fa la guerra. La polizia ha pure le armi,
ma armi leggere, e il suo senso e' contenere e ridurre la violenza.
L'esercito ha armi quanto piu' distruttive possibile, e il suo senso, per
poter vincere, e' infliggere il maggior danno e dolore possibile al nemico.
La polizia, se agisce legalmente, riduce la violenza, l'esercito la
accresce. L'Onu e' l'unica legittima polizia del mondo. Gli eserciti moderni
non sono legittimi. Le politiche di difesa, come quella italiana col Nuovo
Modello di Difesa (si legga il progetto del 1991, in corso di attuazione),
sono in una logica contraria a questa, sono illegali per il diritto
pan-umano vigente. Lo Stato che esige ancora di addestrare uomini e apparati
ad uccidere, con mezzi potenti di morte e di dominio, e' un idolo omicida.
Cosi' e' anche la Repubblica italiana. Nella classe politica pochissimi,
quasi nessuno, pensa questo chiaramente. L'analfabetismo della pace
attraversa tutte le posizioni politiche, da un estremo all'altro.
*
8. Dunque, la Patria e' una realta' molto ambigua. Buona e violenta. E'
anche veramente madre. Ma ci usa come padrona delle nostre vite, e fa di noi
degli omicidi. Non si puo' vivere bene senza patria. Ma non si vive bene
quando la Patria decide di usarci come pedine mortali e mortifere. Ambigua,
proprio come gli idoli. I quali non sono orrende falsificazioni, non sono
brutti come il diavolo. Ci ingannano e ci dominano proprio perche' hanno
qualcosa della bellezza e grandezza di Dio.
*
9. La nostra Costituzione chiama "sacro" il dovere di difesa della Patria.
E' l'unica volta che compare questo aggettivo, di risonanza religiosa. La
difesa, nel momento dell'Assemblea Costituente, era concepita solo come
difesa militare, ma, in quanto dichiarata dovere "del cittadino", senza
specificazioni, implica anche una difesa civile, non militare, come ha
interpretato chiaramente la Corte Costituzionale (vedi il miglior trattato
giuridico in materia, quello di Rodolfo Venditti, L'obiezione di coscienza
al servizio militare, terza edizione, Giuffre', Milano 1999, pp. 17-18 e
87-88). Il carattere armato e il carattere sacro si fondono nella figura
dell'esercito sacralizzato, assolutizzato. La sacralizzazione della difesa,
sia della vera religione dagli infedeli, sia della patria dal nemico, da'
luogo ad un assoluto paradigma polemico di rappresentazione dei rapporti
umani (cfr. Roberto Mancini, Esistenza e gratuita', Cittadella, Assisi 1996,
p. 97) che giustifica in chi gestisce la difesa - l'istituzione esercito,
posto al di sopra di ogni critica, insignito di simbolismi di superiorita' -
il diritto di comando assoluto, fino a disporre delle vite dei sottoposti.
Quando il conflitto viene affidato totalmente, in monopolio, alla logica
extra-umana delle armi, e dell'istituzione a cio' attrezzata, la giusta
ragione che la terra patria e' necessaria alla vita, diventa la falsa
ragione che la vita umana e' necessaria alla terra patria. Qualche verita'
umana si e' qui capovolta. Questo accade perche' la cultura del conflitto e'
storicamente del tutto deformata: invece di essere gestito e trasformato in
senso costruttivo, mediante la forza umana della resistenza e della
ragionevolezza, e' consegnato al gioco casuale, extra-umano, delle forze
armate, che da' ragione alla parte fornita di maggiore potenza distruttiva.
La forza di fatto prevalente e' riconosciuta come fosse un diritto. Solo per
puro caso, la prevalenza nelle armi puo' coincidere con la ragione. Tirare a
sorte il titolo di vincitore sarebbe assai piu' ragionevole e prudente.
(Nell'impossibilita' di dire qui meglio qualcosa della cultura nonviolenta
del conflitto, mi limito a rinviare a Arielli e Scotto, I conflitti, Bruno
Mondadori, Milano 1998 [nuova edizione col titolo Conflitti e mediazione,
Bruno Mondadori, Milano 2003], e al recente ampio Johan Galtung, Pace con
mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000).
*
10. Come districarci in questa ambiguita', senza adorare e obbedire un
idolo, ma senza sottrarci al servizio agli altri, alla comunita' da cui
riceviamo tutto? E' un continuo lavoro di discernimento, da fare con scienza
e coscienza, con vigilanza e coraggio. Il luogo insostituibile di questo
discernimento e' la coscienza personale, attenta e informata, libera e
generosa, non certo isolata ma "in reciprocita'" (Bernhard Haering) con le
altre coscienze vigili.
Discernere vuol dire affrontare la fatica seria di non dare sempre ragione a
cio' che la nostra Patria, le istituzioni del nostro popolo, hanno fatto. La
nostra storia non e' tutta giusta, come non e' tutta sbagliata. E' stato
fatto osservare con rispetto al Presidente Ciampi che non tutti i soldati
che hanno combattuto e sono morti nelle guerre combattute dall'Italia,
comprese le criminali guerre fasciste, compresa quella in criminale combutta
col nazismo, sono da commemorare con elogi, come lui ha fatto in piu' di una
occasione. Con pieta', si', perche', convinti o obbligati, hanno anche
sofferto mentre facevano soffrire altri. L'amor di Patria non e'
indiscutibilita', specialmente in quell'atto cosi' carico di pretese
assolute, che e' la guerra.
*
11. E' dunque lo sviluppo delle coscienze che da' la giusta misura
all'obbedienza. La quale, di per se', "non e' piu' una virtu'", perche'
"ognuno e' responsabile di tutto", come chiari' definitivamente Lorenzo
Milani. Per ridurre un uomo a strumento per uccidere, cioe' a soldato, a
funzionario obbediente (tipo Eichmann), a torturatore fedele, basta
aumentare in lui la dose di spirito di obbedienza, di fedelta' ad ogni costo
all'autorita', in definitiva alla Patria. E' provato che persone del tutto
"normali" diventano capaci di eseguire qualunque ordine quando la fonte
dell'ordine appare loro insignita di alto valore: la Patria, ma anche la
scienza, lo sviluppo, il benessere, la liberta', la sicurezza, anche la
giustizia, e via idolatrando. Si puo' rinviare a Hannah Arendt e al suo La
banalita' del male [Feltrinelli, varie edizioni], ma, piu' prossimamente a
noi, leggere i resoconti della Commissione Verita' e Riconciliazione in
Sudafrica (nei volumi di Marcello Flores, Verita' senza vendetta,
Manifestolibri, Milano 1999, e Antonello Nociti, Guarire dall'odio, Franco
Angeli, Milano 2000), per vedere il male che si puo' compiere per
obbedienza. Piero Giorgi, docente in Australia, constata che la violenza ha
origini non congenite, ma sociali e culturali, quindi nell'obbedienza
conformistica (The origins of violence by cultural evolution, Minerva E & S,
Brisbane 1999), mentre ci sono oggi sulla terra 45 culture nonviolente.
Riassume il problema un lavoro inedito di Angela Dogliotti Marasso (Un
percorso di educazione al conflitto: dai presupposti teorici alla
realizzazione pratica, Universita' degli Studi di Firenze) nel paragrafo
"Fonti sociali della violenza: obbedienza acritica, indifferenza,
pregiudizio".
Possiamo dire: non c'e' solo il "peccato originale" (che e' interpretabile
anche come una sorta di dato culturale profondamente interiorizzato fino
dalla prima educazione), c'e' anche "la luce che illumina ogni uomo"
(Giovanni 1, 9). Ma le dottrine politiche assumono in generale la violenza
umana come un dato congenito fatale, che lo Stato deve tenere a bada per
mezzo di una piu' efficace contro-violenza, in nome della quale e' facile
giustificare ogni abuso. Anche i programmi di rivoluzione palingenetica
hanno in genere ritenuto necessaria l'ultima violenza per togliere ogni
violenza, e cosi' l'hanno perpetuata e a volte persino ampliata, per
obbedire ad un bene promesso, ed anche sperato sinceramente ma stoltamente,
mediante questa via violenta. L'idolo e' vestito di ogni bene.
*
12. La Patria non e' una terra, un governo, e neppure una lingua, una
storia, un popolo, se non ha un orizzonte che la trascende. Lo dice bene
Raimon Panikkar in I fondamenti della democrazia (Edizioni Lavoro, Roma
2000, pp. 24-25): "Senza l'elemento divino non puo' esservi pace ne'
giustizia tra gli uomini. Se la mia opinione vale quanto la tua e non esiste
un'istanza superiore, dobbiamo allora ricorrere alla violenza della forza",
che sia quella delle armi o della maggioranza. Questo ordine "sacro" non si
basa su rappresentanti - "la teocrazia rappresentativa e' mostruosa" - ma su
simboli. La democrazia delle fazioni, ovvero dei partiti, funziona se si
riconosce e si accetta, senza imposizione, un tutto al di sopra delle parti,
che lo si chiami patria, oppure Dio, o pace, giustizia, o altro valore. La
Patria e' uno scopo degno comune. Senza uno scopo essenziale comune, pur nel
dissenso competitivo sulla scelta dei mezzi, non c'e' un popolo, non c'e'
Patria. In tal caso, ed e' un caso terribilmente attuale, la cosa che ci
ordina con la legge e la forza di obbedirle, fino a morire ed uccidere, non
e' neppure una criticabile realta' umana, ma e' un'accozzaglia, un fantasma
di popolo, un guscio vuoto riempito dal piu' abile o piu' violento o piu'
abbindolatore che, in democrazia, se lo e' fatto consegnare per suo uso
privato.
Ho descritto l'idolo politico, che prende il nome altrimenti nobile di
patria. Il pericolo d'Italia (parliamo ora solo di noi) non e' questo o quel
dolce incantatore e sopraffattore, ma la discordia fondamentale degli animi
ridotti alla miseria dell'individualismo e del privatismo, senza una meta
valida comune, senza un vivere per gli altri, per l'umanita', anzitutto nei
suoi membri piu' bisognosi. E dunque il pericolo e' la condizione degli
animi pronti e proni ad adorare la forza. Idolatria, appunto,
interiorizzata. "C'e' un totalitarismo che viene dall'alto, ma anche un
totalitarismo che viene dal di dentro", diceva nel 1958 Romano Guardini
parlando in onore dei giovani martiri antinazisti di Monaco (La Rosa Bianca,
Morcelliana, Brescia 1994, p. 56). Dando un avvertimento di valore perenne,
egli parlava anche per noi.
*
13. Non sono d'accordo col voto degli italiani all'estero. Mi sembra fondato
su un'idea di Patria come appartenenza tutta biologica, di sangue, e non
civica e politica. E' giusto che io abbia il voto amministrativo nella
citta' in cui risiedo e lavoro, dove usufruisco e contribuisco ai servizi,
non nella mia pur amatissima citta' di nascita, se non vi abito. E' giusto
che abbia lo stesso voto l'immigrato ormai inserito, che contribuisce alla
vita di tutti, qui. Ma chi si e' stabilito lontano, altrove, potra'
partecipare in qualche modo alla memoria e alla vita spirituale e culturale
della Patria, ma non e' membro attuale e attivo della res-publica. Col voto
amministrativo e politico, solo di questa si tratta, della cittadinanza
repubblicana, (gestione di beni e servizi, orientamento verso scopi
comunitari), e non dell'appartenenza di sangue e di spirito, che e' idea
poco modesta e anche pericolosa.
*
14. Termino questi appunti aperti con una indicazione positiva. L'esperienza
sopra citata della Commissione Sudafricana Verita' e Riconciliazione (con
esperienze analoghe, ma meno chiare e ufficiali in America latina) e'
significativa. In una condizione di necessita' (perche' attuare la completa
giustizia penale avrebbe spaccato il paese in una guerra civile), il
Sudafrica, per merito dei suoi leaders civili e religiosi, ha inventato una
strada: rinunciando a punire i colpevoli di violenza (tanto repressiva
quanto rivoluzionaria), in cambio della loro completa ammissione di
responsabilita', e del loro confronto con le vittime, a cui veniva ridata
tutta la dignita' e la parola pubblica, quello stato ha rinunciato a punire,
a vendicare quei delitti politici. In fondo, la giustizia vendicativa
statale, che ha il merito di sostituire la vendetta privata, si attribuisce
tuttavia una funzione di carattere divino, superiore. Per questo, in nome
dell'evangelico "non giudicate", Tolstoj negava tale potere allo Stato. Il
Sudafrica, con questa esperienza, che andra' bene valutata e meditata,
accenna ad una evoluzione possibile: piu' che punire e vendicare, la
societa' politica ha il compito, certo, di neutralizzare sul momento
l'individuo attualmente pericoloso, ma in seguito deve soprattutto operare
per ricostruire il rapporto umano violato dalla violenza. La riconciliazione
puo' avvenire solo nella completa verita', ma, su questa base, va cercata
piu' della pena vendicativa, che e' ancora violenza. Se gli stati
proseguiranno questa ricerca, potranno deporre una pretesa idolatrica, per
assumere una funzione piu' umana e piu' laica, che e' poi anche il modo piu'
vero di rispondere al pensiero di Dio sull'uomo. Il vangelo (Matteo 5,
25-26; Luca 12, 57-59; cfr. 1 Corinti 6, 1-6) chiede di accordarsi, anche
con un compromesso, e di riconciliarsi, piuttosto che andare dal giudice, la
cui sentenza non puo' guarire la ferita nel rapporto tra persone.
3. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: UNA REPLICA A PRODI SULL'EUROPA, LE
DONNE, LA PACE (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE)
[Ringraziamo di cuore Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it)
per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista,
saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Ho letto integralmente il testo presentato da Romano Prodi il 10 novembre
scorso, dal titolo "Europa. Il sogno, le scelte", ovvero il contributo per
una lista del centrosinistra che si presentera' alle elezioni europee.
La mia unica perplessita', al termine della lettura, e' stata: ha senso che
io scriva una lettera a quest'uomo, ben sapendo che non la ricevera', o se
anche dovesse vi sono scarsissime probabilita' che la veda, e meno ancora
che ne tenga conto?
Potrei inviarla ai quotidiani per la pubblicazione, ma come ad esempio
alcune redazioni mi hanno gia' spiegato, io non sono nessuno. Quindi: questa
lettera vergata da "nessuno" e' destinata all'oblio, ma la sto scrivendo
ugualmente, come se affidassi al vento una canzone, e ad un prato la danza
dei miei piedi nudi.
Perche' lo faccio? Perche' nel testo si parla di "diritto alla pace", della
pace come "tratto essenziale dell'idea stessa dell'Europa, di quel modo di
intendere la vita e le relazioni tra i popoli che noi europei spontaneamente
riconosciamo come nostro". E' invero un bel paragrafo, quello in cui stanno
scritte queste parole, e persino vi si citano le bandiere arcobaleno della
pace come elemento unificante con cui quest'idea di Europa si e' espressa.
*
Il documento, con apparente coerenza, contiene anche un pezzo intitolato "Le
politiche per la pace" in cui il mio apprezzamento per cio' che e' stato
detto prima svanisce, e non e' possibile accada altro, perche' il diritto
alla pace non concorda pi' con quello che vi e' scritto: "Appresa la
lezione del Kossovo e dei massacri che solo l'intervento della Nato e
dell'America riuscirono a fermare, possiamo con serenita' ed orgoglio
affermare che l'Europa ha fatto la sua parte fino in fondo". Gia', fino a
raschiare il fondo del barile, verrebbe da rispondere, perche' tutte e
tutti, e quindi anche Romano Prodi, sappiamo benissimo che cosa l'intervento
Nato nei Balcani e' stato: i massacri "nostri" non e' stato possibile
nasconderli.
Il brano in questione, poi, contiene l'unico impegno di bilancio chiaramente
espresso, quello nei confronti della Nato: "L'Alleanza Atlantica... e'
l'arco che da piu' di cinquant'anni tiene insieme America ed Europa.. Il che
vuol dire, per l'Europa, accettare, anche sul piano strettamente militare,
le crescenti responsabilita', comprese quelle di bilancio, che si collegano
alla sua ambizione di essere un protagonista di primo piano della politica
mondiale. La pace, la liberta' e la sicurezza... possono richiedere di
essere difese anche con le armi" (non ci sono errori di citazione:
controllate pure, ho riportato tutte le virgole e anche la povera Europa
diventata "un" protagonista).
Traduciamo in lingua corrente, per i non addetti ai lavori? Il documento
propone, in nome della pace, un aumento delle spese militari europee. In
esso si afferma che le armi sono garanzia di pace e liberta': se lo fossero,
disse l(anno scorso in Italia una dirigente di Rawa (associazione politica
delle donne afgane), l'Afghanistan sarebbe il paese piu' pacifico del mondo.
Gli Usa sono i maggiori detentori di armi di ogni specie: che sicurezza, che
liberta', che pace stanno garantendo, e a chi?
*
Lei mi perdonera', vero, signor Prodi? Io non posso votare un programma del
genere.
Voglio potermi guardare allo specchio, la mattina, senza inorridire.
La bandiera arcobaleno sta alla mia finestra da un anno e un mese, e lei se
ne e' simbolicamente accorto, ma ancora non ha capito.
*
Nel suo testo vi sono 13 righe e mezzo ("La donna in primo pianoî") in cui
lei afferma di voler riservare un'attenzione "speciale, specialissima" alle
donne, perche' "dobbiamo incentivare la partecipazione delle donne al
governo delle nostre societa'".
Come donna, la ringrazio molto per quest'affermazione di principio, ma le
confesso che sono convinta di trovarla attestata, piu' o meno nella stessa
forma, in tutti gli altri programmi che verranno presentati per le elezioni
europee.
Lei ed altri mi chiederete di votarvi perche', in futuro, io possa avere la
vostra "speciale attenzione": non se la prenda, ma l'attenzione speciale
futura potete tenervela.
*
Mi basterebbe un po' di attenzione normale presente, perche' da tempo
circola una proposta di Lidia Menapace e della "Convenzione permanente di
donne contro le guerre" per un'Europa che faccia davvero del diritto alla
pace il suo pilastro fondativo.
La coalizione che lei rappresenta conosce questo documento, perche' Miss
Nessuno (la sottoscritta) e moltissime/i altre ed altri lo hanno fatto
girare per mari e per monti.
Ma forse, la partecipazione delle donne al governo delle societa' la si
intende come mera presenza, come qualche sedia riservata in cui dovremmo
accomodarci composte e piu' o meno silenti.
Sopporti questa chiusa irriverente, ma come avrebbe detto mia nonna se
"vuole la carne" (la presenza delle donne) deve "sorbirsi anche l'osso" (il
fatto che abbiamo delle convinzioni e delle proposte).
4. TESTIMONIANZE. ANGELO CAVAGNA: CONCLUDENDO IL DIGIUNO PER UNA LEGGE
FINANZIARIA DI PACE
[Ringraziamo padre Angelo Cavagna (per contatti: gavci@iperbole.bologna.it)
per questo intervento, e per la sua straordinaria testimonianza. Padre
Angelo Cavagna e' religioso dehoniano, prete operaio, presidente del Gavci
(gruppo di volontariato con obiettori di coscienza), obiettore alle spese
militari, infaticabile promotore di inizative di pace e per la nonviolenza.
Opere di Angelo Cavagna: Per una prassi di pace, Edb, Bologna 1985; (a cura
di, con G. Mattai), Il disarmo e la pace, Edb, Bologna 1982; (a cura di), I
cristiani e l'obiezione di coscienza al servizio militare, Edb, Bologna
1992; I malintesi della missione, Emi, Bologna; (a cura di), I cristiani e
la pace, Edb, Bologna 1996]
Stamane, diciannovesimo giorno, alla visita di controllo il medico ha
ingiunto al sottoscritto di sospendere il digiuno a tempo indeterminato
salvo la vita, non potendo piu' oltre garantire l'incolumita' psicofisica
essenziale.
Di conseguenza, da stasera riprendero', piano piano, ad assumere gli
alimenti secondo dieta prescritta.
Nel momento in cui l'Italia e' commossa per la morte e il ferimento di suoi
figli in Iraq, io e tutti gli altri digiunatori ci aggiungiamo al cordoglio
comune con il cuore e, per i credenti, la preghiera.
Invece, salvando le buone intenzioni soggettive di ciascuno, non ci sentiamo
di avallare, insieme con la condanna dell'attacco suicida-omicida, la
conferma e quasi l'esaltazione dell'intervento armato angloamericano e del
concorso indiretto dei paesi amici, Italia compresa...
Registriamo inoltre la conferma di nuovi aumenti alla spesa militare nella
Finanziaria in discussione in Parlamento. Percio' ribadiamo il nostro no ad
una Finanziaria di guerra; si' ad una finanziaria di pace.
*
Per ogni informazione sul digiuno per una finanziaria di pace si puo'
contattare il Gavci, sito: http://users.peacelink.it/gavci; e-mail:
gavci@iperbole.bologna.it; tel. 0516927098.
5. MEMORIA. MARINA FORTI: L'UCCISIONE DI ANGEL SHINGRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 novembre 2003. Marina Forti,
giornalista, particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti
umani, del sud del mondo, della globalizzazione, e' un'esperta di questioni
ecologiche globali]
E' successo il 4 novembre a Coca, cittadina della provincia di Orellana,
nella regione orientale dell'Ecuador.
Due persone si presentano da Angel Shingre, lo portano fuori citta' con la
scusa di vedere un terreno in vendita, gli sparano quattro colpi e scappano.
Un abitante della zona accorre e fa in tempo a sentire le ultime parole di
Angel: "Sono state le multinazionali petrolifere, avvida Medardo ed Ernesto
di stare attenti".
Angel Shingre infatti era un sindacalista ed ecologista, da vent'anni
lavorava per la difesa di quella regione amazzonica e dei diritti delle
popolazioni indigene che la abitano: Coca in particolare, e la vicina
Sucumbios, sono nella zona abitata dai trentamila nativi Huaorani che dieci
anni fa avevano fatto causa alla Texaco (ora Chevron-Texaco) per aver
sversato oltre 700 miliardi di litri di rifiuti oleosi e greggio in fosse
aperte, inquinando al di la' dell'immaginabile i terreni e i corsi d'acqua.
Un vero e proprio disastro ambientale. Dopo dieci anni di battaglie legali
il processo a Texaco e' cominciato proprio un paio di settimane fa a Lago
Agrio, cittadina di frontiera dell'amazzonia ecuadoriana. Angel Shingre si
era battuto per questo esito.
*
Agricoltore e dirigente contadino, Angel Shingre era l'animatore di
innumerevoli iniziative, dalla "rete di monitoraggio ambientale
dell'Amazzonia" a comitati di persone danneggiate dalle attivita'
petrolifere - collaborava in questo con "Accion Ecologica". Per tutto questo
era un uomo noto - ovviamente anche alle imprese petrolifere, per cui era
una spina nel fianco. Aveva ricevuto minacce. Negli ultimi giorni Angel era
stato seguito, durante le ultime riunioni tenute con le comunita' Huaorani.
Commentavano che aveva pochi giorni di vita, ha riferito il fratello Medardo
Shingre a Giuseppe De Marzo (dell'associazione "A Sud, ecologia e
cooperazione"): e' lui a riferirci come sono andate le cose. Le ultime
riunioni Angel le aveva tenute nella zona di Pindo, dove operano le
compagnie Petrocol e Petrobell. L'ultimissima, il giorno prima di essere
ucciso, riguardava ancora la causa contro Texaco.
Certo la sua dedizione alla causa dava fastidio, e parecchio. Le numerose
organizzazioni ambientaliste e per la difesa dei diritti umani con cui aveva
collaborato chiedono ora di far luce su questa morte, trovare i responsabili
e chi li ha mandati: non ci vuol molto a capire che si tratta di un modo di
intimidire tutto il movimento di difesa dei diritti delle popolazioni
amazzoniche.
Dice De Marzo: "Angel non era uno disposto a mercanteggiare". Nel 1998 fu
detenuto per alcuni giorni nel carcere di Coca con l'assurda accusa di aver
provocato uno sversamento di petrolio nella sua stessa casa. In
quell'occasione "Francisco Revelo, funzionario di Petroecuador, ando' a casa
di Angel a nome della sua impresa e delle multinazionali" in affari nella
zona: "gli offri' un milione di sucre, la vecchia moneta ecuadoriana
sostituita nel gennaio del 2000 dal dollaro - la dollarizzazione imposta dal
Fondo monetario internazionale - e gli disse di scegliere tra i soldi e il
carcere: Angel scelse il carcere. Due anni dopo fu scagionato". Molte volte
era stato minacciato, questo ecologista incorruttibile.
*
La sua morte colpisce tanto piu' perche' l'omicidio politico non e' molto
diffuso in Ecuador - a differenza di altri paesi latonoamericani. Un
precedente terribile. Un segno di quanto duro sia lo scontro in corso in
quella regione amazzonica: tra la compagnia Texaco e gli indigeni, tra tutte
le compagnie petrolifere e i movimenti che si sono opposti, ad esempio, al
nuovo oleodotto Ocp - proprio un mese fa a Lago Agrio si erano riunite
diverse organizzazioni ecuadoriane e internazionali per elaborare strategie
comuni.
Angel Shingre aveva 47 anni, dieci figli, l'undicesimo in arrivo. Dice
Giuseppe de Marzo: "Parlavano di lui come di un sasso nella scarpa, uno che
dava fastidio. Tolto lui pero' restano altri trentamila sassolini".
6. INCONTRI. DOMENICO BARBERIO: UN INCONTRO A GUBBIO CON RANIERO LA VALLE
[Ringraziamo Domenico Barberio (per contatti: ciaramella76@hotmail.com) per
questo intervento.
Domenico Barberio fa parte del gruppo "Gubbio per la pace", promotore di
molte iniziative per la pace e la nonviolenza.
Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale,
giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di Vasti -
scuola di critica delle antropologie, presidente del comitato per la
democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive
della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele,
Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda
Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in
terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie,
Milano 2003]
L'incontro di martedi' 18 novembre a Gubbio (alle ore 21 presso l'auditorium
del Liceo Mazzatinti) con Raniero La Valle vuole essere un nuovo momento di
dibattito, conoscenza, approfondimento su temi di respiro internazionale
quali la guerra ancora in corso in Iraq, la sempre piu' difficile situazione
mediorientale, le possibili alternative proposte dai movimenti per la pace,
e sulla situazione italiana dopo il tragico episodio delle 19 vittime di
Nassirja.
Soprattutto in questi giorni di dolore e commozione crediamo sia importante
un'analisi attenta e critica su tutto cio' che e' avvenuto e sta avvenendo,
una voce che sia in grado di non farsi, e di non farci, travolgere da
quell'ondata patriottarda e bellicista che strumentalizza la morte di queste
19 persone per fini come la legittimazione della guerra permanente
americana.
Crediamo che Raniero La Valle, da sempre attivo nella costruzione di
politiche di pace e nello sviluppo di un'informazione veramente libera e
seriamente critica, possa soddisfare questo nostro bisogno di chiarezza,
onesta', conoscenza. Il nostro incontro servira' ad interrogarci sul modo,
le strade, l'impegno per la pace e la nonviolenza, se, ad esempio, sia piu'
importante, piu' decisivo un gran movimento di popolo o l'azione di
minoranze "persuase" secondo la nota definizione di Capitini.
La contrarieta' alla guerra, a qualsiasi tipo di guerra, e' stata espressa
in maniera netta da milioni e milioni di persone, da Firenze lo scorso anno
in occasione del Forum sociale europeo alle manifestazioni del 15 febbraio,
in ogni angolo del mondo. Ma il passare del tempo sembra abbia attenuato
quell'entusiasmo, quasi che le bandiere arcobaleno della pace presenti su
tantissimi balconi fino a qualche tempo fa e adesso invece sempre piu'
poche, piu' scolorite, piu' tristi, segnalino simbolicamente il progressivo
esaurirsi della spinta contro la guerra. Questo e tanti altri dubbi saranno
al centro dell'incontro con Raniero La Valle.
7. MEMORIA E PROPOSTA. MAO VALPIANA: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici
della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a
tutti i lettori del nostro notiziario - a rinnovare (o sottoscrivere per la
prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Mao
Valpiana (per contatti: azionenonviolenta@sis.it). Mao (Massimo) Valpiana e'
una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a
Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da
giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con
una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel
sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento
Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore
della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo
Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha
partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento
dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di
coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima
guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare
un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato
assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione
Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters
International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e'
stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle
forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da
Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con
grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]
Il primo ricordo che ho di "Azione nonviolenta" e' quel buon odore di carta
e di inchiostro.
Il giornale si presentava austero, con le pagine fitte fitte, solo nero su
bianco, poche foto. Ricordo il titolo del primo numero che ho avuto fra le
mani: "Liberiamo i prigionieri dell'esercito e della giustizia"
(settembre-ottobre 1972). E poi si parlava di "potere di tutti", di
"rivoluzione nonviolenta", di un "congresso antimilitarista": parole e
argomenti che allora hanno affascinato il mio animo di adolescente.
Con un po' di timore e tanta speranza ho scritto una lettera alla mitica
"casella postale 2001 di Perugia" per chiedere se potevo avere quella bella
spilletta di due mani che spezzano il fucile che avevo visto appesa al
bavero della giacca di non so chi. La spilla arrivo' in una busta,
accompagnata da una lettera di Pietro Pinna (proprio lui, il direttore) che
mi incoraggiava a portare la spilletta, ma soprattutto ad approfondire la
nonviolenza con le letture, e mi consigliava di iniziare dall'opuscolo di
Aldo Capitini, Teoria della nonviolenza, e dalla lettera di don Milani,
L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Il pagamento, 300 lire, avvenne in
francobolli.
Da allora non ho piu' abbandonato la lettura di "Azione nonviolenta".
*
Cio' che mi ha conquistato, di questa rivista mensile, e' la continuita',
l'umilta' e la fedelta'.
In questi trent'anni ho visto nascere tante nuove riviste, lanciare
iniziative editoriali roboanti, annunciare progetti di informazione di ogni
tipo, troppo spesso finiti nel nulla.
Tante pubblicazioni alternative che doveveno raggiungere le masse non
esistono piu' e non hanno lasciato segno; "Azione nonviolenta" esiste
ancora, e con costanza esce ogni mese, e per tante persone e' il primo
gradino di approccio ad una visione nonviolenta della vita.
*
Mi capita spesso di andare a consultare le vecchie annate per ritrovare
analisi e approfondimenti di temi d'attualita'.
Nella storia di "Azione nonviolenta" ci sono numero memorabili, su Gandhi,
su King, su Tolstoj, su don Milani, su Dolci, su Lanza del Vasto, su Illich,
su Langer, sulla Difesa popolare nonviolenta, sulla scuola, sull'educazione
alla pace, e c'e' la documentazione su tutte le principali iniziative
nonviolente in Italia e nel mondo.
Abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un modo per restare in contatto con il
movimento della nonviolenza organizzata.
Abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un modo per sostenere finanziariamente
il lavoro del Movimento Nonviolento.
Abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un modo per proseguire idealmente
l'opera di Aldo Capitini.
Abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un modo per fare qualcosa di concreto
contro la guerra.
Per tutto questo, e molto altro che resta nel mio cuore, anche nel 2004 mi
abbonero', e come prezioso dono natalizio per tanti amici offriro' un
abbonamento ad "Azione nonviolenta".
8. STRUMENTI. GIORNI NONVIOLENTI 2004
E' disponibile l'agenda-diario "Giorni nonviolenti 2004", un eccellente
compagno di viaggio e strumento di lavoro per tutte le persone amiche dalla
nonviolenza. Ogni pagina del diario reca una citazione su cui meditare e
notizie utili di storia e cultura di pace; al termine di ogni mese un saggio
di approfondimento; completano l'agenda-diario oltre a una rubrica
telefonica un ampio indirizzario e varie indicazioni di esperienze e
iniziative. Ovviamente "Giorni nonviolenti 2004", come gia' le precedenti
edizioni, e' su carta riciclata.
L'agenda-diario "Giorni nonviolenti 2004" e' realizzata dalle Edizioni
Qualevita, benemerita casa editrice che cura la pubblicazione dell'ottimo
bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta "Qualevita" e che ha
pubblicato molti libri fondamentali per una cultura della pace, della
solidarieta', della nonviolenza.
A tutti i nostri interlocutori rivolgiamo l'invito di acquistare e di
regalare l'agenda-diario "Giorni nonviolenti 2004". Il costo di una copia e'
di 9,50 euro, per acquisti di piu' copie sono previsti sconti
progressivamente crescenti. Per richieste: Edizioni Qualevita, via
Buonconsiglio 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 086446448, 3495843946,
e-mail: sudest@iol.it
9. LETTURE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO, MARIA CHIARA TROPEA: LA MIA STORIA, LA
TUA STORIA, IL NOSTRO FUTURO
Angela Dogliotti Marasso, Maria Chiara Tropea, La mia storia, la tua storia,
il nostro futuro. Un gioco di ruolo per capire il conflitto
israelo-palestinese, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003, pp. 96, euro 9. Un
utilissimo strumento di lavoro didattico che vivamente raccomandiamo.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini@tin.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 733 del 18 novembre 2003