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Illegittima l'ordinanza bresciana di salvaguardia dei "luoghi cristiani"
- Subject: Illegittima l'ordinanza bresciana di salvaguardia dei "luoghi cristiani"
- From: Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>
- Date: Mon, 22 Sep 2003 10:39:20 +0100
Fonte: http://www.giuristidemocratici.it/
Illegittima l'ordinanza bresciana di salvaguardia dei "luoghi cristiani" -
Fausto Gianelli
E' stata finalmente annullata la controversa ordinanza del comune di Rovato
(BS) che, al fine di salvaguardare i valori cristiani,aveva disposto "il
divieto ai non professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi
sacri e di culto della predetta religione", disponendo, altresi',
"l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt. 15
lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani".
Questa ordinanza, da piu' parti criticata come esempio di assoluto ed
eclatante integralismo religioso, e' stata impugnata con ricorso
straordinario al Capo dello Stato da parte di un avvocato facente parte dei
Giuristi Democratici, agente in proprio a tutela del proprio interesse di
libero cittadino non professante la religione cristiana di poter circolare
liberamente entro il territorio nazionale e contestando
l'incostituzionalita' di tale ordinanza per contrasto con gli artt. 3, 8 e
19 della Costituzione Repubblicana laddove prevedono, in particolare,
l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza discriminazioni, tra l'altro, di
"religione", e la liberta' di circolazione su tutto il territorio nazionale
nonche' il principio della laicita' dello Stato italiano.
Pubblichiamo a seguire il testo integrale del parere espresso dal Consiglio
di Stato sez. I^ sulla scorta del quale il Presidente della Repubblica ha,
in data 25/02/2003, annullato l'ordinanza in questione per le interessanti
osservazioni sulla laicita' dello Stato.
Consiglio di stato - Adunanza della Sezione Prima, 15 Maggio 2002, N.
Sezione 1207/2002.
OGGETTO: Gianelli Fausto c/ comune di Rovato. Ricorso straordinario avverso
ordinanza avente ad oggetto tutela area sicurezza divieto accesso a luoghi
sacri.
Vista la relazione n. 15115-01^/003 del 27 marzo 2002 prevenuta in data 9
aprile 2002 con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento per gli
affari interni e territoriali - chiede il parere del Consiglio di Stato sul
ricorso straordinario in oggetto;
ESAMINATI gli atti e udito il relatore estensore Cons. Livia Barberio Corsetti;
PREMESSO
Riferisce l'Amministrazione che il sig. Fausto Gianelli, residente in
Pavullo nel Frignano (MO), ha impugnato, chiedendone l'annullamento al
Presidente della Repubblica, l'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 con cui
il sindaco del comune di Rovato (BS), premessa "la necessita' di
salvaguardare i valori cristiani dalla incessante contaminazione di altre
religioni e visto che altri vietano l'ingresso in determinate aree ai non
appartenenti ad una specifica religione", ha disposto "il divieto ai non
professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto
della predetta religione, in regime di reciprocita' ed in attuazione di
protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico", disponendo,
altresi', "l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt.
15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani".
Il ricorrente, che dichiara di procedere i virtu' del proprio interesse di
libero cittadino non professante la religione cristiana di circolare
liberamente entro il territorio nazionale, sostiene che la predetta
ordinanza viola gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione, che prevedono,
in particolare, l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza discriminazioni,
tra l'altro, di "religione", e la liberta' di circolazione su tutto il
territorio nazionale e il principio della laicita' dello Stato italiano,
affermato dall'ultimo Concordato. Aggiunge che il provvedimento e' carente
di motivazione o apporta una motivazione illogica ed incongrua e che e'
privo di pregio il richiamo a presunti e non meglio specificati criteri di
reciprocita'.
A seguito della prescritta istruttoria effettuata da questo Ministero
l'Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, facendo presente che
l'ordinanza in questione era stata era stata fatta oggetto anche di
richiesta di annullamento governativo ai sensi dell'art. 138 del d. legs.
N. 267/2000, ha inviato, tra l'altro, anche la nota in data 8 gennaio 2001
con cui il Sindaco di Rovato in risposta ad una pregressa nota della
Prefettura ha fornito alcuni chiarimenti in merito.
In particolare, il Sindaco di Rovato ha sostenuto che: 1) l'ordinanza non
e' in contrasto con la liberta' religiosa; 2) il senso del provvedimento e'
da ricercarsi nel principio che "la liberta' di ognuno finisce dove va a
ledere la liberta' altrui"; 3) il principio di reciprocita' e' dettato dal
fatto che nei paesi integralisti islamici e' proibito accedere ai luoghi di
culto se non con speciali permessi; 4)sia la Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e sia l'art. 16 della Costituzione
italiana prevedono la possibilita' di limitare la circolazione per motivi
di sanita', sicurezza, moralita'; ed e' in questo spirito, cioe' per
salvaguardare l'incolumita' pubblica, che e' stata adottata l'ordinanza ai
sensi dell'art. 54 del Testo unico degli EE. LL.
Inoltre il Sindaco, in riferimento anche ad un esposto in merito, ha
sostenuto che la mancata indicazione dei metodi di intervento per garantire
il rispetto dell'ordinanza e' dovuto al fatto che la legge ha eliminato la
possibilita' di sanzionare le trasgressioni ai regolamenti comunali ed alle
ordinanze sindacali.
L'Amministrazione riferente ritiene il provvedimento illegittimo sotto il
profilo della violazione dell'articolo 54 del d.legs. n. 267/2000, che al
comma 1 affida al Sindaco quale ufficiale del Governo "c) lo svolgimento in
materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni
affidategli dalla legge; d) la vigilanza su tutto quanto interessa la
sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto" e al comma 2
stabilisce che il "sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto
motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico,
provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare
gravi percoli che minacciano l'incolumita' dei cittadini; per l'esecuzione
dei relativi ordini puo' richiedere al prefetto, ove accorda, l'assistenza,
della forza pubblica".
Il Sindaco con la propria nota di chiarimenti specifica che l'ordinanza in
oggetto sarebbe stata adottata per motivi attinenti alla salvaguardia
dell'incolumita' pubblica (comma 2 dell'art. 54 del d.legs. n. 267/2000);
ma dal tenore dell'ordinanza si rileva che il provvedimento presenta le
caratteristiche di atto in materia di pubblica sicurezza in quanto rivolto
solo ad una categoria di persone presenti sul territorio nazionale
individuabili esclusivamente a seguito di ipotetici accertamenti (seppur
vietati dall'ordinamento) di polizia.
Peraltro, la possibilita' di adottare atti amministrativi in materia di
rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose e' sottratta espressamente
agli enti locali dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 ( art.1, comma 3) che ha
delegato il Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
religioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e
per la semplificazione amministrativa.
Dopo aver richiamato il quadro costituzionale invocato dal ricorrente,
l'amministrazione osserva che l'ordinanza include genericamente tutti i
luoghi di culto cristiani e d e' finalizzata ad una "speciale tutela" della
Chiesa Cattolica, non piu' ammissibile alla luce della legge n. 121 del 25
marzo 1985 con la quale e' stato recepito il trattato di riforma del
Concordato, che nel protocollo addizionale al predetto trattato chiarisce,
tra l'altro, che "Si considera non piu' in vigore il principio,
originariamente richiamato dai Patti lateranensi, dalle religione cattolica
come sola religione dello Stato italiano".
Tutta la giurisprudenza seguita al trattato di revisione concordataria
afferma il principio dell'aconfessionabilita' dello Stato e di divieto di
adozione di provvedimenti che possano favorire determinati credi religiosi
a discapito di altri.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 203/1989 ha chiarito che "Le
disposizioni del Concordato, pur godendo della particolare copertura
costituzionale fornita dall'art. 7, ben possono essere soggette al
sindacato della Corte ove sia denunciato il loro contrasto con i principi
supremi dell'ordinamento costituzionale. In particolare, nelle specie, gli
art. 3 e 19 Cost. vengono in evidenza come valori di liberta' religiosa
specificando il duplice divieto che i cittadini siano discriminati per
motivi di religione e che il pluralismo religioso limiti la liberta'
negativa di non professare alcuna religione. Tali valori inoltre concorrono
con altri (art.7, 8 e 20 Cost.) a strutturare il principio supremo della
laicita' dello Stato - uno dei profili della forma di Stato delineata dalla
Costituzione - che ha la sua enunciazione nell'art. 1 del Protocollo
addizionale. Cfr. Sentenze nn. 30/1971; 12/1972; 175/1973; 1/1977; 18/1982;
1170/1984; 1146/1988. - cfr. O. n. 914/1988".
Inoltre sempre la Corte Costituzionale con sentenza 8 ottobre 1996, n. 334,
ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione degli art. 2,
3 e 19 della Costituzione, l'art. 238 comma 2 c.p.c., limitatamente alle
parole "davanti a Dio e agli uomini" e l'art. 238 comma 1, seconda
proposizione, c.p.c. (giuramento), limitatamente alle parole "religiose e
", in quanto - posto che gli art. 2, 3 e 19 cost. garantiscono come diritto
la liberta' di coscienza in relazione all'esperienza religiosa, tale
diritto, sotto il profilo giuridico - costituzionale, rappresenta un
aspetto della dignita' della persona umana, riconosciuta e dichiarata
inviolabile dall'art. 2, e "spetta ugualmente tanto ai credenti quanto ai
non credenti, siano essi atei o agnostici, e comporta la conseguenza,
valida nei confronti degli uni e degli altri, che in nessun caso il
compimento di atti apparenti, nella loro essenza, alla sfera della
religione possa essere l'oggetto di prescrizioni derivanti dall'ordinamento
giuridico dello Stato che non puo' ricorrere a obbligazioni di ordine
religioso per rafforzare l'efficacia dei propri precetti".
La Corte Costituzionale ha successivamente rafforzato il concetto di
laicita' dello Stato affermando, con sentenza 14 novembre 1997, n. 329, che
nella visione costituzionale attuale, "la ratio differenziatrice - che
ispiro' il legislatore del 1930 (la questione trattata era relativa alla
differenza di trattamento del reato di vilipendio prevista dall'art. 404
c.p. nei confronti della religione cattolica rispetto a quella stabilita
per le altre religioni dall'art. 406 c.p.) con il riconoscimento alla
Chiesa e alle religioni cattoliche di valore politico, quale fattore di
unita' morale della nazione - non vale piu' oggi, quando la Costituzione
esclude che la religione possa considerarsi strumentalmente rispetto alle
finalita' dello Stato e viceversa; cio' sia perche', in attuazione del
principio costituzionale della laicita' e non confessionalita' dello Stato
- che non significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa, ma
comporta equidistanza e imparzialita' della legislazione rispetto a tutte
le confessioni religiose - la protezione del sentimento religioso e' venuta
ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di
liberta' di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo
stesso modo l'esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono, nella sua
dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi
contenuti di fede delle diverse confessioni; sia perche' il richiamo alla
cosiddetta coscienza sociale - quale criterio di giustificazione di
differenze tra confessioni religiose operate dalle legge - se puo' valere
come argomento di apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il
profilo della loro ragionevolezza, e' viceversa vietato laddove la
Costituzione, nell'art. 3 comma 1, stabilisce espressamente il divieto di
discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, nei
quali sta per l'appunto la religione, in tal modo intendendo che la
protezione del sentimento religioso, quale aspetto del diritto
costituzionale di liberta' religiosa, non e' divisibile.
Premesso, pertanto che l'ordinamento impone parita' di trattamento delle
religioni senza alcuna ingerenza dello Stato (e di tutte le pubbliche
amministrazioni), l'ordinanza del Sindaco di Rovato, oltre ad essere
illegittima per violazione anche del disposto di cui all'art. 1 comma 3
della legge n. 59/1997, potrebbe essere violativa proprio del concordato
con la Santa Sede sottoscritto dal Governo nell'anno 1929, laddove all'art.
1, parte 4, si prevede che "L'Italia, ai sensi dell'art. 1 del trattato,
assicura alla Chiesa cattolica il libero esercizio del potere spirituale,
il libero e pubblico esercizio del culto, nonche' della sua giurisdizione
in materia ecclesiastica in conformita' alle norme del presente concordato;
ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti del loro ministero
spirituale la difesa da parte delle sue autorita'".
Vietando ad una categoria di persone, di fatto, l'ingresso e sinanche la
possibilita' di approssimarsi ai luoghi di culto, l'ordinanza rappresenta
un'indebita ingerenza nel libero esercizio del potere spirituale accordato
alla Chiesa i cui intenti non possono essere conosciuti o interpretati
arbitrariamente dal sindaco del Comune di Rovato, il quale, si rammenta,
puo' intervenire mediante ordinanza solo per salvaguardare l'incolumita'
pubblica.
Affermato, dunque che il provvedimento in oggetto e' limitativo della
liberta' individuale costituzionalmente protetta, in ogni caso, anche se lo
spirito ultimo dell'ordinanza del sindaco potrebbe ricercarsi nella
volonta' di prevenire atti criminosi, in mancanza di un reale pericolo
immediato, i provvedimenti di prevenzione non possono comunque spingersi
fino a vietare il transito a determinate categorie di persone nelle
adiacenze dei luoghi di culto, anche per l'impossibilita' oggettiva di
procedere al loro riconoscimento in basa alla religione professata.
Inoltre e' indiscutibile che il sindaco di Rovato abbia utilizzato in
maniera non conforme a legge e lo strumento dell'ordinanza i cui effetti
sono caratterizzati dalla provissorieta', mirando, invece a consolidare una
situazione la cui disciplina, si ribadisce e' sottratta alla potesta'
dell'autorita' locale.
Peraltro, il riferimento ai paesi integralisti islamici effettuato dal
Sindaco di Rovato con la propria nota ci controdeduzioni dell'8 gennaio
2001, potrebbe condurre a sillogismi inaccettabili (arabo uguale a
musulmano) gia' dichiarati illegittimi da parte della Corte Costituzionale
quando ha escluso che un soggetto, per il solo fatto di essere ebreo sia
considerato fare parte della comunita' israelitica (sentenza n. 239/1984).
Cio' stante, evidenziata l'illegittimita' dell'ordinanza impugnata, nel
caso particolare, eventuali azioni di danneggiamento degli stessi luoghi di
culto o il vilipendio che offre il codice penale senza impedire la libera
circolazione dei cittadini o degli stranieri che, garantita dall'art. 16
della Costituzione, puo' essere limitata solo per motivi di sanita' o di
sicurezza.
Per le suesposte motivazioni il ricorso dovrebbe essere accolto.
CONSIDERATO
Il ricorso e' fondato e merita accoglimento.
Osserva la Sezione che il ricorrente, in quanto cittadino italiano, ha un
interesse immediato, concreto e attuale alla rimozione di un atto che
influisce sulla sua possibilita' di movimento sul territorio nazionale,
ovvero che condiziona tale liberta' ad accertamenti di natura personale,
quali la fede religiosa, che non puo' costituire presupposto di trattamenti
differenziati.
In effetti il provvedimento impugnato e' un provvedimento abnorme, che
travalica il potere attribuito al sindaco dal d. legs. 267/2000, il quale,
a norma dell'art. 54, "quale ufficiale del Governo, adotta, con atto
motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico,
provvedimenti contingibili e urgenti al fine di eliminare gravi pericoli
che minacciano l'incolumita' dei cittadini". Nel caso di specie, infatti,
non risulta dall'ordinanza l'esistenza di nessun pericolo concreto
dell'incolumita' dei cittadini, non potendosi considerare tale la paventata
contaminazione di altre religioni.
Il provvedimento, inoltre, lungi dal rispettarli, viola i principi generali
dell'ordinamento giuridico richiamati sia nel ricorso che nella relazione
dell'amministrazione relativi al divieto di discriminazione religiosa (art.
3), all'euguaglianza delle confessioni religiose (art. 8), alla liberta' di
esercizio e di propaganda della fede religiosa (art. 19), alla liberta' di
circolazione su tutto il territorio italiano e al diritto di libera
circolazione sul territorio europeo.
In particolare si deve sottolineare che il divieto di discriminazione
religiosa comporta che nessun effetto nell'ordinamento giuridico puo'
prodursi in dipendenza della professione di fede, la quale resta un fatto
personale tutelato dall'ordinamento e privo di riflessi giuridici. In altri
termini, la religione non e' uno dei fatti ai quali un provvedimento
amministrativo puo' ricollegare effetti, restando l'ordinamento del tutto
indifferente rispetto alle credenze religiose dei propri cittadini o
residenti. E cio' vale sia per lo Stato che, a maggior ragione, per
qualsiasi esercente pubbliche funzioni.
Come esattamente rilevato nella relazione, il provvedimento lede anche le
prerogative di liberta' nell'esercizio del potere spirituale garantito
dalla Costituzione a tutte le Chiese, cristiane o meno, le quali possono
decidere autonomamente come gestire i propri rapporti con le altre fedi.
Infine, v'e' da dire che il tema della reciprocita' e' del tutto fuor di
luogo. La liberta' religiosa rientra tra i principi fondamentali
inattaccabili perfino dalle leggi statali, ivi comprese quelle di ratifica
dei trattati internazionali. Non potrebbe pertanto mai darsi una clausola
di reciprocita' che nel nostro ordinamento recepisse una discriminazione
avente per presupposto l'appartenenza ad una religione. E' pertanto
palesemente assurdo che un sindaco si arroghi un potere che nemmeno lo
Stato potrebbe esercitare.
Dalle considerazioni che precedono discende che il ricorso deve essere accolto.
P.Q.M.
Esprime che il parere deve essere accolto.
Per estratto dal verbale
Il Segretario dell'Adunanza (Virginia Funaro)
Visto Il Presidente della Sezione (Salvatore Giacchetti)
Il Presidente della Repubblica
VISTO il ricorso presentato in via straordinaria dal Sig. Gianelli Fausto
avverso e per l'annullamento dell'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 con
la quale il Sindaco di Rovato (BS) dispone "il divieto ai non professanti
la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto della
predetta religione, in regime di reciprocita' ed in attuazione di
protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico", e
disponendo, altresi', "l'istituzione di una area di protezione e sicurezza
pari a mt. 15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiana";
VISTO il Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D.
26 giugno 1924, n. 1054 e successive modificazioni;
VISTO il regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato,
approvato con R.D. 21aprile 1942, n. 444;
VISTO il D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, recante norme per la
semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi;
UDITO il parere espresso dal Consiglio di Stato, Sezione Prima,
nell'adunanza 15.05.2002, il cui testo e' allegato al presente decreto e le
cui considerazioni si intendono, qui, integralmente riprodotte;
Sulla proposta del Ministero dell'interno;
DECRETA
Il ricorso di cui alle premesse e' accolto.
Dato a ROMA ADDI' 25 FEBBRAIO 2003