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RossoNotizie n. 39 - 27 agosto 2003
- Subject: RossoNotizie n. 39 - 27 agosto 2003
- From: "associazione culturale punto rosso" <puntorosso@puntorosso.it>
- Date: Sat, 30 Aug 2003 16:31:19 +0200
ROSSONotizieNet
numero 39 - 27 agosto 2003
periodico elettronico dell'Associazione Culturale Punto Rosso
Sommario
Forum e manifestazione nazionale a Riva del Garda contro il Wto per una
Europa sociale (4-5-6 settembre 2003)
Libera Università Popolare: prossimi corsi
- Primo ciclo di corsi monografici sulla democrazia (settembre
2003-febbraio 2004)
- Altri corsi del primo semestre (settembre 2003-febbraio 2004)
Materiali:
- Diario da Ankara: cronaca della quinta e della sesta udienza del processo
a Leyla Zana e agli altri deputiati curdi incarcerati in Turchia (a cura di
Silvana Barbieri)
- Novità Edizioni Punto Rosso
6 settembre 2003 - Manifestazione nazionale "FERMIAMO IL WTO, COSTRUIAMO
L'EUROPA SOCIALE!" a Riva del Garda (TN). Siete tutti invititati!
Tutte le informazioni e il programma si trovano sul sito:
http://www.stopwtoriva2003.org
6 SETTEMBRE 2003 - RIVA DEL GARDA (TN)
FERMIAMO IL WTO, COSTRUIAMO L'EUROPA SOCIALE!
MANIFESTAZIONE NAZIONALE!
Nel prossimo mese di settembre, a Cancun (Messico), l'Organizzazione
Mondiale del Commercio (WTO) terrà il nuovo vertice. In quella riunione
cercherà di far fare un decisivo passo avanti alle politiche neoliberiste
per giungere alla totale mercificazione dei beni comuni, alla
liberalizzazione dei servizi pubblici, alla riduzione degli spazi e dei
diritti collettivi.
Il sistema di accordi in corso (Gats sui servizi pubblici,AoA
sull'agricoltura, Trips sui brevetti e i farmaci, le new issues sugli
investimenti, gli accordi per aree e/o bilaterali), si prefigge la consegna
nelle mani delle grandi multinazionali e del capitale finanziario dei
servizi essenziali, dall'acqua all'agricoltura, dall'energia ai trasporti,
dalla scuola alla sanità.
E' l'altra faccia della guerra infinita: da una parte si esercita il
dominio militare sui popoli, dall'altra si sottrae loro ricchezza sociale e
diritti collettivi. La guerra non è solo militare: vita, diritti e beni
comuni sono quotidianamente minacciati dalle politiche neoliberiste che le
grandi istituzioni finanziarie (Fondo Monetario, Banca Mondiale, WTO, G8)
portano avanti, trasformando
beni e servizi collettivi in merci sottoposte alle leggi di mercato, al
fine di perpetuare un modello iniquo, fondato sul dominio delle grandi
multinazionali e sulla sottrazione di diritti e democrazia per tutti.
Ma beni comuni e servizi pubblici sono sotto attacco anche a livello
europeo. Vent'anni di "pensiero unico del mercato", la consegna della
politica economica comunitaria nelle mani monetariste della Banca Centrale
Europea, le politiche di deregulation dei settori di pubblica utilità
promosse dai Trattati comunitari di Maastricht, Amsterdam e Cardiff
disegnano il volto di un'Europa mercantile e monetaria. Non a caso,è
proprio l'Unione Europea a spingere, in seno alle trattative WTO, per la
completa liberalizzazione dei beni e servizi pubblici, in particolare dei
Paesi poveri (102 richieste presentate in questo senso).
Tutto questo va fermato.
Dal 4 al 6 settembre, a Riva del Garda (TN), nell'ambito del semestre di
presidenza italiana, si terrà il vertice dei Ministri degli Esteri
dell'Unione Europea, proprio per mettere a punto la posizione dell'Europa
in seno al
nuovo round di trattative del WTO, che pochi giorni dopo si aprirà, il 10
settembre, a Cancun in Messico.
Come riteniamo illeggittimo il round del WTO di Cancun, che pretende di
imporre all'intero pianeta il modello neoliberista, incompatibile con un
mondo di pace e di giustizia sociale, riteniamo altrettanto illeggittimo
che i Ministri dell'Unione Europea discutano la mercificazione dei beni
comuni e la liberalizzazione dei servizi pubblici senza alcuna consultazione
dei parlamenti nazionali, senza ascoltare la voce della società civile e
dei movimenti.
Per questo, a Riva del Garda ci saremo anche noi.
Come milioni di persone nel mondo, siamo permanentemente mobilitati per
fermare la guerra infinita e per riaffermare i diritti dei popoli ad una
vita dignitosa per tutti. Allo stesso modo, come organizzazioni della
società
civile e dei lavoratori, reti ed associazioni, social forum e comitati
popolari lanciamo, in contemporanea con la settimana di mobilitazione
internazionale contro il vertice di Cancun, UNA GRANDE MANIFESTAZIONE
NAZIONALE SABATO
6 SETTEMBRE A RIVA DEL GARDA (TN) CONTRO IL WTO E PER UN'EUROPA SOCIALE.
Nello spirito del Forum Sociale Europeo di Firenze parteciperemo al forum
alternativo indetto il 4 e 5 settembre dal Tavolo trentino "Per un'Europa
sociale, Riva 2003". Il 6 settembre riempiremo le strade del Trentino con
le tinte della pace e della solidarietà e, nel pieno rispetto delle
pratiche di movimento, porteremo un pacifico "assedio" al vertice dei
Ministri
dell'Unione Europea.
Perchè un'altra Europa e un altro mondo sono possibili solo a partire dalla
non negoziabilità dei beni comuni e dei servizi pubblici, unica garanzia
per costruzione di una democrazia sostanziale, fondata su un nuovo concetto
di economia pubblica, partecipata e solidale.
FERMIAMO IL WTO, PER L'EUROPA SOCIALE!
BENI COMUNI, DIRITTI DI TUTTI!
TUTTI A RIVA DEL GARDA IL 6 SETTEMBRE!
LUP - LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE
Riprendono i Corsi della Libera Università popolare, l'università per tutti.
La Lup - Libera Università Popolare è completamente autofinanziata.
Tutti i nostri relatori (dai giovani studiosi ai professori universitari)
insegnano gratuitamente, fatto salvo il rimborso delle spese.
Per questo i corsi, riservati agli associati (3 Euro per la tessera annuale
che vale da settembre 2003 a giugno 2004), hanno una minima quota di
iscrizione (15-20 Euro per i blocchi da 4 lezioni; 25-35 Euro per i blocchi
da otto lezioni).
è comunque nostra ferma intenzione non respingere nessuno per motivi economici.
Ci appelliamo alla responsabilità etica di ognuno in merito alla propria
quota: chi è impossibilitato a pagare potrà comunque seguire i corsi.
La Lup è ospitata dall'Associazione Culturale Punto Rosso
PROSSIMI CORSI (PRIMO SEMESTRE 2003-2004)
PRIMO CICLO MONOGRAFICO: LA DEMOCRAZIA
Da quest'anno la Lup sperimenta la formula dei cicli monografici.
Un singolo tema, che nel primo semestre 2003-2004 sarà quello della
democrazia, verrà approfondito da diversi punti di vista: politico,
storico, filosofico.
L'intenzione è quella di fare un vero lavoro di analisi e di ricerca sulle
grandi trasformazioni in corso.
Per il primo semestre abbiamo così scelto di affrontare la crisi
dell'ordine politico moderno, ricostruendone la storia e provando ad
immaginare quali potrebbero esserne gli esiti.
Ferma restando la possibilità di iscriversi solo ad i singoli corsi, si
potrà anche fare un'iscrizione che consente di seguire tutto il ciclo
monografico, al costo di 75 euro.
Primo corso
LA GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERISTA, LA CRISI DELLE DEMOCRAZIE E LO SPAZIO
DELLA POLITICA.
PARTE I: GLOBALIZZAZIONE E CRISI DELLA POLITICA
Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
iscrizione: 15 Euro
Giovedì 25 Settembre 2003
Globalizzazione e Stato-Nazione: i poteri internazionali, il rapporto tra
dinamiche economiche internazionali e politiche nazionali, luoghi e
processi decisionali esterni allo Stato, la divaricazione tra il territorio
(fondamento dello Stato) e l'economia globale (transnazionali,
finanziarizzazione) sganciata dalla "responsabilità" sul territorio.
Relatori: Umberto Allegretti (Università di Firenze), Jayan Nayar
(Fondazione Lelio Basso)
Giovedì 2 Ottobre 2003
La crisi della democrazia rappresentativa: il declino dei partiti di massa,
nuovi modelli di partito (il partito "pigliatutto", il partito
patrimoniale), lo svuotamento delle istituzioni rappresentative
(parlamenti) a favore degli organi esecutivi, l'apatia politica,
l'astensionismo e il disimpegno come obiettivi volontariamente perseguiti,
il legame tra partiti e lobby economiche.
Relatore: Mimmo Porcaro (studioso della politica, saggista)
Giovedi' 9 Ottobre 2003
Da cittadini a consumatori: la ridefinizione "postmoderna" della
cittadinanza, la cittadinanza esclusiva della società dei 2/3,
l'individualizzazione, la fine dell'universalismo giuridico, il
cittadino-consumatore ed il ruolo della televisione, l'ideologia della
"libertà individuale" al posto della sicurezza sociale e del progetto
politico collettivo di lunga durata.
Relatore: Romano Madera (Università di Milano), da confermare
Giovedi' 16 Ottobre 2003
Verso la fine della modernità politica? Cosa resta e cosa è in crisi della
filosofia politica della modernità, la frammentazione della sovranità, il
concetto di popolo e quello di moltitudine, la fine dell'ordine politico
moderno.
Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano)
PARTE II: LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA
Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30. Quota di iscrizione:
10 Euro
Giovedì 23 Ottobre 2003
Esiti autoritari alla crisi della rappresentanza: la guerra come nuova
forma della politica, lo Stato come puro garante dell'ordine pubblico,
l'ideologia della sicurezza, il razzismo istituzionalizzato.
Relatrice: Monica Quirico (Università di Torino)
Giovedì 30 Ottobre 2003
Alternative progressive alla crisi della rappresentanza: il movimento dei
movimenti come nuovo campo della politica, la democrazia partecipativa, "i
beni pubblici compartecipati", le condizioni ed i vincoli della
partecipazione.
Relatori: Guido Milani, Giorgio Riolo, Roberto Mapelli
Giovedì 6 Novembre 2003 (luogo da definire)
Dibattito: "Il movimento e la politica tra ordine istituzionale ed
autorganizzazione".
Relatori: Danilo Zolo (Università di Firenze), Mimmo Porcaro (studioso
della politica, saggista), Vittorio Agnoletto (FSM), Marco Bersani (Attac)
Secondo corso
LE TRASFORMAZIONI DEL LAVORO E IL CONFLITTO CAPITALE-LAVORO NELL'ITALIA
POSTFORDISTA.
Durata: 5 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
iscrizione: 20 Euro
Giovedì 20 Novembre 2003
Le origini della flessibilità.
Il legame tra flessibilità del lavoro, globalizzazione e accumulazione
flessibile : una ricostruzione storica del periodo '68-'73, del perché il
capitale ha bisogno di frammentare il lavoro. Quanto è ancora centrale la
compressione di diritti e salari ai fini del profitto (cioè, c'è ancora una
centralità del lavoro nei processi di accumulazione)? E' ancora il lavoro
la chiave di volta dei processi economici?
Relatore: Andrea Fumagalli (Università di Pavia)
Giovedì 27 Novembre 2003
La precarietà e le sue conseguenze sulle persone (e sulla società)
Ricognizione statistico-analitica della flessibilità in Italia. La
relazione tra flessibilità e occupazione. Il modello di sviluppo italiano,
il lavoro cognitivo e la flessibilità. Le conseguenze sociali della
precarietà: povertà, insicurezza, instabilità. Relatore: Roberto Romano
(centro studi Cgil Lombardia)
Giovedì 4 Dicembre 2003
Postfordismo e lavoro immateriale
Che cos'è il lavoro linguistico-cognitivo e quali potenzialità apre:
cooperazione, condivisione dei saperi, creatività, possibilità di
riappropriazione del proprio lavoro. Quali spazi reali per queste
opportunità? Quanto sono realmente diffuse queste forme di lavoro? Quanto
pesano, quanto determinano? Che possibilità hanno di tradursi in
alternativa?
Relatore: Andrea Fumagalli (Università di Pavia)
Giovedì 11 Dicembre 2003
Postfordismo e precarietà
L'individualizzazione del rapporto di lavoro. Alienazione, lavoro cognitivo
ed appropriazione capitalistica delle conoscenze collettive.
L'irrigidimento autoritario del comando d'impresa. Il rapporto tra lavoro e
consumo, tempo di lavoro e tempo di vita.
Relatore: Andrea Fumagalli (Università di Pavia)
Giovedì 18 Dicembre 2003
Il lavoro, la società, le alternative
Quale ruolo del lavoro nella costruzione di un'alternativa di società?
Quali rapporti tra conflittualità del lavoro e movimenti sociali?
Relatori: Mario Agostinelli (Punto Rosso-Fma), Maurizio Zipponi (Fiom
Lombardia), Christian Marazzi (Università di Bellinzona, da confermare)
Terzo corso
STORIA DEL PENSIERO POLITICO.
I GRANDI MODELLI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE: TEORIA E STORIA. I PARTE
Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
iscrizione: 15 Euro
Mercoledì 26 Novembre 2003
Platone, Aristotele e la polis greca
Relatore: Mario Vegetti (Università di Milano)
Mercoledì 3 Dicembre 2003
Machiavelli e la Repubblica
Relatore: Filippo Del Lucchese
(Università di Pisa)
Mercoledì 10 Dicembre 2003
Spinoza e lo Stato ebraico
Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano)
Mercoledì 17 Dicembre 2003
Rousseau e la Rivoluzione francese
Relatore: da definire
STORIA DEL PENSIERO POLITICO.
I GRANDI MODELLI DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE: TEORIA E STORIA. II PARTE
Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
iscrizione: 15 Euro
Giovedì 15 Gennaio
La filosofia del diritto di Hegel e la critica di Marx
Relatori: Giorgio Riolo e Roberto Mapelli (Punto Rosso)
Giovedì 22 Gennaio 2004
Lenin, Kautsky e Rosa Luxemburg
Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano)
Giovedì 29 Gennaio 2004
Tocqueville e la democrazia in America
Relatrice: Monica Quirico (Università di Torino)
Giovedì 5 Febbraio 2004
Stuart Mill e il liberalismo
Relatrice: Antonella Besussi
(Università di Milano)
Quarto corso
LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA MODERNA. I PARTE: 1750-1850
Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
iscrizione: 10 Euro
Mercoledì 3 Dicembre 2003
Gli Stati Uniti
Relatore: Bruno Cartosio (Università di Bergamo)
Mercoledì 10 Dicembre 2003
La Francia
Relatrice: Loredana Scalcon (insegnante)
Mercoledì 17 Dicembre 2003
L'Inghilterra
Relatore: Giorgio Giovannetti (storico)
LA NASCITA DELLA DEMOCRAZIA MODERNA. II PARTE: 1850-1945
Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
iscrizione: 10 Euro
Mercoledì 21 Gennaio 2004
Gli Stati Uniti
Relatore: Bruno Cartosio (Università di Bergamo)
Mercoledì 28 Gennaio 2004
La Francia
Relatrice: Loredana Scalcon (insegnante)
Mercoledì 4 Febbraio 2004
L'Inghilterra
Relatore: Giorgio Giovannetti (storico)
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ALTRI CORSI DEL PRIMO SEMESTRE 2003-2004
Dipartimento di studi internazionali "Patrice Lumumba"
DOPO CANCUN: L'ALCA E IL FUTURO DELL'AMERICA LATINA
Durata: 5 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
partecipazione: 20 Euro
Mercoledì 17 Settembre
Dopo Cancun: il futuro delle lotte contro l'Alca e il neoliberismo
Relatore: Marco Bersani (Attac)
Mercoledì 26 Settembre
Il neoliberismo in America latina
Relatore: Gian Carlo Costadoni (Icei)
Mercoledì 1 Ottobre
Le nuove speranze del "laboratorio latinoamericano": i governi di Brasile,
Venezuela, Argentina
Relatori: Josè Luiz Del Roio (FSM), Alfredo Somoza (Icei)
Mercoledì 8 Ottobre
I movimenti politici latinoamericani e l'opposizione all'Alca: i partiti ed
i sindacati, e le alleanze continentali
Relatore: Josè Luis Tagliaferro (Cespi), Angelo Miotto (giornalista Radio
Popolare)
Venerdì 17 Ottobre
I movimenti politici latinoamericani e l'opposizione all'Alca: i nuovi
movimenti autorganizzati ed indigeni e la repressione militare
Relatori: Martin Iglesias (Selvas), Carlos Tablada (Università de l'Havana)
***
IL MEDIO ORIENTE: DAL MEDITERRANEO AL KASHMIR
Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
partecipazione: 15 Euro
Relatore: Fabrizio Eva
Lunedì 29 Settembre
Israele/Palestina. Dall'indifferenza alla guerra (dalla fine dell'Ottocento
alla guerra del Kippur, 1973). Il sionismo di fine ottocento; la
dichiarazione Balfour. Cresce l'insofferenza araba; la crisi del '36-'37.
Il flusso migratorio generato dal nazismo. La pressione migratoria
post-bellica. Bombe, tensioni e scontri alla fine del Mandato Britannico.
La proposta di spartizione dell'ONU; i palestinesi non "pensano" allo
stato. La fondazione dello stato di Israele (la Nakba: il disastro).
1947-49: il conflitto armato per la terra; i profughi. L'ambiguo ruolo
della Giordania. La crisi di Suez del '56. La nascita e gli scopi di Al
Fatah. La guerra dei sei giorni (1967). L'occupazione della Cisgiordania,
di Gaza e del Sinai; la bandiera israeliana sventola su tutta Gerusalemme.
La guerra del Kippur (1973). Colonie e insediamenti nei Territori Occupati.
Il terrorismo palestinese. Il Settembre Nero e la crisi libanese.
Lunedì 6 Ottobre
Israele/Palestina. Una soluzione possibile? (dal 1973 ad oggi)
L'Egitto di Sadat cerca la pace. L'occupazione israeliana del Libano fino a
Beirut (1982) per "risolvere" la questione del terrorismo palestinese. La
prima Intifada (1987). Gli accordi di pace di Oslo: i palestinesi "pensano"
ad uno stato. Un percorso di pace lento e tormentato: zone A, B e C. Un
territorio che è già diviso; come sarebbe facile condividere Gerusalemme/
Al Quds. L'uccisione di Rabin (1995) segna una svolta; destra e partiti
religiosi contro Oslo. Gli incontri a Camp David e Taba nel 2000 (quali
"offerte", quali "rifiuti"). La passeggiata di Sharon sulla spianata del
Tempio (Al-Haram al-Sharif): segni e simboli. La seconda Intifada. La
destra israeliana prende il sopravvento. La "sicurezza" di Israele e gli
attentati suicidi palestinesi. La militarizzazione dei Territori. Il
problema degli insediamenti e il "non contatto" tra due popoli. Nuove idee
e nuovi protagonisti per un nuovo processo di pace.
Lunedì 13 Ottobre
La Turchia (bastione della NATO) e la questione curda. Siria e Libano. La
difficile posizione delle Giordania. La penisola arabica e la sua rilevanza
strategica e petrolifera. L'Arabia Saudita, garante dei luoghi sacri
dell'Islam, maggior produttore al mondo di petrolio: partner affidabile?.
Il Golfo Persico: un mare piccolo e chiuso. La centralità geo-strategica
dell'Iraq. Sciiti e Sunniti.
Lunedì 20 Ottobre
Il petrolio del Caspio. L'Iran dello Scià e quello di Khomeini; la
battaglia odierna tra riformisti e tradizionalisti. I conti non ancora
chiusi degli Usa con l'Iran. L'Afghanistan: un mosaico di etnie. L'Asia
centrale ex sovietica e la questione afgana. I Pashtun a cavallo tra
Afghanistan e Pakistan. I difficili equilibri interni pakistani. India e
Pakistan: cordiali nemici dal 1947. La questione del Kashmir. La Cina:
"dragone accovacciato". Il ridispiegamento strategico degli USA nel Medio
Oriente.
Dipartimento di storia della filosofia "Ernst Bloch"
LA FILOSOFIA ATTRAVERSO LE GRANDI OPERE: ESSERE E TEMPO DI MARTIN HEIDEGGER
Durata: tre incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
partecipazione: 10 Euro
Martedì 30 Settembre
Introduzione al pensiero di Heidegger
Relatore: Vittorio Morfino (Università di Milano)
Martedì 7 ottobre
Essere e Tempo (I)
Relatore: Roberto Mapelli
Martedì 14 Ottobre
Essere e Tempo (II)
Relatore: Roberto Mapelli
Dipartimento di economia politica e teoria critica della società "Rosa
Luxemburg"
LA PUBBLICITA' E LA SOCIETA' DEI CONSUMI
Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
partecipazione: 20 Euro
Mercoledì 22 Ottobre.
I soggetti del mondo pubblicitario.
Le agenzie, i consulenti psicologici, il rapporto con i media( ruolo degli
inserzionisti nella costruzione dei palinsesti televisivi), le grandi
società di raccolta pubblicitaria.
Relatore: Antonio dalle Rive (Dir. clienti e Mediaplanner agenzia Anyway)
Mercoledì 29 Ottobre.
La pubblicità e la religione dei consumi.
La rivoluzione dei consumi nell'epoca dell' "accumulazione flessibile", la
costruzione del "soggetto desiderante", la creazione dell' immaginario
collettivo, la diffusione di modelli comportamentali.
Relatore: Clelia Pallotta (docente Politecnico)
Mercoledì 5 Novembre
Strategie pubblicitarie: teoria.
Le dinamiche psichiche sollecitate, la costruzione del messaggio, il
linguaggio, la codificazione e la struttura del testo pubblicitario.
Relatore: Clelia Pallotta (docente Politecnico)
Mercoledì 12 Novembre.
Strategie pubblicitarie: esempi pratici.
Relatore: Barbara Pietrasanta (Direttore creativo agenzia Anyway)
***
L'IMMAGINARIO TELEVISIVO CONTEMPORANEO
Durata: 5 incontri. Luogo: Punto Rosso. Orario: 18.30-20.30. Quota di
partecipazione: 20 Euro
Mercoledì 14 Gennaio 2004
L'INFORMAZIONE.
Presentazione della ricerca sui telegiornali: la costruzione dell'attualità.
Una relazione su: il modo di parlare della politica; la rimozione dei
problemi sociali; la cancellazione del "paese reale"; il populismo dei
telegiornali.
Relatore: da definire
Mercoledì 21 Gennaio 2004
L'APPROFONDIMENTO.
Presentazione della ricerca sulle trasmissioni di attualità (in
particolarte, magari, focalizzata su Porta a Porta): la costruzione
dell'immaginario politico. Relazione su: rapporto tra "chiacchera" sulla
realtà e realtà in televisione; i valori veicolati; l'imposizione
dell'agenda politica; quali concetti ci vogliono "insegnare"? Com'è
possibile una costruzione alternativa dell'attualità?
Relatore: da definire
Mercoledì 28 Gennaio 2004
LA TELEVISIONE "MOBILITATIVA".
Presentazione della ricerca sui "reality show" (De Filippi, Grande
fratello, veline e quant'altro): la televisione come mobilitazione.
Relazione su: perchè la tv deve "incorporare la realtà"; le relazioni con
la pubblicità; le relazioni con il progetto politico dominante; i valori
comunicati
Relatore: da definire
Mercoledì 4 Febbraio 2004
GLI EFFETTI: IL PUBBLICO TELEVISIVO TRA PASSIVITA' E DISINCANTO
Relazione/i su: gli effetti di lungo periodo della televisione sulla
percezione della realtà, sull'immaginario e sulla politica.
Gli effetti: gli spettatori come "spugne" o come rielaboratori del
messaggio televisivo?
Dibattito a più voci
Relatori: da definire
Mercoledì 11 Febbraio 2004
IL PESO DELLA TELEVISIONE NELLA COSTRUZIONE DELL'IMMAGINARIO
Dibattito finale a più voci.
Relatori: da definire
Materiali
Diario da Ankara: cronaca della quinta e della sesta udienza del processo a
Leyla Zana e agli altri deputiati curdi incarcerati in Turchia
(a cura di Silvana Barbieri)
La quinta udienza si è caratterizzata per lo smantellamento dell'accusa da
parte dei testimoni che la difesa è nuovamente riuscita ad imporre e per
l'intervento di Leyla Zana, dedicato alle sofferenze della Turchia e alla
necessita di una riconciliazione tra curdi e turchi.
Ankara: diario della quinta udienza.
17 luglio 2003
Ankara, 17 luglio 2003
Diario della quinta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi
Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan
Le nuove testimonianze della difesa e cioè la demolizione delle
testimonianze dell'accusa
A quest'udienza sono presenti ancor più delegazioni del solito. C'è un
consistente insieme di rappresentanze italiane: due deputate italiane,
Elettra Deiana di Rifondazione Comunista e Silvana Pisa dei Democratici di
Sinistra, una delegazione delle Donne in Nero, composta
dall'europarlamentare Luisa Morgantini e da Nadia Cervoni, la sottoscritta
per Punto Rosso. Ci sono Luigi Vinci, di Rifondazione Comunista, Feleknas
Uca, del partito tedesco del Socialismo Democratico, e Ozan Ceyhun, del
partito socialdemocratico tedesco, in qualità di rappresentanti ufficiali
del Parlamento Europeo. Ci sono una rappresentanza, attraverso una compagna
francese, dell'Associazione Internazionale delle Donne, due compagne di
un'associazione di giuristi democratici svedesi di cui non afferro il nome,
una rappresentante olandese di Amnesty International, scandalizzata perché
nell'atrio prospiciente all'aula del processo c'è gente che fuma, genti
della polizia compresi, nonostante i cartelli che lo proibiscono e che
minacciano multe gigantesche, c'è un giudice maltese anch'egli in
rappresentanza di una qualche associazione di giuristi democratici. Ci sono
i rappresentanti della Commissione Europea, quelli di almeno due Ambasciate
dell'Unione Europea, l'italiana, anche in rappresentanza del Consiglio, e
l'olandese. Ci sono alcuni parlamentari turchi, sia del partito islamista
di governo che del partito di opposizione, il Repubblicano del Popolo. Ci
sono infine i rappresentanti delle associazioni turche per i diritti umani,
quelli di DEHAP, i parenti e gli amici degli imputati.
Nelle chiacchiere nell'atrio in attesa dell'inizio siamo moderatamente
ottimisti: per la prima volta fuori dal tribunale non solo non c'è il
filtro della polizia e della gendarmeria ma polizia e gendarmeria non sono
presenti. Ma correggere subito l'ottimismo arriva da una compagna
dell'Associazione per i Diritti Umani l'informazione che il Presidente
della Corte era stato Presidente del Tribunale per la Sicurezza dello Stato
a Diyarbakžr negli anni dell'insurrezione curda guidata dal PKK e che lì si
era contraddistinto per la disinvoltura estrema e la ferocia delle sue
condanne. L'ottimismo riprenderà un po' di quota quando, entrati nell'aula
del processo, constateremo che i gendarmi armati tra gli imputati e il
pubblico sono calati a quattro e ce n'è solo uno con il fucile d'assalto
rivolto verso il pubblico. Vero è che gli agenti di polizia armati di
pistola continuano a essere numerosi ma insomma ci si sente meglio se non
si ha davanti una quantità di gendarmi armati ma uno solo.
Ci si attacca davvero a tutto in questo processo, anche a cose che non
significano niente.
Uno dei due giudici a latere è cambiato ed è cambiato il Procuratore.
Probabilmente i titolari sono in ferie, rassicurati che invece gli imputati
non possono andarci e che quindi la Turchia non corre rischi di sovversione
armata.
Si comincia.
Il testimone dell'accusa residuo da ascoltare, comunica il Presidente della
Corte, risulta irreperibile, non si riesce ad averne l'indirizzo.
Compare però un secondo testimone dell'accusa, del quale alle precedenti
udienze non era stata fatta menzione alcuna: si tratta, mi spiegano, della
dentista che aveva curato quella persona, poi risultata facente parte del
PKK, che si era rivolta a Orhan Dogan per averne ospitalità, e che il
segretario di Orhan Dogan aveva deciso, in assenza di Orhan Dogan, di
ospitare e alla quale aveva poi pagato le cure dentistiche delle quali
necessitava. Attraverso le domande del Presidente della Corte la testimone
ricostruisce l'episodio; attraverso una domanda posta dall'avvocato Alatas¸
e, come sempre, rielaborata dal Presidente la testimone inoltre precisa che
non fu Orhan Dogan ma il suo segretario a prendere l'appuntamento per conto
del paziente.
Fine dei testimoni dell'accusa. Prende dunque la parola Alatas¸ e chiede
che, come nella precedente udienza, siano ascoltati quei testimoni che sono
presenti fuori dall'aula. Questa volta sono sette. Il Procuratore non si
oppone, i giudici neppure. Si controlla che questi testimoni siano
effettivamente fuori, ci sono.
Interessante: la svolta della quarta udienza sembra consolidarsi. Che cosa
significa, che cosa porteranno nel processo questi testimoni? La
trepidazione nel pubblico è alle stelle.
Il primo dei testimoni è un avvocato. Dichiara che fu tra quanti si
recarono in macchina alla prima riunione nel villaggio di Medinan per la
conciliazione tra due tribù che si combattevano, tra le quali la tribù
Babak (il cui capo, rammento, Mehmet Serif Temelli, è tuttora un comandante
di parecchie centinaia di guardie del villaggio e, soprattutto, è il
principale testimone dell'accusa. Si tratta, rammento ancora, dell'episodio
principale del processo, quello, in parte collocato sul finire del 1991in
parte alla metà del 1992, nel corso del quale secondo l'accusa Leyla Zana,
Hatip Dicle e Selim Sadak, in due consecutive riunioni, nella casa di
Temelli, si sarebbero compromessi andandovi accompagnati da sedici membri
del PKK e facendovi propaganda per questo partito, la rivolta armata dei
curdi e la separazione del Sud-est curdo dalla Turchia. Questo testimone
sarebbe perciò uno dei sedici indicati dai testimoni dell'accusa come
membri a quel tempo del PKK). Il testimone inoltre dichiara che già si era
dato da fare in precedenza per la conciliazione di tribù in lotta, tra le
quali sempre quella di Temelli, e che era stato Temelli a volerlo nella
conciliazione in questione. Risponde in modo molto netto al Presidente che
né Leyla Zana né Hatip Dicle parlarono del PKK, di rivolte armate o di
separazioni del Sud-est. Risponde in modo molto netto che egli si era
recato alla riunione assieme a Leyla Zana e a Hatip Dicle, cioè che non è
vero che essi si fossero recati alla riunione per proprio conto e prima di
lui. Inoltre risponde che tornò dalla riunione assieme a loro. Perciò lui è
al corrente di tutto quanto Leyla Zana e Hatip Dicle dissero in questa
riunione. La riunione andò in modo interlocutorio, tant'è che ne dovrà
essere fatta un'altra, ma fu anche soddisfacente. Fu infatti invitato da
Temelli a prendere parte alla cena, sarebbe stato sommamente scortese non
farlo, perse così l'udienza di un processo nel quale era tra gli avvocati
della difesa. Non sarà poi presente alla seconda riunione di conciliazione.
Il tentativo di conciliazione, precisa infine, fallirà: Temelli, il cui
fratello nell'intervallo tra le due riunioni era stato ucciso, dichiarerà
che ne portava la responsabilità la tribù nemica e perciò che la
conciliazione era fallita.
Il secondo testimone dichiara che lui pure era di quei sedici che andarono
in macchina alla prima riunione alla casa di Temelli assieme a Leyla Zana e
a Hatip Dicle. Precisa che questa riunione si era tenuta a cinque o sei
mesi dalle elezioni del 1991. Afferma che andò e tornò dalla riunione
assieme al precedente testimone e assieme ai due imputati e che nessuno dei
due imputati disse alcunché a proposito del PKK o di quant'altro secondo le
testimonianze dell'accusa. Fu invece Temelli a parlare del PKK, però né
Leyla Zana né Hatip Dicle reagirono. Andarono alla riunione anche numerosi
presidenti di organizzazioni del partito DEP (il partito cioè degli
imputati), un rappresentante dell'Associazione per i Diritti Umani, un
dirigente sindacale, in tutto si trattò di 15-20 persone. In una stanza a
lato di quella della riunione ce ne fu una più ristretta, alla quale egli
prese parte, nella quale furono discussi i termini in dettaglio della
conciliazione. Temelli inoltre aveva riferito a latere ai suoi di questi
termini. Il testimone si era associato al tentativo di conciliazione in
questione su richiesta del padre, che era presidente del DEP a Diyarbakžr.
Egli invece aveva partecipato alle elezioni come candidato del partito di
Ecevit, ed era stato eletto.
Il terzo testimone dichiara che invece prese parte alla seconda riunione di
conciliazione. Si trattava del maggio o del giugno del 1992. Andò e tornò
in macchina, erano in 15-20, assieme agli imputati Leyla Zana e Selim
Sadak. Non ci fu nessun discorso né da parte dei due imputati né di alcun
altro a proposito del PKK ecc. Lui fa parte della tribù che era nemica di
quella di Temelli e alla riunione era stato mandato dal suo capo. Di
Temelli sapeva solo che era l'uomo più importante della tribù nemica.
Dichiara che alla fine questi decise di non accettare la riconciliazione.
Il quarto testimone prese parte lui pure alla seconda riunione di
conciliazione e vi andò e ne tornò lui pure in macchina assieme a Leyla
Zana e a Selim Sadak. Vi andarono in 15-20 persone. E' della stessa tribù
del precedente testimone, la sua famiglia aveva perso due membri nella
faida, voleva la riconciliazione della sua tribù con quella di Temelli.
Nessuno parlò di PKK ecc. Temelli sembrava convinto all'inizio della
conciliazione, poi la rifiuterà. Questo testimone era ai tempi un dirigente
dell'Associazione per i Diritti Umani.
Il quinto testimone prese parte invece ad ambedue le riunioni di
conciliazione. Alle due riunioni andarono varie figure di rappresentanti di
associazioni, di sindacati, di partiti, membri delle due tribù nemiche,
parlamentari. Inoltre alla prima riunione erano pure rappresentanti delle
forze di sicurezza. In essa non ci fu un risultato preciso. Neanche nella
seconda, gli pare di ricordare. In nessuna delle due riunioni si parlò di
PKK ecc. Egli infine dichiara che ai tempi era il presidente a Diyarbakžr
del Partito della Retta Via della Tansu Ciller.
Il sesto testimone andò alla prima riunione, nel dicembre del 1991. Il
tentativo di conciliazione non diede risultati ma fu lo stesso apprezzato,
tant'è che Temelli volle invitarne i vari partecipanti a cena. Non si parlò
per niente del PKK bensì si parlò delle faide tra le tribù. Egli era stato
eletto qualche mese prima in Parlamento nelle liste del DEP.
Il settimo ed ultimo testimone fa un'evidente fatica a capire il turco e a
parlarlo. Dichiara che era stato arrestato e torturato, assieme ad un altro
uomo. Erano ambedue militanti del DEP. L'accusa era di essere militanti del
PKK. Ci fu un'ispezione di parlamentari, tra i quali Selim Sadak, nel
commissariato di polizia, presso il palazzo di giustizia, dov'erano in
stato di arresto. Nel contesto di questa visita Selim Sadak rimproverò gli
agenti per le torture, chiese loro "come può un essere umano fare questo ad
un altro essere umano?". Non è vero, come gli agenti hanno poi
testimoniato, che Selim Sadak li abbia insultati e abbia parlato a favore
del PKK. (Rammento come si tratti di un altro episodio del processo, nel
corso del quale secondo appunto le testimonianze dell'accusa Selim Sadak
avrebbe insultato gli agenti e giustificato con il fatto delle torture da
parte delle forze di sicurezza l'adesione dei curdi al PKK e alla lotta
armata). La vicenda dei due umini del DEP arrestati e torturati fu anche
oggetto di un'interrogazione parlamentare. In tutto essi rimasero trenta
giorni incarcerati presso le forze di sicurezza. Dopo l'incontro con i
parlamentari furono pesantemente minacciati dagli agenti. Al processo
furono assolti.
Pausa pranzo.
Investiamo tutto sulla pacificazione e sulla democrazia. L'intervento di
Leyla Zana
Interviene degli imputati in quest'udienza solo Leyla Zana.
In parecchi paesi - inizia così - sono in corso importanti cambiamenti in
senso democratico. In alcuni paesi vengono accettati, in altri no. Vari
gruppi di potere e gli schiavi della tradizione, come i militari e la
burocrazia statale, tendono a impedire i cambiamenti. Quando costoro ce la
fanno i loro paesi deviano dal percorso del cambiamento o rallentano e
questo a sua volta produce tensione nella società.
La Corte europea di Strasburgo ha deciso, il 17 luglio del 2001, che il
nostro processo andava rifatto. Ad un anno e mezzo da questa data il
governo ha promosso una legge che consente il rifacimento dei processi
passati in giudicato. A due anni da questa data il processo viene dunque
rifatto.
Tuttavia, come dimostra l'andamento di questo processo, la strada della
democratizzazione della Turchia non per questo è spianata. Il sesto
pacchetto di riforme ha subito il veto su un punto importante relativo al
diritto dei curdi a usare la loro lingua da parte del Presidente della
Repubblica. Il settimo pacchetto, che sta seguendo il suo iter
parlamentare, subirà analoghe resistenze. In questi giorni ci sono arrivate
molte notizie di torture e di brutalità da parte delle forze di sicurezza e
di altre violazioni da parte di queste forze sul terreno dei diritti umani.
Ci sono arrivate notizie di manifestazioni pacifiche di carattere politico
o di carattere culturale attaccate nel Sud-est e non solo nel Sud-est dalla
polizia. Ci sono arrivate notizie che nel Sud-est sono nuovamente in corso
operazioni militari e che vi è ripreso in molte zone l'impedimento ai
contadini di portare i loro animali al pascolo. Da alcune città di questa
regione, come Diyarbakžr e Bingol, ci sono arrivate notizie di persone
scomparse e di assassini extragiudiziari. Molte persone della nostra
regione per porre termine a questo susseguirsi infinito di oppressione e di
violenze vorrebbero fuggire in Iraq. Continua quindi in Turchia una lotta
accanita tra il vecchio e il nuovo, tra il male e il bene. E a volte vince
il bene, a volte vince il male.
In conclusione siamo a metà guado. La situazione è quella di un parto che
fa soffrire. Ci sono molte resistenze al cambiamento, ma malgrado queste
resistenze in Turchia sono molte le cose che stanno cambiando. Il
cambiamento chiede che i pregiudizi e le paure tradizionali vengano
abbandonati, e questo non è facile, ma i pregiudizi e le paure tradizionali
stanno perdendo terreno. L'esercito accetta solo cambiamenti minori, però
oggi è possibile discutere liberamente in Turchia dell'esistenza di una
questione curda.
La Turchia ha quindi due strade possibili davanti a sé. Una è la strada
luminosa delle riforme in senso democratico. L'altra è quella nera del
ritorno al passato.
Noi quattro imputati non abbiamo nulla da perdere e nessun privilegio da
difendere. La nostra scelta è quella delle riforme.
Nel nostro paese sono molte le persone che vivono sulla linea di confine
con la miseria e con la fame. Ci sono più di dieci milioni di disoccupati,
più di diecimila bambini di strada, metà delle donne subisce durissimi
rapporti di oppressione. Queste condizioni non possiamo considerarle
naturali, ovvie, sono invece reversibili.
Anzi non dobbiamo più portare pazienza, continuare a sopportare. Non si può
continuare a sperare in soluzioni magiche, cambiare dipende invece da noi.
Dobbiamo perciò tutti quanti imporci di cambiare. Il cambiamento più
importante riguarda il rapporto tra il popolo curdo e quello turco. Il
conflitto tra i due popoli deve cessare. Noi curdi ci siamo sempre
considerati in passato fratelli dei turchi. Dobbiamo ricostruire e dobbiamo
rendere più forte la fratellanza che c'era tra i due popoli. Se ci daremo
la mano troveremo le soluzioni per cambiare, per trovare le soluzioni ai
nostri problemi, ai problemi della Turchia e a quelli della sua gente
immiserita.
Il governo ha recentemente parlato di pace sociale e di reinserimento dei
prigionieri politici, poi invece ha fatto una legge che incoraggia il
pentimento e la delazione. E' il rifacimento con l'aggiunta di un po' di
cosmetico di una vecchia legge. La pace sociale dovrebbe avere lo scopo di
proteggere la dignità delle persone, mentre costringere i prigionieri
politici a dichiararsi pentiti e a fare le spie è immorale e crea solo
sofferenza. Le forze negative della nostra società insistono quindi sulla
loro strada.
In Turchia ci sono infatti forze potenti che vogliono che la guerra interna
riprenda, che riprenda lo scontro armato tra turchi e curdi. Queste forze
infatti traggono il loro alimento e il loro potere dal sangue dei due
popoli. E in questi giorni esse si sono rifatte molto attive. Queste forze
non solo ignorano il bisogno di pace dei due popoli ma stanno tentando di
farvi tacere le voci che in crescendo affermano la necessità della pace.
Noi imputati non vogliamo la guerra. Non vogliamo che i curdi siano
sterminati dalla Turchia, non vogliamo la morte di nessun turco. Ma
l'identità curda deve essere riconosciuta, altrimenti la pace non sarà
possibile. I curdi non accetteranno mai il disconoscimento della loro
identità. In Turchia come in Iraq i curdi cercano la sicurezza e i loro
diritti. Se la Turchia sarà attiva sul versante della pace con i curdi
questo potrebbe anche essere un buon esempio per gli altri popoli del Medio
Oriente.
Noi imputati sentiamo tutta quanta la nostra responsabilità dinanzi al
compito storico di pacificare e di cambiare la nostra società. Se in tanti
sentiremo questa responsabilità la Turchia potrà cambiare.
Le condizioni oggi di un cambiamento in Turchia ci sono, perché nella gente
c'è stato un grande cambiamento: l'80% della popolazione della Turchia si è
schierato contro la guerra all'Iraq, e questa persentuale tra i curdi è
stata del 95%. Inoltre oggi i curdi non vogliono separarsi dalla Turchia ma
vogliono contribuire a una Turchia democratica. Tutti quanti siamo a favore
dell'entrata nell'Unione Europea, e questo garantisce l'unità della
Turchia. La Turchia non è solo, poi, Ankara e Diyarbakžr: sono molte le sue
popolazioni, e con l'entrata nell'Unione Europea tutte quante potranno
vivere bene insieme. Il contributo della Turchia all'Unione Europea sarà
importante anche perché vi porterà questa sua grande ricchezza.
Un mese fa a Mardin è stata lapidata una donna curda. Per alcune settimane
ha agonizzato in un ospedale. Le associazioni delle donne sono state
accanto a lei fino a che è morta. Il suo funerale si è trasformato in una
grande manifestazione di donne. Questa manifestazione non solo ha sepolto
nel cimitero il corpo di Semse ma la tradizione primitiva che l'ha uccisa.
La sua morte, la brutale aggressione contro le donne che manifestavano a
Istanbul per i diritti umani, contro gli stupri fatti dalle forze di
sicurezza e per Gulbakar (si tratta della militante di DEHAP rapita e
stuprata due mesi fa a Istanbul da quattro agenti della polizia in
borghese) documentano più di ogni altro fatto quanta resistenza c'è al
cambiamento. Ma se non avremo il coraggio del cambiamento resteremo un
paese povero e infelice.
Dobbiamo abbandonare tutti i nostri pregiudizi e tutte le nostre paure.
Nessuno vuole dividere la Turchia. Dobbiamo realizzare in noi una
rivoluzione intellettuale orientata alla pace e alla democrazia. Occorre
che il sistema della giustizia cambi. Solo quando la giustizia incontrerà i
cuori sarà una giustizia equa, e non ci saranno più sentenze in Europa a
definire non equi i processi qui da noi.
Dobbiamo investire sugli esseri umani. Abbiamo subito profonde ferite in
passato, ma ormai queste ferite si sono rimarginate. Non dobbiamo
riaprirle, non dobbiamo rifarle sanguinare. Dobbiamo costruirci una nostra
fortezza collettiva fatta di amicizia. Le fortezze di pietra possono
crollare, quelle fatte di amicizia resistono.
Che la Corte almeno rispetti la legge turca. Gli interventi della difesa
In quest'udienza per la prima volta intervengono tutti quanti gli avvocati
della difesa. Molti di loro tuttavia si limitano ad affermare di concordare
con quanto appena detto dai loro colleghi.
Intervento dell'avvocato Yusuf Alatas¸. Questo processo è importante,
argomenta Alatas¸, e le decisioni che prenderà la Corte saranno importanti.
In Turchia si stanno facendo molte leggi positive che però non vengono
applicate dagli organi dello Stato. Questa Corte rispetterà queste leggi?
Questo processo è ora chiamato a verificare non solo se avete cambiato
mentalità e posizione rispetto al 1994 ma se intendete applicare le nuove
leggi. Quando dico se avete cambiato mentalità e posizione intendo dire se
invece di continuare a guardare agli imputati come a presunti colpevoli
oggi li guardate come presunti innocenti. Il diritto democratico si basa
sul principio della presunzione di innocenza degli imputati sino a che non
ne sia stata dimostrata la colpa, non sulla validità a priori dell'accusa.
Il diritto democratico afferma che quando un processo è rifatto occorre
analizzare nuovamente le prove del precedente processo, quindi afferma la
possibilità di un esito differente.
Finora purtroppo non abbiamo visto cambiamenti sostanziali rispetto al 1994
nella conduzione del processo. I nostri clienti sono nove anni e cinque
mesi che sono in carcere. Si tratta dell'esecuzione della condanna del
1994. Ma allora non si può dire che si sta rifacendo il processo, come è
stato richiesto alla Turchia da parte della Corte di Strasburgo. Il
rifacimento per davvero del processo richiede infatti che gli imputati
siano liberi. Voi dunque continuate a credere che gli imputati siano
colpevoli, che la sentenza del 1994 sia stata giusta.
Il testimone Fethi Gumus, che era l'avvocato di Temelli, il capo dei
guardiani del villaggio di Metinan, ha appena testimoniato che era con gli
imputati quando ci fu la prima riunione di conciliazione e che gli imputati
non nominarono mai il PKK. Quindi o voi credete ai testimoni dell'accusa o
a quelli, che ci è possibile ascoltare solo ora, solo in questo processo,
ben più attendibili, perché palesemente obiettivi, della difesa - i
testimoni dell'accusa erano invece quasi sempre guardiani del villaggio, in
qualche caso agenti di polizia, quindi figure ostili agli imputati.
La condanna degli imputati fu dichiarata a tutela della società contro
individui pericolosi. Ma gli imputati non hanno mai fatto uso di armi né
hanno mai partecipato alla lotta armata guidata dal PKK, sono stati invece
dei combattenti politici. Non c'era nessuna necessità di prendere la
precauzione di incarcerarli, ancor meno questa precauzione necessita oggi.
Anche stando, infine, alle riforme degli ultimi due anni e al cambiamenti
conseguenti negli articoli del codice penale gli imputati dovrebbero essere
liberati.
Tra due anni la detenzione degli imputati cesserà (rammento come in Turchia
la legge preveda sconti di un quarto della pena per condanne quali quelle
subite da Leyla Zana e dagli altri tre parlamentari del DEP). Ora questo
processo, stando a come si sta svolgendo, durerà a lungo. Ci saranno ancora
varie udienze, poi si andrà in Cassazione, anche lì ci saranno varie
udienze, passeranno quindi probabilmente degli anni. E se gli imputati
risulteranno infine condannati, in ipotesi, a meno di dieci anni, come li
si risarcirà degli anni passati ingiustamente in carcere?
Intervento dell'avvocato Mustafa Özer. Il processo del 1994, sottolinea
Özer, avvenne fuori da ogni principio di giustizia, soprattutto vi fu
violato il principio dell'eguaglianza tra difesa e accusa. Se i testimoni
che avete ascoltato stamani fossero stati ascoltati anche nel 1994 questi
imputati non sarebbero stati condannati, non sarebbero stati prelevati
brutalmente nell'aula del Parlamento per essere messi in carcere.
Secondo i principi della giustizia i processi devono basarsi su norme e non
su valutazioni di tipo politico. Il processo del 1994 fu condotto a partire
dalle valutazioni del governo Ciller. In più le prove che vi furono portate
erano false. Oggi la Turchia, costretta dalla Corte di Strasburgo, sta
rifacendo il processo del 1994. Ma continuerà a rifarlo come fu fatto
allora?
Il testimone Temelli ci ha ridetto in questo processo che i partecipanti
agli incontri di conciliazione erano tutti del PKK. Invece non ci ha mai
parlato del testimone che abbiamo ascoltato questa mattina, il suo avvocato
di allora, o di altri testimoni, palesemente estranei al PKK.
Il testimone Hasan fu trattenuto in arresto nella sede della gendarmeria
per trenta giorni, accusato di essere del PKK, torturato, e quando
finalmente finì davanti al giudice fu assolto. Da questo come da moltissimi
altri episodi che hanno colpito militanti curdi emerge che la Turchia
condannava, come tuttora condanna, tutte quelle persone che lottano per una
democrazia vera. Infatti i nostri clienti pur avendo lottato per la
democrazia nel quadro della legge hanno dovuto scontare a oggi nove anni e
mezzo di carcere.
E' proprio per una Turchia migliore che dovere fare il passo della
liberazione degli imputati.
Intervento dell'avvocato Sezgin Tanrikulu. Ho esaminato con attenzione gli
articoli del codice di procedura penale, attacca Tanrikulu, e nessun
articolo afferma che siete tenuti a far proseguire la condanna del 1994
mentre state conducendo un nuovo processo per i medesimi fatti: mentre è da
ben cinque udienze che voi continuate a far scontare agli imputati la
condanna del precedente processo. Dovete invece prendere atto della
cancellazione della precedente condanna, per il fatto stesso del nuovo
processo, e lasciare liberi gli imputati.
Intervento dell'avvocato Ismail Aslan. Questi, codice penale alla mano,
constata come, dopo l'abolizione dell'art. 8 della legge antiterrorismo
qualora la Corte applicasse nella sentenza l'art. 168 del codice penale la
pena massima sarebbe di nove anni, qualora invece applicasse l'art. 169 la
pena massima sarebbe di tre anni. Gli imputati hanno già scontato nove anni
e mezzo di carcere: perché allora non vengono scarcerati? Non c'è alcuna
ragione giuridica del proseguimento della loro incarcerazione.
Le decisioni della Corte
Il Procuratore obietta alle richieste di scarcerazione degli avvocati della
difesa e chiede inoltre l'escussione di altri due testimoni.
La Corte si ritira in camera di consiglio, come sempre assieme al
Procuratore. Vi rimane qualche minuto. I due nuovi testimoni dell'accusa
sono accettati. Le richieste della difesa di scarcerazione degli imputati
sono respinte. La prossima udienza si terrà il 15 agosto.
Governanti turchi e farisei europei, vergogna, datevi da fare!
Tutte le volte che per seguire questo processo siamo partiti da Malpensa
per Istanbul, dove abbiamo preso il primo aereo disponibile per Ankara, ci
scambiavamo la speranza che i quattro imputati venissero liberati, e tutte
le volte questa nostra speranza era intrecciata a note razionali di
pessimismo. Ormai qualcosa capiamo della mentalità proterva della Giuria di
questo processo e anche dei contorti bizantinismi della politica ufficiale
turca. Tutte le volte inoltre nel corso dell'udienza la speranza si
smorzava, ferita dall'arroganza della Corte, dalla sua dipendenza
dall'accusa, dal suo rifiuto di accogliere il complesso dei testimoni della
difesa, insomma dalla sua intenzione di confermare, se le riuscirà, la
condanna degli imputati.
Quest'udienza ha avuto però un andamento tale che la speranza della
scarcerazione degli imputati è invece cresciuta mano a mano che se ne
avvicinava la conclusione. Persino le compagne delle associazioni per i
diritti umani e i dirigenti di DEHAP si guardavano tra loro e ci guardavano
incerti e quando gli chiedevamo come questa volta andava a finire ci
rispondevano che non era chiaro o, addirittura, che non erano del tutto
pessimisti.
Non solo, infatti, i testimoni che la difesa è ancora riuscita a far
ascoltare hanno smantellato le testimonianze dell'accusa, con la forza che
gli viene dal fatto che tra essi vi erano ex candidati al Parlamento o
addirittura ex parlamentari del Partito della Retta Via della Tansu Ciller
o del Partito dei Democratici di Sinistra di Bulent Ecevit, cioè di due tra
i peggiori partiti prodotti dal kemalismo degenerato di questi decenni: ma
le stesse riforme del sesto pacchetto, recentissimamente approvate dal
Parlamento turco, nel momento in cui aboliscono l'art. 8 della legge
antiterrorismo significano che anche nell'ipotesi che gli imputati vengano
nuovamente condannati la loro condanna non potrà superare i nove anni: ed
essi ne hanno già scontati nove e mezzo.
Continuando a decidere l'incarcerazione degli imputati la Corte non solo ha
continuato imperterrita nella sua violazione degli obblighi a cui la
Turchia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo ma ha pure violato la
legge del suo paese. Tuttavia il Ministro della Giustizia Çiçek continuerà,
temiamo, a non avere nulla da dire. La magistratura in Turchia non è
indipendente? Quindi lui, tacendo, non rispetta a pieno i principi
democratici dello stato di diritto, su cui si fonda ogni sistema della
giustizia che si rispetti, e come richiesto dall'Unione Europea?
Analoga risposta nei prossimi tempi daranno, immagino, i vari sepolcri
imbiancati dei governi europei e delle istituzioni europee.
Ma da che cosa è indipendente tutta questa tragica buffonata fascista, se
non da ogni principio di democrazia e di giustizia?
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La sesta udienza si è caratterizzata per la protesta da parte degli
avvocati della difesa che hanno dichiarato la loro intenzione di non
partecipare più al dibattimento.
Alla fine abbiamo chiesto un'intervista ad Eren Keskin sull'andamento del
processo.
Ankara: diario della sesta udienza.
15 agosto 2003
Ankara, 15 agosto 2003
Diario della sesta udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi
Selim Sadak, Hatip Dicle, Orhan Dogan
Un'udienza brevissima
Eravamo stanchi morti alle otto di sera del 14 agosto, appena giunti ad
Ankara dopo una giornata di viaggio caldissima, code affollate negli
aeroporti e ritardi prolungati dei voli. A Malpensa ci eravamo ritrovati in
mattinata con Stefano Squarcina, proveniente da Bruxelles e in piedi dalle
quattro e mezza. Domani allora ci sarà la sesta udienza del processo a
Leyla Zana e ai suoi tre compagni di carcere. Niente doccia per rifarci un
po', avevamo appuntamento a cena con i compagni che dirigono DEHAP, con
Feleknas Uca, con Luisa Morgantini e con la nostra amica e interprete
Lerzan. Per fortuna Ankara è su un altopiano e alla sera c'è sempre fresco.
Luigi uscirà dalla discussione con il giovane presidente di DEHAP molto
contento: un uomo intelligente e colto e una cultura politica assai
moderna, ci dirà.
La mattina dopo, ci siamo ormai abituati, partenza con un paio di taxi per
il Tribunale, palazzaccio massiccio in stile fascista come d'altronde tutti
i tribunali in tutto il mondo. Incontriamo prima di entrare nell'edificio
l'avvocato della difesa Mustafa Özer, gli chiediamo una previsione, ci
risponde che se la giustizia in Turchia funzionasse secondo criteri non
necessariamente democratici ma almeno razionali i quattro imputati
dovrebbero già essere stati liberati, dato che con il settimo pacchetto di
riforme, approvato poco più di un mese fa, parte dei capi di imputazione è
venuto a cadere quindi anche se gli imputati saranno nuovamente condannati
la pena non potrebbe superare i nove anni, e loro ne hanno già scontati più
di nove e mezzo, quasi dieci. Un po' più del solito ci pare oggi sperare
Özer: è passato un po' più di mese, ci spiega, da quando la Gazzetta
Ufficiale ha pubblicato l'abolizione dell'art. 8 della legge
antiterrorismo, dell'articolo cioè su cui si basò nel 1994 la condanna a 15
anni degli imputati, la Corte potrebbe finalmente accorgersene. Ma Özer
sarà costretto a cambiare idea prima che passino due ore. Per quanto invece
ci riguarda dopo cinque udienze trascorse tutte quante all'insegna della
più assoluta protervia da parte della Corte e dell'accusa non ce la
sentiamo più di sperare.
Nel frattempo è arrivato il pullman della gendarmeria con gli imputati: e
come sempre c'è una piccola folla di curdi, molte le donne, in attesa, che
quando il pullman arriva fanno una piccola manifestazione di solidarietà
agli imputati, applaudono, alzano due dita a V, le donne emettono un grido
ritmato e prolungato. Polizia e gendarmeria come al solito poi si
interpongono. E come sempre io e Lerzan ci uniamo a questa folla, sotto lo
sguardo un po' accigliato e un po' preoccupato di Luigi e di Stefano, i
quali poi, come sempre, ci fanno venir via.
Entriamo nel Tribunale, e dopo poco nell'aula del processo. Come da qualche
udienza a questa parte le barriere di polizia all'entrata del Tribunale
sono scomparse, o ridotte a un modesto residuo, inoltre la presenza di
gendarmi armati in aula è ridotta. Stavolta però assieme ai gendarmi sono
mescolati dei soldati: forse una parte dei gendarmi è in ferie? L'aula
rapidamente si riempie: oltre a noi, parenti e amici degli imputati,
rappresentanti di DEHAP e delle associazioni per i diritti umani,
rappresentanti di associazioni internazionali di giuristi democratici,
provenienti, in quest'udienza, dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran
Bretagna, rappresentanti infine dell'Ambasciata italiana, anche a nome del
Consiglio Europeo, e della Commissione Europea. Ci salutiamo con tutti
quanti, ormai ci conosciamo e di molti siamo diventati amici. Entrano gli
imputati, salutano con larghi gesti parenti e amici, salutano anche noi,
anche loro ci riconoscono. Leyla Zana oggi ha un volto pallido e tirato.
Entrano infine Corte e accusa. Il Procuratore è tornato quello di sempre,
ha una bella abbronzatura e sembra più arcigno che mai; presiede uno dei
due giudici a latere, anch'egli abbronzato, e gli altri due giudici sono
facce mai viste. Evidentemente il Presidente della Corte e un giudice a
latere sono in ferie. Tutti insomma si fanno le loro ferie anche in
Turchia, salvo ovviamente chi sta in galera. La Turchia però è speciale in
questo: che quel pezzo della sua giustizia che fa capo ai Tribunali per la
sicurezza dello Stato in ferie invece, che diamine, non ci va, vigila come
d'uopo sulla sicurezza dello Stato dodici mesi all'anno su dodici. Paese,
debbo dire, davvero sfortunato.
Si comincia. Il Presidente fa presente che tre testimoni dell'accusa non
sono ancora stati trovati, se ne sarebbero andati da dove vivevano senza
comunicare i nuovi recapiti. Ci saranno quindi solo due testimoni
dell'accusa - e nessuno invece della difesa. Essa, ci diranno i suoi
avvocati al termine dell'udienza, ha rinunciato a continuare a portare i
suoi testimoni, per sottolineare più efficacemente il fatto che comunque le
violazioni dei suoi diritti hanno caratterizzato l'intero processo.
Insomma, ma lo vedremo anche in quest'udienza, la difesa ha deciso di
alzare il tiro, di attaccare a fondo cioè la conduzione stessa del processo.
Il primo dei testimoni è la segretaria dell'oculista che aveva visitato
quel militante del PKK che si era rivolto al segretario di Orhan Dogan per
essere aiutato a curarsi gli occhi. Nel 1993 a questa donna erano state
mostrate delle fotografie e in una di esse aveva riconosciuto il militante
del PKK in questione. Ora però, a dieci anni, non ricorda nulla. Né ricorda
se il militante del PKK era stato accompagnato dall'oculista da qualcuno.
Il secondo dei testimoni è il commesso che nel 1994 lavorava per il negozio
di ottica che aveva prodotto gli occhiali prescritti dall'oculista al
militante del PKK. Qualcuno, dichiara, venne al negozio a ritirare questi
occhiali esibendo una tessera sanitaria intestata a Orhan Dogan, però non
era Orhan Dogan (rammento che la fattura degli occhiali fu intestata a
Orhan Dogan e che il Parlamento turco rimborsò Orhan Dogan del prezzo degli
occhiali). Era normale, chiede l'avvocato Alatas¸, consegnare degli
occhiali a chi presentava una tessera sanitaria non sua e spiccare la
relativa fattura all'intestatario di questa tessera? No, risponde il teste,
attraverso il "controllo della firma" ci dovevamo accertare che il
portatore della tessera ne fosse effettivamente l'intestatario. Quindi,
chiede Alatas¸, solo Orhan Dogan avrebbe potuto ritirare gli occhiali?
Perché allora li avete dati ad uno che non era Orhan Dogan? Mi pare di
ricordare, risponde il teste, che consegnammo gli occhiali ad un figlio di
Orhan Dogan e che questi firmò con il nome del padre. Questo tipo di
sostituzione a volte accade. Interviene Orhan Dogan: mio figlio ai tempi
aveva dieci anni, il militante in questione del PKK ne aveva 23, gli
occhiali erano per un adulto: come può un bambino di dieci anni aver
imitato la mia firma, come potete aver confuso mio figlio con un adulto?
Alatas¸: il testimone ci ha detto che a ritirare gli occhiali non fu Orhan
Dogan, e ora sappiamo anche che gli occhiali non poterono essere ritirati
da suo figlio. Chi li ritirò? Ma il povero testimone a questo punto è in
tutta evidenza nel pallone e si rifugia in un "non ricordo".
Fine dei testimoni. E' difficile capire perché mai l'accusa ne abbia voluto
l'ascolto: non avevano palesemente niente da dire.
Gli interventi della difesa
Interviene per primo il Presidente del collegio dei difensori Yusuf
Alatas¸. Quest'udienza, esordisce, è la sesta di questo processo, e siamo
estremamente frustrati. I nostri clienti sono da dieci anni in carcere, dal
1994. Dopo otto anni, a seguito dei nostri ricorsi, c'è stata la sentenza
della Corte di Strasburgo che dichiara che il processo del 1994 ai nostri
clienti non fu equo, che in esso le norme definite nella Convenzione
Europea sui Diritti Umani non erano state rispettate, quindi che doveva
essere rifatto. Rifatto: cioè che occorreva fare un processo totalmente
nuovo, non ripetere quello del 1994, con le sue caratteristiche di
illegittimità. A due anni da questa sentenza la Turchia ha deciso di rifare
il processo, ed eccoci qua. All'inizio abbiamo molto sperato che fosse
davvero un nuovo processo: quindi che alla fine ci sarebbe stata una nuova
sentenza, a partire da uno studio obiettivo da parte della Corte di tutti
gli elementi di prova, perciò anche di quelli che nel 1994 non erano stati
accettati, che poi erano tutti quelli portati dalla difesa. Abbiamo inoltre
sperato che gli imputati fossero immediatamente scarcerati: altrimenti la
continuazione della loro detenzione avrebbe significato che si stava
ripetendo il vecchio processo. Ma per cinque udienze e ancora in questa la
Corte ha solo mostrato di non voler rifare il processo bensì di voler
ripetere quello vecchio; e in quest'ottica ha continuato a rendere valida
la sentenza di condanna del vecchio processo cioè non ha voluto la
scarcerazione degli imputati. Vi siete solamente preoccupati di confermare
la validità di questa sentenza: e la conclusione che si trae da questo è
che non avete mostrato nessun interesse per la legalità del nuovo processo.
Altrimenti, appunto, come ha affermato la Corte di Strasburgo, avreste
dovuto scarcerare e subito gli imputati. Ribadisco: la Corte di Strasburgo
ha emesso una sentenza che, nel momento in cui afferma l'illegittimità del
processo del 1994, quindi della sua sentenza, comporta la scarcerazione
degli imputati. Inoltre l'illegittimità del vecchio processo consiste
soprattutto nella violazione dei diritti della difesa, a partire
dall'ineguaglianza stridente delle condizioni in cui operarono accusa e
difesa. Questo vi avrebbe obbligati alla ricerca da capo dei fatti, in
particolare ad ascoltare i testimoni della difesa. Ma non avete mai accolto
le richieste della difesa, salvo quando i testimoni si sono presentati
sulla porta di quest'aula, invece avete sempre accolto le pregiudiziali
dell'accusa. Così anche in questo processo accusa e difesa non sono stati
posti in condizioni di parità. Il fatto sostanziale, allora, è che voi
siete convinti sin dall'inizio di questo processo che la sentenza del
precedente processo fu giusta. Avete iniziato questo processo pensando che
il precedente processo fu giusto. Il fatto sostanziale perciò è che il
rifacimento del processo è solo un rifacimento di facciata, per poter dire
alla Corte di Strasburgo che ne avete rispettato la sentenza. Prendiamo per
esempio la testimonianza resa dall'avvocato Fethi Gümüs¸: questi ha
affermato che né Leyla Zana né gli altri imputati hanno fatto propaganda
per il PKK nelle due riunioni di Medinan. La Corte tuttavia non ha preso in
alcun conto la sua deposizione. I testimoni dell'accusa e quelli della
difesa non sono stati messi a confronto. Non avete mostrato alcun interesse
per le argomentazioni che abbiamo portato a proposito delle recenti
modificazioni degli articoli del codice penale relativi al terrorismo. Ogni
qual volta abbiamo proposto qualcosa avete guardato dalla parte dell'accusa
prima di esprimere la vostra decisione. Non vogliamo perciò più prestarci a
questo gioco, continuate il processo con la partecipazione soltanto
dell'accusa.
Interviene ora l'avvocato Mustafa Özer. E' la prima volta nella storia
della Turchia, argomenta, che viene rifatto un processo perché quello
precedente non è stato considerato equo dalla Corte di Strasburgo. Ma anche
l'attuale processo non è basato sui principi universali della giustizia.
Voi lo state rifacendo come se fosse un vostro problema di onore: per
dimostrare alla Corte di Strasburgo che i giudici in Turchia non fanno
errori, che non sbagliano mai, che le loro sentenze sono sempre giuste.
Quindi questo è solo un processo di facciata, e se si concluderà con la
stessa condanna del 1994 dimostrerete solo di non essere oggettivi e di
essere lontani dalla stessa legge turca.
Özer poi consegna alla Corte un rapporto dell'Associazione degli Avvocati e
dei Giuristi Indipendenti, un'associazione internazionale la cui sede è a
Ginevra, sulle udienze di maggio, giugno e luglio. In questo rapporto si
afferma che il nuovo processo è in realtà una "farsa giudiziaria" nel cui
contesto è violato ogni diritto della difesa e degli imputati ed è inoltre
violata la stessa legge turca.
Interviene poi l'avvocato Hasip Kaplan. Noi abbiamo inviato a Strasburgo
quattro ricorsi per illegittimità relativi ad altrettanti processi e tutt'e
quattro i ricorsi sono stati accolti, in tutt'e quattro i casi la Corte di
Strasburgo ci ha dato ragione. Il processo che qui ora si sta svolgendo è
molto importante per la democrazia parlamentare in Turchia, per
l'affermazione in questo Paese dei diritti umani e di una giustizia equa.
Ma purtroppo voi continuate con i soliti metodi, come se cioè non ci fosse
stata una sentenza della Corte di Strasburgo e non ci fossero stati da
parte del nostro Parlamento sette pacchetti di riforme. Voi così continuate
a negare i diritti fondamentali dei nostri cittadini, primo fra tutti
quello alla libertà. Appunto questo dimostra il fatto che gli imputati
continuano a rimanere in carcere.
Interviene infine l'avvocato Sezgin Tanrikulu. Noi non abbiamo altre
richieste da farvi, dichiara, perché abbiamo constatato che state
semplicemente proteggendo la sentenza del 1994 e che la vostra intenzione è
di riconfermarla. Questo è il senso del vostro comportamento. Ci chiediamo
scandalizzati a che cosa serva fare da parte nostra in questo processo
delle richieste, a cosa serva perciò rifare il processo del 1994, e a cosa
servano le stesse riforme giuridiche del Parlamento, dato che qui poi non
vengono applicate.
Il Presidente della Corte informa che l'accusa gli ha appena consegnato gli
indirizzi di due di quei suoi testimoni che sinora non si erano presentati
al processo perché irreperibili. Essi verranno contattati perché siano
presenti alla prossima udienza. Quindi la Corte si ritira - come sempre
assieme all'accusa. Torna dopo cinque minuti. Queste le sue decisioni: gli
imputati restano in carcere, il processo è aggiornato al 15 settembre.
In tutto quest'udienza è durata un'ora e mezza, sono appena le undici del
mattino.
Un'intervista a Eren Keskin
Eren Keskin è una bella donna, occhi dolcissimi, di una quarantina d'anni.
E' curda ma ha una nonna circassa. E' una delle figure eroiche della lotta
in Turchia per i diritti umani: ha a suo carico qualcosa come un 150
denunce e non so quanti processi in corso. E' stata sospesa per un anno
dall'albo degli avvocati per aver dichiarato che i colpevoli degli stupri
di massa che si susseguono nel sud-est sono membri delle forze di
sicurezza. E' una materia che purtroppo conosce bene: è stata minacciata
parecchie volte, anche con articoli su giornali, di stupro, e ha adottato
alcuni mesi fa una bimba curda violentata proprio da membri delle forze di
sicurezza. E' presidente della sede di Istanbul dell'Associazione per i
Diritti Umani - una di quelle sedi che esprimono le posizioni più radicali,
nel quadro di una dialettica complessa e interessante. Approfitto a tambur
battente della brevità dell'udienza per proporle un'intervista. Eccola.
Cosa pensi dell'andamento di questo processo, è la mia prima domanda.
Lo Stato turco, mi risponde, e l'esercito in particolare hanno bisogno
della guerra, volendo continuare a negare, di fatto, la democrazia e i
diritti delle minoranze. Fino a oggi tutto quello che è stato fatto aveva
l'obiettivo di dar da intendere all'Unione Europea che un processo di
riforme sostanziali in senso democratico e di implementazione dei diritti
umani è stato avviato: di fatto, invece, sul terreno non c'è stato nessun
cambiamento sostanziale, come dimostra anche l'andamento di questo processo.
Ma che cosa si dovrebbe fare, allora, per modificare realmente la situazione?
Il fatto è che manca quasi totalmente nella parte turca della popolazione
una società civile. Il potere militare è tuttora troppo forte e condiziona
tutta la vita sociale, non solo la politica. E' molto forte anche sul piano
economico. Non ha mai avuto una crisi interna, una crisi che ne intaccasse
la compattezza. Quindi tutta la società turca subisce un forte
condizionamento, in tutti i sensi, su tutti i piani fondamentali della sua
esistenza. Noi perciò vorremmo dall'Unione Europea un intervento forte
sulla Turchia, un intervento con l'obiettivo di togliere il potere ai
militari. Le riforme in corso (con il settimo pacchetto) che riducono la
presenza dei militari nel Comitato per la Sicurezza dello Stato sono
sostanzialmente inutili, questo l'Unione Europea lo deve capire. L'Unione
Europea deve dire che questo Comitato va abolito. Se non viene meno questa
struttura dello Stato, che poi è il centro reale del potere politico, la
strada delle riforme democratiche in Turchia resta chiusa. Finora, ripeto,
siamo a poco meno della presa in giro dell'Unione Europea. Ti ricordo che
sono già stati approvati sette pacchetti di riforme e che non è cambiato
sostanzialmente niente. Non si vede nel governo attuale, inoltre, una
volontà politica ferma di fare di questo paese una democrazia: è un governo
che si muove facendo del piccolo cabotaggio, che fa operazioni di facciata,
ma non c'è sostanza.
Berlusconi secondo te può contribuire, con le sue recenti dichiarazioni, a
che ci sia in Turchia l'illusione di entrare così com'è, più o meno,
nell'Unione Europea?
Non so, quello che per ora vedo è che anche in questo caso sta accadendo
che le persone che hanno lo stesso modo di pensare finiscono per
avvicinarsi. Berlusconi è diventato amico di Erdogan perché i due sono
molto simili; è per questo che adesso continuano a dirsi tra loro cose
piacevoli, quello che ciascuno di loro vuol sentirsi dire dall'altro.
L'Unione europea è davvero rappresentata da Berlusconi? Spero di no. E se
l'Unione Europea non è Berlusconi, o non è solo Berlusconi, dovrà
registrare, prima o poi, che questo è un paese assai difficile da cambiare,
che ha una struttura dello stato solida come la pietra, e che è questa la
questione da affrontare. E' però anche vero che fino a oggi quello che
l'Unione Europea ha fatto sul versante della Turchia è stato del tutto
insufficiente. E il rischio, andando avanti così, è che la Turchia riesca a
entrare nell'Unione Europea con la sua struttura militare, con il suo
potere militare, insomma com'è attualmente. Sia i militari che gli altri
apparati statali che lo stesso governo è questo che sperano. In fondo alla
costruzione di questa struttura militare hanno partecipato a suo tempo
anche alcuni stati europei.
L'intervista finisce qui: nell'atrio del Tribunale siamo rimaste solo Eren
Keskin, un compagno della sede di Istanbul dell'Associazione per i Diritti
Umani, Lerzan e io, e un agente della polizia ci fa segni impazienti che
dobbiamo uscire.
In attesa all'aeroporto, un paio di storie di ordinaria Turchia
Corriamo all'aeroporto nella speranza di imbarcarci rapidamente per
Istanbul, purtroppo non andrà a finire così, e nel pomeriggio che passiamo
all'aeroporto Lerzan e io prima mettiamo a posto gli appunti di
quest'udienza del processo e poi ci mettiamo a chiacchierare sulla
manifestazione di protesta contro la possibilità che vengano inviati in
Irak 10.000 soldati turchi.
Infatti, la Turchia probabilmente invierà 10.000 soldati in Iraq a
sostituirvi più o meno altrettanti soldati degli Stati Uniti stufi di farsi
sparare. Nel giorno del matrimonio del figlio di Erdogan - a cui
Berlusconi, com'è noto, è stato testimone - i giovani del Partito EMEP -
uno dei due partiti della sinistra turca - hanno manifestato, nei pressi
del palazzo dove il matrimonio veniva celebrato, contro l'invio in Iraq di
questi soldati. Tra i loro slogan c'era, giustamente, "Erdogan manda tuo
figlio in Iraq". I 5 mila agenti di polizia che presidiavano il palazzo
hanno caricato e picchiato selvaggiamente i manifestanti; poi delle cariche
e dei pestaggi è stato dato ampio ragguaglio in televisione, a monito ai
giovani della Turchia che contro le decisioni del governo Erdogan è
inopportuno manifestare.
In contemporanea, Berlusconi elogiava gli intendimenti democratici del
governo Erdogan, i suoi pacchetti di riforme, e ribadiva come a suo avviso
la Turchia debba essere fatta entrare rapidamente nell'Unione Europea.
Lerzan mi fa notare un articolo del quotidiano Cumhuriyet - uno dei
principali quotidiani turchi, legato al Partito Repubblicano del Popolo,
cioè all'attuale opposizione parlamentare - all'interno del quale è
pubblicata la fotografia di una vecchietta.
L'articolo era intitolato "scarcerate le quattro nonne di Malatya" ed è
talmente esemplificativo della situazione turca che abbiamo deciso di
inserirlo in questo diario.
Quattro nonne, spiega, sono state condannate nel 2001 dal Tribunale per la
Sicurezza dello Stato di Malatya a tre anni e nove mesi di carcere,
accusate di aver fiancheggiato il PKK. Le prove a loro carico consistevano
nel fatto che i loro nomi erano scritti su un foglio trovato nella tasca di
un militante del PKK ucciso nel 2000 e nelle dichiarazioni di un loro
legame con il PKK da parte di un delatore. A queste nonne è stato imposto,
inoltre, il carcere duro, ciò che significa, tra l'altro, l'impossibilità
di incontrare i parenti e gli amici nel contesto delle cosiddette "visite
aperte", dove condannati e parenti si incontrano in una sala del carcere.
Di conseguenza queste nonne potevano avere solo un incontro alla settimana
e solo con un parente, inoltre non entrando a contatto diretto ma
comunicando, separati da una vetrata, con un telefono.
Queste nonne, continua l'articolo, sono state rilasciate alcuni giorni fa,
quindi in anticipo rispetto al compimento della pena, perché hanno potuto
usufruire della legge sul reinserimento dei detenuti nella società. Proprio
così, non ridete.
Emine Kiyançiçek, la nonna della fotografia, che ufficialmente ha 81 anni,
ma che sostiene di averne 90, perché le diedero il primo documento che
dichiarava che era appena nata che aveva già più di dieci anni, e che è la
più anziana delle quattro, perché le altre nonne sono tra i 70 e gli 80
anni, ora grazie alla legge per il reinserimento dei detenuti nella società
è tornata al suo villaggio, Uzuntarla, che è su un altopiano, vicino a
Tumceli. Ha dichiarato, scrive l'articolo, che lo Stato turco non ha
mostrato nei riguardi delle nonne né coscienza né pietà, per averle messe
in carcere così anziane, in più per avere impedito a lei di poter
incontrare e abbracciare i nipoti. La povera donna, scrive ancora
l'articolo, non ha ancora capito perché è stata arrestata, processata,
condannata ad una pena carceraria e sottoposta a carcere duro. Al
Procuratore della Repubblica aveva dichiarato di non avere aiutato nessuno
e che nessuno che non fosse del villaggio era stato a casa sua, e che se
c'era qualcuno che necessitava di essere aiutato era lei. Al Procuratore ha
anche detto che lo Stato è di tutti, anche suo, perché viviamo tutti sotto
la stessa bandiera. Il Procuratore però non ha avuto dubbi e l'ha
incriminata e fatta condannare. Io sono molto vecchia, ha aggiunto, ho
venti nipoti, ho visto anche il figlio di un mio nipote, ma lo Stato non ha
avuto pietà della mia età e così ho fatto più di due anni di carcere. Il
carcere non mi faceva paura ma ero molto triste perché avevo paura di
morire senza riuscire a rivedere i miei nipoti. Non dimenticherò mai questa
ingiustizia e non perdonerò mai chi me l'ha fatta.
Emine ora non fa che muoversi nel suo villaggio e guardare le montagne che
lo circondano. Il suo desiderio è di morire in pace e con intorno i suoi
nipoti in questo villaggio e tra queste montagne.
Novità Edizioni Punto Rosso
Forum Mondiale delle Alternative
a cura di F. Houtart, S. Amin
La globalizzazione delle resistenze
Lo stato delle lotte 2002/2003
Il libro raccoglie i contributi di diversi autori da tutte le parti del
mondo sullo stato delle lotte nei diversi continenti e alcuni saggi sui
temi principali della resistenza alla globalizzazione capitalistica e sulle
sue alternative.
Collana Libri FMA/8, pp. 420, 15 Euro.
Pubblicato in collaborazione con Terre Des Hommes
Indice
1. Lo stato dei Luoghi - Lo stato delle lotte
1. L'Asia dell'Est. 2. La Cina. 3. Il Sudest asiatico. 4. L'india. 5. Il
Mondo Arabo e il Medio Oriente. 6. L'Africa Subsahariana. 7. L'America
Latina. 8. L'America del Nord. 9. L'Europa dell'Est. 10. L'Europa
Occidentale
2. Le poste in gioco globali delle lotte contemporanee
1. Il petrolio chiave del dominio economico. 2. L'acqua, sfida globale
dell'avvenire, tra privatizzazione e bene comune dell'umanità. 3. Il debito
estero, meccanismo di estrazione delle ricchezze. 4. La lotta contro la
povertà, utilità politica di un argomento nel nuovo ordine mondiale. 5. I
movimenti delle donne per un'altra globalizzazione. 6. La militarizzazione
del mondo e le nuove condizioni della pace
3. L'ampiezza delle sfide, riflessioni sulle origini e i percorsi delle
resistenze e delle lotte
1. La dimensione economica. 2. La dimensione sociale. 3. La dimensione
culturale. 4. La dimensione politica
4. La ricerca delle alternative
1. Il paradigma dello sviluppo. 2. Progetti e livelli delle alternativie
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Atilio A. Boron
IMPERO & IMPERIALISMO
Una lettura critica di Michael Hardt e Antonio Negri
L'imperialismo attuale non è lo stesso di trent'anni fa. E' cambiato, ma
non è diventato il suo contrario, come ci propina la mistificazione
neoliberista.
Esso continua ad opprimere i popoli e le nazioni, seminando ad ogni passo
dolore, distruzione e morte. Nonostante i cambiamenti conserva la sua
identità e struttura e continua a perpetuare la sua funzione storica nella
logica dell'accomulazione mondiale del capitale. Le sue mutazioni, la sua
volatile e pericolosa compresenza di tradizione e innovazione, richiede la
costruzione di un nuovo approccio che ci permetta di capire la natura
attuale dell'imperialismo.
Questa continuità dei paradigmi fondamentali dell'imperialismo - non
necessariamente della sua fenomenologia - viene ignorata nell'opera di
Hardt e Negri, tanto che in nome di tale negazione essi definiscono
l'Impero.
Cercheremo, con questo libro, di dimostrare che, come le Mura di Gerico non
crollarono di fronte al suono delle tronbe di Giusuè e dei suoi sacerdoti,
così nemmeno la realtà dell'imperialismo svanisce davanti alla fantasia dei
filosofi.
Atilio A. Boron è docente di Teoria politica e sociale all'Università di
Buenos Aires (UBA)
ed è segretario della CLACSO (Consiglio latinoamericano di scienze sociali)
Collana Libri Varia, pp. 160, 10 Euro.
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