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La nonviolenza e' in cammino. 719



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 719 del primo novembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Un maestro
2. Un quattro novembre dalla parte delle vittime, contro tutte le guerre
3. Shahrzad Mojab: la guerra infinita
4. Daphna Baram: l'unico bambino al sicuro
5. Naw Zipporah Sein: un giorno di pace e giustizia
6. Enrico Peyretti: dall'ahimsa al satyagraha
7. Francesco Tullio: sugli aspetti psicosociali dei conflitti
8. Gianni Tamino: l'Unione Europea e i Corpi civili di pace
9. L'8 novembre a Verona, con Lidia Menapace
10. Il 7-8 novembre a Viterbo, con amore
11. L'8 novembre a Roma, contro il muro della segregazione
12. Riletture. Donne in nero, Con la forza della nonviolenza
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. LUTTI. UN MAESTRO
Dei piu' grandi maestri di vita civile che l'Italia abbia avuto, Alessandro
Galante Garrone era uno dei piu' grandi.
Uomo della Resistenza, magistrato, storico, legislatore, limpido e strenuo
difensore dei valori della civilta', del rigore morale e intellettuale,
della dignita' umana, del buono e del vero cultore, sollecito sempre del
pubblico bene, fraterno con tutti e generoso sempre. Ed avversario sempre
alla menzogna e alla sopraffazione, nemico sempre e per sempre di ogni
violenza ed oltraggio e degradazione.
Una persona civile, una persona buona, un nostro maestro.

2. INIZIATIVE. UN QUATTRO NOVEMBRE DALLA PARTE DELLE VITTIME, CONTRO TUTTE
LE GUERRE
[Riproduciamo ancora una volta un estratto da un comunicato del "Centro di
ricerca per la pace" di Viterbo di un anno fa. E' nostra intenzione
riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di pace, in
memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti; la nostra
iniziativa nonviolenta consiste in una cerimonia silenziosa di deposizione
di un omaggio floreale ai monumenti che ricordano le vittime della guerra,
in orario diverso e distante dai chiassosi ed offensivi "festeggiamenti"
delle forze armate]

"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell).
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha formulato la proposta che
il 4 novembre in tutta Italia si realizzino cerimonie di commemorazione per
le vittime di tutte le guerre da parte delle istituzioni, delle associazioni
e delle persone impegnate per la pace; la legalita', la democrazia e la
nonviolenza.
Cerimonie semplici e silenziose, austere e rispettose del sentire di tutti,
di rigoroso impegno al rispetto e alla promozione della dignita' umana di
tutti gli esseri umani.
Di solidarieta' con l'umanita' intera: contro la violenza e la morte; in
applicazione non solo del dettato della coscienza illuminata dalla ragione,
ma anche dei principi giuridici e morali espressi nella Carta delle Nazioni
Unite, nella Costiuzione della Repubblica Italiana, nella Dichiarazione
universale dei diritti umani.
E quindi di opposizione nitida ed intransigente all'uccidere, al terrorismo,
alle dittature, alla guerra e ai loro strumenti e apparati.
La proposta ha ottenuto gia' apprezzamenti e sostegni significativi;
confidiamo che altri apprezzamenti ed altre adesioni si aggiungano di qui a
quel giorno. Poi ogni istituzione, associazione, persona, trovera' secondo
la sua sensibilita' e il modo di agire ad essa conforme, come
appropriatamente manifestare in modo rigorosamente rispettoso di tutti,
sobrio, leale, democratico e nonviolento, il suo cordoglio per le vittime,
il suo amore per l'umanita' e il suo impegno contro tutte le violenze.
*
Il 4 novembre e' l'anniversario della conclusione per l'Italia della prima
guerra mondiale, l'orribile "inutile strage" che fu non solo ecatombe di
tanti innocenti, ma altresi' seminagione di nuovo odio e nuove crudelta' che
ebbero come esito dittature disumane e una seconda immane conflagrazione
mondiale.
Che il 4 novembre nel ricordo di tutte le vittime delle guerre sia anche
monito ed impegno contro le guerre presenti e future, contro tutte le
violenze e contro tutti gli strumenti e gli apparati di morte.
Questa data non deve piu' essere strumentalizzata dai comandi militari che
con il loro festeggiare se stessi e le macchine belliche - potere e apparato
inteso ad addestrare a uccidere, a preparare la guerra, ed in guerra ad
irrogare la morte ad altri esseri umani - offendono le vittime delle guerre
nel modo piu' tragico e osceno.
Questa data deve divenire giornata di lutto e di memoria, e di solenne
impegno affinche' mai piu' degli esseri umani perdano la vita a causa di
guerre, e quindi affinche' mai piu' si facciano guerre.
Il 4 novembre non si facciano sciocche esibizioni, gesti inappropriati,
strumentalizzazioni provocatorie. Da parte di nessuno. Si abbia rispetto per
la memoria delle vittime, si abbia rispetto per il lutto.
*
Il 4 novembre, in silenzio e dignita', le istituzioni democratiche, le
associazioni e i movimenti umanitari, le persone di volonta' buona, vadano a
meditare in silenzio e a deporre un fiore dinanzi alle lapidi che ricordano
coloro che furono assassinati, ne rimemorino i nomi e l'umanita', le vite
assurdamente orribilmente estinte, e ci si impegni tutti a contrastare le
guerre presenti e future.
E sia infine cancellata la vergogna della macabra festa degli apparati di
morte; si affermi il diritto alla vita per l'umanita' intera.
"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell).

3. TESTIMONIANZE. SHAHRZAD MOJAB: LA GUERRA INFINITA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
averci messo a disposizione la sua traduzione di questa testimonianza.
Shahrzad Mojab, iraniana-canadese, e' docente all'Universita' di Toronto]

Mio figlio nacque il 12 dicembre 1981 a Shiraz, in Iran, durante il secondo
anno della guerra Iran/Iraq.
Anch'io sono nata a Shiraz, una citta' rinomata per il suo pacifico e
poetico stile di vita. Persino durante la conquista mongola del XIII secolo
non vi furono massacri qui.
Durante la guerra Iran/Iraq qualsiasi servizio doveva essere a disposizione
dell'esercito, in special modo gli ospedali, ed era come se la citta' fosse
stata occupata dai militari. Questo rendeva la vita difficile agli attivisti
come me, a quelli che come me dicevano "Questa e' una guerra confezionata
dagli Usa, una guerra contro la gente dell'Iran e la gente dell'Iraq allo
stesso tempo".
*
Il giorno prima della nascita di mio figlio, una giovane donna si suicido',
facendosi saltare in aria assieme al noto Imam Friday, il maggior
rappresentante, a Shiraz, della nuova teocrazia. Lascio' dietro di se' una
lettera, in cui pregava che il popolo si rivoltasse contro il governo, per
la miseria e il dolore che esso aveva imposto sulla gente. Quando lessi la
lettera, qualcosa si spezzo' dentro di me.
La mattina dopo, entravo in ospedale per partorire. Le stanze erano piene di
soldati feriti e dei loro parenti, e di polizia. La polizia controllava le
reazioni dei familiari: neppure mentre piangevano i loro morti, gli era
permesso criticare la guerra. Un piccolo angolo dell'ospedale era stato
riservato alle emergenze non correlate alla guerra, come il partorire. Non
venivano forniti cibi e bevande: ai pazienti era richiesto di portarsi tutto
da casa, e di portare qualcosa in piu' come contributo personale alla
guerra. Mentre aspettavo, sentivo le infermiere urlare alle donne in
travaglio di sbrigarsi, perche' dovevano assistere i soldati. Ho sentito
un'infermiera che aggrediva una di queste donne angosciate, perche' era
stata cosi' immorale dal mettersi a fare figli in tempo di guerra.
Ero terrorizzata. Spaventata dall'evento sconosciuto che era dare la vita. E
spaventata dalla polizia: avevo paura di essere riconosciuta, e arrestata.
Dopo qualche ora, diedi alla luce il mio figlio prematuro. Riesco a
ricordare solo quanto freddo c'era nella stanza, e di aver chiesto un
bicchiere di acqua calda. L'infermiera rispose: "Te lo portero' all'ora di
pranzo"; ovvero quattro ore dopo. Mi strinsi le braccia attorno al corpo. Mi
sentivo ferita, vergognosa, colpevole. Dopo qualche minuto mi portarono mio
figlio e una corrente calda di orrore mi percorse le membra. Avvolto in un
panno sdrucito e sporco, non lavato dal sangue, mio figlio non sembrava
neppure un bambino. Dal corridoio udii l'urlo di una madre che aveva perso
il figlio ferito.
*
Il mio piccolo aveva un anno, quando mio marito ed io decidemmo di lasciare
l'Iran. Eravamo ormai nel mirino del governo islamico. Mentre attraversavamo
il confine pakistano incappammo in un incidente stradale, in cui la nostra
unica valigia venne distrutta, e con essa il biberon di mio figlio. Il mio
bimbo pianse per avere il latte fino a che non ci fu piu' energia nel suo
piccolo corpo, e dopo comincio' ad accettare qualsiasi cibo gli offrissimo.
Settimane piu' tardi, riuscimmo a comprare un biberon identico in una citta'
sul confine afgano, ma mio figlio lo rifiuto' per sempre.
*
Oggi, sono piu' di vent'anni che vivo in esilio. Nelle ultime due decadi ho
testimoniato l'ascesa e la caduta di una delle piu' grandi rivoluzioni della
storia moderna. Ho preso parte alla lotta dei Curdi per avere una casa e una
terra, mi sono sposata, sono diventata madre, sono diventata docente
universitaria, e resto un'attivista.
E' stata un'altra guerra, nella stessa regione, ad evocare queste memorie in
me, esattamente quando un'amica mi ha detto che le donne irachene incinte
erano corse agli ospedali per avere dei parti indotti, prima che la guerra
iniziasse.
Ma la guerra, per me, non e' mai finita: queste guerre moderne continuano,
le guerre dell'impero, del capitale, e del patriarcato.

4. TESTIMONIANZE. DAPHNA BARAM: L'UNICO BAMBINO AL SICURO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo per averci messo a disposizione la sua
traduzione di questa testimonianza. Daphna Baram, giornalista israeliana,
attivista per la pace, e' nata a Gerusalemme, ed ha servito due anni
nell'esercito israeliano come insegnante]

Ho trentatre' anni, e sono felice di non essere madre. Vi assicuro che non
sento l'orologio biologico ticchettare, i miei nervi saltano solo quando
esplode una bomba.
Le mie amiche madri vivono attaccate ai loro cellulari: "Dove sei? No, non
puoi uscire. No, non mi importa se tutti gli altri bambini ci vanno". Quanto
sono ingenui, i bambini, nel raccontare bugie: quale madre, in Israele,
potrebbe credere che tutti i bambini vadano da qualche parte? Dove
potrebbero andare? E dove li porteranno le loro paure?
In molti paesi del mondo i bambini temono l'ignoto, l'irreale. Tu sai di
vivere in una zona di guerra quando capisci che le piu' grandi paure dei
bambini sono cose che essi conoscono molto bene.
*
Due anni fa, quando ne aveva dieci, mio fratello minore venne a casa da
scuola, apri' la porta e senti' il familiare suono di un'esplosione
provenire dalla strada che aveva appena lasciato. Seduto davanti alla tv,
cinque minuti dopo, pote' vedere il suo compagno di scuola aggirarsi
accecato dal sangue in quella stessa strada, piena di pezzi di corpi umani e
di gente ferita. Il papa' di questo bambino, che aveva accompagnato a scuola
anche mio fratello, e aveva mangiato la pizza con lui, e' stato ucciso
davanti agli occhi del figlio. E poi il figlio e' morto. Mio fratello si
rifiuto' di parlarne. "Oh, non eravamo veramente amici. Davvero, non lo
conoscevo cosi' bene".
*
La prossima persona che si fara' esplodere nel centro di una delle nostre
strade affollate ha ora l'eta' di mio fratello.
Sua madre non deve preoccuparsi di cosa gli accade nel tragitto per andare a
scuola: non ci sono piu' scuole. Le abbiamo demolite quando abbiamo
distrutto le infrastrutture dei territori dell'Autorita' palestinese. La sua
sorellina e' morta quando i soldati hanno fatto esplodere la sua casa. E i
nostri soldati hanno fatto esplodere la sua casa perche' suo fratello
maggiore era una "persona ricercata". Fare a pezzi la casa e' stato un modo
per trasformarlo da "persona ricercata" a "corpo non desiderato", ridotto in
brandelli di carne, e circondato dalle sue vittime.
Il futuro terrorista, che ora ha 12 anni, dorme in una tenda provvista
dall'Onu. Di cosa deve avere paura? Non c'e' piu' nulla da temere. Il peggio
e' gia' accaduto. Ma i bulldozer sono ancora in giro, a demolire le case dei
suoi vicini. Ogni giorno, un altro po' di tende si uniscono al gruppo. Sua
madre gli racconta di quando vennero deportati da Latrun nel 1967. Sua nonna
gli dice che quello fu nulla, a paragone della deportazione da Jaffa nel
1948, in cui lei fu trascinata via con sua madre, una neonata urlante, fra
le braccia.
*
La mia di nonna, rifugiata dalla Polonia nazista, non riesce a capire
questo. Il fatto che i palestinesi parlino ancora di Jaffa, dice, e' la
prova che vogliono sterminarci.
Ogni volta che qualcuno si fa esplodere nelle nostre citta', mia nonna mi
chiama e mi confida il suo piano segreto. "Sono vecchia, e non ho niente da
perdere. Mi vestiro' di stracci come le loro donne, e mi faro' esplodere nel
centro di Nablus. Questo gli insegnera' la lezione. Gli mostrero' cosa si
prova".
Tento di dirle che sanno gia' cosa si prova, che il numero dei loro morti e'
tre volte il nostro, ma mia nonna non mi sente, perche' sta piangendo.
"Non sono esseri umani, singhiozza, Che gente puo' fare una cosa simile,
uccidere bambini in questo modo?". Gente che abbiamo deumanizzato, vorrei
rispondere, ma tengo la bocca chiusa, e penso al figlio che non voglio
avere.
*
Il figlio che non voglio avere non si sentira' mai colpevole per essere un
occupante, ne' temera' di diventare una vittima. Non dovro' dirgli di non
aver paura, quando la paura e' l'unico sentimento razionale che si puo'
provare. Non dovro' insegnargli che il bambino palestinese e' un essere
umano come lui, mentre tutto il resto delle persone intorno a lui gli dira'
il contrario. Il bambino che non voglio avere continuera' a dormire,
rannicchiato in un segreto angolo della mia mente. Il figlio che non avro'
mai sara' l'unico bambino al sicuro, in Medio Oriente.

5. TESTIMONIANZE. NAW ZIPPORAH SEIN: UN GIORNO DI PACE E GIUSTIZIA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo per averci messo a disposizione la sua
traduzione di questa testimonianza. Naw Zipporah Sein, birmana-tailandese,
e' segretaria generale dell'Organizzazione delle donne karen; vive in un
campo profughi tailandese dal 1995]

Sono cresciuta in Birmania, il cosiddetto Myanmar, un paese governato da una
delle piu' crudeli e longeve dittature del mondo.
Sono karen, ovvero appartengo al secondo maggior gruppo etnico in Birmania,
che conta una popolazione di circa 10 milioni di individui.
Come altre etnie in Birmania, i karen lottano per i propri diritti, per la
liberta', l'autodeterminazione e la democrazia da piu' di 50 anni. Siamo
gente semplice, con grandi famiglie, e diamo molto valore all'ospitalita' ed
al desiderio di vivere pacificamente. Abbiamo sofferto persecuzioni
sistematiche, torture, deportazioni, e la morte della nostra cultura, la
parte piu' vitale della nostra esistenza di ogni giorno. Le nostre scuole ci
sono state sottratte, controllate a forza o distrutte, e non ci viene
permesso apprendere la nostra lingua.
L'esercito birmano e' presente ovunque nelle nostre terre, e ci controlla
tramite il lavoro coatto, gli stupri, gli omicidi, i saccheggi e la
distruzione di proprieta'. I nostri campi, le nostre sementi, i nostri
raccolti di riso vengono bruciati come i nostri villaggi. Le donne vengono
violate e uccise in totale impunita'. Gli stupri commessi dall'esercito
birmano sono l'arma piu' usata, talmente comune da far definire le donne i
bersagli di questa guerra. Noi donne karen abbiamo perso tutti i nostri
diritti: quello all'istruzione, quello alla salute ed al cibo, persino il
diritto di vivere.
Sono cresciuta in una zona rurale, una zona di guerra, e non mi sono mai
sentita al sicuro. Anche ora, nel campo profughi in cui vivo, non mi sento
sicura. La mia famiglia e' stata costretta a trasferirsi piu' volte, non ci
lasciavano stare nello stesso luogo per piu' di due anni. Alla fine siamo
arrivati al campo profughi sul confine tailandese nel febbraio 1995. Mia
madre ha cresciuto quasi da sola otto figli, perche' mio padre era spesso
distante a causa del suo impegno per la liberta'.
Mia madre e' una donna forte. Ci ha tenuti in vita grazie alla sua
conoscenza della medicina erboristica tradizionale, perche' noi non avevamo
ne' ospedali ne' medici, e neppure farmaci. Molti bambini muoiono a causa di
questo.
Mia madre ci ha sempre detto che sarebbe venuto "il giorno della pace e
della giustizia", e che dopo di esso la nostra vita sarebbe stata serena e
felice. Noi bambini credevamo fortemente in questo, aspettavamo con fiducia
che "il giorno della pace e della giustizia" arrivasse nel nostro paese. E
ora che siamo adulti lo stiamo ancora aspettando e desiderando.
Per tutti questi anni ho sognato una vita senza guerra, una vita senza
paura. Ho anche seppellito molte ferite dentro me, ed ora guardo solo al
futuro, alle cose che possono accadere. Sento che abbiamo ancora molta
strada da fare, che la pace e' ancora un sogno distante per noi.
*
La definizione che le donne danno della pace va oltre la mera fine della
guerra o dei conflitti.
Vogliamo una pace vera, "un giorno di pace e giustizia", una pace dove non
vi sia violenza, ne' domestica ne' d'altro tipo. Anche se non c'e' una
guerra, ma c'e' ancora violenza domestica, le donne non possono essere
felici e non e' quello il tipo di pace che vogliamo.
Io credo che fino a che non incrementeremo la partecipazione delle donne nel
movimento politico, a livello decisionale, non riusciremo a far funzionare
un processo di pace. Durante tutti questi lunghissimi anni di guerra civile
abbiamo sofferto, siamo state vulnerabili, e non siamo mai state d'accordo
con la guerra.
Personalmente, penso che tutte le parti in causa abbiamo la responsabilita'
di por fine al terrore, attraverso il perdono.
Sento fortemente affini le parole di Desmond Tutu, il vincitore del premio
Nobel per la pace nel 1984: "Non ci sara' futuro senza perdono".
Potere, orgoglio ed odio non hanno mai creato un paese in cui si potessero
sperimentare pace e giustizia. Abbiamo bisogno della solidarieta' delle
nostre sorelle in tutto il mondo, e abbiamo bisogno di sostegno per gli
sforzi che le donne fanno nei campi della cooperazione, della
riconciliazione, e della costruzione di pace.

6. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: DALL'AHIMSA AL SATYAGRAHA
[Da "Azione nonviolenta" n. 10 dell'ottobre 2003 riprendiamo questa bella
meditazione di Enrico Peyretti scaturita come testimonianza della camminata
nonviolenta da Assisi a Gubbio svoltasi dal 4 al 7 settembre 2003 su
iniziativa del Movimento Nonviolento. Enrico Peyretti (per contatti:
peyretti@tiscali.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere",
Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998;
La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe
Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui abbiamo pubblicato il piu'
recente aggiornamento nei numeri 714-715 di questo foglio, ricerca una cui
edizione a stampa - ma il lavoro e' stato appunto successivamente
aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario
della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001. Una
piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n.
477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario]

Tra le varie belle suggestioni di queste nostre giornate, scelgo l'immagine
del cammino. Camminare e' renderci conto che cerchiamo, che procediamo da
luogo a luogo. Chi ha un obiettivo cui aspira, cammina. Chi vive cammina,
cresce, anche se non avesse l'uso delle gambe. Se cammina, non e' arrivato,
deve procedere. Se cammina, non vola, non arriva di colpo. Il cammino e'
graduale, e' fatto di occhio e piede, di vista lunga e passo costante.
Gradualita' e' parola usata per raccomandare di rallentare, frenare, anche
fermarsi. Ma in verita' significa fare dei passi (gradus, passo, gradino,
pro-gredire). Ogni passo e' parziale, e proprio per questo chiede un altro
passo. Raggiunta una tappa, sempre parziale, la vita chiede di pro-seguire.
Sempre si riparte. Il senso giusto della gradualita' preserva sia dalla resa
sia dalla pretesa.
La nonviolenza e' cammino. Non la si raggiunge subito, appena se ne e' visto
e capito il valore. Siamo cercatori (camminatori) della nonviolenza, non
siamo nonviolenti bell'e fatti. Vedo, ora, almeno quattro gradini della
nonviolenza, in progressione.
*
1. La in-nocuita' (letteralmente il gandhiano a-himsa): il non fare violenza
propria, cioe' praticare il "non uccidere" in tutto il suo esteso
significato. Non e' l'innocenza, assenza di colpa (anche un assassino puo'
diventare nonviolento), ma la crescita nella capacita' di non offendere, non
nuocere. Richiede un costante lavoro su di se' per ripulirsi dai sentimenti
negativi, per esempio per trasformare l'istintivo odio verso i violenti in
indignazione attiva, energia che arriva all'amore teso a ricuperarli
all'umanita'.
*
2. L'indipendenza, il non accettare rassegnati la violenza altrui, la
violenza del mondo, perche' si sa che essa non e' tutto e non regna;
emanciparsi dall'impressionante dominio della violenza sistematica, non per
ignorarlo, ma per rendersi ad esso alternativi; non agire soltanto in
risposta subalterna alle azioni violente, ma proporre il pensiero e l'azione
nonviolenti nella loro autonomia.
*
3. La lotta, l'opporsi alla violenza con mezzi forti, di qualita'
alternativa (la forza umana e' l'opposto della violenza), come singoli e
insieme; il resistere attivamente al violento con la forza nonviolenta, per
impedirlo, distoglierlo, richiamarlo all'umanita'.
*
4. La testimonianza che la violenza non puo' impadronirsi di noi, e neppure
delle sue vittime, le quali, anzi, denunciano la sua impotenza, perche' la
dignita' umana puo' venire offesa, ma e' indistruttibile, e risalta
nell'offesa. Testimone in greco si dice "martire". Non solo il "martirio"
nel senso corrente (Mohandas Gandhi, Martin Luther King...) e' vera
testimonianza nonviolenta, ma anche il porre, con modesta concreta tenacia,
delle continue alternative alla violenza. Questa testimonianza e' sempre
efficace e feconda, nei successi e anche negli insuccessi, perche' dimostra
la presenza di "un altro mondo possibile", un altro tipo di relazioni umane,
che fermenta dentro il mondo violento, ed offre sempre esempio, fiducia,
esperienze, coraggio, ad altri continuatori.
*
Cammina davvero la nonviolenza? Difficile misurare, quantificare. Nonostante
tutto, mi sembra di poter dire che in generale, nel nostro mondo, cresce
rispetto ad altri tempi la non-rassegnazione alla violenza, diminuisce la
rassegnazione fatalistica alla violenza dei potenti, cresce la protesta
contro ogni forma di violenza. Il grande passo da compiere e' quello
positivo: dal contro al per; dal rifiuto alla costruttivita', con i metodi
attivi e la forza positiva, dall'ahimsa al satyagraha.

7. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: SUGLI ASPETTI PSICOSOCIALI DEI CONFLITTI
[Ringraziamo Francesco Tullio (per contatti:
psicosoluzioni@francescotullio.it) per questo intervento.
Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' uno dei
piu' noti peace-researcher a livello internazionale e animatore di molte
iniziative per la pace e la gestione e risoluzione nonviolenta dei
conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina e chirurgia,
specializzazione in psichiatria, libero professionista, psicoterapeuta,
esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e trasformazione dei
conflitti, di problem solving organizzativo; docente di psicoterapia breve
alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al master "Esperto in
cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001, ricercatore a contratto
con il Centro militare di studi strategici nell'anno 1998-1999, presidente
onorario del Centro studi difesa civile (sito: www.pacedifesa.org) di cui e'
stato e resta infaticabile animatore, ha coordinato ricerche per diversi
enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del Ministero Affari Esteri su "Ong e
gestione dei conflitti. Il confidence-building a livello di comunita' nelle
crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del
Centro di ricerca e formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita'
di Perugia e dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la
pace; numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed
in Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in
pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei
servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero
professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso
e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica
dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e
nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la
prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di
incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione
dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di
crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un
contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti
intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi
della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse
pubblicazioni.
Claudio Bazzocchi (per contatti: bazzocchi@osservatoriobalcani.org), gia'
responsabile dell'area ricerca dell'Osservatorio sui Balcani,
precedentemente e' stato per nove anni dirigente del Consorzio Italiano di
Solidarieta' (Ics); fa parte del comitato promotore italiano del Movimento
antiutilitarista nelle scienze sociali (il "Mauss" -  nell'acronimo che
evoca anche l'eredita' teorica e civile del grande Marcel Mauss - che in
Francia rappresenta una rilevante esperienza di studio e di impegno che ha
come uno dei suoi principali promotori Serge Latouche); tra le sue opere: La
balcanizzazione dello sviluppo, Il Ponte, Bologna 2003.
Come i lettori sanno, su questo foglio non si ama accogliere interventi
polemici ad personam, ma in questo caso gli interlocutori sono due nostri
cari amici che stimiamo come autorevoli costruttori di pace, e forse questa
riflessione, decantata dei modi forse bruschi e dei possibili
fraintendimenti che nel registro espressivo adottato sono forse talora
inevitabili ancorche' dispiacevoli, puo' giovare ad un processo di
chiarificazione di cui l'intero movimento per la pace ha grande bisogno]

Vi sono stati commenti critici di Claudio Bazzocchi (1) sulle posizioni da
me espresse nel capitolo 3 della ricerca "Le Ong e la trasformazione  dei
conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi,
esperienze, prospettive", effettuata per l'ufficio Onu del Ministero Affari
Esteri e pubblicata nel maggio 2002 da Editori associati, editrice
internazionale. I passaggi incriminati erano in parte stati gia' pubblicati
da "Limes" gennaio 2000 con il titolo Psicopatologia di Milosevic e della
Nato (2). Ringrazio il mio commentatore critico per l'attenzione che ha
prestato a me ed alla nostra organizzazione. Gli chiedo tuttavia di non
spostare la discussione dalle opinioni all'attacco personale e di rileggere
con maggiore attenzione la mia ricerca e le posizioni del Centro studi
difesa civile.
*
1. Infatti il mio critico estrapola alcune mie affermazioni dal contesto e
le reinterpreta a modo suo. Ad esempio mi imputa delle opinioni su
Milosevic mentre io affermo esplicitamente nella ricerca che "Milosevic ed i
serbi vengono descritti in questo modo da politici e giornalisti
occidentali. Quindi essi sono cosi' oppure l'Occidente  li percepisce
cosi'". Io non  ho preteso di dare una etichetta della personalita' di
Milosevic e parlo di alcuni tratti della personalita' (presunta) di
Milosevic. Il critico interpreta solo alcuni passaggi che all'interno della
intera ricerca rappresentano un esercizio di logica. Infatti la riflessione
termina indicando che gli stessi tratti che l'Occidente imputa a Milosevic
sono presenti nell'Occidente stesso.
*
2. Il mio critico attacca la concezione psicosociale dei conflitti senza
tenere conto che nello stesso articolo io affermo che gli aspetti
psicosociali sono un aspetto del problema, non l'unico aspetto del problema.
La crisi psichica si scatena e si intreccia con la crisi economica e
politica. Peraltro uno degli aspetti psicosociali che ho iniziato ad
approfondire (3) e' come l'avidita' e l'egoismo di alcuni si aggregano a
livello collettivo in teorie liberiste ed in programmi espansionistici, che
rappresentano a mio avviso l'espressione mentale e comportamentale di
personalita' competitive e autoreferenziali.
*
3. Il mio critico sul piano della forma e' ironicamente effervescente quando
afferma  "Non contento di aver delineato i tratti della personalita' di
Milosevic mediante alcuni articoli di giornale [infatti volevo proprio
esplicitamente dimostrare la percezione che essi avevano o quantomeno
trasmettevano  del leader serbo], il nostro psichiatra [che sarei io] decide
che la 'sindrome di Milosevic' affliggerebbe in realta' anche gran parte del
popolo serbo". Infatti ho cercato di riassumere il legame che lega il capo e
la massa nelle situazioni di crisi e polarizzazione bellica. Si tratta di
una ricerca approfondita che ho sintetizzato nel passaggio in questione,
bisogno di identificazione nell'uomo forte, bisogno di identita', bisogno di
guida ecc. Molti non amano questo approccio che svela i trucchi del potere
centralistico ed i bisogni di chi vi si adegua. Ma il nostro critico ribalta
questo traccia di liberazione, non ne coglie le sfumature e prende ad
esempio dell'asservimento al potere precostituito proprio il mio discorso.
E' come se non capisse l'approccio del ju jitsu laddove prima parlo di
Milosevic ma poi dico: attenzione, quello di cui Milosevic viene accusato
c'e' anche da noi, anzi: e' l'Occidente che dovrebbe avere i requisiti per
non cadere in questi deliri di cui viene accusato Milosevic.
*
4. Poi egli allarga la critica da me al Centro Studi Difesa Civile e dice
"L'esempio fin qui citato e' paradigmatico della ricostruzione che
l'Occidente ha fatto delle guerre dei Balcani, in termini di barbarie,
inadeguatezza psichica e culturale, e di mancanza di valori. Non deve
sorprendere che sia un centro per la nonviolenza a condividere tale
interpretazione  del conflitto, dal momento che proprio questi soggetti sono
entrati ormai a pieno titolo nell'ambito del sistema umanitario
occidentale". Il Centro Studi Difesa Civile raramente parla della
nonviolenza, termine di negazione di qualcosa, e preferisce fare riferimento
al satyagraha ed all'ahimsa che sono la ricerca della verita' e della
crescita spirituale, evitando le certezze dogmatiche e le rigidita'
precostituite. Invece non possiamo condividere l'affermazione del nostro
critico che sembra andare nella direzione del: "chi non la pensa come me e'
un servo del sistema".
Va rilevato che il Centro Studi Difesa Civile ha ricevuto in tutto negli
anni passati dallo Stato per le proprie ricerche 37 milioni di lire in
tutto, molto di meno di quello che hanno avuto le organizzazioni per le
quali il critico stesso ha lavorato e lavora. Il problema che a noi
interessa e' quello della strategia politica per la trasformazione
costruttiva. Per noi non sarebbe una contraddizione se lo Stato spendesse
adeguatamente per questo impegno. Il fatto e' che non lo fa e che le
affermazioni di Bazzocchi sono campate in aria.
*
5. Infine non mi risulta chiaro quale sia il concetto di pace al quale
Bazzocchi  si riferisce. Da un lato egli critica aspramente chi ha osato
individuare nodi irrisolti della aggressivita' dei serbi (ma non ha
esplicitamente stigmatizzato questi nodi come se fossero solo i loro e
l'Occidente fosse un alieno). Dall'altro si scandalizza giustamente per
l'abominio di Srebrenica. Egli ritiene che le nuove guerre siano un preciso
progetto politico e non una rottura della comunicazione. Per noi la rottura
della comunicazione e' talvolta anche la conseguenza di precisi progetti
politici, che pero' mirano appunto a rompere sempre piu' la comunicazione. I
progetti politici di guerra secondo noi emergono nella combinazione di
violenze strutturali ed aspetti psicosociali, avidita', egoismi, bisogno di
espandersi, di dominare, di avere la verita' in tasca. Per questo il Centro
Studi Difesa Civile ritiene che vada rinsaldata la comunicazione fra coloro
che vogliono resistere e vadano attivate tutte le possibilita' di sviluppo
delle coscienze anche fra i membri dei gruppi che progettano la guerra.
Non sembra raccogliere Bazzocchi che il Centro Studi Difesa Civile porta
avanti una linea che e' consapevole dei vizi del potere, ma anche dei
meccanismi che riproducono potere e magari violenza fra coloro che vogliono
combatterlo. Per questo il nostro concetto di pace e' basato sulla
correttezza dei rapporti interpersonali, oltre che sulle condizioni di
giustizia sociale, di rispetto. Il potere si fonda, fra l'altro e per alcuni
aspetti, anche sui vantaggi di parte dei sottomessi e sulla collusione
inconscia al sistema di questi a scapito dei piu' deboli di loro. Ma noi non
consideriamo il potere monolitico, inamovibile e generato da se stesso, e
cerchiamo di svilupparlo in democrazia partecipativa senza mai aggredire ed
offendere le persone seppure coinvolte in operazioni ed atteggiamenti che
non condividiamo. Noi riteniamo sia necessario favorire lo spirito reale
della democrazia, della solidarieta' e del dialogo, nel rispetto
dell'essenza degli uomini cercando quella crescita collettiva che e'
garanzia per la riduzione delle ingiustizie. Senza questa crescita si
rischia di sostituire un potere con un altro, magari con un carico in piu'
di ingiustizia e di dolore.
*
Note
1. Claudio Bazzocchi, La Balcanizzazione dello sviluppo, Il Ponte,  Bologna
2003.
2. Titolo scelto dal direttore di "Limes" che avevo autorizzato a decidere,
anche se poi mi sono pentito perche' preferivo il titolo originario: La
personalita' di Milosevic ed i limiti dell'Occidente.
3. Il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa, parte 2:
Riflessioni sugli aspetti soggettivi della sicurezza in un sistema
democratico, In "La nonviolenza e' in cammino", n. 700 dell'11 ottobre 2003.

8. RIFLESSIONE. GIANNI TAMINO: L'UNIONE EUROPEA E I CORPI CIVILI DI PACE
[Da "Azione nonviolenta" n. 10 dell'ottobre 2003 riprendiamo la sintesi
dell'intervento di Gianni Tamino al convegno di Gubbio il 6 settembre 2003
(sintesi realizzata da Elena Buccoliero, non rivista dall'autore ma di
notevole precisione). Gianni Tamino e' docente universitario, gia'
parlamentare europeo, amico della nonviolenza, acuto studioso di questioni
ambientali. Voremmo osservare che la posizione qui proposta da un autorevole
amico della nonviolenza come Gianni Tamino - e ci riferiamo qui all'intero
suo intervento eugubino, oltre che alla sintesi di seguito riportata -, ci
pare purtroppo non solo debole ma errata, viziata da un sentimento di
subalternita', di supposta pochezza delle nostre forze e fragilita' della
capacita' persuasiva delle nostre ragioni - come se fossimo ancora esigua
minoranza quando invece occorre divenir consapevoli che la nonviolenza, dopo
le tragedie belliche degli ultimi anni, e' divenuta esigenza di vaste masse
(che vanno molto oltre il cosiddetto movimento per la pace e la giustizia
globale e le sue sovente attardate, discutibili e talora fin miserande
autoproclamate leadership), anche se ancora non pienamente enunciata, anche
se ancora non trasparenti a se stesse; ne' siamo minoranza, ne' dobbiamo
lasciarci inferiorizzare. Noi che ci prendiamo la briga di redigere questo
foglio riteniamo che occorra invece proporre con la necessaria radicalita'
la maturita' e la fattibilita' di una azione nitida orientata alla
realizzazione qui e adesso di un'Europa "neutrale e attiva, disarmata e
smilitarizzata, solidale e nonviolenta" come enunciato nella proposta di
Lidia Menapace su cui si svolgera' l'incontro dell'8 novembre a Verona
(presso la Casa per la nonviolenza, in via Spagna 8, dalle ore 11 alle ore
16)]

E' possibile un ruolo di pace per l'Europa all'interno di un modello
violento, in cui gli eserciti servono essenzialmente a mantenere il dominio
sulla natura e sulle sue risorse, e a garantire un tenore di vita altissimo
per una minoranza dell'umanita'? Forse si', se le popolazioni sapranno
esprimere movimenti capaci di incidere davvero sulla politica europea.
L'Unione Europea si e' evoluta sin qui su base non politica ma economica. Il
trattato di Roma e' stato qualcosa di simile a cio' che il Wto e' oggi per
il pianeta, vale a dire un accordo commerciale per il libero scambio. In
seguito abbiamo visto come la Comunita' Economica Europea si e' trasformata
gradualmente in Comunita' Europea e, oggi, in Unione Europea. La scelta
delle parole non e' casuale. Si e' ormai coscienti del fatto che non basta
costruire alleanze economiche, occorre una strategia politica.
Oggi, pero', manca un lavoro politico di massa per chiedere una inversione
di rotta all'attuale modello economico. Risuona ancora l'affermazione di
Bush, suicida per tutti, anche per il suo Paese, secondo la quale il tenore
di vita degli americani non deve essere messo in discussione. Questo stile
di vita e' ammesso per due miliardi di persone, ma gli abitanti della terra
sono il triplo e non si puo' pensare di mantenere in condizioni di poverta'
gran parte dei popoli del mondo.
La prima conseguenza del passaggio previsto dell'Unione Europea da 15 a 25
membri e' che i nuovi entrati chiederanno di accedere allo stesso livello
economico degli altri paesi. Cio' significa che, o i "vecchi" quindici
faranno un passo indietro, o i "nuovi" dieci dovranno avere la possibilita'
di crescere.
Nel giro di pochi anni - secondo alcune stime, nel giro di un decennio - un
miliardo di indiani e un miliardo e mezzo di cinesi avanzeranno la medesima
esigenza. Gia' oggi 800 milioni di cinesi si avviano verso il nostro modello
di consumo. Nel giro di dieci, quindici anni, non ci saranno piu' risorse
sufficienti per questa parte del pianeta, ed e' ragionevole che nuovi
conflitti scoppieranno per il controllo del mercato, quei conflitti che fino
ad oggi siamo riusciti a isolare nella periferia dell'impero, dove si
combatte per il controllo delle risorse naturali in una logica puramente
violenta.
Nei paesi nuovi al consumismo la violenza si chiama mafia e controlla i
processi economici fondamentali. Il partito comunista cinese ha connessioni
evidenti con la mafia di Hong Kong e la gente lo tollera come una nuova
dinastia di mandarini, contenta che la giornata lavorativa sia scesa di
alcune ore al giorno e per la nuova diffusione dei telefoni cellulari...
Il controllo mafioso che impone con la violenza le scelte politiche
fondamentali esiste anche, diversamente, nelle democrazie occidentali.
Sarebbe sufficiente rileggere il programma della P2 per ritrovare fatti che
stanno avvenendo oggi.
*
L'Europa dei 25 vuole darsi una difesa armata, non una difesa nonviolenta.
Non ritiene possibile proporsi sullo scenario internazionale con una
condizione diversa, che pure sarebbe di grande forza, in una scelta di
difesa civile.
C'e', in questo scenario, qualche aspetto positivo? Certamente si', nelle
sue contraddizioni. La prima e' quella tra l'ipotesi di costituire un
esercito europeo e l'appartenenza alla Nato. I dieci nuovi membri
dell'Unione, prima di entrare in Europa, erano diventati membri Nato e sono,
per questo, molto vicini alla politica statunitense, come si e' evidenziato
in occasione della guerra in Iraq.
All'interno dell'Unione manca un blocco interno capace di fare da guida sul
piano politico. E' mancata fin qui quella leadership culturale che avrebbe
determinato un salto di qualita' e l'assunzione di un ruolo politico reale.
Mentre ci si dibatte tra il progetto di un esercito europeo e l'adesione
alla Nato, e' questo il momento per insistere affinche' si realizzi in
Europa una forza di difesa nonviolenta, non conflittuale con la Nato. Il
Parlamento e il Consiglio Europeo hanno piu' volte approvato il progetto dei
Corpi Civili di Pace, ne e' stata piu' volte ribadita la necessita' e la
fattibilita'. Questa, che per noi e' l'opzione, deve riuscire a passare in
un ambito politico piu' largo, accettando il fatto che per chi l'accetta
sara' solo una delle possibilita'.
Chiediamo la costituzione di un Corpo Civile di Pace che abbia il compito
non di rincorrere i conflitti gia' esplosi ma di intravederne precocemente
le cause in un'ottica di prevenzione, non solo per stabilire un confronto e
un dialogo tra i popoli ma per incidere sulle ragioni reali e profonde, al
di la' dei pretesti religiosi che vengono ritualmente portati all'attenzione
pubblica.
Il Wto oggi e' un organismo che assicura una violenza globalizzata, per cui
c'e' chi corre in Ferrari, chi in scooter, chi in bicicletta, chi a piedi e
chi e' zoppo. Quello che dobbiamo chiederci e' in che modo l'opinione
pubblica dei venticinque paesi europei puo' proporre un'alternativa a
partire dai rapporti economici. Il movimento puo' essere protagonista di una
azione attiva per dire si' a quei processi che, secondo una rete diffusa che
unisce ogni paese all'Unione Europea e al mondo intero, promuovano nuovi
modelli di vita, modifiche radicali nei consumi e nei meccanismi di
produzione.
I Corpi Civili di Pace dovrebbero essere impiegati per portare un messaggio
in questo senso, non per mantenere lo status quo, altrimenti saranno al
servizio di quelle stesse condizioni di ingiustizia che rendono impossibile
la pace. Ma ancora, nel movimento di critica a questa globalizzazione, non
e' chiara l'esigenza di una scelta nonviolenta.

9. REPETITA IUVANT. L'8 NOVEMBRE A VERONA, CON LIDIA MENAPACE
Si svolgera' l'8 novembre a Verona, su invito di autorevoli personalita'
come Lidia Menapace, Mao Valpiana e Giovanni Benzoni, un incontro a cui sono
invitate caldamente a partecipare tutte le persone di volonta' buona per
dare una piu' precisa definizione alla proposta promossa da Lidia Menapace e
dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre "per un'Europa
neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta" e
tradurla in un appello e un'iniziativa, la cui necessita' e urgenza e' a
tutti evidente.
Quella formulata da Lidia Menapace e' - come e' stato gia' scritto - una
proposta aperta e inclusiva, che vuol essere occasione d'incontro di diverse
esperienze e culture, di sinergia di pratiche e progetti diversi, di
riconoscimento e condivisione in un comune impegno, necessario e urgente,
per costruire un'Europa di pace che assuma la nonviolenza come criterio e
come impegno. Senza presunzioni, senza rivendicazioni di primogeniture,
valorizzando il contributo, le esperienze e le riflessioni di tutte e tutti
coloro che vorranno impegnarsi insieme nel rispetto della soggettivita' di
ciascuna e ciascuno, in corale colloquio.
Il luogo dell'incontro dell'8 novembre a Verona e' la Casa per la
nonviolenza, in via Spagna 8 (vicino alla Basilica di San Zeno); l'orario
dell'incontro e' dalle ore 11 alle ore 16. Lidia Menapace sara' li' fin
dalle ore 10, per poterci parlare insieme anche di altro.
Per arrivare alla Casa per la nonviolenza: dalla stazione ferroviaria
prendere l'autobus n. 61, direzione centro, scendere alla fermata di via Da
Vico, subito dopo il Ponte Risorgimento; chi arriva in macchina deve uscire
al casello di Verona Sud, seguire la direzione centro fino a Porta Nuova,
poi a sinistra lungo la circonvallazione interna fino a Porta San Zeno.
Per informazioni e contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it
Per contattare anche direttamente le persone che hanno promosso l'incontro:
Lidia Menapace: llidiamenapace@virgilio.it; Mao Valpiana:
azionenonviolenta@sis.it; Giovanni Benzoni: gbenzoni@tin.it

10. REPETITA IUVANT. IL 7-8 NOVEMBRE A VITERBO, CON AMORE
A Viterbo, il 7-8 novembre l'associazione "Viterbo con amore", in
collaborazione con l'associazione "Comunita' papa Giovanni XXIII", con il
patrocinio della Regione Lazio, dell'Amministrazione provinciale di Viterbo,
del Comune di Viterbo, della Camera di commercio di Viterbo e
dell'Universita' degli studi della Tuscia, promuove la serie di iniziative
"La pace e il dialogo non sono un'utopia".
Partecipano figure autorevolissime dell'impegno di pace e nonviolenza: mons.
Lorenzo Chiarinelli, don Alberto Canuzzi, Miguel Alvarez, don Maurizio Boa,
padre Alex Zanotelli, rappresentanti di Christian Peacemaker Teams, don Lush
Gjergji, Alberto Capannini, mons. Giorgio Biguzzi, mons. Samuel Ruiz Garcia,
don Oreste Benzi, don Albino Bizzotto, Daniele Aronne.
Ai momenti di piu' intensa testimonianza e piu' profonda riflessione si
affiancheranno iniziative di piu' ampia sensibilizzazione.
La serie di iniziative "La pace e il dialogo non sono un'utopia" e'
organizzata dall'Associazione "Viterbo con amore", con la collaborazione
dell'associazione Comunita' papa Giovanni XXIII, nell'ambito della campagna
di sensibilizzazione e raccolta fondi 2003 per obiettivi di solidarieta' in
Italia e all'estero.
Per informazioni e contatti: segreteria organizzativa presso l'associazione
"Viterbo con amore", via Cavour 97, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761220168,
cell. 349.4419638, e-mail: viterboconamore@libero.it

11. REPETITA IUVANT. L'8 NOVEMBRE A ROMA, CONTRO IL MURO DELLA SEGREGAZIONE
Si svolgera' l'8 novembre a Roma una manifestazione indetta da un vasto arco
di forze per chiedere la cessazione della costruzione del muro della
segregazione voluto dal governo Sharon e l'abbattimento dei tratti di esso
gia' costruiti.
Esprimiamo ancora una volta l'auspicio che questa importante manifestazione
abbia limpidezza di contenuti e di comportamenti; sia una manifestazione di
solidarieta' e di pace, ed adotti quindi coerenti modalita' espressive di
solidarieta' e di pace, sia una manifestazione rigorosamente pacifica e
democratica, rigorosamente antirazzista, rigorosamente nonviolenta; sia
nitida e ferma nel sostenere il diritto del popolo palestinese a un proprio
stato, sia nitida e ferma nel sostenere il diritto alla vita, alla dignita',
al benessere, alla pace e alla sicurezza per il popolo palestinese e per il
popolo israeliano, sia nitida e ferma nell'opporsi a tutte le uccisioni, a
tutte le stragi e a tutti i terrorismi: di stato, di gruppo o individuali;
sia nitida e ferma nel sostenere la scelta della nonviolenza, del dialogo,
della convivenza, che sono la base di ogni liberazione autentica.

12. RILETTURE. DONNE IN NERO: CON LA FORZA DELLA NONVIOLENZA
Donne in nero, Con la forza della nonviolenza, Centro stampa, Roma 2002, pp.
80. Una raccolta di testimonianze, informazioni, fotografie e "voci di donne
curde e turche" impegnate per la pace, la giustizia, la solidarieta', la
convivenza, con la forza della nonviolenza.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 719 del primo novembre 2003