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La nonviolenza e' in cammino. 699
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 699
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Thu, 9 Oct 2003 18:56:12 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 699 del 10 ottobre 2003
Sommario di questo numero:
1. Patrizia Morgante: il diario dal carcere di suor Kathy Long, sorella
domenicana detenuta per un'azione nonviolenta davanti alla famigerata
"Scuola delle Americhe" di Fort Benning
2. Alessandro Pizzi: lungo il cammino e urgenti le questioni
3. Enrico Peyretti: una sola umanita'
4. Biagio Di Pasquale: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Nella Ginatempo: per una politica di disarmo in Europa (un contributo
alla proposta di Lidia Menapace)
6. Francesco Tullio: il bisogno di sicurezza e la difesa civile per l'Europa
(un contributo alla proposta di Lidia Menapace). Parte prima
7. Michele Giorgio intervista Hanan Ashrawi
8. Giulio Vittorangeli: Bhopal in Italia
9. Riletture: Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro.
L'empatia a partire da Edith Stein
10. Riletture: Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt
11. Riletture: Gabriella Fiori, Simone Weil
12. Riletture: Nadia Neri, Un'estrema compassione; Etty Hillesum testimone e
vittima del Lager
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. ESEMPI. PATRIZIA MORGANTE: IL DIARIO DAL CARCERE DI SUOR KATHY LONG,
SORELLA DOMENICANA DETENUTA PER UN'AZIONE NONVIOLENTA DAVANTI ALLA
FAMIGERATA "SCUOLA DELLE AMERICHE" DI FORT BENNING
[Ringraziamo Patrizia Morgante, della segreteria della "Commissione
internazionale Giustizia e Pace" della Famiglia Domenicana (per contatti:
JP@curia.op.org) per questo intervento. Patrizia Morgante e' da sempre
nitida e generosa costruttrice di pace, persona solidale, amica della
nonviolenza]
Kathy Long, domenicana della congregazione di Sinsinawa (Usa), ha ricevuto
una condanna penale di tre mesi di reclusione nella prigione federale
americana di Pekin (Illinois) per aver realizzato, insieme ad altri
attivisti dell'Osservatorio della Scuola delle Americhe (Soa Watch)
un'azione diretta nonviolenta davanti la sede della Scuola militare di Fort
Benning, Georgia.
Insieme a lei furono arrestate 85 persone, delle quali 49 sono state
condannate e a 36 e' stata irrogata la liberta' vigilata.
Ogni anno gli attivisti si incontrano nel mese di novembre a Fort Benning,
in memoria dell'uccisione di sei gesuiti e due laiche nel 1989 in Salvador
per opera di alcuni "diplomati della Sscuola delle Americhe". Le azioni
mirano alla denuncia delle violazioni dei diritti umani che si perpetrano
ormai da anni nella Scuola e alla sua chiusura definitiva.
Kathy durante i suoi mesi di prigionia (marzo-giugno 2003) ha scritto delle
lettere che abbiamo tradotto e che divulghiamo volentieri, come
testimonianza e incoraggiamento per tutti e tutte coloro che lavorano per un
mondo di pace e di giustizia.
Fratel Joao Xerri, op, Promotore internazionale Giustizia e Pace della
Famiglia Domenicana, definisce cosi' cio' che Kathy ha scritto: "Le lettere
di Kathy sono semplici, trasparenti, prive di collera, ricche di compassione
e di sensibilita' femminile davanti a ogni sofferenza: sia quelle causate
dal sistema politico che quelle personali delle sue compagne di prigione.
Sono lettere di una persona in pace, anche se cosciente dell'ingiustizia
subita con la sentenza".
In questo periodo Kathy e' impegnata in un giro di conferenze e incontri in
America Latina, Argentina e Brasile, ma a novembre rispettera' l'annuale
impegno di protesta a Fort Benning, rischiando di nuovo in prima persona, ma
come scrive lei citando l'arcivescovo Oscar Romero: "Il sangue dei poveri va
oltre ogni politica".
Il diario (in inglese e italiano) si puo' richiedere alla Commissione
internazionale Giustizia e Pace dei Domenicani. Segreteria: Patrizia
Morgante, e-mail: jp@curia.op.org; tel. 0657940656; fax: 065750675.
2. APPELLI. ALESSANDRO PIZZI: LUNGO IL CAMMMINO E URGENTI LE QUESTIONI
[Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi@virgilio.it) per
questo intervento. Sandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel
Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza
amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative
di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la
nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i
costruttori di pace" e la recente camminata Assisi-Gubbio; ha promosso il
corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte
(l'istituto scolastico dove insegna)]
Sento il bisogno di parlare di alcuni fatti che da alcune settimane mi
stanno particolarmente a cuore.
Il primo riguarda la morte di Alessandro, tunisino, avvenuta alla fine di
agosto nel carcere Mammagialla di Viterbo. Alessandro lascia una giovane
moglie, affetta da una malattia che la sta portando alla cecita', e un
figlio di tre anni. Chi ha conosciuto Alessandro esclude assolutamente il
suicidio, d'altra parte ho sentito parlare di morte causata da overdose;
overdose di cosa non e' dato sapere. Ancora non risulta accertata la verita'
sul decesso.
Il secondo riguarda la detenzione, per reati minori, negli Ospedali
psichiatrici giudiziari di Aversa e di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina)
di due amici, tutti e due di nome Franco, uno da qualche anno e uno da
qualche mese. Entrambi sono riconosciuti seriamente malati di mente e da
sempre sono alle prese con la violenza delle istituzioni (arresti,
processi, carcere, manicomio), quando avrebbero avuto ed hanno, oggi piu'
che mai, bisogno di amicizia, di amore, di cure.
Il terzo riguarda la scuola, che, grazie alle politiche dei governi di
centrosinistra e di centrodestra, sta precipitando sempre piu' verso la
privatizzazione. Ne e' un segno l'introduzione di parole come "azienda",
"managerialita'", "meritocrazia", che portano gli studenti piu' deboli (vedi
i portatori di handicap) ad una sempre maggiore emarginazione. Ulteriore
segno e' la pericolosa gerarchizzazione della categoria degli insegnanti
attraverso l'individuazione delle cosiddette figure funzionali (in questo
modo si hanno insegnanti "responsabili" e insegnanti "esecutori"). Figure
che, a mio parere, non migliorano il servizio scolastico, ma favoriscono la
competizione a danno della cooperazione tra colleghi. Altro segno
inequivocabile della volonta' di trasformare la scuola in "azienda" e' la
ricerca del "marchio di qualita'", certificato da enti privati. La corsa al
marchio di qualita' e' gia' cominciata; la scuola presso la quale insegno
sta pagando una consulenza per poter arrivare al marchio. Oltre che uno
sperpero di soldi pubblici, ritengo l'iniziativa del tutto diseducativa e
pericolosa.
A un mese dalla marcia per la nonviolenza Assisi-Gubbio mi viene in mente la
camminata come metafora della vita.
Cosi', per affrontare situazioni come quelle sopra richiamate, il cammino e'
lungo e faticoso, ed e' bene affrontarlo insieme agli altri. Per ora mi
sembrano piu' urgenti le prime due questioni.
Allora lancio un appello perche' venga tenuta viva l'attenzione sulla morte
di Alessandro, fino ad arrivare alla verita' e appurare le responsabilita'
dell'assurda morte.
Lancio, poi, un appello per una riflessione sul disagio psichico, su come
viene vissuto dalla societa', e in particolare sugli Ospedali psichiatrici
giudiziari, che racchiudono, a mio parere, una doppia violenza, quella del
carcere e quella del manicomio.
3. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: UNA SOLA UMANITA'
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscali.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; della sua fondamentale ricerca
bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente, una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios,
Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo
stesso notiziario (e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione
nuovamente aggiornata). Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti
di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario]
Ma che cosa significa straniero? La parola viene da "extra", fuori. Fuori da
che cosa?
Certo, noi siamo anche un poco piante, legati al territorio. Il paesaggio
natio ci parla in modo speciale e noi lo amiamo. Le comunita' umane si
identificano anche per il territorio che occupano, coi suoi limiti, confini,
cioe' linee di passaggio, non necessariamente muri. Sfumature, piu' che
linee nette, come constatiamo nella realta', non sulle carte geografiche.
La natura, il clima e la storia locale determinano aspetti del nostro essere
e della nostra vita, con le conseguenti varieta' che la arricchiscono. Ma
noi possiamo, ben piu' che le piante, trapiantarci. Ci piace viaggiare. O
anche trasferirci, per necessita' o per scelta: i piu' per necessita'. Dove
mettiamo nuove radici umane (residenza, lavoro, scambi sociali di ogni
genere) la' siamo cittadini, la' abbiamo dovere e diritto di partecipare
alla comunita' locale in tutti i modi giusti e positivi.
Non c'e' veramente un fuori, quando le persone umane si muovono e si
incontrano. Ci sono dei problemi, certo, risolvibili con saggezza e apertura
umana. Ci sono ospiti, che possono diventare cittadini.
Non ci sono stranieri, estranei, esterni, strani. C'e' la terra,
l'umanita', unica vera grande patria. C'e' una sorte comune, nel rischio e
nelle possibilita'. Scindere le sorti e i diritti e' delitto. Non ci sono
stranieri, ma solo problemi di interpretariato tra lingue e culture.
C'e' possibilita' per ciascuno di essere piu' largamente umano.
4. RIFLESSIONE. BIAGIO DI PASQUALE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Biagio Di Pasquale per questo intervento che estraiamo da una
piu' ampia lettera personale che toccava anche altri temi. Biagio di
Pasquale e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo -
il che ci onora assai essendo formidabile un critico del nostro lavoro]
Il merito maggiore, e l'originalita' autentica, della proposta di Lidia
Menapace a me pare che siano nel fatto che rispetto a tanti atteggiamenti
rinunciatari e compromissori, o velleitari e cialtroni, essa unisce nettezza
di posizioni, chiarezza di articolazioni, e praticabilita' concreta, come
assai di rado accade nel dibattito pacifista.
*
In primo luogo questa proposta crea uno spazio politico grazie al suo stesso
venir formulata: lo spazio politico di una posizione rigorosa e insieme
aperta che entra nel merito del progetto politico, istituzionale e giuridico
dell'Unione europea formulando una proposta dotata di una propria autonomia
teorica sulla quale puo' essere aperto un confronto alla pari con le altre
posizioni.
Non e' piccola cosa, perche' purtroppo invece solitamente le proposte
pacifiste o sono del tutto vellitarie ed ininfluenti (il "vogliamo tutto"
meramente predicatorio) o astratte e quindi peggio che minimali (la
richiesta di meri enunciati senza modalita' di applicazione e soprattutto
senza costruzione di schieramenti a sostegno della loro pratica) o sono del
tutto parziali (scavarsi una nicchia lasciando ad altri la "politica dei
grandi", ed e' la scelta che poi consente l'assalto alla diligenza dei soldi
pubblici da parte di intellettuali ed associazionismo senza disturbare
troppo il manovratore che l'offa eroga), e soprattutto il piu' delle volte
si presentano alle istituzioni o col cappello in mano o col rumorismo
piazzaiolo, atteggiamenti entrambi che precludono di esser presi sul serio.
*
In secondo luogo questa proposta avvia un percorso grazie al suo stesso
venir formulata: il percorso che convoca e aggrega esperienze e
soggettivita' diverse, tradizioni che solitamente faticano a incontrarsi e
riconoscersi.
Poiche' essa nasce dalla riflessione e dalla prassi del movimento delle
donne (storicamente la piu' rilevante esperienza della nonviolenza in
cammino) e si propone a un impegno comune senza pretese autoritarie, senza
volonta' assimilazionista o fagocitante, nella ricerca e nella costruzione
di una mobilitazione plurale che non deprima ne' opprima la diversita' dei
soggetti e delle tradizioni che convoca, ma insieme neppure accetti che si
continui con le consuete litigiosita', l'ormai intollerabile soggiacenza a
logiche spettacolari e carrieriste, il gioco stolto del "piu' uno".
Sia dato merito alla proposta di Lidia Menapace di essere fuori e oltre le
meschinita' in cui diuturnamente reciprocamente si affogano e azzannano
tanti settori del cosiddetto movimento per la pace (che come costruttori di
pace falliscono gia' nel loro essere incapaci di ascoltare e ascoltarsi
senza ingiuriare e sbranarsi).
*
Ed e' in forza di questi due elementi che sara' possibile poi andare a un
confronto e raggiungere esiti, e siano pure infine di mediazione,
sicuramente piu' avanzati di quelli raggiungibili con posizioni meramente
verbalistiche ("Europa di pace" senza poi saper dire cosa significhi) o
astrattamente ideologiche ed alienate (le utopie palingenetiche incapaci di
indicare il percorso attraverso cui costruire liberazione nella storia), o
peggio ancora gia' del tutto arrese (la sinistra europea che si e' gia'
inginocchiata al feticcio del militare, dell'industria bellica, dei patti
leonini).
*
Questa proposta, se ben la intendo, e' netta nelle posizioni e chiara nelle
articolazioni:
- la proposta giuridica della neutralita' attiva;
- la proposta politica (ed istituzionale ed amministrativa) di una gestione
della difesa, della sicurezza e della cooperazione incardinate sul ripudio
della guerra, e quindi sul disarmo e la smilitarizzazione, sull'alternativa
nonviolenta;
- posizioni quindi articolate nel programma costruttivo della riconversione
ad usi civili dell'industria bellica, del servizio civile, della difesa
popolare nonviolenta, dei corpi civili di pace, della cooperazione
decentrata con tecnologie appropriate e promozione di democrazia,
partecipazione popolare, diritti umani.
Essa non elude quindi le domande cui tradizionalmente da parte degli stati
si risponde con il militare (e si risponde peggio che male, aggravendo i
problemi e provocando catastrofi), ma li affronta in una prospettiva
nonviolenta di politica di pace realizzata con mezzi di pace.
La difesa popolare nonviolenta significa partecipazione democratica e
gestione nonviolenta della sicurezza e della difesa; i corpi civili di pace
possono essere strumento principe di politica estera sui temi della
risoluzione dei conflitti, della costruzione della pace e della difesa dei
diritti umani; politiche di solidarieta' (ergo "neutralita' attiva") come
cooperazione internazionale; le politiche di accoglienza e di assistenza
(serrvizio civile, welfare state, welfare community) come inveramento dei
diritti umani in loco.
Infine, e' una proposta concretamente praticabile, poiche' valorizza
esperienze gia' esistenti, e invera indicazioni gia' presenti sia nelle
legislazioni nazionali che nei trattati europei che negli altri costituti in
cui si concreta il diritto internazionale (la Carta dell'Onu e la
Dichiarazione universale dei diritti umani in primis).
*
Il problema dei problemi, ancora una volta, sara' riuscire a passare dal
cielo delle enunciazioni alla terrestrita' della pratica (ma va ricordato
che senza il "prologo in cielo" non c'e' neppure la possibilita' di un
successivo "prologo in terra"), ovvero riuscire a costruire un movimento e
una mobilitazione che sappiano rendere centrale questa proposta nel
dibattito in corso sia nelle istituzioni sia nei grandi soggetti collettivi
che concorrono a comporle; sia nel dibattito giuridico che nell'attivita'
legislativa ed amministrativa; sia, infine e soprattutto, nella riflessione
collettiva, in quel confuso e complesso fenomeno sociale che si chiama
opinione pubblica.
Quali le forme? Azzardiamo un percorso possibile.
In primo luogo aggregare attraverso un confronto serrato un ampio arco di
movimenti delle donne, dei lavoratori, di solidarieta', ecopacifisti,
solidali e nonviolenti su un testo condiviso recante un numero limitato e
inequivoco di proposizioni.
Poi, su quell'appello-programma, raccogliere adesioni.
Poi, su quell'appello-programma promuovere una serie di iniziative pubbliche
di dibattito e confronto.
Poi anche una serie di incontri per cosi' dire bilaterali tra una
rappresentanza di promotrici e promotori della proposta-programma con
interlocutori specifici (ad esempio i gruppi politici democratici
rappresentati nel parlamento europeo, e quelli dei singoli parlamenti
nazionali degli stati dell'Unione; gli enti locali gia' impegnati per la
pace; le altre agenzie pubbliche - sovranazionali; nazionali, locali - che
lavorano sui temi della pace e dei diritti umani; ma anche le grandi
organizzazioni sindacali dei lavoratori; le varie ong che con l'Unione
europea hanno gia' rapporti di collaborazione; gli organismi rappresentativi
delle Chiese impegnate per la pace, la giustizia e la salvaguardia del
creato; le istituzioni della cultura e della ricerca; ed anche i governi
degli stati e la Commissione dell'Unione).
Insomma molte sono le cose da fare, ed alla mobilitazione deve ovviamente
affiancarsi lo studio, il dibattito e l'approfondimento, anche quello
specificamente tecnico-giuridico e tecnico-amministrativo.
*
Molti lo hanno gia' scritto: il tempo e' poco. Ma la consapevolezza per
fortuna e' crescente. Il fatto che l'assemblea dell'Onu dei popoli e la
marcia Perugia-Assisi quest'anno siano dedicate specificamente al tema
dell'Europa di pace puo' molto aiutare in questi giorni e non manchera' di
avere una ricaduta benefica nell'immediato futuro.
Naturalmente si tratta di riuscire a formulare una proposta e un percorso,
ed a costruire uno schieramento, in tempi ristretti: avendo presente la
necessita' di riuscire a intervenire sulla cosiddetta Costituzione europea
prima che essa venga "blindata" sulle pessime posizioni che attualmente
contiene ed enuncia; e di riuscire a influire sui programmi delle forze
politiche e dei candidati che comporranno il parlamento europeo che sortira'
dalle elezioni del 2004.
O ci si riesce adesso, o sara' un altro appuntamento mancato, poiche' allo
stato attuale sia la bozza di Costituzione, sia le posizioni egemoni nel
parlamento europeo, sono pressoche' del tutto supine alla logca militarista
e bellicista che rischia di travolgere il diritto e le relazioni
internazionali in un spirale di guerre, rapina e terrore.
5. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: PER UNA POLITICA DI DISARMO IN EUROPA (UN
CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE)
[Ringraziamo Nella Ginatempo (per contatti: nellagin@tiscali.it) per averci
messo a disposizione questo intervento presentato tempo fa al forum sociale
di Firenze. Nella Ginatempo e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei
movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti;
e' docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha
tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche
sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della
sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa
in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione
sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello
Stretto, 1999]
Il vertice Nato di Praga ha sancito il sostegno politico e all'occorrenza
militare dei paesi Nato alla guerra di Bush, di cui l'Iraq costituisce la
tappa cruciale.
Infatti la guerra preparata contro l'Iraq e teorizzata nella aberrante
teoria della guerra preventiva non solo costituisce l'ultima gigantesca
infamia ma anche il pericolosissimo varco di una soglia per tutta
l'umanita'.
A differenza del passato, il nuovo volto della guerra non cerca piu' di
nascondere i propri orrori con la giustificazione di rispondere ad un nemico
reale, ma si autoimpone al mondo come licenza pubblica di uccidere senza un
nemico ovvero contro una minaccia potenziale o virtuale, del tutto
costruita). Si tratta dunque di una strage degli innocenti gia' annunciata
che si svela finalmente senza piu' maschere nella sua vera veste di
terrorismo di Stato.
Per questo l'opposizione della coscienza collettiva contro questa guerra in
Iraq e' dilagata sia in Europa che negli Usa, contaminando anche i settori
sociali che in precedenza avevano approvato la "guerra umanitaria" e la
"guerra al terrorismo". L'opposizione di massa a questa guerra in Iraq puo'
dunque diventare nell'attuale fase, non solo il tentativo di salvare
migliaia di civili in Iraq, condizionando i governi e le scelte
internazionali, ma anche l'inizio di una opposizione permanente alla guerra
per una nuova politica di disarmo.
La nostra prospettiva internazionalista richiede oggi un salto di qualita'
nel conflitto sociale internazionale per fare della pace e del diritto alla
pace per i popoli la leva del nuovo mondo da costruire. Non bastano oggi, di
fronte all'offensiva della guerra infinita, le battaglie di testimonianza o
di opinione pubblica: il popolo afghano e' stato devastato, il popolo
palestinese e' in agonia, altri popoli, a partire dal gia' martoriato popolo
dell'Iraq, verranno colpiti per difendere gli interessi economici e
geopolitici del nuovo "Impero". Non basta che obiettiamo e diciamo "non in
nostro nome, non col nostro denaro". E' drammaticamente urgente un grande
processo di unificazione del movimento dei movimenti e di conflitto coi
nostri governi di guerra per ottenere il disarmo e lo stop alla funesta
"Liberta' duratura" di uccidere.
*
Riarmo o disarmo in Europa?
Un memorabile discorso di Rosa Luxemburg al Parlamento tedesco contro il
riarmo e per la riconversione delle spese militari in spese sociali ci
indica ancora oggi una strada.
Siamo di nuovo, in circostanze del tutto cambiate, su un crinale della
storia d'Europa: siamo chiamati a scegliere come edificare la nuova Europa:
della guerra o della pace.
Il riarmo in Europa ha significato:
- nuovo modello di difesa europeo con la generalizzazione in tutte le
nazioni, compresa l'Italia, dell'esercito professionale;
- acquisto di nuovi armamenti;
- incremento della militarizzazione dei territori con la Nato europea e
liberalizzazione del commercio delle armi (attacco alle leggi vincolistiche
come la 185 in Italia).
Questa politica estera porta inevitabilmente all'aumento generalizzato delle
spese militari (in Italia + 10% negli ultimi anni, fino a oltre 500 milioni
di euro per il 2003) con grande sacrificio di risorse che vengono cosi'
sottratte alle spese sociali; contribuendo in tal modo al peggioramento
delle condizioni di vita collettive.
Il volto oscuro di un'Europa sempre piu' militarizzata, xenofoba e chiusa ai
flussi di migranti ed ai diritti sociali, si afferma nei fatti, nella
Costituzione materiale, mentre si e' adottata una Carta dei diritti
dell'Unione europea in cui si ignora la questione della guerra e si
misconosce il diritto alla pace.
Il Nuovo concetto strategico della Nato, varato a Washington il 24 aprile
del 1999, e' stato.definitivamente sancito nell'ultimo vertice di Praga:
ribadendo il nuovo ruolo degli interventi militari oltreconfine per motivi
di sicurezza ( e non piu' per semplice difesa dei territori interni ai
confini degli Stati partecipanti alla Nato): a questo punto, quindi,
l'Italia aderisce non piu' ad un patto atlantico di difesa, ma ad un patto
di aggressione militare verso gli altri popoli della terra. E questo
riguarda tutta l'Europa e tutti i paesi aderenti alla Nato.
Significa anche che l'Italia, aderendo a questa opzione bellica ed a queste
scelte materiali, economiche e geopolitiche, rompe il proprio patto di
cittadinanza tra popolo e Stato. Infatti il vincolo della nostra
Costituzione stabilisce il divieto assoluto di muovere guerra ad altri
Stati, e il divieto assoluto di usare la guerra come mezzo per risolvere le
controversie internazionali.
Le forze politiche in campo europeo (salvo rare eccezioni) presentano due
modelli alle scelte dei popoli: secondo loro si tratta di scegliere se avere
un ruolo complice come alleati supini alle scelte Usa, che sostengano tutte
le conseguenze distruttive della guerra permanente globale, oppure
perseguire (come indica una certa linea europeista di "centrosinistra") una
politica di riarmo europeo per dare all'Europa un ruolo di potenza militare,
oltre che economica, che fronteggi gli Usa nella competizione globale (ed
all'occorrenza ne freni gli eccessi di onnipotenza) ma partecipi tuttavia
con un suo ruolo alla gestione armata del nuovo ordine mondiale ed alla
spartizione del bottino (risorse energetiche, mercati).
Anche le posizioni di aperta critica della politica militare Usa che stanno
emergendo attualmente in seno all'Unione europea e presso la Francia e la
Germania (sulla Palestina, sull'Iraq e col dissenso sull'"asse del male" di
Bush e sull'allargamento della guerra ad altri Stati) non sfociano poi in
nessuna proposta chiara di disarmo e pacificazione poiche' nessun governo
europeo rinuncia all'opzione militare (a favore delle vie diplomatiche e
della pratiche di vera cooperazione), anche in funzione di interessi
economici che guidano la ricolonizzazione in Africa, i corridoi energetici
nei Balcani ed in Asia, il sostegno al commercio delle armi, alla finanza
armata ed a tutta l'economia di guerra.
*
Dalla guerra militare economica e sociale al disarmo militare economico e
sociale
L'anno scorso manifestavamo a Roma il 10 novembre contro la guerra in
Afghanistan con un grande striscione che diceva "No alla guerra militare
economica e sociale". Cio' perche' e' consapevolezza comune che la guerra
sia un sistema: i bombardamenti sono il volto militare della ingiustizia
globale.
Ma oggi si tratta di passare dalla protesta al progetto per una nuova
Europa: l'Europa del disarmo.
E per disarmo dovremmo intendere specularmente il disarmo militare,
economico e sociale.
Disarmo militare corrisponde ad una fuoruscita dell'Europa dalla guerra
militare:
- a livello istituzionale e giuridico assumendo nella nuova Costituzione
Europea il ripudio della guerra e il diritto alla pace per tutti i popoli
del mondo;
- a livello di scelte di riarmo, praticando la contestazione del nuovo
modello di difesa armato che si fonda sulla commistione indebita tra difesa
e guerra, e realizzando la Difesa popolare nonviolenta e i Corpi civili di
pace;
- chiedendo la chiusura delle basi militari, denunciando la nuova Nato e i
trattati o i nuovi patti che impongano guerre di aggressione contro gli
altri popoli e rifiutando lo scudo spaziale e i programmi di riarmo
nucleare.
Per disarmo sociale intendo soprattutto il rilancio dello Stato sociale in
sostituzione dello Stato militarista, attraverso una vasta campagna contro
l'aumento delle spese militari per riconvertirle in spese sociali, per la
redistribuzione dei redditi sociali e per la protezione civile dei
territori, quanto mai urgente oggi in tutta Europa.
Con disarmo economico si indica soprattutto:
- il passaggio dalla finanza armata alla finanza etica attraverso una
campagna di boicottaggio delle banche armate;
- il passaggio dalla economia di guerra alla economia di pace attraverso la
riconversione ad usi civili dell'industria bellica, con il necessario
coinvolgimento dei sindacati, ed una campagna contro la produzione e il
commercio degli armamenti.
Questa Europa del disarmo comincia dall'opposizione qui e ora alla guerra
preventiva in Iraq con la mobilitazione globale di tutta la societa' civile.
6. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: IL BISOGNO DI SICUREZZA E LA DIFESA CIVILE
PER L'EUROPA (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE). PARTE PRIMA
[Siamo assai grati a Francesco Tullio (per contatti:
psicosoluzioni@francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo
suo saggio - di cui pubblichiamo oggi la prima parte - aggiornato per
l'occasione. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della
nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale
e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione
nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina
e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista,
psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e
trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di
psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al
master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001,
ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno
1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito:
www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha
coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del
Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il
confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali.
Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e
formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e
dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace;
numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in
Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in
pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei
servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero
professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso
e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica
dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e
nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la
prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di
incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione
dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di
crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un
contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti
intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi
della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse
pubblicazioni]
1. Il bisogno di sicurezza
Dopo l'11 settembre 2001 emerge un filo conduttore ampiamente condiviso
nella riflessione dell'Occidente: evento traumatico, minaccia del
terrorismo, bisogno di sicurezza, bisogno di difesa. Delle divergenze si
rilevano invece nelle analisi delle radici del terrorismo e nelle scelte
operative. L'oggetto di questo intervento e' l'interpretazione della
sicurezza.
La nozione di sicurezza nelle scienze politiche viene tradizionalmente
connessa a due settori, quello estero e quello interno.
Il primo tratta le eventuali minacce provenienti da altri paesi a cui si
risponde operativamente con la disponibilita' di un potenziale militare
adeguato a dissuadere eventuali aggressori, ma spesso anche idoneo a
tutelare con la forza i propri interessi all'estero.
L'altra accezione del termine sicurezza tratta il rischio per l'integrita'
dello stato di fronte ad organizzazioni politiche, movimenti criminali e
tendenze disgreganti interne.
Questo seconda implicazione rimanda operativamente perlopiu' alla
disponibilita' di adeguate forze di pubblica sicurezza.
Dalla fine della guerra fredda risulta evidente che le minacce alla
sicurezza di un paese o di una societa' non sono piu' solamente di tipo
classico: la crisi ecologica globale, con la minaccia di un repentino
cambiamento climatico, rappresenta un pericolo sempre piu' concreto, al
quale naturalmente non esiste una risposta armata.
*
Il concetto classico e' stato ridefinito negli anni '90 in particolare da
Buzan, che ha introdotto le cinque dimensioni seguenti della sicurezza: 1.
militare, comprendente le capacita' offensive e difensive degli stati e le
percezioni relative; 2. politica, riguardante la stabilita' degli stati in
quanto organizzazioni; 3. economica, riguardante la stabilita' dei rapporti
finanziari, commerciali e produttivi; 4. sociale, che si rifa' agli aspetti
culturali, linguistici e religiosi del vivere comune; 5. ambientale, che
riguarda il mantenimento della biosfera e degli ecosistemi locali (1).
Questa nuova nozione di sicurezza e' stata fatta propria dalle autorita'
politiche e militari dell'Occidente per esempio nello Strategic concept
della Nato dell'aprile del 1999 che recita al par. 25 "l'Alleanza si impegna
in un approccio ampio alla sicurezza, che riconosce l'importanza dei fattori
politici, economici, sociali e ambientali in aggiunta all'indispensabile
dimensione della difesa".
Tale riconoscimento di principio tarda a tradursi in adeguate linee
operative. La complessita' del sistema con le sue contraddizioni, le sue
smagliature, le sue lotte di potere e di possesso non hanno potuto prevenire
la catastrofe dell'11 settembre.
Si e' affermato che nel nuovo sistema globale non vi puo' essere sicurezza
se non nella sicurezza reciproca e multidimensionale (2). Tuttavia si tarda
ad aggiornare i programmi di difesa, incentrati sulla potenza bellica e
repressiva, alla nuova concezione ampia della sicurezza. Evidentemente
esiste nei fatti una logica diversa da quella affermata. Qualcuno,
applicando l'arroccamento militare e fomentando la contrapposizione
violenta, in base ad un proprio calcolo di costi/benefici, ritiene ed
afferma implicitamente che questa sia la strada che offre maggiori
probabilita' di tutela della propria comunita' e dei propri interessi (3).
Dopo l'11 settembre "si parlo' dalle due parti dell'oceano di una minaccia
unificante del terrorismo, che non veniva dall'Islam ma da una delirante
estremizzazione ideologica, e che avvertivamo come una minaccia per la
civilta' che noi europei e americani, insieme, incarnavamo. E' emerso in
modo sempre piu' vistoso che, da parte dei neoconservatori americani, il
bisogno di sicurezza viene fatto prevalere sull'ordine internazionale
garantito dalle istituzioni sopranazionali. E quindi ci siamo ritrovati
davanti ad un'America che si affida a quella che noi europei abbiamo
abbandonato da un secolo, e cioe' la 'Macht-Politik' che oggi premia gli
Stati Uniti e domani potrebbe premiare la Cina" (4).
*
Il bisogno di sicurezza, in questo passaggio di Giuliano Amato, viene dunque
contrapposto operativamente all'ordine internazionale. L'ordine
internazionale e l'ordine europeo sono in fondo anch'essi risposte al
bisogno di sicurezza, ad un certo tipo di visione della sicurezza, piu'
basata sulla ricerca del dialogo. La realizzazione di queste scelte non puo'
prescindere pero' dalla considerazione degli strumenti e degli attori
tradizionali che il sistema adottava per la propria sicurezza.
E' irrealistico pensare che le componenti della societa' e delle istituzioni
nazionali europee, che si sono occupate finora della sicurezza in termini
classici accettino di collaborare al piano europeo senza avere alcun ruolo.
La difesa europea dovra' quindi contemplare entrambi questi elementi
calibrandoli sapientemente, senza permettere che la foga difensiva
tradizionale ostacoli la costruzione del dialogo anche con i potenziali
avversari.
La discussione politica fra Usa ed Unione europea a due anni circa dall'11
settembre 2001 verte di fatto su quale combinazione di queste opzioni si
possa mediare.
Un avanzamento nel senso della nuova concezione della sicurezza e' avvenuto
nella bozza di costituzione europea che nella parte I, titolo V, articolo
40 sulle "Disposizioni particolari relative all'attuazione della politica di
sicurezza e di difesa comune" che recita: "1. La politica di sicurezza e di
difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di
sicurezza comune. Assicura che l'Unione disponga di una capacita' operativa
ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione puo' avvalersi di tali mezzi
in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la
prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale,
conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite".
Tuttavia nella bozza di convenzione e' stata anche inserita una proposta di
agenzia per gli armamenti.
Le reti europee con le quali il Centro studi difesa civile collabora (
Eplo - European Peace Liason Office) propongono per equilibrare il peso di
una tale agenzia, una modifica al testo della convenzione che preveda la
realizzazione accanto alla Agenzia per gli armamenti di una Agenzia del
Peacebuilding e per la gestione costruttiva dei conflitti.
La politica dell'Unione europea e' molto orientata alla prevenzione dei
conflitti. La stessa Unione e' il risultato di una riduzione delle
sovranita' nazionali in una logica di dialogo e di prevenzione che dovra'
essere auspicabilmente applicata anche ad ulteriori ambiti.
Se dunque l'Unione intende garantire la propria sicurezza con mezzi sia
civili che militari, e' opportuno che non esista solo una agenzia europea
sugli strumenti militari, ma che se ne costituisca anche una sul
peacebuilding.
Conviene orientare tutte le energie a raggiungere questo obiettivo, anziche'
disperdersi in polemiche con gli altri operatori della sicurezza, con i
quali spesso non concordiamo ma dei quali ho imparato ad apprezzare spesso
l'onesta' intellettuale e la fedelta' alla Costituzione.
*
Note
1. Barry Buzan, People, States and fear. An agenda for international
security studies in the post-Cold War era, Hempstead: Wheatsheaf, 1991.
2. Io stesso ho ripreso tale affermazione nella ricerca effettuata per il
Cemiss: La difesa civile ed il progetto Caschi Bianchi, peacekeepers civili
disarmati, Franco Angeli, Roma 2001.
3. Quali siano queste comunita' ed interessi sara' difficile farlo
riconoscere esplicitamente.
4. Intervista a Giuliano Amato, "La Repubblica", 9 aprile 2003.
(Continua)
7. TESTIMONIANZE. MICHELE GIORGIO INTERVISTA HANAN ASHRAWI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 ottobre 2003. Michele Giorgio e'
corrispondente da Gerusalemme del quotidiano. Hanan Ashrawi, una delle
figure piu' autorevoli della societa' civile palestinese, dirige il centro
"Miftah" per la diffusione della democrazia e il rispetto dei diritti umani]
Molte personalita' palestinesi si sono schierate in questi tre anni di
Intifada contro gli attentati kamikaze compiuti contro i civili all'interno
del territorio di Israele. Tra questi c'e' anche la signora Hanan Ashrawi
che, se da un lato condanna nel modo piu' esplicito l'occupazione militare
israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, dall'altro giudica in
modo negativo la svolta armata compiuta dall'Intifada. Storica portavoce
palestinese, molto nota e stimata all'estero, Hanan Ashrawi dirige il centro
"Miftah" per la diffusione della democrazia e il rispetto dei diritti umani.
L'abbiamo raggiunta a Ramallah, la citta' della Cisgiordania dove vive e
lavora.
- Michele Giorgio: Signora Ashrawi, lei ha piu' volte criticato la
trasformazione dell'Intifada da lotta popolare a lotta armata e ha
condannato gli attentati kamikaze contro obiettivi civili in Israele.
- Hanan Ashrawi: Si', e' vero, su questo punto mi sono espressa sempre con
estrema chiarezza. Sono contro gli attacchi che colpiscono civili e persone
innocenti, da tutte e due le parti. Ho sempre creduto che l'Intifada dovesse
rimanere una rivolta dello spirito, una rivolta morale, fatta di resistenza
pacifica all'occupazione israeliana. Ma c'e' di piu'. Chi organizza ed
esegue gli attentati ha una gravissima responsabilita' anche nei confronti
dei palestinesi perche' fa il gioco del governo israeliano. Ariel Sharon,
approfittando dello sdegno provocato dopo l'11 settembre 2001, e' riuscito a
descrivere la lotta dei palestinesi come una forma di terrorismo, simile a
quello di Al Qaeda. Quindi gli attentatori non solo hanno ucciso persone
innocenti ma hanno anche danneggiato la causa palestinese. Nel momento in
cui abbiamo bisogno di ottenere maggior aiuto internazionale per contrastare
l'aggressione militare israeliana e bloccare il muro che viene costruito
intorno alle nostre citta', questi attentati invece danno una mano proprio
alla strategia di Sharon.
- M. G.: Qualche giorno fa l'Intifada ha compiuto tre anni. Qual e' il suo
bilancio della lotta contro l'occupazione militare israeliana?
- H. A.: Come ho detto in precedenza una rivolta fatta di manifestazioni
popolari e movimenti di massa avrebbe avuto, a mio avviso, risultati piu'
concreti per la nostra causa rispetto alla lotta armata alla quale
assistiamo ora. Fatta questa premessa, posso dire che per noi palestinesi
sono stati tre anni di dolore, nei quali abbiamo perduto altre porzioni
della nostra terra, case, proprieta', e soprattutto tante vite umane che
sono uniche, insostituibili. Allo stesso tempo abbiamo anche chiarito al
mondo intero che non saremo sconfitti dalla potenza dell'esercito israeliano
e che non rinunceremo mai ai nostri diritti che sono sanciti dalle
risoluzioni internazionali nonostante la brutalita' dell'occupazione. I
palestinesi soffrono ma vanno avanti, certi che riusciranno a far valere i
loro diritti.
8. INIZIATIVE. GIULIO VITTORANGELI: BHOPAL IN ITALIA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali
collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre
1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e
alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una
lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il
responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso
numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in
rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche
un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento,
riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la
solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita'
pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti
di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni;
tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati
gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e
le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di
innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio
1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica
desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita'
umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione,
Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da
soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa
Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica,
Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali,
Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca
della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta'
internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente
insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di
politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale
viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997).
Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'". Tra le opere di Xabier
Gorostiaga: (a cura di, con George Irvin), Un'alternativa politica per
l'America Centrale, Edizioni Associate, Roma 1986]
In un luogo suggestivo come i "Mercati Traianei" a Roma, si svolge (fino al
15 ottobre) una mostra fotografica, promossa da Greenpeace, su Bhopal.
Le foto in bianco e nero di Raghu Rai, grande reporter indiano della Magnum,
sono state scattate dalla mattina dopo l'incidente che provoco' il piu'
grande disastro industriale della storia. 7.500 furono i decessi
immediatamente dopo la fuoriuscita (per errore della Union Carbide) della
nube tossica (40 tonnellate di gas) della fabbrica di Bhopal nella notte fra
il 2 e 3 dicembre 1984; sedicimila le persone morte in seguito, e quasi
mezzo milione quelle che ne hanno successivamente comunque subito gli
effetti.
Inquinamento delle acque, danni ambientali ed economici a scapito di
popolazioni, ovviamente, poverissime.
A distanza di quasi vent'anni nessuna bonifica e' stata fatta: la gente
continua ancora a bere acqua inquinata e ad ammalarsi. La Dow Chemical
rifiuta di prendersi la responsabilita' del disastro, nonostante abbia
acquistato la Union Carbide. La Dow Chemical, tra le altre cose, e' una
delle sette compagnie multinazionali responsabili della produzione, l'uso e
il commercio del pesticida Nemagon (nel momento in cui era divenuto illegale
negli Stati Uniti) nelle piantagioni di banane in Centroamerica.
Contadini e contadine che non hanno avuto altra alternativa se non quella di
trascorrere intere giornate sotto il sole cocente delle bananeras per un
dollaro al giorno, per finire morti o malati a causa dell'esposizione e il
contatto prolungato con il Nemagon.
Per ricordare il piu' grave disastro chimico della storia Greenpeace ho
organizzato un tour italiano della mostra che e' iniziato a Bologna, e'
proseguito a Milano, Napoli, Cagliari e Roma, e si concludera' a Porto
Marghera.
La mostra, presentata a Johannesburg al vertice sulla Terra, e' gia' stata
esposta, naturalmente, in India, e in diversi paesi europei. Nelle immagini
di Raghu i protagonisti sono i sopravvissuti, che nel racconto delle loro
terribili vicende rappresentano un monito per non fermarsi nella ricerca
della giustizia.
E' l'ennesima conferma di come la presente tipologia di cultura dominante e
di "civilta'" globalizzata sta conducendo il mondo verso il baratro: "Il
progresso ha un prezzo / per vivere meglio / e' necessario morire peggio /
accettare l'equivalenza / muore chi non mangia / e muore / chi mangia in
eccedenza / ma meglio vivere un giorno da mangioni / che cent'anni da
anoressico (...) danni e non danni / ambiente e sviluppo / se non si muore
di fame oggi / ma di cancro domani / si e' ottenuta la grazia / per
vent'anni / si vuole forse vivere in eterno? / Dacci allora / dio della
storta / e del reagente / il nostro pesticida quotidiano / perche' chi ha
fame e sete / di giustizia / mangi un po' di parathion / beva molta atrazina
/ e qualche altra / miracolosa delizia. / Venga il tuo regno / l'oceano
verde del mais / la citta' del sole di Bhopal / dove si e' lavorato / tanto
per la vita / che la vita e' sparita / e il benessere e' arrivato davvero /
cominciando con l'ampliamento / del cimitero." (da La ballata del dottor
Das, di Giorgio Celli).
Intanto da noi e' bastato un blackout, con l'Italia rimasta al buio nella
notte fra il 27 e 28 settembre, per dare la via ad un mucchio di stupidate:
"abbiamo poche centrali! Urge il nucleare!" ecc. ecc. La realta' e' che la
condizione del mondo e' giunta agli estremi, non si puo' piu' ignorare il
paradigma generale dell'ecologia, e i margini sono molto ristretti: forse
sara' decisivo il tempo della prossima generazione, quello di chi si
affaccia ora alla vita. I temi del pacifismo e della solidarieta' si fondono
con il problema ecologico. Sono problemi che richiedono una lunga
maturazione di coscienza e delle grandi e coraggiose scelte che vanno in
direzione opposta al nostro attuale modo di produrre e consumare.
9. RILETTURE. LAURA BOELLA, ANNAROSA BUTTARELLI: PER AMORE DI ALTRO.
L'EMPATIA A PARTIRE DA EDITH STEIN
Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire
da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, pp. 118, euro 8,25.
Un'acuta riflessione muovendo dalla figura e dal pensiero della grande
filosofa.
10. RILETTURE. SIMONA FORTI (A CURA DI): HANNAH ARENDT
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp.
XXXIV + 318, lire 25.000. Una utile raccolta di saggi sulla grande
intellettuale.
11. RILETTURE. GABRIELLA FIORI: SIMONE WEIL
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1981, 1990, pp. 494, lire
20.000. Uno dei libri migliori sulla grande pensatrice.
12. RILETTURE. NADIA NERI: UN'ESTREMA COMPASSIONE. ETTY HILLESUM TESTIMONE E
VITTIMA DEL LAGER
Nadia Neri, Un'estrema compassione; Etty Hillesum testimone e vittima del
Lager, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 176, euro 9,30. Una assai fine
monografia sulla grande testimone.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 699 del 10 ottobre 2003