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Illegittima l'ordinanza bresciana di salvaguardia dei "luoghi cristiani"



Fonte: http://www.giuristidemocratici.it/

Illegittima l'ordinanza bresciana di salvaguardia dei "luoghi cristiani" - 
Fausto Gianelli

E' stata finalmente annullata la controversa ordinanza del comune di Rovato 
(BS) che, al fine di salvaguardare i valori cristiani,aveva disposto "il 
divieto ai non professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi 
sacri e di culto della predetta religione", disponendo, altresi', 
"l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt. 15 
lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani".

Questa ordinanza, da piu' parti criticata come esempio di assoluto ed 
eclatante integralismo religioso, e' stata impugnata con ricorso 
straordinario al Capo dello Stato da parte di un avvocato facente parte dei 
Giuristi Democratici, agente in proprio a tutela del proprio interesse di 
libero cittadino non professante la religione cristiana di poter circolare 
liberamente entro il territorio nazionale e contestando 
l'incostituzionalita' di tale ordinanza per contrasto con gli artt. 3, 8 e 
19 della Costituzione Repubblicana laddove prevedono, in particolare, 
l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza discriminazioni, tra l'altro, di 
"religione", e la liberta' di circolazione su tutto il territorio nazionale 
nonche' il principio della laicita' dello Stato italiano.

Pubblichiamo a seguire il testo integrale del parere espresso dal Consiglio 
di Stato sez. I^ sulla scorta del quale il Presidente della Repubblica ha, 
in data 25/02/2003, annullato l'ordinanza in questione per le interessanti 
osservazioni sulla laicita' dello Stato.

Consiglio di stato - Adunanza della Sezione Prima, 15 Maggio 2002, N. 
Sezione 1207/2002.

OGGETTO: Gianelli Fausto c/ comune di Rovato. Ricorso straordinario avverso 
ordinanza avente ad oggetto tutela area sicurezza divieto accesso a luoghi 
sacri.

Vista la relazione n. 15115-01^/003 del 27 marzo 2002 prevenuta in data 9 
aprile 2002 con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento per gli 
affari interni e territoriali - chiede il parere del Consiglio di Stato sul 
ricorso straordinario in oggetto;

ESAMINATI gli atti e udito il relatore estensore Cons. Livia Barberio Corsetti;

PREMESSO

Riferisce l'Amministrazione che il sig. Fausto Gianelli, residente in 
Pavullo nel Frignano (MO), ha impugnato, chiedendone l'annullamento al 
Presidente della Repubblica, l'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 con cui 
il sindaco del comune di Rovato (BS), premessa "la necessita' di 
salvaguardare i valori cristiani dalla incessante contaminazione di altre 
religioni e visto che altri vietano l'ingresso in determinate aree ai non 
appartenenti ad una specifica religione", ha disposto "il divieto ai non 
professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto 
della predetta religione, in regime di reciprocita' ed in attuazione di 
protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico", disponendo, 
altresi', "l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt. 
15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani".

Il ricorrente, che dichiara di procedere i virtu' del proprio interesse di 
libero cittadino non professante la religione cristiana di circolare 
liberamente entro il territorio nazionale, sostiene che la predetta 
ordinanza viola gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione, che prevedono, 
in particolare, l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza discriminazioni, 
tra l'altro, di "religione", e la liberta' di circolazione su tutto il 
territorio nazionale e il principio della laicita' dello Stato italiano, 
affermato dall'ultimo Concordato. Aggiunge che il provvedimento e' carente 
di motivazione o apporta una motivazione illogica ed incongrua e che e' 
privo di pregio il richiamo a presunti e non meglio specificati criteri di 
reciprocita'.

A seguito della prescritta istruttoria effettuata da questo Ministero 
l'Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, facendo presente che 
l'ordinanza in questione era stata era stata fatta oggetto anche di 
richiesta di annullamento governativo ai sensi dell'art. 138 del d. legs. 
N. 267/2000, ha inviato, tra l'altro, anche la nota in data 8 gennaio 2001 
con cui il Sindaco di Rovato in risposta ad una pregressa nota della 
Prefettura ha fornito alcuni chiarimenti in merito.

In particolare, il Sindaco di Rovato ha sostenuto che: 1) l'ordinanza non 
e' in contrasto con la liberta' religiosa; 2) il senso del provvedimento e' 
da ricercarsi nel principio che "la liberta' di ognuno finisce dove va a 
ledere la liberta' altrui"; 3) il principio di reciprocita' e' dettato dal 
fatto che nei paesi integralisti islamici e' proibito accedere ai luoghi di 
culto se non con speciali permessi; 4)sia la Convenzione per la 
salvaguardia dei diritti dell'uomo e sia l'art. 16 della Costituzione 
italiana prevedono la possibilita' di limitare la circolazione per motivi 
di sanita', sicurezza, moralita'; ed e' in questo spirito, cioe' per 
salvaguardare l'incolumita' pubblica, che e' stata adottata l'ordinanza ai 
sensi dell'art. 54 del Testo unico degli EE. LL.

Inoltre il Sindaco, in riferimento anche ad un esposto in merito, ha 
sostenuto che la mancata indicazione dei metodi di intervento per garantire 
il rispetto dell'ordinanza e' dovuto al fatto che la legge ha eliminato la 
possibilita' di sanzionare le trasgressioni ai regolamenti comunali ed alle 
ordinanze sindacali.

L'Amministrazione riferente ritiene il provvedimento illegittimo sotto il 
profilo della violazione dell'articolo 54 del d.legs. n. 267/2000, che al 
comma 1 affida al Sindaco quale ufficiale del Governo "c) lo svolgimento in 
materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni 
affidategli dalla legge; d) la vigilanza su tutto quanto interessa la 
sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto" e al comma 2 
stabilisce che il "sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto 
motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, 
provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare 
gravi percoli che minacciano l'incolumita' dei cittadini; per l'esecuzione 
dei relativi ordini puo' richiedere al prefetto, ove accorda, l'assistenza, 
della forza pubblica".

Il Sindaco con la propria nota di chiarimenti specifica che l'ordinanza in 
oggetto sarebbe stata adottata per motivi attinenti alla salvaguardia 
dell'incolumita' pubblica (comma 2 dell'art. 54 del d.legs. n. 267/2000); 
ma dal tenore dell'ordinanza si rileva che il provvedimento presenta le 
caratteristiche di atto in materia di pubblica sicurezza in quanto rivolto 
solo ad una categoria di persone presenti sul territorio nazionale 
individuabili esclusivamente a seguito di ipotetici accertamenti (seppur 
vietati dall'ordinamento) di polizia.

Peraltro, la possibilita' di adottare atti amministrativi in materia di 
rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose e' sottratta espressamente 
agli enti locali dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 ( art.1, comma 3) che ha 
delegato il Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle 
religioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e 
per la semplificazione amministrativa.

Dopo aver richiamato il quadro costituzionale invocato dal ricorrente, 
l'amministrazione osserva che l'ordinanza include genericamente tutti i 
luoghi di culto cristiani e d e' finalizzata ad una "speciale tutela" della 
Chiesa Cattolica, non piu' ammissibile alla luce della legge n. 121 del 25 
marzo 1985 con la quale e' stato recepito il trattato di riforma del 
Concordato, che nel protocollo addizionale al predetto trattato chiarisce, 
tra l'altro, che "Si considera non piu' in vigore il principio, 
originariamente richiamato dai Patti lateranensi, dalle religione cattolica 
come sola religione dello Stato italiano".

Tutta la giurisprudenza seguita al trattato di revisione concordataria 
afferma il principio dell'aconfessionabilita' dello Stato e di divieto di 
adozione di provvedimenti che possano favorire determinati credi religiosi 
a discapito di altri.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 203/1989 ha chiarito che "Le 
disposizioni del Concordato, pur godendo della particolare copertura 
costituzionale fornita dall'art. 7, ben possono essere soggette al 
sindacato della Corte ove sia denunciato il loro contrasto con i principi 
supremi dell'ordinamento costituzionale. In particolare, nelle specie, gli 
art. 3 e 19 Cost. vengono in evidenza come valori di liberta' religiosa 
specificando il duplice divieto che i cittadini siano discriminati per 
motivi di religione e che il pluralismo religioso limiti la liberta' 
negativa di non professare alcuna religione. Tali valori inoltre concorrono 
con altri (art.7, 8 e 20 Cost.) a strutturare il principio supremo della 
laicita' dello Stato - uno dei profili della forma di Stato delineata dalla 
Costituzione - che ha la sua enunciazione nell'art. 1 del Protocollo 
addizionale. Cfr. Sentenze nn. 30/1971; 12/1972; 175/1973; 1/1977; 18/1982; 
1170/1984; 1146/1988. - cfr. O. n. 914/1988".

Inoltre sempre la Corte Costituzionale con sentenza 8 ottobre 1996, n. 334, 
ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione degli art. 2, 
3 e 19 della Costituzione, l'art. 238 comma 2 c.p.c., limitatamente alle 
parole "davanti a Dio e agli uomini" e l'art. 238 comma 1, seconda 
proposizione, c.p.c. (giuramento), limitatamente alle parole "religiose e 
", in quanto - posto che gli art. 2, 3 e 19 cost. garantiscono come diritto 
la liberta' di coscienza in relazione all'esperienza religiosa, tale 
diritto, sotto il profilo giuridico - costituzionale, rappresenta un 
aspetto della dignita' della persona umana, riconosciuta e dichiarata 
inviolabile dall'art. 2, e "spetta ugualmente tanto ai credenti quanto ai 
non credenti, siano essi atei o agnostici, e comporta la conseguenza, 
valida nei confronti degli uni e degli altri, che in nessun caso il 
compimento di atti apparenti, nella loro essenza, alla sfera della 
religione possa essere l'oggetto di prescrizioni derivanti dall'ordinamento 
giuridico dello Stato che non puo' ricorrere a obbligazioni di ordine 
religioso per rafforzare l'efficacia dei propri precetti".

La Corte Costituzionale ha successivamente rafforzato il concetto di 
laicita' dello Stato affermando, con sentenza 14 novembre 1997, n. 329, che 
nella visione costituzionale attuale, "la ratio differenziatrice - che 
ispiro' il legislatore del 1930 (la questione trattata era relativa alla 
differenza di trattamento del reato di vilipendio prevista dall'art. 404 
c.p. nei confronti della religione cattolica rispetto a quella stabilita 
per le altre religioni dall'art. 406 c.p.) con il riconoscimento alla 
Chiesa e alle religioni cattoliche di valore politico, quale fattore di 
unita' morale della nazione - non vale piu' oggi, quando la Costituzione 
esclude che la religione possa considerarsi strumentalmente rispetto alle 
finalita' dello Stato e viceversa; cio' sia perche', in attuazione del 
principio costituzionale della laicita' e non confessionalita' dello Stato 
- che non significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa, ma 
comporta equidistanza e imparzialita' della legislazione rispetto a tutte 
le confessioni religiose - la protezione del sentimento religioso e' venuta 
ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di 
liberta' di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo 
stesso modo l'esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono, nella sua 
dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi 
contenuti di fede delle diverse confessioni; sia perche' il richiamo alla 
cosiddetta coscienza sociale - quale criterio di giustificazione di 
differenze tra confessioni religiose operate dalle legge - se puo' valere 
come argomento di apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il 
profilo della loro ragionevolezza, e' viceversa vietato laddove la 
Costituzione, nell'art. 3 comma 1, stabilisce espressamente il divieto di 
discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, nei 
quali sta per l'appunto la religione, in tal modo intendendo che la 
protezione del sentimento religioso, quale aspetto del diritto 
costituzionale di liberta' religiosa, non e' divisibile.

Premesso, pertanto che l'ordinamento impone parita' di trattamento delle 
religioni senza alcuna ingerenza dello Stato (e di tutte le pubbliche 
amministrazioni), l'ordinanza del Sindaco di Rovato, oltre ad essere 
illegittima per violazione anche del disposto di cui all'art. 1 comma 3 
della legge n. 59/1997, potrebbe essere violativa proprio del concordato 
con la Santa Sede sottoscritto dal Governo nell'anno 1929, laddove all'art. 
1, parte 4, si prevede che "L'Italia, ai sensi dell'art. 1 del trattato, 
assicura alla Chiesa cattolica il libero esercizio del potere spirituale, 
il libero e pubblico esercizio del culto, nonche' della sua giurisdizione 
in materia ecclesiastica in conformita' alle norme del presente concordato; 
ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti del loro ministero 
spirituale la difesa da parte delle sue autorita'".

Vietando ad una categoria di persone, di fatto, l'ingresso e sinanche la 
possibilita' di approssimarsi ai luoghi di culto, l'ordinanza rappresenta 
un'indebita ingerenza nel libero esercizio del potere spirituale accordato 
alla Chiesa i cui intenti non possono essere conosciuti o interpretati 
arbitrariamente dal sindaco del Comune di Rovato, il quale, si rammenta, 
puo' intervenire mediante ordinanza solo per salvaguardare l'incolumita' 
pubblica.

Affermato, dunque che il provvedimento in oggetto e' limitativo della 
liberta' individuale costituzionalmente protetta, in ogni caso, anche se lo 
spirito ultimo dell'ordinanza del sindaco potrebbe ricercarsi nella 
volonta' di prevenire atti criminosi, in mancanza di un reale pericolo 
immediato, i provvedimenti di prevenzione non possono comunque spingersi 
fino a vietare il transito a determinate categorie di persone nelle 
adiacenze dei luoghi di culto, anche per l'impossibilita' oggettiva di 
procedere al loro riconoscimento in basa alla religione professata.

Inoltre e' indiscutibile che il sindaco di Rovato abbia utilizzato in 
maniera non conforme a legge e lo strumento dell'ordinanza i cui effetti 
sono caratterizzati dalla provissorieta', mirando, invece a consolidare una 
situazione la cui disciplina, si ribadisce e' sottratta alla potesta' 
dell'autorita' locale.

Peraltro, il riferimento ai paesi integralisti islamici effettuato dal 
Sindaco di Rovato con la propria nota ci controdeduzioni dell'8 gennaio 
2001, potrebbe condurre a sillogismi inaccettabili (arabo uguale a 
musulmano) gia' dichiarati illegittimi da parte della Corte Costituzionale 
quando ha escluso che un soggetto, per il solo fatto di essere ebreo sia 
considerato fare parte della comunita' israelitica (sentenza n. 239/1984).

Cio' stante, evidenziata l'illegittimita' dell'ordinanza impugnata, nel 
caso particolare, eventuali azioni di danneggiamento degli stessi luoghi di 
culto o il vilipendio che offre il codice penale senza impedire la libera 
circolazione dei cittadini o degli stranieri che, garantita dall'art. 16 
della Costituzione, puo' essere limitata solo per motivi di sanita' o di 
sicurezza.

Per le suesposte motivazioni il ricorso dovrebbe essere accolto.

CONSIDERATO

Il ricorso e' fondato e merita accoglimento.

Osserva la Sezione che il ricorrente, in quanto cittadino italiano, ha un 
interesse immediato, concreto e attuale alla rimozione di un atto che 
influisce sulla sua possibilita' di movimento sul territorio nazionale, 
ovvero che condiziona tale liberta' ad accertamenti di natura personale, 
quali la fede religiosa, che non puo' costituire presupposto di trattamenti 
differenziati.

In effetti il provvedimento impugnato e' un provvedimento abnorme, che 
travalica il potere attribuito al sindaco dal d. legs. 267/2000, il quale, 
a norma dell'art. 54, "quale ufficiale del Governo, adotta, con atto 
motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, 
provvedimenti contingibili e urgenti al fine di eliminare gravi pericoli 
che minacciano l'incolumita' dei cittadini". Nel caso di specie, infatti, 
non risulta dall'ordinanza l'esistenza di nessun pericolo concreto 
dell'incolumita' dei cittadini, non potendosi considerare tale la paventata 
contaminazione di altre religioni.

Il provvedimento, inoltre, lungi dal rispettarli, viola i principi generali 
dell'ordinamento giuridico richiamati sia nel ricorso che nella relazione 
dell'amministrazione relativi al divieto di discriminazione religiosa (art. 
3), all'euguaglianza delle confessioni religiose (art. 8), alla liberta' di 
esercizio e di propaganda della fede religiosa (art. 19), alla liberta' di 
circolazione su tutto il territorio italiano e al diritto di libera 
circolazione sul territorio europeo.

In particolare si deve sottolineare che il divieto di discriminazione 
religiosa comporta che nessun effetto nell'ordinamento giuridico puo' 
prodursi in dipendenza della professione di fede, la quale resta un fatto 
personale tutelato dall'ordinamento e privo di riflessi giuridici. In altri 
termini, la religione non e' uno dei fatti ai quali un provvedimento 
amministrativo puo' ricollegare effetti, restando l'ordinamento del tutto 
indifferente rispetto alle credenze religiose dei propri cittadini o 
residenti. E cio' vale sia per lo Stato che, a maggior ragione, per 
qualsiasi esercente pubbliche funzioni.

Come esattamente rilevato nella relazione, il provvedimento lede anche le 
prerogative di liberta' nell'esercizio del potere spirituale garantito 
dalla Costituzione a tutte le Chiese, cristiane o meno, le quali possono 
decidere autonomamente come gestire i propri rapporti con le altre fedi.

Infine, v'e' da dire che il tema della reciprocita' e' del tutto fuor di 
luogo. La liberta' religiosa rientra tra i principi fondamentali 
inattaccabili perfino dalle leggi statali, ivi comprese quelle di ratifica 
dei trattati internazionali. Non potrebbe pertanto mai darsi una clausola 
di reciprocita' che nel nostro ordinamento recepisse una discriminazione 
avente per presupposto l'appartenenza ad una religione. E' pertanto 
palesemente assurdo che un sindaco si arroghi un potere che nemmeno lo 
Stato potrebbe esercitare.

Dalle considerazioni che precedono discende che il ricorso deve essere accolto.

P.Q.M.

Esprime che il parere deve essere accolto.

Per estratto dal verbale

Il Segretario dell'Adunanza (Virginia Funaro)

Visto Il Presidente della Sezione (Salvatore Giacchetti)

Il Presidente della Repubblica

VISTO il ricorso presentato in via straordinaria dal Sig. Gianelli Fausto 
avverso e per l'annullamento dell'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 con 
la quale il Sindaco di Rovato (BS) dispone "il divieto ai non professanti 
la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto della 
predetta religione, in regime di reciprocita' ed in attuazione di 
protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico", e 
disponendo, altresi', "l'istituzione di una area di protezione e sicurezza 
pari a mt. 15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiana";

VISTO il Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D. 
26 giugno 1924, n. 1054 e successive modificazioni;

VISTO il regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato, 
approvato con R.D. 21aprile 1942, n. 444;

VISTO il D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, recante norme per la 
semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi;

UDITO il parere espresso dal Consiglio di Stato, Sezione Prima, 
nell'adunanza 15.05.2002, il cui testo e' allegato al presente decreto e le 
cui considerazioni si intendono, qui, integralmente riprodotte;

Sulla proposta del Ministero dell'interno;

DECRETA

Il ricorso di cui alle premesse e' accolto.

Dato a ROMA ADDI' 25 FEBBRAIO 2003