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guatemala: Non ce l'ha fatta. Efraim Rios Montt



Guatemala, 11 novembre 2003

Non ce l'ha fatta. Efraim Rios Montt, l'ex dittatore, il genocida, non e'
riuscito a coronare il suo sogno di arrivare, per vie democratiche questa
volta, alla presidenza della Repubblica del Guatemala.
Non gli e' servito comprarsi parte dei giudici della Corte Costituzionale
perche' ammettessero la sua candidatura, in barba alla costituzione che
glielo vietava; non hanno risposto come sperava le PAC (Patrullas de
Autodefensa Civil, paramilitari), da lui riportate in vita con la promessa
del pagamento di una somma a compensazione dei "servizi prestati alla patria
durante il confronto armato interno"; non e' bastato distribuire "doni",
utilizzando denaro pubblico, a centinaia di campesinos; a nulla sono valse
le minacce agli oppositori, le intimidazioni ai rappresentanti dei diritti
umani, gli attacchi alla stampa.
La prima reazione ufficiale del suo partito, il Frente Republicano
Guatemalteco, e' arrivata solo oggi ed e' stata perfettamente in linea con
le dichiarazioni della campagna elettorale che dipingevano il generale come
vittima di una campagna diffamatoria montata contro di lui dai suoi
oppositori. Vittima.
La colpa e' degli altri, quindi. Nessun riferimento ai disastrosi 4 anni di
governo del partito, segnati da eclatanti episodi di corruzione, dalla
violenza, dalla totale mancanza di rispetto degli accordi di pace. Silenzio
anche sugli episodi piu' recenti, come il "jueves negro" (24/7) quando
centinaia di simpatizzanti (veri e dell'ultimo minuto, convinti dalla
ricompensa promessa) e numerosi esponenti parlamentari del Frente, armati e
incapucciati, avevano invaso la capitale, tenendola sotto assedio per un'
intera giornata. (Del resto, la figlia del generale riferendosi a quella
giornata l'aveva ribattezzata "jueves de dignidad"...). Nessuna parola,
infine, sulle evidenti manifestazioni di rigetto nei confronti del generale
avvenute in varie parti del paese durante la campagna elettorale.
Una campagna contro la candidatura di Rios Montt in effetti c'e' stata,
anche se non si puo' certo definirla "negra". Gli argomenti per alimentarla,
al contrario, erano tanti e tali da garantirne un'auto-alimentazione
perenne.
Stampa, opposizione e organizzazioni di diritti umani, nazionali e non, pur
se mossi da motivazioni differenti, si sono trovati d'accordo sulla
necessita' di scongiurare il pericolo dell'elezione del generale. E fino all
'ultimo, anche quando ormai i sondaggi sembravano ricompensare gli sforzi
fatti, il timore che l'incubo potesse avverarsi e' stato presente e
palpabile in tutti.
La paura, piu' che giustificata dalla violenza crescente di quest ultimi
mesi, era tanta e tale che alla fine quella che e' stata una giornata
elettorale non proprio modello e' stata salutata da un coro unanime di elogi
e felicitazioni. Una festa civica, un successo del popolo e della
democrazia.
Un successo e' stata sicuramente la forte affluenza alle urne, in un paese
abituato ad alte percentuali di astensionismo e questo nonostante la mancata
approvazione di una legge di decentralizzazione, da tempo annunciata, che ha
costretto ancora una volta gli abitanti delle comunita' rurali a farsi ore
di viaggio per raggiungere i seggi. Gia' dalle prime ore dell'alba le code
erano lunghissime e l'atmosfera di grande attesa.
La prima spiacevole sorpresa e' arrivata con l'apertura dei seggi. Molte
persone, arrivato finalmente il loro turno, si sono sentite comunicare che
il loro nome  non appariva nel registro elettorale, e che dovevano fare un'
altra fila, riscriversi e tornare alla fila di partenza. La spiegazione?
Tutt'ora rimane un mistero. Nel migliore dei casi si tratta semplicemente di
disorganizzazione. Di che scoraggiarsi, comunque,  dopo un'attesa durata
ore. E in effetti ad alcuni la dose di pazienza si e' esaurita in quel
momento; i piu' morigerati hanno rinunciato a votare, i meno "comprensivi"
hanno dato fuoco alle urne.
A Chajul, nella regione del Quiche', la folla in attesa era tale e tanto
ammassata che quando e' stata aperta l'unica porta del salone in cui si
trovavano i seggi, 3 persone sono rimaste travolte e uccise.
Gli incidenti sono continuati anche durante lo spoglio dei voti e la
comunicazione dei primi risultati. Sempre nel Quiche', a Cotzal, sostenitori
del Partito Unionista hanno impedito per ore che le casse con le schede
uscissero dalla sede locale del Tribunale Supremo Elettorale. Non erano d'
accordo con il risultato ufficiale, che vedeva perdente per soli 21 voti il
loro candidato a sindaco e denunciavano a gran voce presunte frodi da parte
del FRG, dall'acquisto di voti, alla presenza di persone decedute nel
registro dei votanti. Sono dovuti intervenire la polizia e Minugua (la
missione Onu per il Guatemala) a sedare gli animi.
Insomma, queste elezioni non sono certo state un esempio di efficienza e
trasparenza, ma in confronto alle aspettative per lo meno si possono
considerare accettabili. Sempre che, naturalmente, si consideri accettabile
il "meno peggio".
Anche il risultato non rappresenta forse l'opzione migliore per il paese, ma
la "meno peggio", appunto, e al momento l'unica possibile.
Oscar Berger, il vincitore di questo primo turno, esponente della oligarchia
del caffe', non e' nuovo in politica. E' stato sindaco della capitale per il
PAN (Partido de Avanzada Nacional) e da quel partito si e' staccato, per
ragioni di protagonismo, all'inizio di quest'anno fondando la GANA, Gran
Alianza Nacional. Nella sua alleanza, oltre ai settori forti dell'economia
guatemalteca, e' ben rappresentato anche l'esercito, nella persona del
dirigente del Partito Patriota, Otto Perez Molina, ex generale distintosi
nella politca contro rivoluzionaria.
Alvaro Colom, secondo, almeno per ora, nelle preferenze, e' un imprenditore
del settore manifatturiero, e anche nel suo partito, la UNE (Unidad Nacional
de la Esperanza) sono confluite persone con un passato in governi
controrivoluzionari, a partire dal suo vice, ex funzionario in governi
militari.
La maggioranza guatemalteca, la popolazione indigena,  continua a non avere,
e a non trovare, un rappresentante istituzionale. E continua a rappresentare
la parte piu' povera e vulnerabile del paese.
 Certo, nessuno dei candidati si e' dimenticato di promettere diritti e
regali, anche se a volte tali dichiarazioni sono state fatte con un tono e
un contenuto tali da non far sperare grandi cambiamenti in positivo nel
prossimo futuro.
Di certo c'e' che l'eredita' e' quella di un paese difficile da gestire,
chiunque si ritrovi a doverlo fare. La poverta', resa ancora piu' evidente
dalla crisi del caffe' e del cardamomo, la scia di violenza e cicatrici
lasciate da 36 anni di guerra interna, la discriminazione, un esercito
esageratamente grande e potente e una polizia poco efficiente, sono tutti
problemi che non si risolveranno certo nei prossimi 4 anni.
Di buono c'e' che queste elezioni hanno comunque segnato il passo a un nuovo
corso, una svolta che si spera democratica.
In dubbio rimane la reazione di Rios Montt a questa nuova situazione che lo
vede, da gennaio quando perdera' ufficialmente tutti i diritti dell'immunita
', perseguibile per genocidio. I suoi avversari piu' determinati, le
organizzazioni di diritti umani, hanno gia' iniziato a muoversi in quel
senso.

Fabiana Maffeis, osservatrice elettorale internazionale per la Fondazione
Rigoberta Menchu' Tum.