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La nonviolenza e' in cammino. 697



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 697 dell'8 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Alcuni incontri ad Asti, Gubbio, Napoli, Roma e Perugia
2. Il "Cos in rete" di ottobre
3. Natalino Albineri: sulla proposta di Lidia Menapace
4. Maria Teresa Gavazza: sulla proposta di Lidia Menapace
5. Carlo Schenone: sulla proposta di Lidia Menapace
6. Giovanni Battista Zucconi: sulla proposta di Lidia Menapace
7. Giancarla Codrignani: nazionalismi, patriarcato, donne
8. Ida Dominijanni: dentro, fuori, in mezzo
9. Monica Lanfranco: dal dialogo alla nonviolenza
10. Peppe Sini: tre subalternita': da Seattle a Praga (un appello del 4
ottobre 2000)
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. ALCUNI INCONTRI AD ASTI, GUBBIO, NAPOLI, ROMA E PERUGIA
[Da vari interlocutori riceviamo e diffondiamo]
Asti: "Nonviolenza per l'Europa"
Il Comune di Asti in collaborazione con il Centro studi "Sereno Regis" ed il
polo universitario di Asti promuove giovedi' 9 ottobre, alle ore 17,30,
presso l'aula 3 della sede dell'Universita' di Asti in via G. Testa 89, un
convegno su: "Nonviolenza per l'Europa". Interverra' la professoressa Angela
Dogliotti Marasso, del Centro studi "Sereno Regis" di Torino.
Per informazioni: at0047@biblioteche.reteunitaria.piemonte.it
*
Gubbio: "Stop the wall"
Tra le iniziative che precedono l'Onu dei popoli, "Action for peace",
nell'ambito della campagna nazionale contro il muro di separazione avviata
nel mese di giugno, con l'adesione della "Rete ebrei contro l'occupazione" e
del "Movimento palestinese per la democrazia e la cultura", promuove
l'incontro "Stop the wall", l'8 ottobre, alle ore 16,30, presso il Centro
servizi S. Spirito, piazzale Frondizi, a Gubbio.
Intervengono: Yana Knopova (Coalizione delle donne per la pace - Israele),
Riziq Abunasser (rappresentante del villaggio palestinese di Mas'ha), Sergio
Bassoli, Gianfranco Benzi, Stefano Cimicchi, Michele De Palma, Andrea
Genovali, Roberto Giudici, Sveva Haertter, Renzo Maffei, Alessandra Mecozzi,
Gennaro Migliore, Federica Miralto, Luisa Morgantini, Maurizio Musolino, Ali
Rashid.
*
Napoli: "Il Dio delle donne"
L'8 ottobre alle ore 17,30 presso l'istituto per gli studi filosofici di
Napoli si terra' la presentazione del libro della filosofa Luisa  Muraro, il
Dio delle donne. Interverranno l'autrice, Bruno Forte e Adriana Valerio.
Per informazioni: Associazione culturale Evaluna, e-mail:
libreriadelledonne@evaluna.it
*
Roma: "Dal sud al nord, donne nei media"
Mercoledi' 8 ottobre, alle ore 18, alla libreria Zora Neale Hurston, Casa
internazionale delle donne, via della Lungara 19, a Roma, si terra'
l'incontro organizzato da "Femmis" e "Il paese delle donne" per presentare
il libro "Dal sud al nord, donne nei media" ed un progetto di formazione
giornalistica di donne in Africa, per parlare della funzione dei mezzi di
comunicazione per le donne in Africa e non solo.
Saranno presenti Daniela Maccari, suora comboniana redattrice del sito
www.femmis.org, dona Cecilia Nampete del Mozambico, che ha partecipato al
progetto, e Maria Dulche Araujo dell'Associazione donne capoverdiane in
Italia.
Per informazioni: www.femmis.org, www.womenews.net
*
Perugia: Onu dei popoli e marcia Perugia-Assisi
Ricordiamo che dal 4 al 12 ottobre, per iniziativa della Tavola della pace e
del Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani,
si svolge la quinta assemblea dell'Onu dei popoli (le sessioni culminanti si
terranno dal 9 all'11 a Perugia, molti altri incontri sono in corso in varie
citta' d'Italia) che il 12 ottobre si concludera' con la marcia per la pace
da Perugia ad Assisi.
Per informazioni: tel. 0755736890, e-mail: info@perlapace.it, sito:
www.tavoladellapace.it

2. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI OTTOBRE
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail:
capitini@tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo]
Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di ottobre 2003 del C.O.S. in rete,
www.cosinrete.it, una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla
stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo.
Tra cui: L'onore riparato; Torture for ever; La Svezia e le tasse; Petrarca
e Battisti; Le due torri e Cancun; Lee e la sinistra; I poveracci; Il
mestiere delle armi; Totalitarismo imperfetto; La protesta laureata; Quello
strano cristiano; Lo squinternato; Muri e cancelli; Il signore fa i suoi
comodi; ed altri ancora.
Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale
sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S.
in rete e' libera e aperta a tutti.

3. RIFLESSIONE. NATALINO ALBINERI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo il caro amico Natalino Albineri per aver voluto anche lui
contribuire a questa riflessione. Natalino Albineri e' stato insegnante e
conduce una vita appartata (e naturalmente rispettiamo la sua privacy)]
Cari amici,
sui temi evocati e implicati dalla proposta di Lidia Menapace vorrei
proporre alla riflessione comune, ed alla franca discussione quindi, tre
pensamenti soltanto: i primi due scritti alla brava, il terzo piu' meditato
anche se non meno ellittico; e a mo' di congedo una dichiarazione di
apprezzamento e sostegno alla proposta che spero si traduca in iniziativa.
*
1. Un'Europa, anzi due
L'Europa che si e' usi chiamare occidente (la terra del tramonto, quindi) si
e' costituita in opposizione alla Persia, a Cartagine, all'Islam, all'impero
ottomano, al favoloso oriente e al nuovo mondo.
L'Europa e' un'espressione geografica e storica che trae origine dalla
reiterazione di un atto di opposizione: il se' contro l'altro, noi versus
loro, ed ovviamente - come tutte le culture oppositive ed esclusive - la
grottesca pretesa di essere la civilta' contro la barbarie, la storia contro
la natura, il soggetto contro l'oggetto. Questa storia va superata (ma nel
senso - chiedo venia, e chiedo venia anche dell'ironia - hegeliano del
termine).
Ma e' anche, questa Europa, e di genti e di tradizioni le piu' diverse un
crogiuolo; con tutta la sua prosopopea sui propri quarti di nobilta', e'
vivaddio meticcia, ed e' grande e ci e' preziosa proprio grazie a questo suo
meticciato. Ma anche questo meticciato deve divenire vieppiu' trasparente a
se stesso, consapevole che la sua fecondita' e' nel riconoscimento delle
peculiarita' e nella necessita' di tutte le sue radici, consapevole che
l'incontro si da' solo quando l'altro e' accolto e non subornato,
consapevole che uguaglianza e diversita' si implicano e si fondano
reciprocamente.
Ma nell'Europa geografica l'Unione europea nasce da quella serie di scelte e
di accordi (la Cee e via di seguito) che si costituirono, nel continente
riemerso dallo scempio delle due guerre mondiali, in opposizione al defunto
campo del cosiddetto "socialismo reale", ed in funzione del consolidamento
della dominazione capitalistica.
Anche qui: cio' che e' morto fa presa su cio' che e' vivo; anche qui,
occorrera' un superamento, che sia elaborazione del passato, assunzione di
responsabilita', scelta di mutamento - anche di paradigma: nella direzione
indicata da Hannah Arendt e Virginia Woolf, da Hans Jonas e Vandana Shiva,
da Danilo Dolci e Giuliano Pontara; nella direzione indicata dal movimento
delle donne, dalla "corrente calda" del movimento operaio, dai movimenti
libertari, ecopacifisti, antirazzisti e solidali; nella direzione della
nonviolenza in cammino.
E se oggi l'Europa geografica e quella istituzionale tendono ad incontrarsi,
con l'espansione ad est dell'Unione fino ai confini di una Russia forse oggi
ancora relativamente troppo grande per stare dentro l'Unione (poiche' gia' a
sua volta Confederazione, e per cosi' dire balena in una vasca da bagno),
questo apre nuove prospettive e contraddizioni nuove; e dipendera' anche da
noi se feconde di giustizia e liberta', o di nuovo fascismo: poiche'
l'Europa dei paesi e dei popoli ricchi e consumisti e quella dei paesi e dei
popoli poveri e consumati dovranno insieme ridefinire molte cose, ed a noi
sara' chiesto di condividere molti beni materiali frutto di prvilegio e di
rapina, ma sia a noi che a loro sara' chiesto di far cessare la rapina,
nostra anche verso di loro, nostra e loro verso il sud del mondo dall'Europa
per secoli e tuttora saccheggiato e depauperato.
Dovremo pur fare i conti con il nostro passato, per poter fare i conti col
nostro futuro.
*
2. Due Europe, anzi una
Ma venendo all'Europa geografica gia' inscritta nella cornice istituzionale
dell'Unione europea, e' una opinione che non mi convince - una delle tante
che per esser all'infinito ripetute non per questo diventano persuasive -
quella che contrappone un'Europa dei governi autoritari e delle istituzioni
asservite al neoliberismo a un'Europa dei movimenti libertari e dei diritti
sociali.
Perche' invero nell'area dell'Unione vi e' un'Europa soltanto: quella della
rapina e del privilegio di cui tutti godiamo. E a vantaggio dei governi vi
e' di essere frutto di elezioni democratiche, mentre vari movimenti sono
minoranze (sovente infime) che rappresentative si autoproclamano (sovente
senza verifica alcuna), e i cui leader talora sono figuri dagli
atteggiamenti e dai ragionamenti cosi' lugubri e totalitari che e' una vera
fortuna che non abbiano il potere politico.
E le istituzioni hanno sui movimenti il vantaggio di essere comunque garanti
di civile convivere e di fondarsi su leggi, mentre taluni gruppi in fusione
sovente sono affetti da delirio di onnipotenza, e non mancano quelli che con
la pretesa millenaristica di salvare il mondo non esiterebbero a
distruggerlo secondo l'antico macabro adagio "fiat iustitia, pereat mundus".
Ed infine l'Europa istituzionale qualcosa di buono l'ha pur fatto e lo
garantisce: stato di diritto, elezioni democratiche, pubblicita' delle
decisioni del potere politico, separazione dei poteri, laicita' della cosa
pubblica.
E se nei sud del mondo l'Unione europea e singoli stati europei sono sovente
interpellati da stati e popoli come amici e in funzione di contrappeso alla
feroce bulimia americana, vi sono anche ragioni concrete e cogenti.
Ma detto tutto questo, va anche detto che i poteri politici europei -
dell'Unione, degli stati - anche e ancora di cotte e di crude ne commettono,
ed inenarrabili crimini: dalla guerra in giu'.
E che solo in un'azione tenace e profonda dei movimenti di pace e di
solidarieta', di resistenza e di liberazione, noi vediamo il cuore e il
motore di un cambiamento che dal profondo del cuore auspichiamo e per il
quale di mettersi in movimento vale la pena. Ma questa azione non basta che
sia tenace e profonda: deve essere anche limpida ed esatta (e quindi anche
esigente), e - se possiamo usare una parola capitiniana nel peculiare
significato che Aldo Capitini le attribuiva - persuasa. Deve essere azione
nonviolenta. Pensiero e azione nonviolenta. Nonviolenza in cammino.
*
3. Quale federalismo
C'e' un nodo politico, giuridico e politologico che non si puo' ne' eludere
ne' elidere: ed e' il nodo del federalismo. Su cui molto e acutamente ha
riflettuto soprattutto la tradizione anarchica da duecento anni in qua, da
Proudhon a Kropotkin a Bookchin, e su cui ovviamente hanno riflettuto
altresi' anche i protagonisti grandi di altre tradizioni di pensiero: da
Cattaneo a Spinelli.
Forse se la sinistra europea si fosse maggiormente interrogata su questo
tema, e se i movimenti sociali si fossero occupati di esso con attenzione e
rigore, oggi non saremmo in tante e tali aporie.
Ma quanto a questo basti avervi qui accennato; solo per dire che nel
passaggio dall'Europa fondata sugli stati-nazione a un'Europa che cerca
forme nuove di organizzazione istituzionale e di codificazione giuridica,
anche alla luce delle catastrofi belliche degli ultimi decenni (le guerre
cosiddette "etniche", la "nuova guerra" americana; i conflitti armati
cosiddetti "asimmetrici", etc.), occorrerebbe una riflessione che sia capace
anche di ricostruire le radici e le forme di un dibattito che ha una
storia - in furbesco: una coda - lunga, e perlopiu' negletta o rimossa,
cosicche' poi di tanto augusti e venerandi termini - come appunto
"federalismo" - si appropriano i ciarlatani e i totalitari (non solo del
totalitarismo burocratico, anche di quello plebiscitario e
pseudomovimentista) dell'ultim'ora, che ne abusano per coprire pratiche e
interessi che in se' sarebbero innominabili.
*
4. E quindi
E quindi ben venga una riflessione e un'iniziativa delle persone amiche
della nonviolenza su questa scala e su questi temi; e mi pare che rispetto
ad altre proposte quella formulata dalla "Convenzione permanente di donne
contro le guerre", e da Lidia Menapace per prima proposta e con piu'
convinzione e chiarezza sostenuta, sia fin qui la piu' nitida e acuta.
Riprendendo i termini che nel dibattito in corso mi pare siano ampiamente
condivisi: un'Europa che si vincoli giuridicamente alla neutralita' attiva;
che avvii disarmo e smilitarizzazione creando alternative, sia
occupazionali, sia di sicurezza e di difesa, sia di cooperazione
internazionale: riconversioni produttive, servizio civile, welfare
community; un modello di sviluppo sostenibile, autocentrato, con fonti
energetiche pulite e rinnovabili e tecnologie appropriate; difesa popolare
nonviolenta, corpi civili di pace; valorizzazione della cooperazione
internazionale decentrata ed attivazione delle risorse locali, delle
istituzioni di base e delle societa' civili.
Un'Europa che sia di sostegno a un'Onu rinnovata e democratizzata, che
agisca "per la pace con mezzi di pace", per i diritti, la liberazione e il
dialogo e la cooperazione tra i popoli, che sostenga l'impegno affinche'
tutti i diritti umani siano riconosciuti a tutti gli esseri umani.
Un'Europa insomma che inveri quel che di meglio la sua tradizione giuridica,
politica e culturale ha prodotto, ed orienti e ordini la sua azione alla
promozione della pace, della democrazia e dei diritti, informandola a quel
principio della "nonviolenza giuriscostituente" che e' tanto caro a chi
redige questo foglio.

4. RIFLESSIONE. MARIA TERESA GAVAZZA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Maria Teresa Gavazza (per contatti: teregav@tin.it) per questo
intervento. Maria Teresa Gavazza, storica, docente, e' impegnata da sempre
nei movimenti per la pace, di solidarieta', per i diritti umani]
Non e' facile inserirsi nel dibattito avviato da Lidia Menapace per
un'Europa neutrale ed attiva, disarmata, smilitarizzata e nonviolenta.
Dal Forum sociale europeo di Firenze il movimento di movimenti si e'
presentato come il nuovo interlocutore degli Stati travolgendo ogni steccato
ideologico e culturale.
Il 4 ottobre a Roma sono tornati a parlare i cittadini, cosi' come sara' per
il 14 novembre a Parigi.
E' la seconda Europa, dopo quella degli Stati. Non e' disposta a tacere, ma
vuole contribuire al grande progetto di un nuovo soggetto politico, tale da
bilanciare l'impero americano.
Sono due i punti di vista da cui partire: le donne e i giovani.
Rappresentano gli esclusi dalla politica tradizionale, cosi' povera  di idee
e di speranze.
La nuova resistenza si basera' sul dono e la gratuita', accompagnati da reti
solidali nei piccoli paesi come nelle citta'. La rivoluzione antropologica
del nuovo millennio sara' questa persona "inedita": un salto della specie
umana che richiedera' grande creativita' per inventare nuove forme della
politica, ma anche intelligenza critica per costruire culture che affondino
nel nostro piu' ricco passato per aprirsi a sperimentazioni globali.
Vorrei sognare cosi' un'Europa che possa superare le contraddizioni del
Novecento per ricominciare a lottare.

5. RIFLESSIONE. CARLO SCHENONE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Carlo Schenone (per contatti: e-mail: schenone@libero.it, sito:
www.schenone.8k.com) per questo intervento. Carlo Schenone e' da molti anni
a Genova una delle figure piu' impegnate nella riflessione sulla nonviolenza
e nella pratica di essa nei movimenti e nei conflitti sociali,
particolarmente attivo nella formazione; con una lunga, ampia e qualificata
esperienza sia di impegno politico e sociale di base, sia di rappresentanza
nelle istituzioni, sia di intervento meditato e propositivo nelle sedi
organizzative e di coordinamento, di dibattito e decisionali, dei movimenti
per i diritti]
Rileggendo il dibattito sulla proposta di una Europa neutrale ho provato un
certo disagio derivante da alcune perplessita' che ho fatto un po' di
difficolta' a razionalizzare. Tutti gli interventi che sono riuscito a
recuperare esaltavano la proposta con alcuni minime osservazioni
linguistiche riguardo al termine "neutrale". L'intervento di Tartarini ha
catalizzato le mie perplessita'.
Contrariamente a cio' che hanno affermato alcuni mi pare che la proposta non
sia per niente supportata da una visione costruttiva. Nel contesto attuale
sembra piu' un lancio per tacitare la propria coscienza nella certezza di
non dover far fatica per farla progredire rimanendo inesorabilmente lettera
morta che una proposta che intenda efficacemente raggiungere un risultato.
In confronto la richiesta di allontanare le basi Usa dall'Italia, lotta
decisamente minoritaria che non ha mai avuto l'appoggio neppure da parte di
molta sinistra sarebbe solo una piccola concessione ai pacifisti.
Per di piu' l'utilizzo del termine "neutrale" al meglio verrebbe associato
alla neutralita' svizzera dove i maschi vengono chiamati per anni ed anni a
svolgere un servizio militare intermittente pur nella comune coscienza che
non e' quell'esercito che difende la Svizzera da attacchi ma i soldi di chi
potrebbe attaccarla depositati nelle sue banche. Alla peggio la neutralita'
verrebbe interpretata con un arroccamento iperarmato di tutta l'Europa che
sta a guardare pur di non essere coinvolta.
Pensare di vedere riconosciuta la "neutralita'/non belligeranza" dell'Europa
andrebbe in contrasto con il graduale principio del transarmo che il
movimento nonviolento e pacifista propone da anni richiedendo un completo ed
improvviso cambio di prospettiva anche all'interno del modello militare
arrivando perfino a rafforzarlo, il tutto scelto e digerito nel giro dei
pochi mesi che sembrano mancare all'approvazione della Carta.
A queste altre perplessita' si sommano (alternativita' ad iniziative gia' in
atto, drenaggio di risorse da obiettivi realizzabili ed altre, non ultima la
visione iniziale antimaschilista)... Penso sarebbe piu' utile imparare a
costruire un dibattito che possa portare ad una proposta condivisa
componendo le visioni, le idee e i sentimenti che a poco a poco emergono
invece di inseguire proposte personali di alcune personalita', per quanto
significative. E questa e' una cosa che io, per esempio, ho imparato
soprattutto dalle donne.

6. RIFLESSIONE. GIOVANNI BATTISTA ZUCCONI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Giovanni Battista Zucconi per questo intervento, che estraiamo
da una piu' ampia lettera personale. Giovanni Battista Zucconi e' impegnato
in iniziative di pace e di solidarieta']
... A me sembra ovvio che questa proposta [la proposta di Lidia Menapace di
un'Europa "neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta" - ndr] non presume di risolvere tutti i mali del mondo e
neppure quelli del continente e neppure i malesseri di ognuna e ognuno di
noi miserelli.
Ha il merito infatti di essere definita, ovvero di avere un oggetto e per
cosi' dire un perimetro precisi, tali per cui su di essa si puo' discutere
anche con soggetti portatori di interessi e progetti diversi, cercando di
costruire il consenso su scelte specifiche, senza pretendere di imporre un
"programma massimo" irricevibile dalla gran parte non solo dei governi, ma
anche dei cittadini europei cosi' come oggi sono, con i loro vizi e le loro
virtu', i loro privilegi e le loro ragioni. Ma insieme essa giustamente
rifiuta la logica del "programma minimo" che solitamente porta non solo a
pessimi compromessi al ribasso, ma ad essere subornati se non addirittura
cooptati - e resi ad un tempo sudditi e vassalli - dai detentori del potere
fondato sulla dominazione dell'ingiustizia.
Alle persone che dicono che e' inutile battersi per qualcosa di meno che per
abbattere il capitalismo e cosi' e solo cosi' instaurare il "regno della
liberta'", vorremmo rispondere che, non avendo noi frequentato il corso per
corrispondenza per maghi e stregoni, cosi' come non abbiamo la sfera di
cristallo non abbiamo neppure la bacchetta magica che certo deve essere
stata data loro in dotazione con il relativo kit, e che non siamo poi cosi'
sicuri che "abbattuto il capitalismo" coi metodi che ingenuamente propugnano
(il famigerato forcipe, pessima occasionale battuta che e' contraddetta da
tutto cio' che vale dell'immenso lascito teorico e pratico di Marx) ci
lascerebbero un mondo abitabile; e viste le pregresse esperienze ne
dubitiamo assai.
Alle persone che dicono che il mondo (anzi: il Mondo) sara' sempre il
letamaio dei letamai perche' l'essere umano (anzi: l'Uomo) e' la sentina
delle sentine, vorremmo rispondere che per questo atteggiamento c'e' una
locuzione precisa, ed e': crogiolarsi nel brago.
Alle persone che fanno questione di paternita'  e primogeniture vorremmo far
rilevare che questa e' proprio la logica patriarcale e maschilista cui la
tradizione di pensiero e di esperienze da cui la proposta di Lidia Menapace
scaturisce si oppone riconoscendovi una delle scaturigini dell'oppressione
che tutte e tutti ci offende o offusca.
Alle persone che storcono il naso dinanzi al linguaggio giuridico (e
specificatamente dinanzi alla parola "neutralita'" di cui gran scandalo si
mena) nulla possiamo dire, se non che esso purtuttavia esiste, perche' le
leggi fortunatamente esistono, ed altrettanto fortunatamente possono essere
mutate e migliorate; e chi pensa di poterlo e poterle evitare chiudendo gli
occhi non si stupisca se poi il naso lo sbatte; del resto cosi' Diogene
cinico confutava chi negava l'esistenza del moto: semplicemente camminando.
*
Mi pare quindi che questa di Lidia Menapace sia una proposta forte, rigorosa
e adeguata.
Dovremo trovare il modo di sostenerla e diffonderla, di farne oggetto di un
dibattito pubblico che arrivi a conseguenze operative, e ad esiti pratici: e
particolarmente sia in relazione alla stesura definitiva della cosiddetta
"Costituzione" europea, sia nei confronti delle forze politiche e dei
candidati (e dei programmi e degli impegni degli uni e delle altre) che
comporranno il parlamento europeo che verra' fuori dalle elezioni del 2004.
La proposta di un'Europa "neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata,
solidale e nonviolenta", mi pare racchiuda un concreto "programma
costruttivo" (per usare l'opportuna terminologia gandhiana) che si articola
altresi' in processi, istituti, strutture ed azioni specifiche: dalla difesa
popolare nonviolenta ai corpi civili di pace, per citare solo due punti
qualificanti su cui la riflessione e' gia' particolarmente avanzata.
*
Naturalmente avanzare e praticare questa proposta comporta dover poi nella
pratica concreta, nel dibattito e nella lotta, affrontare alcuni nodi con
cui essa confligge, e che non sono bazzecole.
E' evidente infatti che:
a) si trattera' di contrastare le industrie belliche nazionali e
transnazionali: e il peso fortissimo del complesso militare-industriale, e
la sua possente capacita' lobbistica, e' confermato ad esempio dal recente
peggioramento della legislazione italiana sulla produzione e il traffico di
armi (peggioramento fondato proprio sulla strumentalizzazione a proprio
vantaggio del processo di integrazione e sinergia europea);
b) si trattera' di arrivare all'abolizone della Nato, che implica anche una
rottura con gli Usa che non e' detto che sara' proprio una quisquilia;
c) si trattera' di negoziare nell'Europa e tra Europa e partner dell'Unione
e di singoli stati e governi nuovi e diversi accordi rispetto ad impegni in
essere;
d) si trattera' di ridiscutere quel nevralgico argomento che sono i consumi:
e quindi l'approvvigionamento, la gestione e l'uso delle risorse; ambito nel
quale le scelte di giustizia, e anche solo di ragionevolezza, impongono una
drastica riduzione dell'attuale dissennato sperpero;
e) si trattera' di avviare una diversa politica in materia di migrazione
(fondata sul diritto universale degli esseri umani alla mobilita' e alla
ricerca di una vita degna e di una ragionevole felicita' cosi' precisamente
definito da Kant; sull'accoglienza e sulla responsabilita' globale; e sul
basare i diritti di cittadinanza sullo "jus soli" anziche' sull'arcaico "jus
sanguinis"), cosi' come in materia di "capacita' di carico" ecologica (in
una visione globale, in una scelta di responsabilita'-responsivita' rispetto
all'intera famiglia umana);
f) si trattera' di fronteggiare il mare magnum di aggrovigliate
contraddizioni concernenti le comunicazioni di massa e quelli che una volta
erano detti gli "apparati ideologici": ambito insidioso quanto altri mai, ma
se si vuole promuovere i diritti umani, la democrazia, la pace e la
solidarieta', bisognera' pur essere consapevoli che la partecipazione
democratica alla cosa pubblica e' largamente dipendente dall'accesso ad
un'informazione adeguata e non manipolata, alla conoscenza riconosciuta come
diritto di ogni essere umano, e non degradata a merce e narcosi.
Cose da far tremar le vene e i polsi, certo, ma questioni la cui analisi ed
il cui affrontamento non possiamo rinviare.
Ed altro si potrebbe aggiungere ancora, certo, ma le infinite tassonomie non
mi affascinano se non quando le redige Borges, e  bastera' pertanto aver
fornito questi semplici esempi.
*
Qui dalle nostre parti c'e' un'espressione che suona "dopo li fochi", e che
indica l'amara situazione di chi arriva in ritardo e manca il kairos, l'ora,
il momento decisivo.
Lidia Menapace ha il merito di aver formulato per tempo questa proposta di
analisi, di programma, di intervento.
I movimenti per la pace e la giustizia hanno il demerito di aver
cincischiato per anni tra genericita', sottovalutazioni e una diffusa
subalternita' di cui si e' gia' ripetutamente scritto su questo foglio; e di
arrivare solo adesso - quelli che ci sono arrivati, e non sono ancora che
una piccola parte del cosiddetto "popolo della pace" - alla consapevolezza
che il tempo e' poco, e che tanto nelle segrete stanze quanto sui prosceni
della politica e delle istituzioni europee alcune scelte decisive ed
irreversibili si vanno compiendo ora.
Quindi siamo, more solito, in ritardo. Ma forse ancora in tempo per evitare
il peggio e costruire le condizioni per un'alternativa.
E se una possibilita' vi e' ancora, ebbene, facciamo anche noi la nostra
parte. La proposta di Lidia Menapace mi pare un buon punto di partenza.

7. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: NAZIONALISMI, PATRIARCATO, DONNE
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri@libero.it) per
averci inviato questo intervento scritto per il sito del "Centro di
documentazione delle donne" di Bologna (e-mail: redazione@porticodonne.it,
sito: www.porticodonne.it). Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega
degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare,
saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la
pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per
la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea
intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992;
Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi)
1994]
Due flashes disomogenei: l'avvocata palestinese che si fa kamikaze e le
ragazze davanti a tutti che reggono il primo urto nella dimostrazione
newglobal per un Europa migliore.
Sono dati di realta' abbastanza ovvii, con cui, pero', ci si deve
confrontare per ridire cose forse abusate, ma che vanno riprese nei contesti
della modernita', perche' ricompaiono, sia pure in veste mutata, vecchi
fantasmi da cui le donne possono essere, come in passato, fagocitate.
Il terrorismo ha operato nella storia creando "eroismi" speculari a quelli
degli eserciti regolari: quando l'indipendenza e la liberta' sono
conculcati, si formano controspinte mortali irrefrenabili. Dietro ogni
ideologia nazionalistica (penso a quella risorgimentale italiana, tanto per
non favorire interpretazioni emotive) c'e' l'accettazione di ogni violenza.
Vale anche per le donne? certamente si', quando tutte le vie di
riconoscimento delle differenze si sono consumate. Ma non in linea di
principio.
Le nazioni le facciamo noi. L'origine della parola riporta alla "nascita" e
siamo noi che riproduciamo gli umani. Ma non risale a noi la definizione
astratta e giuridica della nazione e dei conseguenti - legittimi o
illegittimi - nazionalismi.
Perche' noi non rivendicheremmo mai la proprieta' dei nati in quanto nati in
un contesto definibile in termine di sangue, lingua, confini.
Alle origini generavamo quasi solo quelli che il patriarcato avrebbe
definito i "bastardi" perche' il "diritto del padre" avrebbe legittimato i
figli per legge e non per nascita, e discriminato le bambine rispetto ai
maschi.
Ancor oggi la maternita' non ha valore proprio autonomo nelle categorie
nazionali e patriottiche: un "combattente" serbo avrebbe potuto ingravidare
per odio contro il nemico una donna bosniaca che fosse nata serba e avesse
"ricevuto" (per legge) la nazionalita' del marito.
C'e' qualcosa che, in ogni confronto con le strutture del patriarcato, deve
continuare (perche' non con i contributi anche di studiosi maschi?) ad
approfondire le conseguenze di discorsi forse da rinnovare sulla "differenza
di genere".
Anche perche' nessuna donna chiede una "matria" sostitutiva dell'imbroglio
linguistico rappresentato dal termine "patria" e perche' le soldate ci
interpellano circa un "mestiere come un altro", quello che non intende
attraversare i conflitti, ma li fronteggia direttamente (altrimenti la
Difesa dipenderebbe dagli Esteri e dalla diplomazia, riforma che si potrebbe
pur fare con vantaggio anche economico di tutti).
Anche i newglobal si interrogano poco sui"generi" di cui sono composti; ma
li usano secondo schemi gia' visti sulla scena pubblica da sempre (vedi
lotte sindacali con le contadine sugli argini davanti alla polizia, le
mondine in prima fila nei cortei, le partigiane che facevano la parte piu'
rischiosa di portare armi e ordini ed erano chiamate"staffette").
A me sembra che siano problemi su cui riflettere, non foss'altro per evitare
di entrare nel ruolo protettivo non solo di figli e compagni, ma perfino di
patrie e  movimenti che, senza curare le nostre proposte, i nostri desideri
e i nostri interessi, ci omologano a un modello unico che non dovrebbe
andare piu' bene nemmeno ai maschi.

8. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: DENTRO, FUORI, IN MEZZO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 ottobre 2003. Ida Dominijanni (per
contatti:  idomini@ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una
prestigiosa intellettuale femminista]
Lo spettro della giovane kamikaze palestinese e dei diciannove israeliani
saltati in aria con lei a Haifa si aggira innominato nelle conferenze stampa
che con fredda reticenza resocontano lo stato dei lavori in corso all'Eur
sull'Unione europea. Ma e' la', a Haifa, lo specchio dell'Europa che non
c'e'.
A Haifa, a Baghdad, a Kabul, e prima a Sarajevo e a Belgrado, e ovunque nel
mondo globale la politica sia stata ridotta a guerra e martirio, martirio e
guerra, cioe' a un macabro circuito della disperazione che fa capo a una
potenza unica e unilaterale.
Incapaci di guardarsi dentro quello specchio, i grigi capi di stato riuniti
nel palacongressi oscillano fra le consuete genuflessioni di Berlusconi
verso l'America che salvo' l'Europa dal nazismo e dal comunismo, e la vuota
rivendicazione identitaria di chi vuol salvare l'Europa dalla barbarie
americana. Ma al cospetto del mondo, piu' che un passo avanti
sull'allestimento di un esercito (un passo sbagliato, perche' non contesta
la logica di potenza degli Stati uniti ma la fa propria in sedicesimo)
l'Unione non riesce a fare.
E se il vertice scorre via "senza valore aggiunto", come dice il premier del
Lussemburgo, questa opacita' sul fondale internazionale, sui rapporti
transatlantici e su come si pronuncia "Europa" in linguaggio globale non e'
certo l'ultima ragione.
Senza valore aggiunto e senza aggiungersi valore, grandi e piccoli europei
preferiscono tenere ciascuno il proprio punto, Giscard e Schroeder per
difendere a oltranza la bozza blindata di Costituzione, Aznar e Miller per
delegittimarla, Prodi per ripulirla almeno delle trovate piu' peregrine, e
tutti insieme continuano a battere sordi sui soliti tasti: ruolo del
presidente, numero dei commissari, ministro degli esteri, voti ponderati, a
maggioranza, all'unanimita'. Tasti decisivi, per carita'. Ma senza suono per
chi, fuori, domanda pace, diritti, semafori verdi per i migranti.
Battendo anche fuori, tuttavia, il ritmo della ripetizione. Genova fu
l'inizio, o forse fu Seattle, da allora la citta' cambia ma il set e' lo
stesso e la sceneggiatura pure. Dentro un vertice grigio e blindato, fuori
un controvertice colorato all'assalto della blindatura (con l'inquietante
novita', stavolta, delle ragazze nel ruolo di apripista). In mezzo, le forze
dell'ordine (e alla fine il conto dei pestaggi). Come se fra il potere e i
senza potere, fra il palazzo e il sociale, fra le conferenze stampa e gli
slogan altra mediazione non fosse possibile che un'insulsa esibizione di
forza. Roma oggi come Genova ieri, specchi di un mondo che funziona cosi',
con i potenti asserrragliati a difesa di se stessi e i senza potere tenuti a
bada con gli eserciti o con la minaccia degli eserciti.
Un'altra mediazione e' possibile? Il potere e' diventato cosi' impotente da
riuscire a parlare solo il linguaggio della forza? E al linguaggio della
forza non si puo' rispondere altrimenti che mimandone gesti e ritualita'?
Chiusi nei palazzi e nelle auto blu, i capi di stato e di governo appaiono
tutti irrimediabilmente inadeguati a porsi queste domande. Ma chi li
contesta non puo' eluderle. La posta in gioco irrinunciabile, nella
costruzione dell'Unione, non e' solo il modello sociale europeo: e' il
primato politico europeo, il di piu' di cultura, di immaginazione, di
pratica della politica che il vecchio continente puo' vantare nella sua
lunga storia. O l'Europa ritrova questo primato e sa farlo giocare,
all'interno come all'esterno dei suoi confini, per garantire diritti e per
garantire pace, o nel gioco fra il modello americano vincente oggi e il
modello cinese emergente domani precipitera' rapidamente nell'irrilevanza.
La sinistra europea conosce questo argomento ma non ha le gambe per farlo
camminare, e in tempi di crisi della rappresentanza suona vuoto anche
l'appello a una sinistra istituzionale che non c'e'. Pero' un'altra Europa
e' possibile solo se un'altra politica e' possibile. L'immaginazione e'
difficile che vada al potere e lo abbiamo capito qualche lustro fa, ma puo'
dare linfa a chi il potere lo contesta e questo siamo sempre in tempo a
sperimentarlo.

9. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: DAL DIALOGO ALLA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: e-mail: mochena@tn.village.it,
siti: www.marea.it, www.marea.it/lanfranco) per averci messo a disposizione
questa lettera. Monica Lanfranco, giornalista professionista, nata a Genova
il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne
"DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea";
dirige il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni
tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che
veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il
quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute";
e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha
scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per
l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle
ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana
di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio
stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995
ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto
nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia
Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo
di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della
partoriente (La Clessidra). Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di
donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del
movimento delle donne e sulla comunicazione]
Ciao Noemi,
prima del g8 di Genova alcune e alcuni, tra cui la sottoscritta, avevano
proposte due cose che sono cadute nel vuoto: la prima era fare una grande
manifestazione nudi e nude..., e la seconda fare deserto, ovvero lasciare
Genova e andare in un milione  poco lontano, cosicche' gli "8" e la corte
sarebbero stati surclassati anche mediaticamente dai contenuti che, altrove,
vincevano la loro penosa e blindata pantomima di democrazia.
A parte le ovvie difficolta' sulla prima proposta (perche' anche
nell'antagonismo c'e' moralismo e poca creativita': vedi ad esempio la gente
che veste di nero) sai perche' penso, e lo pensavo allora, che sia davvero
l'unica rivoluzione che non si e' (ancora) in grado di fare, quella di una
manifestazione non fronteggiatrice? perche' anche dentro ai nostri
movimenti, e in alcuni luoghi - mi permetto di dire - piu' che in altri, sta
vincendo l'ignoranza, l'arroganza, la fretta: in una parola si fa benissimo
cio' che vent'anni di tv hanno preordinato per noi, ma lo si fa nel nome del
mondo diverso possibile.
Smesso di studiare e di approfondire, si corre qua e la' seguendo le agende
altrui, in particolare quelle dei potenti invece che lavorare meno
mediaticamente nel quotidiano: ecco la frettolosa e certo piu' facile
adesione all'estetica del gesto, ecco la logica continua dell'assalto, del
corpo a corpo, di dannunziana memoria, di memoria fascista: c'e' scritto nei
libri di storia.
Qualcuna, qualcuno ci ha riflettuto su questo, sul fatto che i modi di fare
antagonismo sono direttamente legati ai contenuti?
Le ragazze in casco e respingenti (tra cui numerose smaglianti ragazze di
trentacinque anni) dicono cose tipo "che loro sono per il dialogo, che le
donne sono per natura per il dialogo", e che i maschi del movimenti
avrebbero molto da imparare da questa attitudine. Come fa Berlusconi ora
qualcuna dira' che le parole, pubblicate da tutti i giornali, sono state
travisate, quello che mi interessa sono i fatti (queste donne non hanno
fatto nulla di nuovo e di diverso rispetto ai maschi, hanno solo i genitali
diversi da Caruso e Casarini e non mi sembra un fattore di diversita'
sufficiente) e le motivazioni che stanno dietro ai loro gesti.
Volevano farsi vedere? Ottimo, pero' allora diciamo che si tratta di
marketing, il movimento e il mondo diverso possibile non c'entra nulla.
Volevano sorprendere? lo sanno tutti che c'e' stata la solita trattativa con
la polizia. Una domanda seria: abbiamo, hanno ottenuto qualcosa di
vantaggioso, a parte la ribaltina mediatica, che anche quell'annunciatrice
televisiva ha avuto lamentando la sua destituzione da annunciatrice? Certo,
finalmente abbiamo avuto il bene di sapere su tutta la stampa che il
femminismo loro lo hanno superato, cosi' come le giovani che hanno
soppiantato la gia' citata annunciatrice hanno detto che loro mai avrebbero
fatto il pianto in  diretta come la vecchia carampana.
Permettetemi, da vecchia carampana femminista nonviolenta, ex portavoce del
Genova Social forum, e soprattutto amante dei gatti e del pesto, ma solo di
quello con la cagliata, di dire che questo e' un film gia' visto:
affermazioni come "le donne per natura sono piu' portate al dialogo" le
usano da secoli uomini e donne che vogliono lasciare tutto come e', anche se
oggi chi le fa ha un casco in testa.
Un'altra vecchia carampana femminista pacifista, Audre Lord, dice che "non
si puo' abbattere la casa del padrone usando gli strumenti del padrone".
Va molto di moda dire che ognuno ha diritto di manifestare come vuole, anche
tirando sampietrini e magari legnate contro altri manifestanti che non
vogliono che si sfascino vetrine. Ma not in my name, please.

10. HERI DICEBAMUS. PEPPE SINI: TRE SUBALTERNITA': DA SEATTLE A PRAGA (UN
APPELLO DEL 4 OTTOBRE 2000)
[Riproponiamo qui integralmente un intervento diffuso il 4 ottobre 2000 "per
promuovere una riflessione che ci sembra improcrastinabile" e gia'
pubblicato su "La nonviolenza e' in cammino" n. 7 del 6 ottobre 2000]
Una lettera aperta a tanti amici che sono nel giusto e in errore
Tre subalternita': da Seattle a Praga
*
La prima subalternita'
La prima subalternita' e' nei confronti dei potenti: essi decidono quando
concedere sfogo alla protesta, essi decidono di fatto luoghi e forme.
Manifestare solo in occasione dei meeting ufficiali in cui come e' noto
solitamente si fa pressappoco solo passerella, e' poca cosa, seppur
necessaria; e rispetto a certe forme della protesta gia' Guenther Anders
aveva spiegato bene che recitare la rivoluzione nei week-end e' una
mistificazione, una ridicolaggine ed infine una resa e una complicita',
tanto piu' grave quanto piu' ambigua e ignara (si legga almeno il duro
volumetto andersiano: Stato di necessita' e legittima difesa).
La Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione
Mondiale del Commercio, insomma la "trinita' satanica" della globalizzazione
neoliberista (come l'ha definita con linguaggio icastico Alessandro
Zanotelli concludendo la stupenda marcia per la nonviolenza del 24
settembre), va contrastata giorno dopo giorno, tutti i giorni, e non "semel
in anno" (una volta all'anno) come fosse un carnevale.
Certo: anche le manifestazioni a Seattle, a Praga, ed il prossimo anno a
Genova, servono: e servono molto. Ma non ci si limiti a quelle come fossero
eventi taumaturgici.
*
La seconda subalternita'
La seconda subalternita' e' nei confronti dei mass-media: troppo spesso si
calibrano le iniziative in forme adatte ad essere masticate dalle
televisioni; si decidono le forme espressive in ossequio alle stritolatrici
esigenze dei network tv; non si dice ne' si fa cio' che pensiamo e come lo
pensiamo noi, ma quello che i mass-media pretendono di sentirci dire e fare.
Ma anche i mass-media sono parte del potere oppressivo, ed una parte
rilevantissima. Il potere mediale su cui Enrico Chiavacci (nella sua
utilissima Teologia morale, e particolarmente nei tomi 3/1 e 3/2, che tutto
il movimento farebbe bene a leggere) ha scritto pagine decisive. Cosi' come
Anders nel suo straordinario L'uomo e' antiquato.
*
La terza subalternita'
La terza subalternita' e' nei confronti della violenza: che e' sempre l'arma
dei ricchi, che e' sempre strumento di oppressione, che e' sempre nemica
della dignita' umana.
E' necessario essere chiari: se puo' talora suscitare ammirazione chi
sacrifica la propria vita, proviamo solo orrore per chi sacrifica quella
altrui. Non e' ammissibile manifestare insieme a persone che da come
agiscono danno a vedere che si augurano che accada l'incidente, che
desiderano fare "la battaglia", che auspicano che ci scappi il morto. Non e'
ammissibile essere complici degli adoratori della morte. Poi magari anni
dopo i sopravvissuti te li ritrovi professori, scrittori, giornalisti,
parlamentari, capitani d'industria: ed i morti restano morti. Io provo
orrore e disgusto di chi marcia sui cadaveri. Come ebbe a dire all'incirca
Albert Camus: preferisco essere sconfitto senza aver causato vittime, che
aver ragione su un cumulo di cadaveri.
E quindi trovo inaccettabile organizzare una manifestazione che preveda, per
usare il linguaggio orwelliano e kafkiano della recente vicenda di Praga, la
presenza dei cosiddetti "blu" (ovvero di manifestanti che programmaticamente
intendono provocare uno scontro fisico): e trovo che da parte degli
organizzatori della protesta aver accettato, cooptato e coordinato la
presenza dei cosiddetti "blu" nel movimento che manifestava a Praga abbia
sporcato e reso correi di una ambiguita' inammissibile anche i cosiddetti
"gialli" e i cosiddetti "rosa". Sia chiaro: nulla giustifica le violenze
militari e poliziesche, nulla giustifica i pestaggi e le umiliazioni e le
nefandezze fatte subire ai giovani manifestanti picchiati, fermati,
arrestati, gravemente maltrattati; ma neanche le molotov e le sassaiole
possono essere giustificate.
Per il futuro chiedo: che quando si manifesta, e manifestare e' necessario,
si sia chiari dall'inizio nel chiedere a tutti i partecipanti di attenersi
rigorosamente alle regole di condotta della lotta nonviolenta; chi non ci
sta, se ne resti a casa o manifesti un'altra volta per conto suo. Non
intendo precludere a nessuno il diritto di manifestare, ma a tutti va
chiesto rispetto per la vita e l'integrita' fisica altrui. Ad iniziative
ambigue e pericolose per l'incolumita' altrui credo che non si possa
partecipare.
*
L'urgenza di una discussione onesta
Di tutto questo credo sia urgente discutere onestamente tra le persone
impegnate nel movimento che si batte contro la globalizzazione neoliberista
e per l'umanita'.
Dobbiamo essere capaci di illimpidire, e cosi' fortificare il movimento,
uscire dalla subalternita' e dalle ambiguita', che non sono meno pericolose
dell'apatia e della rassegnazione.
*
Contrastare la violenza
Occorre contrastare la violenza, quella cristallizzata come quella
dispiegata, nel modo piu' rigoroso: con la nonviolenza.
Occorre lottare contro la violenza ed i suoi strumenti: le armi, esse si',
sono sempre nostri nemici; occorre lottare contro i poteri oppressivi avendo
a cuore le sorti del mondo; occorre lottare agendo in modo che ogni nostra
azione possa essere fondativa di socialita', possa essere esempio di azione
solidale, istitutiva di convivenza, promotrice di giustizia e fraternita':
solo la nonviolenza garantisce questo.
Occorre lottare seguendo il "principio responsabilita'" (Hans Jonas): la
nonviolenza e' l'unica forma di lotta (strategia, tecnica, progetto,
empatia) che quel principio invera.
Occorre lottare in modo coerente con i nostri scopi, che sono la liberazione
dell'umanita' oppressa, e la dignita' di ogni essere umano: dunque occorre
la nonviolenza come unico metodo coerente con questi obiettivi, unica scelta
che questi obiettivi realizza nel corso stesso della lotta.
Alle menzogne dei potenti occorre contrapporre la verita' che e' sempre
rivoluzionaria: dunque occorre la nonmenzogna, che e' un altro nome, ed una
decisiva specificazione, della nonviolenza.
*
Il diritto fondamentale e' il diritto a vivere
Dobbiamo essere chiari su un punto: il diritto e' sempre in ultima istanza
il diritto di persone. E se ad una persona si toglie la vita, si estingue
per sempre la possibilita' di riconoscerle qualsivoglia diritto.
La dittatura, il potere oppressivo, e' nella sua essenza uccidere l'altro
(lo ha spiegato definitivamente Elias Canetti in Massa e potere). Alla
dittatura, al potere oppressivo dobbiamo contrapporci nel modo piu'
rigoroso, mirando sempre a salvare la vita dell'altro, di ogni altro;
l'altro: il cui muto volto sofferente ci interroga e convoca alla
responsabilita' (Emmanuel Levinas).
Mi permetto una postilla ad uso di chi ha una visione del mondo materialista
(come il sottoscritto, che e' un vecchio leopardiano): proprio perche' si
ritiene che nulla vi sia per il singolo, per ogni singolo essere umano,
oltre questa vita, ebbene, a maggior ragione occorre difendere la sua vita,
la sua unica, fragile, addolorata e meravigliosa vita. Il principio del "non
uccidere" vale a maggior ragione per chi non aderisce a fedi religiose e non
ha speranze di vita oltremondana.
*
La scelta della nonviolenza
La scelta della nonviolenza e' quindi una necessità intellettuale e morale;
e' l'unica strategia e metodologia di lotta coerente con la dignita' umana e
la liberazione degli oppressi; e' l'unica teoria-prassi di intervento
solidale e di iniziativa rivoluzionaria che realizzi nel suo stesso farsi
democrazia, diritti umani, difesa della biosfera.
*
Tutto cio' andava pur detto
Tutto cio' andava pur detto, e non avendolo fin qui dichiarato persone piu'
note ed autorevoli di me, ho infine sentito di doverlo dire io.
Spero che a queste considerazioni altri vogliano rispondere, e che possa
aprirsi una riflessione ed una discussione ampia e profonda, anche aspra
perche' urgente e concreta, condivisa in quanto polifonica.
*
Analisi concreta della situazione concreta
Chiedo solo che mi si risparmino le solite inquietanti scempiaggini in nome
di un Marx teologizzato e mistificato sulla "violenza levatrice della
storia" e simili arcaismi (di prima di Auschwitz, di prima dell'eta'
atomica), arcaismi che sarebbero amenita' se non producessero orrori: Marx
avrebbe riso di cuore, omericamente, se qualcuno invece di analizzare la
situazione reale attuale avesse bloccato il proprio cervello ad analisi
riferite ad un contesto di centocinquant'anni prima. Si usi di Marx quel che
di Marx resta straordinariamente valido e fecondo, l'unico marxismo onesto
e' quello concreto e creativo.
*
La nonviolenza e' lotta
Analogamente mi si risparmi la solita serqua di stupidaggini secondo cui chi
propugna la nonviolenza e' uno squallido quietista, un losco attendista e
dunque un complice degli oppressori: mi permetto di preventivamente
controreplicare che Mohandas Gandhi, Martin Luther King, Marianella Garcia,
e come loro tanti altri lottatori nonviolenti sono stati assassinati; che la
nonviolenza non solo non rimuove, ma anzi suscita e organizza il conflitto
contro la violenza, l'ingiustizia, la menzogna.
Come amici della nonviolenza esortiamo alla lotta, esortiamo alla
rivoluzione: ma una lotta coerente ed intransigente, di autentica resistenza
e autentica liberazione, la lotta nonviolenta; ma una rivoluzione che non
rinvii la dignita' umana in un futuro che mai arriva, bensi' inveri la
dignita' umana nel suo stesso farsi: la rivoluzione nonviolenta.
Di tutto il resto, discutiamo.
Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo
Viterbo, 4 ottobre 2000 (che per avventura e' il giorno in cui si ricorda un
grande rivoluzionario egualitario e nonviolento di diversi secoli fa:
Francesco d'Assisi)

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 697 dell'8 ottobre 2003