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attentato ai militari italiani: perché chiediamo il ritiro



Dopo il gravissimo attentato ai militari italiani in Iraq ecco qualche 
valutazione di massima.


1) OCCUPAZIONE. Per quanto i militari italiani abbiano tentato di svolgere 
un'azione dal profilo umanitaro, essa era - come è noto - collocata nel 
mezzo di una occupazione militare Usa a seguito di una guerra illegale e 
condannata da gran parte dell'opinione pubblica mondiale e nazionale.

2) RISCHI. Il movimento per la pace ha lottato fino all'ultimo per 
scongiurare l'intervento armato in Iraq. Non abbiamo condiviso l'intervento 
italiano dopo l'occupazione. E non solo perché ritenevamemo profondamente 
sbagliata la guerra ma anche perché eravamo consapevoli degli enormi rischi 
a cui venivano esposti i militari italiani. I rischi della missione 
militare italiana era talmente alti che nazioni come la Francia o la 
Germania non avevano mandato neanche un militare.

3) FAMILIARI. Ci batteremo per il loro ritiro dando voce e sostegno alle 
legittime preoccupazioni delle loro famiglie.

4) PARLAMENTARI. I parlamentari favorevoli a prolungare questo tipo di 
missione militare italiana diano prova di coerenza costituendo una 
delegazione permanente presso i corpi militari in prima linea e andando a 
staffetta in Iraq a verificare i livelli di sicurezza.

5) EROISMO. Il giorno 24 settembre 2003 sul sito di PeaceLink avevamo 
pubblicato un editoriale in cui scrivevamo: "Martino riformato, Bossi 
esonerato, Berlusconi congedato dopo il Car. Alcune informazioni sulla 
carriera militare di chi vuole mantenere i soldati italiani in Iraq a 
rischio della loro vita". Riportavamo informazioni tratte dal Corriere 
della Sera (del 7/11/2001). Che cosa diceva il Corriere? Il ministro della 
Difesa Antonio Martino a suo tempo non ha fatto il militare: fu riformato 
per "ridotte attitudini militari". Il presidente del Consiglio Silvio 
Berlusconi ha fatto solo pochi giorni di Car (Centro addestramento reclute) 
e poi è ritornato a casa: non ha avuto neanche il tempo per scattarsi una 
foto col fucile in mano da inserire nella sua biografia illustrata, quella 
distribuita a tutti gli italiani per le elezioni. Il ministro Umberto Bossi 
invece era "nipote di inabile" e ha saputo sfruttare una vecchia leggina. 
Queste informazioni parlano da sole e sono un eloquente commento circa la 
buona fede di ogni appello all'eroismo che dovesse provenire dai suddetti 
esponenti di governo al fine di mantenere in Iraq i militari italiani.

6) ONU. Occorre che l'Onu - anche su spinta dell'Europa - approvi una 
risoluzione che sancisca la fine dell'illegittima occupazione militare Usa 
e il pieno passaggio in tempi rapidi della sovranità nelle mani del popolo 
iracheno, coadiuvati da caschi blu che non appartengano ad alcuna nazione 
che abbia partecipato all'attuale guerra.

7) TERRORISMO. Questa è forse l'unica strada ragionevole e realistica da 
percorrere per contenere il terrorismo, isolarlo all'interno della stessa 
società irachena e costruire una prospettiva nuova per la regione.

8) INCATTIVIMENTO. Insistere ancora nell'occupazione Usa è catastrofico. Il 
ritiro dei militari italiani costituirebbe una forte spinta anche al 
disimpegno Usa. Eviteremo sia ai soldati americani sia ai civili iracheni 
nuove sofferenze. Al contrario si assisterà ad un inutile incattivimento in 
questa guerra che gli Usa hanno ormai perso.

Alessandro Marescotti - PeaceLink