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una storia di "ordinaria" arroganza



Vi inviamo la sconvolgente testimonianza di Gigi,
un frate che ha condiviso l'esperienza del
Presidio di Pace a Nablus. leggetela fino alla fine e...
Il diario e le foto dell'attività a Nablus sono su:
assopace.blog.tiscali.it

Il viaggio di ritorno da Nablus pensavo che nascondesse
le solite difficoltà a cui Israele ha abituato tutte quelle persone che si 
recano in Palestina. Le ore interminabili divise tra perquisizioni e 
interrogatori erano già state messe in preventivo, le modalità in cui si 
sarebbero realizzate, invece, rappresentavano l'unico interrogativo.
Preso il taxi da Nablus e percorsa l'unica strada sgangherata percorribile 
per i palestinesi che vogliono raggiungere Gerusalemme, ci siamo trovati 
davanti due check-point diversi da quelli incontrati all'andata. Dico ci 
siamo intendendo i sei passeggeri a bordo del
taxi. La prima difficoltà la incontriamo al primo check-point dove uno dei 
passeggeri viene portato via sotto braccio dai soldati dietro una 
collinetta. A noi nel frattempo ci viene chiesto di aspettare
lontano dalla macchina. Passata una mezz'ora uno dei soldati ci viene 
incontro e con la solita gentilezza ci invita rapidamente a partire senza 
sapere nulla su quell'uomo che non abbiamo più visto. Entrati nel taxi 
chiedo cosa fosse successo ma nemmeno loro sapevano darmi
spiegazioni. Il viaggio verso Gerusalemme continua per il resto tutto 
tranquillo, parlando ora dell'italia ora di avventure capitate all'autista 
a Ramallah.
Alle 24:30 prendo il taxi insieme ad altre due persone per
raggiungere Tel Aviv. L'unica sosta a cui siamo costretti è quella della 
barriera autostradale dove i soldati mi fanno scendere dall'auto, da solo, 
per perquisire me ed i bagagli, mentre un'altro soldato si scusava con gli 
altri due passeggeri chiaramente israeliani. Finita la perquisizione 
ripartiamo per raggiungere l'aereoporto.
Giunti all'aereoporto pensando a tutti gli impicci a cui mi stavo avviando, 
decido di prendere prima un caffè all'interno del complesso. Non appena 
finito di pagare due persone con la camicia bianca e gli auricolari ben in 
mostra mi chiedono il passaporto ed il titolo di viaggio. Mi chiedono 
quindi di seguirli attraverso un corridoio lunghissimo che termina in una 
stanza con l'apertura
tramite codice. Mi fanno sedere e mentre uno dei due rimane con me a 
guardarmi, l'altro si reca in un'altra stanza. Arrivano, così, altre tre 
persone con il cestello per la perquisizione. Tornato anche l'altro uomo 
con l'auricolare, mi prende per il braccio e mi conduce
in un camerino molto stretto. Mi dice di mettere le mani in alto sul muro 
per perquisirmi e poi mi chiede di levare pantaloni e maglietta.
Resterò così appoggiato sul muro per 40 minuti.
Rivestitomi vengo portato nella stanza dove avevo lasciato la valigia e 
trovo tutta la mia roba sparsa su di un tavolo lungo. Mi viene chiesto se è 
tutta roba mia, titubante rispondo di si. Parlano tra loro osservando più 
volte il borsello dove avevo dentifricio e spazzolino. Morale della favola 
il borsello non si apriva. Arriva uno con una forbice tipo giardinaggio e 
mentre uno mi teneva il braccio
l'altro apriva il borsello. Tutto a posto, vengo lasciato e fatto sedere. 
Pensavo che ormai il grosso era stato fatto e invece no. Ecco arriva un 
uomo in giacca e cravatta con ricetrasmittente e pistola dietro la giacca. 
Sarà lui il personaggio con cui dividerò quello che resta della notte.
Dopo avermi guardato dice agli altri due miei amici con la camicia bianca 
di portarmi con lui. Detto-fatto. Ripercorriamo il lungo corridoio fino ad 
arrivare in una stanza praticamente dall'altro lato dell'aereoporto. La 
stanza era buia, tanto che entra prima quello in
giacca e cravatta per aprire la luce. Non so se avessero problemi con le 
bollette ma l'unica luce che si degnano di accendere è quella fioca 
presente sul tavolo. Entriamo tutti e tre. Vengo fatto sedere di fronte al 
tavolo. Dopo qualche minuto entrano altri due uomini con
una mitraglietta a tracollo e con in mano un fascicolo con dei fogli 
dentro. Viene dato a quello che penso sia un ispettore, il quale comincia a 
guardarlo. La sua faccia non era molto rassicurante, anzi assomigliava nei 
lineamenti ad un bull-dog, anche come statura.
Cominciano le domande sui posti dove sono stato e sulle persone che mi 
avevano dato ospitalità. Ripeto fino all'ennesima potenza di essere un 
frate e di aver visitato solo conventi dei frati. Vedo che comincia ad 
innervosirsi, tanto che sbatte improvvisamente la mano sul tavolo. Mi 
chiede di Nablus, ed io rispondo parlandogli delle
suore di Madre Teresa di Calcutta e delle attività fatte con i loro 
bambini. Continua ad innervosirsi e a sbattere le mani sul tavolo. Mi 
chiede del compagno con cui ero partito. Gli spiego che ci eravamo separati 
a Gerusalemme perchè io volevo visitare i frati
negli altri conventi. Continua ad arrabbiarsi, vuole sapere di altri, mi 
fa' i nomi dei volontari che sono venuti prima di me... Vedo mentre muove 
le carte delle
intestazioni di e-mail ma non riesco a legggere nulla. Rispondo di avere 
incontrato molti italiani ma che non ricordavo precisamente in quale città. 
Apriti cielo! Mi prende per il colletto della polo e mi
dice che sono un frate collaboratore dell'intifada.
Subito gli altri quattro che stavano dietro le mie spalle si
avvicinano, forse pensando a qualche mia reazione. Dopo poco tutto torna 
alla calma. Tutto tranne io che guardando l'orologio vedo che si erano 
fatte le 7:15 e l'aereo era alle 6:55. Cerco di farglielo presente, ma lui 
in maniera molto acida dice di pensare a rispondere.
Dopo qualche altra domanda che riprendeva le le mie risposte date 
precedentemente, compila una scheda, la getta nel cassetto e dice di 
portarmi via.
In pochi minuti mi trovo fuori dall'aereoporto vicino al deposito degli 
aerei, dove c'era una macchina con cui vengo trasportato vicino all'aereo. 
Sono le 7:50.
Uno dei due uomini con la mitraglietta mi porta sull'aereo
nell'ultimo posto vicino al finestrino e per evitare, forse, che avessi 
nostalgia si siede vicino a me dopo aver indossato una giacca.
Mi dice che non potrò andare in bagno e che sarà lui ad allacciarmi e a 
sciogliermi la cintura. Durante tutto il viaggio saranno tanti gli sguardi 
di disprezzo degli israeliani non che delle hostess che dopo aver parlato 
con il mio compagno di viaggio, non mi daranno nemmeno
qualcosa da mangiare. Meglio così, bisognava forse bilanciare quanto avevo 
preso dai palestinesi in quanto a gentilezza e a cose offerte.
Atterrato l'aereo aspettiamo che scendano tutti, poi mi viene tolta la 
cintura e vengo fatto scendere, logicamente, senza il sorriso "mentadent" 
delle Hostess. Resisto anche a questo. Giunto sulla scala trovo alla fine 
di questa altri due gentiluomini con la camicia bianca che appena scendo mi 
dicono di venire con loro. Gli rispondo che non se ne parla proprio e che 
adesso sono in suolo
italiano. Dopo essermi svincolato il braccio chiamo con ampi segni la 
volante della polizia che stava vicino all'aereo. Arrivati chiedono cosa 
era successo. Rispondo che se devo rispondere di qualcosa voglio
rispondere solo alla polizia italiana. I due in camicia bianca dicono di 
voler solo chiarire quanto era avvenuto a Tel Aviv, insistendo che io 
andassi con loro. Alla fine vengo fatto salire sul pulman senza alcun altro 
interrogatorio, questa volta io con il sorriso sulle labbra...