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La nonviolenza e' in cammino. 675
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 675
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Mon, 15 Sep 2003 19:28:07 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 675 del 16 settembre 2003
Sommario di questo numero:
1. Fame zero: si puo', si deve
2. Lorenzo Guadagnucci: lettera di un "facinoroso" al ministro dell'interno
3. Maria G. Di Rienzo: ricetta. Come costruire una comunita'
4. Enrico Peyretti: un governo assassino
5. Una lettera aperta al Presidente della Repubblica
6. Benito D'Ippolito: ballata dei governi che sanno quel che fanno
7. Farid Adly: un appello per Taysir Allouni
8. La carovana della pace a Roma
9. Il 4 ottobre una festa a Verona
10. Buone notizie da Cancun
11. Peppe Sini: Arafat ovvero l'umanita'
12. Ali Rashid: prima che sia troppo tardi
13. Elena Loewenthal: il primo uomo
14. Susan Sontag: cio' che rimane da fare
15. Giulio Vittorangeli: le ambiguita' del dopoguerra
16. Paolo Tranchina: e' uscito il n. 196 di "Fogli di informazione"
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'
1. APPELLI. FAME ZERO: SI PUO', SI DEVE
[Attraverso l'amico e collaboratore Emanuel Anselmi, che ringraziamo, dal
Centro Internazionale Crocevia (per contatti: crocevia@croceviaterra.it)
riceviamo e diffondiamo questo appello cui aderiamo ed invitiamo ad aderire]
Sovranita' alimentare: un diritto per tutti.
"Fame zero. Si puo'. Si deve".
E' nostra intenzione e di tutti coloro che intendono aderire a questo
appello fare del 16 ottobre 2003, giornata mondiale dell'alimentazione, una
settimana di mobilitazione ed informazione per sostenere il diritto di ogni
popolo a decidere in totale autonomia la propria politica agricola ed
alimentare e di ogni cittadina o cittadino a pretendere un cibo sicuro,
nutriente ed appropriato alle proprie tradizioni culturali.
In totale continuita' con la giornata internazionale delle lotte contadine
che si tiene ogni anno il 17 di aprile, giornata che rivendica il carattere
planetario delle lotte condotte dalle donne e dagli uomini che vivono e
lavorano con la terra a difesa della propria dignita', noi intendiamo
promuovere iniziative di mobilitazione per trasformare il carattere
ufficiale e celebrativo della giornata mondiale dell'alimentazione in una
giornata della mobilitazione dei cittadini in difesa e a sostegno della
sovranita' alimentare e delle agricolture che si battono per fornire ad ogni
cittadino del mondo un cibo qualitativamente adeguato, prodotto in modo
socialmente giusto ed ecologicamente durevole.
Non pretendiamo di dare disposizioni a nessuno, invitiamo tutti, a partire
dai cittadini di Roma, citta' che ospita le quattro istituzioni
internazionali (Fao, Ifad, Pam, Ipgri) a cui sono delegate le politiche e le
azioni globali che dovrebbero far scomparire la fame dal pianeta, a guardare
nel proprio piatto e nel piatto del resto del pianeta.
L'insicurezza alimentare, di chi non ha abbastanza nel piatto o di chi
sembra avere troppo, resta un problema di disuguaglianza e di diritti
negati.
Siamo convinti che occorre affermare questi diritti con le lotte nei campi,
nelle foreste, sui mari, ma anche nelle citta' dove une minoranza, al nord
come al sud, per un profitto immediato e spesso privo di prospettive tenta
di trasformare il cibo in merce riducendo continuamente la sicurezza
alimentare di ognuno di noi.
Prepariamo una settimana di iniziative dall'11 al 16 ottobre, nella citta'
di Roma, perche' l'agricoltura e' un problema di tutti e non possiamo
permettere che la fame e l'insicurezza alimentare siano invece considerati
questioni da specialisti.
Nel 1978 il nostro presidente della Repubblica Sandro Pertini si rivolse
agli italiani evocando lo svuotamento degli arsenali e il riempimento dei
granai, evidentemente la storia non e' andata come egli sperava, ma
all?inizio del 2003 il neo-presidente del Brasile Lula da Silva si presenta
al suo paese e al mondo intero con la riduzione delle spese militari del
Brasile ed il lancio della campagna "fame zero" avviando un programma
realistico e concreto prima di tutto per combattere la fame combattendo le
ingiustizie sociali, riproponendo una strada percorribile per un giusto
rapporto tra nord e sud.
Come dimostra il presidente Lula la politica puo' affrontare il problema
dell'insicurezza alimentare, cosi' come puo' affrontare il problema della
poverta' e delle ingiustizie. Questa e' anche la nostra convinzione.
La politica e' prima di tutto il protagonismo di quanti pensano che mondi
diversi siano in movimento, stiano nascendo dalle mille esperienze di
resistenza e di costruzione di alternative che riescono a mettere insieme un
pranzo con una cena, difendendo il diritto ad un cibo sano, sicuro,
culturalmente appropriato.
Ridiamo centralita' ad una agricoltura capace di sconfiggere la fame e la
poverta', diamo centralita' ad una politica internazionale che riduca la
produzione di armi e lo scatenamento di conflitti nei paesi del sud del
mondo ed aumenti il sostegno all'affermazione dei diritti fondamentali,
prima di tutto quello al cibo ed alla sua produzione.
Mettiamo la solidarieta' al primo posto nell'azione della societa' civile.
Quest'anno il 16 ottobre, giornata mondiale dell'alimentazione, sara' il
culmine di una settimana di iniziative da tenere a Roma, perche' "Fame zero.
Si puo'. Si deve".
Centro Internazionale Crocevia
Greenpeace Italia
Verdi Ambiente Societa'
Associazione Italiana Agricoltura Biologica
Associazione Rurale Italiana
2. DIRITTI UMANI. LORENZO GUADAGNUCCI: LETTERA DI UN "FACINOROSO" AL
MINISTRO DELL'INTERNO
[Riceviamo e diffondiamo questa lettera aperta dell'amico assai caro Lorenzo
Guadagnucci. Ci sembra debba essere particolarmente sottolineata la
conclusione di questa lettera: "Io, come decine di altri, ho denunciato
quanto accaduto alla Diaz per senso di giustizia, fiducia nella democrazia,
rispetto delle istituzioni. Lei dice di stare dalla parte della polizia, dei
carabinieri, della guardia di finanza. Anch'io sto dalla loro parte, e per
questo denuncio quanti di loro tradiscono la loro missione, infrangono la
legge, calpestano i diritti dei cittadini"; come e' noto questo foglio e'
sempre stato intransigente nella denuncia dei crimini e nel rifiuto di
insensate generalizzazioni; nella difesa dei diritti umani e
nell'opposizione alle scelleraggini e alle menzogne dei provocatori; nel
rispetto delle forze dell'ordine e nel sostenerle nel loro compito di
garantire la sicurezza e i diritti di tutti, ed insieme nella richiesta che
i responsabili di atti criminali siano perseguiti secondo la legge, sempre,
e a maggior ragione quando fanno parte di istituzioni pubbliche. Lorenzo
Guadagnucci, giornalsta economico, studioso dei problemi della
globalizzazione e dei nuovi movimenti sociali, e' stato tra le vittime
dell'aggressione squadristica alla scuola Diaz nel 2001 a Genova. Si e'
impegnato non solo a testimoniare e documentare quell'orrore, ma anche a
favorire l'elaborazione del lutto da parte di tutte le vittime e a costruire
le condizioni perche' simili orrori mai piu' accadano. Opere di Lorenzo
Guadagnucci: Noi della Diaz, Berti, Piacenza 2002]
Signor ministro,
credo di essere uno dei "facinorosi" di cui lei ha parlato nel suo
intervento di domenica scorsa, riportato da tutti i quotidiani.
Sono tuttora indagato per associazione a delinquere finalizzata alla
devastazione e al saccheggio. La notte del 21 luglio 2001 ero a Genova
dentro la scuola Diaz, con altre 92 persone.
Ho raccontato quanto accadde quella notte in un libro, che s'intitola "Noi
della Diaz": mi premeva scrivere tutto subito, prima di dimenticare i
dettagli. Puo' leggere il libro, non smentito e non smentibile. Capira',
leggendolo, la mia rabbia personale e la mia delusione come cittadino nel
leggere le sue parole di ministro sui "facinorosi trasformati in vittime e
sugli aggrediti trasformati in aggressori", con riferimento ai commenti
scaturiti dai 73 avvisi di fine indagine contro altrettanti agenti e
dirigenti di polizia.
Se non avesse tempo di leggere il libro, potrei mostrarle una cicatrice sul
mio avambraccio destro, causata dai colpi di manganello, un'altra
all'altezza del ginocchio sinistro, e poi il marchio che porto ancora sulla
spalla sinistra, provocato, come accertato da un dermatologo e documentato
da un certificato consegnato alla Procura di Genova, da una scossa
elettrica.
Oppure, signor ministro, potrebbe dare una scorsa alle decine di
testimonianze raccolte in questi due anni, o agli atti della magistratura, a
cominciare dall'ordinanza del 5 maggio scorso che scagionava i 93 della Diaz
dall'accusa di resistenza e lesioni, per finire con gli avvisi di fine
indagine del 12 settembre scorso. In questi documenti c'e' tutto: il
racconto dei pestaggi, delle umiliazioni subite, delle falsificazioni
compiute dalla polizia (la falsa sassaiola, le molotov collocate ad arte, il
dubbio accoltellamento di un agente, etc). Tutte cose note, spesso
confermate da testimonianze di agenti di polizia, mai smentite dagli stessi
protagonisti dei fatti, che al massimo hanno tentato di scaricare su altri
le responsabilita' di quanto accaduto.
Insomma, per me che ero dentro la Diaz, per i 92 che furono arrestati con
me, per decine di persone maltrattate e umiliate nella caserma di Bolzaneto
dov'erano detenute, la distinzione fra "facinorosi e innocenti, aggrediti e
aggressori" e' molto chiara.
Come mi e' molto chiaro che c'e' un unico modo per mostrare rispetto e
fiducia verso la Polizia di Stato: chiedere immediatamente ai dirigenti
cosi' pesantemente sotto accusa di fare un passo indietro in attesa dei
processi e arrivare piu' rapidamente possibile a un accertamento delle
responsabilita'.
Per il bene della polizia, per la sua credibilita'.
Io, come decine di altri, ho denunciato quanto accaduto alla Diaz per senso
di giustizia, fiducia nella democrazia, rispetto delle istituzioni.
Lei dice di stare dalla parte della polizia, dei carabinieri, della guardia
di finanza.
Anch'io sto dalla loro parte, e per questo denuncio quanti di loro
tradiscono la loro missione, infrangono la legge, calpestano i diritti dei
cittadini.
Mi aspetterei altrettanto dal ministro dell'Interno.
Cordialmente,
Lorenzo Guadagnucci
3. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: RICETTA. COME COSTRUIRE UNA COMUNITA'
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Spegnete la tv.
Uscite di casa e andate a conoscere i vostri vicini.
Salutate le persone per strada.
Alzate gli occhi mentre camminate.
Piantate fiori.
Frequentate la biblioteca comunale.
Condividete abilita' e risorse.
Aiutate gli animali perduti o abbandonati.
Raccogliete le immondizie, pulite dov'e' sporco.
Danzate.
Raccontate storie alle bambine e ai bambini.
Aiutate le persone a portare borse pesanti.
Barattate.
Organizzate una festa di quartiere.
Cucinate un po' di pane in piu' e regalatelo.
Aprite le porte.
Cantate in coro.
Riprendetevi la notte.
Sappiate che nessuno e' veramente silenzioso, ma che troppi
non vengono ascoltati: ascoltate.
4. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: UN GOVERNO ASSASSINO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; della sua fondamentale ricerca
bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente, una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios,
Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo
stesso notiziario (e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione
nuovamente aggiornata). Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti
di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario]
Il governo di Israele discute se, come e quando assassinare Arafat,
rappresentante di un altro popolo, condannato a morte senza ombra di
processo legittimo. Nessun ministro israeliano si e' dimesso.
Il governo di Israele, che pratica da tempo questo genere di omicidi, e' una
banda di assassini eletti "democraticamente" (supposto e non concesso che la
democrazia consista tutta nel principio elettorale) da un popolo che e'
responsabile depositario di un grande patrimonio morale dell'umanita'
intera.
Rispetto ad altri governi violenti e a bande di criminali, il governo
israeliano ha la spudoratezza di dichiarare l'assassinio come parte della
sua azione politica.
La politica ha invece, dappertutto e sempre, il compito essenziale di
assicurare la legge suprema della convivenza pacifica, all'opposto della
violenza fuori legge.
Quando la politica usa la morte si fa essa stessa delinquenza.
5. APPELLI. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
[Riportiamo la lettera aperta inviata l'altroieri dal responsabile del
"Centro di ricerca per la pace" di Viterbo al capo dello stato e ad altri
sogetti istituzionali]
Per l'immediato ritiro dei militari italiani dall'Iraq.
Per l'immediato ripristino della legalita' costituzionale.
*
Signor Presidente,
i mezzi d'informazioni diffondono la notizia che ieri alcuni militari
italiani presenti nell'Iraq in guerra sarebbero stati coinvolti in un fatto
di sangue che avrebbe comportato la morte di un cittadino iracheno.
Lei sa che la presenza in armi di militari italiani in un paese dove e' in
corso una guerra illegale, criminale e stragista, ed un'occupazione militare
straniera proditoria e inammissibile secondo il diritto internazionale e la
coscienza delle genti, costituisce una grave violazione della nostra
Costituzione, che all'articolo 11 proibisce esplicitamente tale
partecipazione italiana alla guerra.
Lei sa che la partecipazione di militari italiani a fatti di sangue in cui
delle persone restano uccise espone i miltari italiani, il nostro paese e la
nostra popolazione al pericolo di divenire bersagli di azioni di guerra,
come anche di atti di terrorismo.
Lei sa che la vita di quei miltari italiani e' in grave pericolo, ed e' in
grave pericolo altresi' la loro coscienza ed il loro stesso status dinanzi
alla legge poiche' essi con la sola loro presenza li' sono esposti non solo
a enormi pericoli per se stessi, ma anche al rischio di divenire assassini,
e sono gia' di fatto resi complici di atti di guerra illegali, criminali e
criminogeni.
Lei sa che come supremo garante della Costituzione era suo dovere impedire
la partecipazione italiana alla guerra, e che la decisione del governo e del
parlamento italiano di inviare militari cola' era in radice illegale e
criminale, perche' incostituzionale.
Come incostituzionale e quindi criminale era gia' anche l'avallo morale e
politico (ma meglio sarebbe dire: immorale e impolitico) dato allo
scatenamento della guerra.
Come incostituzionale e palesemente criminale era gia' il favoreggiamento
alla guerra e alle stragi avendo consentito il trasporto attraverso l'Italia
degli armamenti della potenza straniera responsabile dell'aggressione
bellica stragista, essendo quei trasporti di armi a tal fine ordinati ed
efficienti.
Lei sa che protraendosi questa situazione il governo il parlamento e Lei
stesso portate la responsabilita' di costringere nel piu' grave dei pericoli
il nostro paese e i nostri concittadini, che avete invece l'obbligo di
servire.
*
Dal profondo del cuore La prego: assuma piena contezza e coscienza della
situazione presente, prenda ed esprima una posizione chiara e necessaria, e
lanci un autorevole monito: richiami parlamento e governo al rispetto della
Costituzione; si adoperi per salvare tante vite innocenti, irachene e
italiane, in pericolo. Chieda il ritiro immediato dei militari italiani
illegalmente coinvolti in una guerra e in un'occupazione militare sciagurata
e criminale.
Attendere oltre e' aggiungere crimine e follia alla follia e al crimine
grandi gia' tragicamente commessi.
Attendere oltre e' rendersi complici e fautori anche degli ulteriori orrori
che prevedibilmente sopravverranno in assenza di scelte di pace, di
legalita', di giustizia, di umanita'.
6. CANZONACCE DISPERATE DA OSTERIA. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA DEI GOVERNI
CHE SANNO QUEL CHE FANNO
[Ringraziamo il nopstro amico Benito D'Ippolito per averci inviato questa
ballata, come dire, morgensterniana]
Certe cose, via, le si capisce al volo
che c'e' quello che su teste mette taglie
che c'e' quello che fa stragi e rappresaglie
e c'e' quello che con l'ascia lui non ozia
e c'e' quello che negozia con il mitra e col tritolo.
Fece scuola al mondo intero, fece scuola l'imbianchino
fece scuola anche il georgiano, e nel tutto e nella parte,
nei trattati lor di arte di governo
dal profondo dell'inferno dan consigli ardenti ardenti
che statisti, oh, diligenti, han studiato a capo chino.
All'armeno, all'indio, al curdo,
nel teatro dell'assurdo che e' il gran mondo in cui viviamo
il munifico statista offre l'una o l'altra pista:
"se il tuo vivere e' si gramo che morire quasi e',
sai che faccio? ti rottamo, e mi godo quel che c'e'".
Ah, che mondo affascinante
che il governo l'esaltante fumigar del sangue umano
ogni di' ci garantisce, e ci mena, buon mandriano,
tutti all'abbeveratoio rosso cupo, e ci erudisce
sull'ingenuita' del lupo, e ci spiega che e' fatica
governare, esercitare l'arte sua del mattatoio
e di teschi far gran bica:
si commuove, e di consenso
chiede un cenno, un gran d'incenso,
chiede un cenno, e volentieri noi battiam, battiam le mani.
Cosi' oggi, cosi' ieri, e cosi' anche domani.
7. APPELLI. FARID ADLY: UN APPELLO PER TAYSIR ALLOUNI
[Ringraziamo l'amico carissimo Farid Adly (per contatti:
farid.adly@tiscalinet.it) per averci inviato questo appello. Farid Adly,
autorevole giornalista e prestigioso militante per i diritti umani, e'
direttore di "Anbamed, notizie dal Mediterraneo". Come amici della
nonviolenza ci opponiamo a tutte le violenze; ci sta a cuore la vita,
l'incolumita', la dignita' di tutti gli esseri umani; come amici della
nonviolenza invitiamo tutte le persone a fare qualcosa in difesa
dell'umanita' e di ogni singola persona in cui essa si incarna]
Taysir Allouni e' un giornalista di nazionalita' spagnola e di origine
siriana.
L'abbiamo conosciuto tramite le sue corrispondenze da Kabul e da Baghdad
come un collega serio ed equilibrato.
Per compiere il suo dovere di giornalista ha rischiato la vita piu' di una
volta, soprattutto durante i bombardamenti subiti dalle redazioni di Al
Jazeera a Kabul (nel novembre 2001) ed a Baghdad (nell'aprile 2003).
Chi lo ha conosciuto personalmente, lo ha definito come una persona buona,
disponibile al confronto e lontano da ogni posizione estremista.
Le accuse rivolte a Taysir Allouni, da cio' che e' trapelato dagli ordini di
perquisizione e di arresto, ci sembrano uno schiaffo alla liberta' di
informazione (intervista a Bin Laden), pretestuose (finanziamento ad Al
Qaeda), e ridicole (la partecipazione ad una festa di matrimonio alla quale
erano invitati due persone di nazionalita' siriana, allora incensurate e
soltanto poi accusate di appartenenza ad Al Qaeda).
La conferma del suo arresto rischia di far perdurare la sua permanenza in
carcere per anni; la sua salute non sopporterebbe cio' anche perche' proprio
in questi giorni Taysir doveva sottoporsi ad un intervento al cuore.
Non siamo fautori delle teorie del complotto. Appunto per questo e per la
nostra ferma convinzione dell'indipendenza e dell'integrita' morale dei
giudici spagnoli impegnati sul caso, ci chiediamo perche' questo
accanimento. Le indagini potevano continuare anche con Taysir libero.
La lotta contro il terrorismo, lotta che ci vede impegnati quotidianamente,
non fa passi in avanti demonizzando tutto cio' che e' arabo e musulmano.
La solidarieta' a Taysir Allouni ed alla redazione di Al Jazeera e' un
tassello del dialogo tra oriente e occidente, che tutti noi auspichiamo.
Liberta' al collega Taysir Allouni.
Farid Adly, direttore di "Anbamed, notizie dal Mediterraneo"
Per informazioni ed adesioni: tel. 3398599708, 0941730053, e-mail:
farid.adly@tiscali.it
8. INIZIATIVE. LA CAROVANA DELLA PACE A ROMA
[Dagli amici della carovana della pace (per contatti: cesco.leo@libero.it),
che dal 4 settembre sta attraversando l'Italia, riceviamo e diffondiamo]
L'otto settembre la carovana della pace si e' rimessa ancora in viaggio.
Arriva a Roma, una nuova realta' in cui immergersi, complessa ed articolata.
Per questo decide di dividersi in quattro gruppi, coinvolti il piu'
possibile in contesti diversi:
- mmersione tra la gente del quartiere Laurentino 38, un quartiere
periferico e degradato dove la Caritas locale, l'associazione Ancora 95 e le
Piccole Sorelle di Gesu' lavorano con le famiglie ed i piu' giovani;
- incontro con le comunita' di rifugiati (sudanesi ed eritrei) nei capannoni
abbandonati dei treni alla stazione Tiburtina. Quasi mille persone conducono
un'esistenza priva di prospettive e servizi essenziali, molti di loro in
attesa dello stato di rifugiati politici;
- visita, dialogo e confronto con numerose associazioni che lavorano nella
citta' di Roma per la pace, la legalita', l'educazione, l'informazione e
l'accoglienza di chi e' escluso (casa di accoglienza per ragazze madri
gestita dalle suore di San Vincenzo de Paoli nella zona della parrocchia
Santa Maria dei Monti, Sepn - settore educazione alla pace e alla
nonviolenza della Caritas di Roma -, Libera, Misna, Rete di Lilliput);
- incontro con la gente sulle strade attraverso le "tende del vangelo",
luoghi per incontrare, scambiare idee, confrontarsi e distribuire del
materiale sull'iniziativa e sulle campagne.
La comunita' della carovana ha scelto di ospitarsi in un luogo familiare
agli immigrati: l'Acse (Associazione comboniana servizio emigranti e
profughi), dove passano ogni giorno decine di persone per studiare, ricevere
consulenze o usufruire dell'ambulatorio dentistico. La carovana passa a Roma
in un momento molto speciale per i missionari comboniani, impegnati nel loro
capitolo generale: missionari da tutto il mondo si stanno interrogando sulle
sfide per la missione nel mondo di oggi. I giovani della carovana incontrano
i capitolari e presentano un documento in scrittura collettiva rilanciando
ai missionari le loro sfide: avere fiducia nei giovani, con il coraggio di
dare loro responsabilita', stimolarsi all'impegno e alla radicalita' delle
scelte cristiane, aprirsi alla missione con scelte chiare di impegno per la
pace nella giustizia e con esperienze di comunita' il piu' possibile
inserite nelle poverta' dei popoli.
Tre serate hanno aiutato la citta' di Roma ad approfondire e ampliare le
vedute: la prima con fratel Arturo Paoli ed i capitolari comboniani, dal
titolo "Quale missione oggi per un regno di giustizia e pace?"; una seconda
presso la parrocchia di San Saturnino per riflettere sul messaggio della
Pacem in Terris insieme anche a due testimoni eccezionali dal Congo e
dall'Uganda; ed una terza serata, l'11 settembre, insieme a padre Alex
Zanotelli e don Luigi Ciotti, per pregare contro tutti i terrorismi ed
individuare con l'aiuto del vangelo le strade per "Osare un tempo nuovo".
La carovana riparte con la speranza della continuita' dopo il cammino fatto
insieme ai ragazzi del Gim (Giovani impegno missionario) di Roma ed ai tanti
che ci hanno accolto e con cui portiamo mattoni diversi allo stesso edificio
di pace.
9. INCONTRI. IL 4 OTTOBRE UNA FESTA A VERONA
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo la
notizia di questa iniziativa]
In occasione della ricorrenza di San Francesco, sabato 4 ottobre il
Movimento Nonviolento organizza a Verona una festa per i quindici anni di
apertura della Casa per la nonviolenza.
Davanti alla sede di via Spagna 8 (vicino alla basilica di San Zeno), dalle
ore 16 in poi, ci saranno tavoli e panche con cibo, vino, torte, musica,
giochi per bambini, uno spazio per gli anziani, e interventi di amici della
nonviolenza. La festa e' organizzata con l'aiuto degli abitanti del
quartiere Orti di Spagna.
La Casa per la nonviolenza (sede nazionale del Movimento Nonviolento e della
redazione di "Azione nonviolenta") e' stata inaugurata nell'ottobre del
1988. Da allora la Casa e' cresciuta grazie al contributo di tanti
sostenitori e al lavoro di volontari e obiettori di coscienza.
La biblioteca, l'emeroteca, l'archivio ed il centro di documentazione si
sono arricchiti di molto materiale, catalogato e consultabile.
Nei primi giorni di novembre iniziera' il progetto di servizio civile
volontario "Comunicare la nonviolenza".
Motivi per fare festa ce ne sono tanti. Tutti gli amici sono invitati.
Il giorno seguente (domenica 5 ottobre), presso la sede si terra' la
riunione del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento.
10. MONDO. BUONE NOTIZIE DA CANCUN
A Cancun, al vertice del Wto (l'organizzazione mondiale del commercio),
l'alleanza dei governi di alcuni paesi del sud del mondo, sostenuti anche
dal comune sentire di tanta parte delle opinioni pubbliche del sud e del
nord, ha sconfitto, almeno per ora, i progetti vampireschi dei poteri la cui
egemonia reca all'umanita' intera sfruttamento, inquinamento e guerra.
E' una vittoria grande. Ed indica una via, ed offre un riferimento e un
contesto: alla resistenza, e all'alternativa. La via della dignita' e dei
diritti umani, la via della pace e della giustizia, la via della
solidarieta' e della civilta', la via della nonviolenza.
11. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: ARAFAT OVVERO L'UMANITA'
Scrivo queste righe con fatica. Sapendo che possono essere fraintese,
sapendo che comunque i ragionamenti qui svolti restano troppo di scorcio e
che e' indispensabile che io faccia appello a chi legge perche' sappia
collocarli nella riflessione e nelle scelte che di me gia' conosce, in
assenza di cui troppo resterebbe oscuro o ambiguo. Ma mi faccio forza e
scrivo, con fatica, queste righe.
Dinanzi alle grandi tragedie ed alle palesi aberrazioni, spesso mi chiedo
cosa ne avrebbe detto Primo Levi. E cercando di ritrovare cosa nei suoi
scritti affermava in relazione a situazioni analoghe trovo un qualche
conforto, e per cosi' dire una qualche guida, al mio sentire e meditare.
E sovente rimedito le parole di Martin Buber nel noto drammatico confronto
d'idee con Mohandas Gandhi in cui mi pare che Buber su alcuni aspetti
sostanziali vedesse piu' chiaro, piu' concretamente, del Mahatma (i
materiali sono in "Micromega" n. 2 del 1991, cui va aggiunto il lucido
saggio di Giuliano Pontara in Idem, Guerre, disobbedienza civile,
nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996).
Che un governo presieduto da un personaggio del quale Primo Levi aveva
chiesto l'allontanamento da incarichi ministeriali dopo l'orrore di Sara e
Chatila possa proclamare follemente di voler espellere dalla sua terra il
presidente eletto dell'Autorita' nazionale palestinese e - indipendentemente
dal giudizio che si puo' dare sull'operato della persona in diversi
frangenti - un simbolo vivente della lotta per l'esistenza del popolo
palestinese; e che un membro di quel medesimo governo possa dichiarare senza
sgomento intenzioni assassine; e che - a fronte non solo dell'istigazione
all'omicidio ma alla dichiarazione della volonta' di procedere all'omicidio
di un uomo che e' anche un capo di stato eletto dal suo popolo, e dinanzi
all'etnocidio di un popolo - la cosiddetta comunita' internazionale sia
cosi' sussiegosa ed elusiva; ebbene, tutto cio' e' qualcosa che dovrebbe far
tremare il mondo intero di paura, di paura per la sorte dell'umanita' intera
(tralasciando il semplice fatto che chi annuncia l'intenzione di farsi
mandante di un omicidio dovrebbe essere allontanato da incarichi di governo,
messo in condizioni di non nuocere, assicurato alla giustizia e al piu'
presto processato da una corte secondo legge).
Poiche' questa politica terroristica che suscita terrorismo, poiche' questa
politica che invece di salvare vite umane e' mandante di stragi e stragi
favoreggia, poiche' questa politica doppiamente genocida dacche' ogni giorno
da anni espone a immani sofferenze e a immensi pericoli il popolo di
Palestina ed il popolo di Israele, ebbene, questa politica deve essere
respinta e sconfitta, ed i suoi propugnatori messi in condizione di non
nuocere: con la forza del diritto, con la forza della democrazia, con la
forza della pace e del rispetto per la vita. Per la vita di tutti.
*
Noi non abbiamo alcun dubbio sul fatto che il popolo palestinese abbia
diritto al suo stato, uno stato indipendente e sovrano, uno stato
democratico, uno stato in cui possa vivere una vita per quanto possibile
serena e felice.
Cosi' come non abbiamo alcun dubbio che lo stato di Israele debba esistere,
indipendente, sovrano, democratico, e che il popolo che vi vive abbia
diritto alla sicurezza, a una vita per quanto possibile serena e felice.
Noi non possiamo dimenticare cio' che e' accaduto in Europa appena alcune
decine di anni fa: proprio perche' c'e' stato l'orrore della Shoah e' dovere
dell'umanita' intera impedire per sempre che dei gruppi umani siano vittime
di tentativi di annientamento.
*
Un amico molto caro, un uomo di straordinaria dirittura morale e profonda
cultura, un autentico costruttore di pace come Ali Rashid, ha scritto in
questi giorni riflessioni assai preoccupate, un'analisi senza edulcorazioni,
parole che forse a qualcuno potranno spiacere nella loro intensita' anche
emozionale e nell'esigenza di semplificazione ed enunciazione chiara del
punto di vista, parole che sono un invito ancora alla ragione, alla
comprensione, alla scelta della pace, della verita', della giustizia; vi
vibra un dramma e un appello.
Un'autrice che quantunque di noi piu' giovane sentiamo come maestra, Elena
Loewenthal, ha pubblicato mesi fa un suo libro che si ha il dovere di
leggere: Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003, in cui, da
un'altra ma convergente prospettiva, anche lei propone riflessioni assai
preoccupate, un'analisi senza edulcorazioni, parole che forse a qualcuno
potranno spiacere nella loro intensita' anche emozionale e nell'esigenza di
semplificazione ed enunciazione chiara del punto di vista, e avanza urgente
un invito ancora alla ragione, alla comprensione, alla scelta della pace,
della verita', della giustizia; vi vibra un dramma e un appello.
*
L'occupazione militare dei territori palestinesi, e le devastazioni e gli
omicidi commessi dall'esercito occupante, devono cessare: ed e'
responsabilita' di un governo legittimamente costituito e democraticamente
eletto farli cessare, e potrebbe farlo con una semplice deliberazione che
sarebbe accolta dal plauso del mondo intero, dal plauso del mondo intero, lo
ripeto: dal plauso del mondo intero; invece quel governo purtroppo continua
in una politica che e' legittimo definire colonialista e stragista, una
politica terroristica che altro terrorismo specularmente riproduce.
*
Devono cessare, e' ovvio, gli attentati terroristici e stragisti contro la
popolazione israeliana. E questo e' certo piu' difficile poiche' i soggetti
che li promuovono non sono di tipo statuale, non agiscono in forma di
esercito regolare, sono per l'appunto piu' idealtipicamente terroristi, e
nessun potere di tipo statale - specialmente se reso cosi' fragile e
pervicacemente delegittimato come quello dell'Anp - riesce agevolmente a
contrastare il terrorismo (ne sappiamo qualcosa qui in Italia, dove di
terrorismi ne abbiam conosciuti tanti, compreso quello di stato, e per
sconfiggerne alcuni tanta fatica e' occorsa e tanto tempo, mentre tanto
sangue innocente veniva versato). Attentati la cui responsabilita' diretta
e' innanzitutto di organizzazioni che si sono profondamente radicate nella
societa' palestinese e che sovente non sono esclusivamente terroristiche e
criminali, ma svolgono anche altre funzioni, e funzioni rilevanti, nella
societa', nella cultura. Gli attentati devono cessare: quelle organizzazioni
che li promuovono e che si ispirano a grande tradizioni religiose o laiche
approfondiscano il senso del messaggio universalistico di verita' e di
giustizia cui dicono di far riferimento, sappiano leggere le scritture e le
storie nel senso forte che ha alla sua base la scelta della fraternita',
della convivenza, della dignita' umana, e ripudiando definitivamente il
terrorismo tornino al rispetto di quell'antico e decisivo interdetto che e'
a fondamento di tutte le grandi tradizioni di pensiero dell'umanita': "Tu
non uccidere". Ed i pubblici poteri palestinesi, gia' cosi' vulnerati e
indeboliti dall'occupazione ma non solo da essa, abbiano la forza comunque
di fare il possibile per contrastare la deriva nella barbarie terroristica
che nella sua spirale efferata trucida donne e uomini innocenti sia
israeliani che palestinesi, e denega l'unica possibile via alla convivenza,
cioe' al vivere tutti, al vivere insieme: la via del dialogo, della
comprensione, della comune elaborazione del lutto, della comune ricerca di
pace.
*
Occorre fermare tutte le stragi, tutti gli omicidi, tutte le devastazioni
che stanno portando alla disperazione e alla follia il cuore del mondo.
Occorrono dei passi unilaterali: di pace, di giustizia e di riconciliazione.
Occorrono dei passi unilaterali di pace: urgenti, immediati.
La comunita' internazionale deve intervenire con un piano di proporzioni
adeguate di aiuti umanitari e di interposizione nonviolenta, di aiuti sia
alla Palestina che a Israele; e deve immediatamente riconoscere l'esistenza
dello stato di Palestina; e deve garantire l'esistenza e il diritto alla
vita di due popoli e due stati.
L'Europa in particolare, responsabile della Shoah e del colonialismo, deve
risarcire i due popoli e i due stati per le immense sofferenze provocate
loro sia nel corso dell'ultimo secolo, sia nel corso degli ultimi due
millenni.
La societa' civile internazionale deve riuscire a far andare non decine, ma
milioni di persone a fare interposizione nonviolenta, a difesa della vita e
dei diritti dei palestinesi e degli israeliani. E deve contrastare con la
massima energia ogni forma di razzismo, ogni rigurgito nazista.
Il governo di Israele deve decidere subito la fine dell'occupazione militare
e lo smantellamento degli insediamenti nei territori occupati.
Le istituzioni e le organizzazioni palestinesi devono fare il possibile per
disarmare i gruppi armati, contrastare la produzione e il traffico d'armi, e
chiamare tutti a scegliere la vita anziche' la morte, a scegliere la lotta
nonviolenta anziche' il suicidio e l'omicidio.
I governi dei paesi arabi, da cui Israele e' attorniato e si percepisce
circondato e minacciato (e da cui e' stato ripetutamente aggredito nel corso
della sua breve storia), devono cessare e far cessare ogni forma di
propaganda antiebraica e di minaccia a Israele, devono cessare di
strumentalizzare il dramma palestinese, e devono invece dare garanzie ad
Israele quanto aiuti allo stato e al popolo palestinese senza ambiguita' e
senza ricatti.
Ma anche le agenzie educative e della socializzazione, i leader religiosi,
le organizzazioni di massa e i gestori dei mezzi di comunicazione dei paesi
arabi devono dismettere l'ignobile crimine e la scellerata idiozia del
razzismo antiebraico, e l'infame propaganda nazista contro Israele e la sua
popolazione: per ottenere questo, e non sara' facile, occorre che la
comunita' internazionale sostenga gli operatori di pace ed i promotori del
dialogo e del rispetto dell'altro, sia nelle relazioni intergovernative, sia
nel sostegno alle esperienze delle amministrazioni locali e della societa'
civile che nell'area lavorano nella direzione della pace, della verita',
della giustizia, della solidarieta', della comprensione, della percezione
della comune umanita'.
Tutti devono contrastare il terrorismo, quello di stato, quello dei gruppi
armati, quello dei singoli.
Atti unilaterali di pace occorrono, e la scelta della nonviolenza. E nessuno
puo' chiedere all'altro di far qualcosa se lui stesso non comincia a fare
qualcosa: atti di pace, di verita' e giustizia, di solidarieta', di
nonviolenza.
Solo con il rispetto della vita altrui e propria, solo con il dialogo, solo
con la scelta della pace e' possibile fermare la catastrofe. In quel
fazzoletto di terra non e' in gioco solo la vita di due popoli e due stati,
e' in gioco il senso e il futuro dell'intera vicenda umana, la sorte
dell'intera umana famiglia.
E solo la scelta della nonviolenza, la scelta concreta, realistica, audace,
necessaria, della nonviolenza - solo essa puo' salvarci tutti.
12. RIFLESSIONE. ALI RASHID: PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 settembre 2003. Ali Rashid e' il primo
segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di
profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici,
economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di
questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E'
figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una
delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica
palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali
quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica]
L'immagine di Sharon riunito con i falchi del suo governo, i soldati
israeliani che stringono sotto assedio un intero popolo, le ruspe e
l'esplosivo che demoliscono le case, l'acqua, il cibo e i medicinali che non
arrivano, la muraglia che tiene assediati aggressori e vittime e i sondaggi
di opinione nella societa' israeliana ci riportano centinaia di anni
indietro nella storia ed esprimono il degrado che produce il governo di
Israele come modello, dimostrando la totale devastazione culturale ed umana
che genera il prolungato uso della guerra e della violenza nella societa'
che la pratica.
E' un monito a tutti di come la democrazia puo' autoannullarsi quando
diventa un'arma tribale e non un concetto complessivo ed universale. Farebbe
bene anche L'Europa a rifletterci.
Le immagini che arrivano dalla Palestina che ancora non c'e', se non
attraverso il dolore e il sogno, mostrano tutto il degrado che
l'annichilimento e le ingiustizie subite a lungo producono, e di come e'
difficile mantenere la ragione e la pazienza quando ti senti braccato,
smarrito ed assediato dall'angoscia delle fine incombente. Quando ti senti
solo ed abbandonato al tuo destino. Dimostrano con evidenza l'inevitabile e
mortale processo che porta la vittima ad assomigliare, adottare e fare suoi
i lati peggiori del suo carnefice e siccome non ha la forza e del progresso
tecnologico dell'avversario, allora li sostituisce con l'unica cosa che gli
rimane e dove non puo' arrivare il nemico: la propria carne e la propria
anima.
Ormai il conflitto ha raggiunto l'anima e non consente piu' scorciatoie: i
palestinesi sentono che il governo di Israele punta alla loro fine e non
intendono morire in silenzio. vivono una disperata solitudine in un mondo
guidato da mediocri e complici e stanno tirando fuori tutto quello che hanno
accumulato lungo un secolo, nel bene e nel male.
*
Il presidente Arafat sta in mezzo a tutto questo, simboleggia una storia
difficile, carica di dolori e di passioni, protagonista di sconfitte
brucianti e pagine gloriose, testimone ed autore delle vicissitudini del suo
popolo. Oggetto e obbligatoriamente fautore del degrado che lo circonda, non
ha mai abbandonato l'idea di traghettare il suo popolo verso una soluzione
politica anche a prezzo di rinunce dolorose e di piu' che legittimi sogni di
riscatto. Come non ha mai messo in discussione il primato della politica
sulla guerra quando la politica mantiene qualche credibilita', anche quando
il suo degrado e' ancora accettabile, o il primato della convivenza sullo
sterminio, e non credo che lo steso si possa dire di quei dirigenti di
Israele, di destra e cosiddetta sinistra, che avevano nel passato
teorizzato, praticato e reso normale l'idea dello stillicidio e l'espulsione
di un intero popolo, che oggi sembra essere accolta favorevolmente dalla
maggioranza degli israeliani.
Arafat oggi rappresenta l'ultimo baluardo della politica come strumento di
mediazione e di soluzione dei conflitti. Espellerlo significa gettare la
spugna per tutti coloro che credono ancora in una societa' laica invitandoli
ad affidare il loro destino a chi proclama ed attua la guerra di religione,
rassegnandosi all'inevitabilita' dello scontro tra civilta' sul quale
Israele, ancor prima dell'America, sta soffiando.
Non e' la prima volta che Arafat si trova in condizioni simili. Piu' di una
volta si e' trovato costretto all'esilio o la sua vita e' stata minacciata.
In Israele c'e' chi maledice ancora il "traditore" Rabin per aver firmato
l'accordo di pace con i palestinesi rinunciando all'idea del "grande
Israele", e tra questi Sharon ed il suo governo di fanatici che oggi trovano
ascolto presso un strano ceto politico europeo che ha visto nella guerra di
Bush un'occasione per affermare il proprio ruolo, e nel diffuso degrado sul
piano internazionale l'occasione per nascondere o giustificare il proprio
degrado. Lo stesso vale per alcuni ambienti della sinistra europea, che
hanno praticato la cosiddetta politica della equidistanza tra la vittima e
il macellaio, favorendo in questo modo la destra fascista in Israele e
togliendo spazio e ossigeno a chi in Israele si batte per una soluzione
politica che risparmia morte ed imbarbarimento ad entrambe le societa', ma
anche per ristabilire un senso del limite che il governo di Israele ha
completamento perso.
*
La solidarieta' con Arafat - che non si fara' espellere vivo - e' una
solidarieta' con la pace contro la guerra, con l'intero popolo palestinese,
per la civilta' della convivenza, per la legalita' e contro l'arroganza del
piu' forte che crede in un mondo senza regole dove viene calpestata ogni
forma di diritto. Sono momenti cruciali come stiamo ripetendo da un secolo.
Dopo la guerra di Bush, la parte migliore della comunita' internazionale ha
il dovere di rinnovare il suo impegno di sostegno e solidarieta' per la
Palestina partendo dalla solidarieta' con Arafat, prima che sia troppo
tardi.
13. MAESTRE. ELENA LOEWENTHAL: IL PRIMO UOMO
[Da Elena Loewenthal, Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003,
p. 15 (un libro breve ma prezioso la cui lettura particolarmente
raccomandiamo alle persone impegnate nei movimenti per la pace e la
giustizia). Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta
studiosa, e' nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della
tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono
valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali;
collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti
commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di
cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e'
stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi.
Opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi
sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai
miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani,
Milano 2003; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della
tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino
1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de
Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg]
L'ebraismo rabbinico dice, ad esempio, che l'Eterno creo' il primo uomo in
un unico esemplare proprio perche' nessuno dei suoi discendenti potesse
vantarsi di un'ascendenza piu' nobile o elevata degli altri. Siamo tutti
pari per nascita, insomma, e da li' non si scappa.
14. MAESTRE. SUSAN SONTAG: CIO' CHE RIMANE DA FARE
[Da Susan Sontag, Il kit della morte, Einaudi, Torino 1973, p. 302. Susan
Sontag e' una prestigiosa intellettuale americana nata a New York nel 1933;
acutissima interprete e critica dei costumi e dei linguaggi, e' fortemente
impegnata per i diritti civili e la dignita' umana; tra i molti suoi libri
segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro
l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e Malattia
come metafora, presso Einaudi; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo
particolarmente il notevole Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano
2003]
Cio' che rimane da fare e' gia' stato fatto molte volte, da molti altri.
15. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LE AMBIGUITA' DEL DOPOGUERRA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali
collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre
1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e
alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una
lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il
responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso
numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in
rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche
un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento,
riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la
solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita'
pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti
di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni;
tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati
gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e
le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di
innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio
1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica
desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita'
umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione,
Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da
soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa
Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica,
Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali,
Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca
della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta'
internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente
insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di
politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale
viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997).
Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]
"L'11 settembre si disse che nulla sarebbe stato come prima. In realta'
tutto e' rimasto come prima: si continua a volare, si continua a costruire
grattacieli di 400 metri e addirittura ponti sullo stretto, si continua a
far morire di fame, di malattie e di miseria mezzo mondo; i capitali
continuano a girare da un computer all'altro da una parte all'altra del
pianeta; tutto cio' che in qualche modo caratterizzava la realta' del mondo
moderno, della globalizzazione, continua tale e quale. Il terrorismo non e'
riuscito a cambiare nulla di tutto questo" (Raniero La Valle, La nascita del
nuovo impero, in "Quaderni Satyagraha", n. 3, giugno 2003).
Intanto il linguaggio del terrorismo e dell'antiterrorismo, complice il
secondo anniversario dell'11 settembre, e' sempre piu' avvitato su se
stesso e sempre piu' virtuale, da una parte e dall'altra come in uno
specchio. La paura dell'attacco, piu' che l'attacco vero, e' l'arma piu'
potente in mano ai terroristi; ma e' anche l'arma piu' potente in mano
all'amministrazione americana per perseverare nella sua strategia di guerra
"antiterrorista", che, come dimostra il medesimo attivarsi del circuito
dell'allarme, fallisce il suo obiettivo. Il terrore e la cosiddetta guerra
al terrore sono ormai inestricabili e non poteva andare diversamente. Come
dimostra l'autobomba lanciata contro il quartier generale dell'Onu a Baghdad
il 19 agosto.
Ha scritto Lidia Campagnano (nell'articolo Il silenzio devastante dei
dopoguerra, apparso sul "Manifesto" del 27 luglio 2003, e ripreso nel n. 631
di questo notiziario): "Esiste ancora qualcosa che si possa chiamare
dopoguerra? In Iraq, per ora, si tratta di una sostituzione di granate,
mortai e bombe al bombardamento totale: non vogliono, si direbbe, questo
dopoguerra. In Somalia si tratta di un regime dominato dalla licenza di
uccidere per chiunque. Un gran silenzio sembra venire dall'Afghanistan. Un
silenzio ancora piu' radicale assorda dalla ex Jugoslavia, soprattutto da
sud, ed e', per usare un pallido eufemismo, silenzio di ogni parvenza di
democrazia. Certo e' possibile che, nel diradarsi delle esplosioni, uomini
e donne riprendano ad inventarsi la vita, miracolosamente, e riprendano la
parola e il diritto clandestino al pensiero: cosi' come e' possibile che
riprendano, un giorno, le armi. Nella mente si impone comunque
quest'immagine in cui il mondo sbiadisce, una zona dopo l'altra, e i
dopoguerra sembrano inverni artificiali che calano in successione. Il che
accentua e insieme deprime il senso di responsabilita' di questa parte del
mondo dalla quale provengono le guerre che costituiscono l'ordine e i
dopoguerra che devastano. Siamo a malapena alla soglia di una conversione a
politiche di pace, fino a che simili dopoguerra appaiono tollerabili".
Non solo, perche' non ci si interroga sulla necessita', la forza e le
ambiguita', di quello straordinario sentimento umano, che e' la compassione?
Ovvero su quel sentimento che sempre ci prende di fronte alle vittime, ma
non sempre, come sarebbe dovuto, nella stessa misura, perche' e' piu' facile
mettersi nei panni di un prossimo simile a noi che di uno diverso, piangere
le vittime delle Torri gemelle che quelle del genocidio del Ruanda,
accorgersi delle donne afgane quando entrano a far parte della
legittimazione della guerra antitalebana che quando ne parlavano le
femministe. L'organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha pubblicato (29
luglio 2003) un rapporto sull'Afghanistan di 101 pagine intitolato "Killing
you is a very easy thing fir us" (Ucciderti e' facilissimo per noi). Secondo
il rapporto la presenza statunitense nel paese ha legittimato nuovi abusi
contro donne e bambini, minacce alla stampa e alla popolazione, da parte di
signori della guerra corrotti che sono stati "promossi" governatori,
ufficiali e, in qualche caso, ministri con l'avallo del governo degli Stati
Uniti.
Vale la pena ricordare il film collettivo di undici cineasti: "11
Settembre" (giusto di un anno fa, uscito in contemporanea mondiale per
l'anniversario delle Twin Towers), che riesce a comunicare un'esperienza
comune di sdegno e di rabbia, al di la' di ogni giudizio sulla politica
dell'America di Bush, per le ingiustizie che hanno attraversato, e che
attraversano, la vita dell'umanita'.
16. RIVISTE. PAOLO TRANCHINA: E' USCITO IL N. 196 DI "FOGLI DI INFORMAZIONE"
[Da Paolo Tranchina (per contatti: tranteo@cosmos.it) riceviamo e
diffondiamo. Paolo Tranchina, prestigioso intellettuale e psicoterapeuta, e'
da decenni una delle figure piu' vive del movimento di psichiatria
democratica; psicologo analista, ha lavorato a Milano, Arezzo, Firenze,
Torino, ha insegnato all'universita' di Verona, dirige la rivista "Fogli di
informazione". Tra le opere di Paolo Tranchina: Norma e antinorma, 1978; Il
segreto delle pallottole d'argento, 1984; Psicoanalista senza muri, 1989;
Portolano di psicologia, 1994. "Fogli di informazione" e' la storica rivista
del movimento di psichiatria democratica italiano, la cui lettura tutti ci
ha nutriti]
Durante l'estate e' uscito il n. 196 della rivista "Fogli di Informazione",
il primo fascicolo del 2003.
Il testo e' pubblicato anche come XXIX volume della collana della rIvista.
Lo scritto, molto interessante, e' la ricostruzione che Franco Petrucci,
psicologo e psicoteraputa, fa dei problemi di sua madre Fiammetta, deceduta
nel manicomio di Siena. Il testo ha una prefazione di Mario Antonio Reda e
una postfazione di Cesare Bondioli.
Unisco una scheda del testo intitolato: Io sono qua rinchiusa, Il caso
clinico di mia madre Fiammetta.
*
Riprendendo in mano la cartella clinica della madre, il figlio ricostruisce
la storia del suo disagio, con una appassionata denuncia delle condizioni di
poverta' e esclusione che caratterizzavano la situazione della campagna
senese alla meta' del secolo scorso.
Il quadro e' tracciato a tinte forti, nette, con una pregnanza descrittiva
attenta ai processi sociali ma che non trascura i dettagli della vita di
tutti i giorni: il fango davanti alla porta, il postino che non arriva cosi'
lontano, i soldi che non bastano mai.
Tutta la fatica di Fiammetta ritorna alla luce, la sua battaglia per
continuare a mantere a scuola i figli, cercando di consigliarli sempre per
il meglio, la sua caparbia lotta contro l'esclusione che la minaccia. Ma
purtroppo la psichiatria del tempo e' incapace di ascolto, comprensione,
prima ancora che di risposte che non siano repressive.
Cosi' Fiammetta lentamente non riesce piu' a dare un senso alla sua vita,
alla sua sofferenza, a quanto le sta accadendo, ad accettare l'accanimento
della sorte contro tutte le sue speranze. Una sorte che ha il volto della
miseria, dell'impotenza psichiatrica, della solitudine. Sarebbe bastato
cosi' poco per salvarla, viene da dire, un sussidio, qualche visita
dell'assistente sociale, colloqui in grado di offrire aiuto
psicologico,solidarieta', comprensione. Fiammetta non li ha avuti.
Dopo anni, il figlio ricostruisce il senso che le e' sfuggito, denuncia le
condizioni che l'hanno portata a morire in manicomio. Cosi' restituisce
dignita' alla sua storia, alla propria, e ci aiuta a portare avanti le lotte
per il cambiamento.
*
"Fogli di informazione" e' edito dal Centro di Documentazione di Pistoia,
via degli Orafi 29, 51100 Pistoia, tel. 0573977353, e-mail: giorlima@tin.it,
abbonamento annuo: per singole persone euro 26, per le istituzioni euro 36,
da versare sul ccp 12386512 intestato al Centro.
17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 675 del 16 settembre 2003