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"Gli italiani dicono sì alla missione". Repubblica viola la Carta dei doveri del giornalista



Editoriale di PeaceLink - 15/11/2003
Fate circolare, grazie.
http://www.peacelink.it
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Violata la Carta dei doveri del giornalista


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 >>> La Repubblica forza i titoli per deformare la percezione dei dati del 
sondaggio Demos-Eurisko del 14 novembre 2003 sul consenso alla missione 
militare italiana in Iraq.

 >>> Scambiare il 50,9 % di favorevoli alla missione con la totalità del 
sentimento nazionale è stato un grossolano lavoro di semplificazione 
propagandistica. E mentre secondo l'Abacus l'Italia è spaccata a metà sul 
consenso alla missione, per Repubblica "l'Italia è favorevole alla missione".

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L'ETICA PROFESSIONALE. "I titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie 
non devono travisare, né forzare il contenuto degli articoli o delle 
notizie". Questo dice la "Carta dei doveri del giornalista", approvata l'8 
luglio a Roma dal Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti e dalla 
Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

I RISULTATI "ATTESI". Ma Repubblica, titolando "L'Italia favorevole alla 
missione", non si attiene a questo basilare dovere del giornalismo. Dai 
dati di Repubblica emergerebbe che gli italiani favorevoli a mantenere la 
missione sono il 50,9%. Non discutiamo, per ora, sull'attendibilità di tali 
dati, sull'impostazione della ricerca e sui dati che Repubblica si 
"attendeva" per dare un supporto a tutti i suoi articoli schierati a favore 
della permanenza dei soldati italiani e per offrire al centrosinistra 
un'immagine della nazione compatta e priva di dubbi.

I TITOLI FORZATI. Non è di questo che per ora protesto: la protesta è verso 
la deformazione dei titoli. E' un'evidente forzatura e un venir meno 
all'etica professionale il presentare il 50,9% come il consenso dell'intera 
nazione: "Dopo gli attentati gli italiani dicono sì alla missione". Un 
titolo corretto è: "Dopo gli attentati il 50,9% dice sì alla missione". La 
forzatura del titolo - che si configura come violazione di un dovere del 
giornalista - è ancora più grave se si considera che il servizio è firmato 
da Fabio Bordignon: un ricercatore sociale e uno dei curatore della ricerca 
assieme a Ilvo Diamanti e Luigi Ceccarini.

LA STATISTICA. Qual è l'utilità delle statistiche basate su dati 
percentuali? Esse hanno lo scopo di cogliere analiticamente le differenze e 
approfondire i dettagli. Invece il servizio pubblicato il 14 novembre ha 
dilatato un 50,9% forzandone la portata e presentandolo come l'espressione 
dell'intera opinione pubblica nazionale.

LA POLITICA. La ragione di una simile scorretta forzatura non sta 
nell'incapacità di interpretare i dati (offenderemmo l'intelligenza e la 
competenza dei curatori del sondaggio) ma nell'evidente tentativo tutto 
politico di manipolare la percezione dell'opinione pubblica in quel ring 
privilegiato che è il mondo delle assemblee politiche: in questi giorni 
l'Ulivo riunisce le sue assemblee a Roma e discuterà di Iraq. In fin dei 
conti non è importante far cambiare opinione a milioni di italiani, come fa 
Berlusconi con le sue televisioni; per Repubblica è importante far cambiare 
opinione ad alcune migliaia di quadri, che costituiscono l'elite del 
centrosinistra. La strategia non è quella massonica di Gelli del 
condizionamento segreto delle elites ma si orienta verso un controllo del 
flusso informativo verso le elites proclamate, quelle che leggono il 
giornale, quelle che contano e che decidono, spesso senza consultare la 
base e rendendo la democrazia un guscio vuoto.

LA SCIENZA DEL DUBBIO. Entrando nel dettaglio, va detto che per correttezza 
scientifica Repubblica avrebbe dovuto segnalare anche il margine d'errore 
che è statisticamente quantificabile in relazione all'ampiezza del campione 
e al numero di risposte per ogni domanda (per cui le risposte ad 
alternativa secca SI/NO che Repubblica ha evitato restringono l'intervallo 
di errore). Statisticamente quindi quel 50,9% (frutto della somma di 
alternative di risposta molteplici) è un dato probabile collocato sulla 
curva di Gauss. E' quindi soggetto ad un margine di errore che i 
curatori... non si sono curati di segnalare. Ragione in più per affidare i 
risultati al beneficio del dubbio e non alle semplificazioni di un titolo 
forzato ad arte.

Il SONDAGGIO ABACUS. Ma senza scendere nel tecnicismo statistico è evidente 
a tutti che scambiare il 50,9 % con la totalità è stato un grossolano 
lavoro di semplificazione propagandistica che cozza con quanto è emerso da 
altre rilevazioni. Ad esempio secondo un sondaggio dell'Abacus (per 
l'agenzia Apcom) l'Italia non è favorevole alla missione ma è spaccata a 
metà: "Sul ritiro delle truppe la popolazione si divide equamente (44% 
delle preferenze a ciascuna delle due opzioni) tra chi chiede di lasciare 
l'Iraq e chi sostiene l'esigenza di portare a compimento la 
<http://news2000.libero.it/primopiano/pp3310.html>missione", si legge su 
http://news2000.libero.it/primopiano/pp3314.html

MIE PRECISAZIONI E MIE CARENZE. Anche io - per ragioni di correttezza - 
devo però alcune precisazioni in relazione a miei limiti. Mi riferisco 
all'editoriale scritto il 14/11/2003 subito dopo aver letto (su 
Repubblica.it) il sondaggio. In quell'editoriale scrivevo di getto dopo 
aver letto il sito di Repubblica e senza disporre dei dati del giornale 
cartaceo. Ecco pertanto dieci puntualizzazioni e considerazioni.

--- Il sondaggio di Repubblica del 14/11/2003  ---

1) Un sondaggio presentato da Repubblica il 14 novembre 2003 ha avuto come 
titolo in prima pagina: "DOPO L'ATTENTATO GLI ITALIANI DICONO SI' ALLA 
MISSIONE". In esso Fabio Bordignon ha scritto: "Alla luce dell'attentato di 
due giorni fa, peraltro, una quota minoritaria di opinione pubblica auspica 
il ritiro immediato degli uomini impegnati in Iraq". A pagina 14 il titolo 
è: "SONDAGGIO. L'ITALIA FAVOREVOLE ALLA MISSIONE".

2) Ieri su PeaceLink - dopo aver letto Repubblica.it - pubblicavo un 
editoriale in cui scrivevo: "I dati?
Quali dati!? ...Non sono riportati. Non sono importanti. Credere, obbedire, 
morire. E zitti". E contestavo il fatto che su Repubblica.it non ci fossero 
i dati di quanti italiani appoggiassero la missione.

3) In verità non avevo letto il quotidiano cartaceo ma solo il sito 
Repubblica.it. I dati che appaiono su Repubblica e che mancavano sul sito 
Repubblica.it non sminuiscono ma accrescono in me l'impressione che si sia 
trattato non di un sondaggio per fini scentifici ma un malcelato tentativo 
di Repubblica di orientare il centrosinistra a colpi di sondaggi curati 
dagli stessi giornalisti che li presentano.

4) Sul quotidiano cartaceo - a differenza del sito - i dati ieri sono stati 
riportati e sono questi:
"Secondo lei, dopo l'attentato terroristico di mercoledì alle truppe 
italiane in Iraq come si dovrebbe comportare l'Italia?"
30,7 % - Deve rimanere con le proprie truppe in Iraq, perché è giusto 
portare fino in fondo la guerra al terrorismo
20,2 % - Deve rimanere con le proprie truppe in Iraq, per non lasciare il 
paese nel caos politico e sociale
18,6 % - Deve ritirare le proprie truppe perché non ci sono le condizioni 
minime di sicurezza
   9,2 % - Deve ritirare le proprie truppe, spetta a chi ha iniziato la 
guerra il compito di portarla a termine
17,0 % - Deve ritirare le proprie truppe, perché la missione italiana sta 
diventando un'operazione di guerra
   4,4 % - Non sa / non risponde

5) L'indagine, pur promossa da Demos-Eurisko, è stata curata dagli stessi 
giornalisti che l'hanno commentata su Repubblica con un testo che - sul 
punto specifico dell'appoggio degli italiani alla permanenza delle nostre 
truppe in Iraq - è gravemente fuorviante. Fabio Bordignon su Repubblica 
nell'attacco del suo pezzo ha scritto che "L'Italia deve continuare a fare 
la propria parte in Iraq (...) E' questo l'atteggiamento espresso, a caldo, 
a poche ore dal tragico attentato di Nassiriya, dai cittadini italiani". Ma 
questa non è l'opinione "dei cittadini italiani" ma di un 50,9 % soggetto 
ad errore statistico! Che la sempliflicazione la faccia un giornalista 
privo di basi statistiche è un conto, ma che la faccia un ricercatore... 
allora viene da dubitare.

6) Anziché fare la domanda secca ("ritirare o rimanere?") ad un campione di 
1100 persone intervistate telefonicamente si è preferito stemperarla in sei 
risposte che telefonicamente non sono agevoli da gestire.

7) Repubblica si guarda bene dal proporre lo stesso sondaggio su sito 
Repubblica.it in quanto salterebbero fuori risultati ben diversi, 
dimostrando che Repubblica - sulle questioni militari - rappresenta solo 
l'opinione di se stessa non non quella prevalente dei suoi lettori. Non è 
un caso che i lettori di Repubblica.it - interpellati in merito - 
preferiscono l'esposizione della bandiera della pace rispetto al tricolore 
anche in occasione del giorno di lutto nazionale.

8) Guido Rampoldi, su Repubblica del 14/11/2003, dice: "Una sinistra sobria 
dovrebbe riconoscere che appartiene al diritto di autodifesa delle 
democrazie esercitare un certo controllo sulla regione del petrolio". 
Rabbrividisco in quanto poco prima si parlava di controllo militare.

9) Corrado Augias giunge a dire a pagina 16 del 14/11/2003: "Adesso però 
che siamo lì, parlare di andarsene sarebbe aggiungere agli errori un altro 
errore anche se la guerra ci è venuta addosso nel modo peggiore". Augias 
dice proprio così: "Siamo lì". Ma chi è lì? Chi è finito sotto le macerie e 
il sangue? Non risulta che Augias, che usa il "noi", sia lì in Iraq e che 
gli sia venuto addosso alcunché. Inoltre se Augias ritiene un errore non 
solo andarsene ma persino il parlarne, allora vila la libertà di pensiero e 
di discussione. Che possiamo sperimentare sulla rete di Internet e ben poco 
sul mezzo blindato di Repubblica.

10)  Non ci si può accontentare di criticare il Cavaliere per la 
manipolazione e controllo dell'informazione quando poi Repubblica ripropone 
un modello blindato di giornale, incline alla manipolazione e al controllo 
dell'informazione, un giornale che tiene fuori i dubbi, le discussioni, i 
punti di vista diversi e contrastanti. Non ci si può accontentare di 
lottare contro gli stereotipi e le semplificazioni del campo avverso se 
contemporaneamente non si lotta con i propri stereotipi e le proprie 
semplificazioni. La Repubblica non è credibile quando spaccia un bicchiere 
mezzo vuoto per un bicchiere pieno. Il sondaggio di Repubblica - così 
proposto e manipolato - assume la funzione di un editoriale subliminale per 
condizionare l'Ulivo.


Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it