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La nonviolenza e' in cammino. 638



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 638 del 10 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. A Gubbio
2. Il "Cos in rete" di agosto
3. Luisa Morgantini: Daniel Barenboim a Ramallah
4. Arrigo Quattrocchi: Daniel Barenboim a Ramallah
5. Emmanuel Levinas: rivelazione
6. Etty Hillesum: un ardore elementare
7. Benito D'Ippolito: Franz Jaegerstaetter, nel sessantesimo anniversario
della morte
8. Iris Marion Young: dell'Europa e del mondo
9. Ida Dominijanni: il colonialismo che non passa
10. I pensierini di Persicone: 4 novembre
11. Riletture: Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani
12. Riletture: Martin Buber, I racconti dei Chassidim
13. Riletture: Hans Magnus Enzensberger, Colloqui con Marx e Engels
14. Riletture: Adrienne Rich, Esplorando il relitto
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. A GUBBIO
La camminata da Assisi a Gubbio che si svolgera' il 4 e 5 settembre, e il
convegno delle persone amiche della nonviolenza che a Gubbio si terra' il 6
e il 7 settembre, saranno un'occasione importante di incontro e di
riflessione: un incontro e una riflessione la cui necessita' e urgenza e' a
tutti evidente.
Poiche' la guerra e' tornata ad essere orrore quotidiano e pensiero egemone,
e poiche' il pur vasto movimento che alla guerra si oppone ha estremo
bisogno di illimpidirsi recando ancora profonde e penosissime le tracce di
una grave e greve subalternita' alla cultura della guerra e del dominio,
maschilista, autoritaria e fin totalitaria, che lo rende per piu' versi
suddito e complice di cio' contro cui afferma di volersi pur impegnare.
La scelta della nonviolenza e' la "riforma morale e intellettuale" che
occorre; la scelta della nonviolenza e' il passo decisivo che il movimento
pacifista, le persone di volonta' buona, deve, devono fare; la scelta della
nonviolenza e' quella "aggiunta" indispensabile per inverare, rendere
concrete e cogenti, le aspirazioni a quel che con troppo banale e
insufficiente e ambigua formula viene da molti detto "un altro mondo
possibile".
Ma la scelta della nonviolenza richiede una capacita' di ereditare e
criticare a un tempo molte e diverse esperienze e tradizioni, longeve e
complesse e contraddittorie, tutto salvando e tutto trasformando. La scelta
della nonviolenza richiede una capacita' di ascolto grande e difficile, da
parte di tutti e massime dai figli del privilegio, la cui piu' utile parola
e' forse oggi il silenzio che medita e cerca; e una ancor piu' difficile e
grande capacita' di presa di parola da parte di chi fino a qui ha avuto la
voce sopraffatta e finanche la lingua mozzata.
Fermare la guerra, contrastare l'ingiustizia, opporsi alla violenza (a
quella dispiegata ed a quella cristallizzata, negli atti e nei pensieri); e
costruire nel vivo della lotta e nel concreto dell'esistenza qui e a adesso,
nella coerenza e nella compresenza dei mezzi e dei fini, una societa' e un
convivere di persone libere, eguali, solidali: e' impegno non dappoco, e
cammino lungo e arduo. Questo impegno, questo cammino, noi diciamo
nonviolenza.
Da Assisi a Gubbio si dovra', si potra', come gia' in quella giornata del
2000 da Perugia ad Assisi, fare ancora un tentativo per parlare all'intero
popolo della pace e chiamarlo tutto a una piu' salda e persuasa riflessione
e azione.
Per ogni informazione sulla camminata Assisi-Gubbio, si sa, si puo' far
riferimento al Movimento Nonviolento, e-mail: azionenonviolenta@sis.it,
sito: www.nonviolenti.org

2. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI AGOSTO
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail:
capitini@tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996.
Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e
possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu'
reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza
religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la
pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un
volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di
Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata,
Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini:
oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio
di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo
Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno
schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio
Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole
(Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra
religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo
Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.cosinrete.it]
Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di agosto 2003 del "C.O.S. in rete"
(sito: www.cosinrete.it) una selezione critica di alcuni riferimenti trovati
sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace,
partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta,
educazione aperta, antifascismo; tra cui: I cristiani e la guerra; Educati
ad uccidere; Chi controlla Archimede; L'antietica della lotteria; Le carceri
pacificate; Il fiume carsico; Chi tocca i fili, muore; Il potere teocratico;
Il 25 aprile di Tremaglia; Mai dire quattro; Il cammino del consenso; Il
professore preoccupato; I bonifici pro mafia; ecc.
Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale
sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al
"C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti.

3. INIZIATIVE. LUISA MORGANTINI: DANIEL BARENBOIM A RAMALLAH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2003. Il seguente profilo di
Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa
Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966
ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi
di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in
Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia,
relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la
societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal
1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel
sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima
donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione
sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni,
impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento
relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha
rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea
dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale
mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del
1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato,
ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha
fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La
meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti
progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra
cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina,
Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e
oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere
donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle
rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid
in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto
dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con
il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti
della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la
cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei
diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria,
e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni
riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto
Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e
networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con
associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del
Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In
Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione
per la pace"]
"Bella figlia dell'amore, schiavo son dei vezzi tuoi", la parafrasi di Franz
Liszt sul quartetto del Rigoletto di Giuseppe Verdi ha chiuso il concerto
del pianista Daniel Barenboim a Ramallah, nella Palestina ancora
militarmente occupata dall'esercito israeliano. La sala era traboccante di
palestinesi accorsi non soltanto in virtu' di un generico amore per la
musica, ma grazie all'evento rappresentato dalla performance volontaria di
un pianista e direttore d'orchestra d'eccezione, argentino di nascita e
cittadino israeliano per scelta.
La storia della musica non accoglie tra le sue pagine il grande Barenboim
solo per le sue capacita' interpretative ma per la sua inclinazione, piu'
volte realizzata, a usare la musica come viatico per superare barriere e
confini: "la musica - ha avuto occasione di dire - costruisce ponti", e lui
appena puo' li attraversa.
Cittadino del mondo, Barenboim ha cominciato a cinque anni a suonare il
pianoforte, prima con la madre e poi sotto la direzione del padre. Aveva
sette anni quando, a Buenos Aires, si esibi' nel suo primo concerto
ufficiale. Il padre condusse il piccolo Daniel a Salisburgo dove ebbe modo
di esibire le sue doti davanti a Wilhelm Furtwaengler, che a seguito di
quell'incontro scrisse una lettera in cui parlava del "fenomeno" di undici
anni che gli era capitato di ascoltare. Al pianoforte Barenboim affianco' la
direzione d'orchestra, passando dalla English Chamber alla New Philharmonia,
all'orchestra di Parigi, alla Chicago Symphony e ancora alla Deutsche
Staatsoper di Berlino della quale e' stato nominato direttore a vita. Per
anni, con la moglie Jacqueline Du Pre', morta dopo una lunghissima e
tormentosa malattia, ha formato una coppia musicale celeberrima, che ha dato
vita a diversi libri e persino a un film.
Quello di sabato non e' stato il primo concerto a Ramallah: gia' nel '99 era
venuto insieme allo storico della letteratura Edward Said, con il quale fin
dal 1990 aveva stretto una relazione intensa, dopo l'incontro casuale
nell'atrio di un hotel londinese: un incontro che diede vita a lunghe
conversazioni, durante le quali argomentarono una visione concorde della
questione palestinese-israeliana e gettarono le basi per una futura
cooperazione.
Allora, sia Edward Said che Barenboim tornavano in Palestina per la prima
volta, e il musicista ebbe occasione di compiacersi "per i talenti musicali
incontrati, per la conoscenza e l'amore riservati alla musica occidentale",
considerazioni che ha ripetuto sabato, nell'intervallo del suo concerto.
Insieme a Edward Said Barenboim fondo' il West-Eastern Divan Workshop, dove
giovani talenti musicali tra i 14 e i 25 anni, provenienti sia da alcuni
paesi arabi che da Israele, si incontrano a lavorano insieme in luogo
neutrale: la prima volta fu a Weimar e poi a Siviglia.
Quando Barenboim si esibi', nel '99, all'universita' di Birzeit, la seconda
Intifada non era ancora cominciata, ma come racconta la composistrice
palestinese Rima Tarazi, "la situazione era gia' molto tesa per
l'ostinazione di Israele a costruire insediamenti. E la presenza di
Barenboim di certo funziono' ad alimentare una ventata di emozione e di
nuova speranza". Il concerto di sabato segna la quarta tappa delle
peregrinazioni di Barenboim in Palestina, dopo divieti delle autorita'
israeliane, superati i quali gli riusci' di ascoltare i giovani palestinesi
del conservatorio diretto con coraggio da Suhail Khouri, compositore di
musiche per bambini. In quell'occasione - ha raccontato in un intermezzo del
concerto - si rinforzo' in lui la gratitudine per quel che gli veniva dai
giovani musicisti che ascoltava; in particolare, gli rimase nelle orecchie
la voce di una giovana donna che gli si avvicino' per chiedergli
l'autografo, e gli disse la sua felicita' di vederlo la', davanti a lei: "e'
la prima cosa che vedo di Israele che non siano soldati o carri armati".
Criticato aspramente da molti israeliani per avere infranto l'interdetto che
copriva la musica di Wagner, Barenboim ha risposto che nelle partiture del
grande compositore tedesco non trova note antisemite, bensi' soltanto la
genialita' di una nuova idea del tempo e dello spazio: "Se la sua musica e'
stata usata male non per cio' deve soffrirne il suo valore,
indipendentemente dal fatto che - com'e' noto - le conversazioni tra lui e
la moglie Cosima contenessero giudizi negativi e parodie degli ebrei".
Sebbene Barenboim non ami parlare nelle pause dei concerti, tuttavia sabato
scorso ha detto di non potere fingere che questa fosse un'occasione come le
altre: tutti i presenti erano consapevoli di quanto quel concerto trainasse
con se' un significato che andava oltre i confini musicali: percio' - ha
detto - "sebbene io non sia qui come un politico, tuttavia mi sembra
necessario esprimermi per ricordare come gli ebrei, durante i secoli, pur
non avendo avuto una capitale reale, tuttavia ne avevano conquistato una
morale; ma anch'essa e' andata distrutta, grazie alla politica di
oppressione e di occupazione militare del governo israeliano, a partire dal
1967". E, ancora, Barenboim ha ricordato come la musica sia "espressione
della creativita' umana fatta non solo di suoni ma di una visione della
vita, che necessita di opporre alla edificazione di blocchi e di muri la
costruzione di ponti. A tutti coloro che vorrebbero separare i palestinesi
dagli israreliani noi rispondiamo nel nome della musica, che e' armonia. Non
ci sono soluzioni militari che tengano, ne' da un punto di vista morale, ne'
strategico. Solo arrivando a capirlo si potra' mettere fine all'occupazione
e dare inizio alla pace e a una coesistenza tra palestinesi e israeliani,
sulla base di due popoli e due stati. Ma noi non possiamo aspettare gli
accordi di pace, per questo sono qui oggi, per agire subito".
La sala gremita ha applaudito a lungo, l'emozione era sui volti di tutti:
Mustapha Barghouti, fondatore del movimento Mubadara, insieme a Tania
Nasser, una soprano palestinese a lungo profuga e rientrata dopo gli accordi
di Oslo, si sono scambiati i ringraziamenti con Barenboim. Emozionata anche
Hanan Ashrawi, che ha commentato "l'umanita di Barenboim e il suo avere
infranto molti tabu', come un grande regalo per i palestinesi e per
l'umanita' intera".
D'altronde, l'impegno di Barenboim a favore della Palestina non si
interrompe qui: ha dichiarato, infatti, di volere lavorare per mettere
insieme in cinque anni una orchestra per giovani palestinesi, lasciando
intanto al Conservatorio di Ramallah un altro dono: il magnifico Steinway,
d'ora in avanti stabilmente piazzato sul disadorno palco della Friends
School, ancora segnata dall'incursione dell'esercito israeliano. "Non e'
stato facile superare le barriere e fare arrivare il pianoforte a Ramallah,
ma l'ingiustizia fa ancora roca la voce".

4. INIZIATIVE. ARRIGO QUATTROCCHI: DANIEL BARENBOIM A RAMALLAH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2003. Arrigo Quattrocchi e' un
noto e apprezzato musicologo]
L'impegno civile di Daniel Barenboim viene da lontano, dalla storia stessa
di questo musicista abituato a girare il mondo per suonare e far musica fin
da quando era bambino.
Ebreo di famiglia russa, nato in Argentina durante la seconda guerra
mondiale - ha compiuto sessant'anni lo scorso novembre - si e' trasferito
con la famiglia in Israele nel 1952, dove ha preso la cittadinanza, che
tuttora conserva. A Buenos Aires, Barenboim conobbe molti musicisti fuggiti
dalla dittatura nazista, come il violinista Adolf Busch, e piu' tardi a
Salisburgo ebbe modo di incontrare il direttore Wilhelm Furtwaengler, la cui
decisione di rimanere in Germania durante il Reich, in nome dell'autonomia
della musica dalla politica, aveva dato origine a roventi polemiche. Proprio
grazie alla lettera di presentazione di Furtwaengler si dischiusero a
Barenboim molte porte.
A differenza di tanti altri artisti di origine ebraica - come il violinista
Isaac Stern, che rifiuto' sistematicamente di suonare in Germania dopo la
guerra - Barenboim ha sempre attribuito alla sua attivita' musicale il
significato di una comunicazione senza barriere, nel segno di un umanesimo
nutrito di una cultura laica e cosmopolita. In Germania, dal 1964 e'
regolarmente ospite dei Filarmonici di Berlino, prima come pianista e poi
anche come direttore d'orchestra, e nel 1992 divento' "direttore musicale
generale" del piu' prestigioso dei tre teatri d'opera berlinesi, la
Staatsoper "Unter den Linden". Nessun dubbio pero' che in questa linea di
riconciliazione l'evento principale sia la collaborazione con il Festival di
Bayreuth, dove ha debuttato nel 1981 ed e' tornato quasi ogni anno. Negli
anni Trenta, Bayreuth aveva trasformato la musica di Wagner in una macchina
di propaganda del Reich, ma Barenboim si e' sempre saggiamente battuto per
combattere ogni identificazione fra il teatro del musicista tedesco e il
nazismo. Di qui anche la decisione di eseguire Wagner in Israele, dove lo si
vorrebbe bandito per rispetto verso le vittime della Shoah. Nel 1981 il
direttore indiano Zubin Mehta, grande amico di Barenboim, aveva appena dato
avvio all'esecuzione del preludio di Tristano e Isotta, quando dovette
interrompersi: un superstite era salito sul podio, aprendosi la camicia e
mostrando le ferite ricevute nel campo di concentramento in cui era stato
recluso. Lo stesso Barenboim fu costretto a cancellare l'esecuzione di una
pagina della Walkiria per le proteste suscitate. Ma il 7 luglio del 2001
ruppe il tabu' Wagner a Gerusalemme, proponendo come bis di un concerto il
preludio e morte d'Isotta dal Tristano; spiego' al pubblico, prima
dell'esecuzione, i motivi della sua scelta, invitando chi non avesse gradito
a uscire dalla sala: se ne andarono una trentina di persone su tremila.
Gia' da qualche anno, comunque, Barenboim aveva affidato alla musica un
messaggio politico; l'incontro con Edward Said - scrittore e docente presso
la Columbia University - aveva dato origine a una stretta amicizia, e dunque
a un seminario intitolato Divano occidentale-orientale, in omaggio a Goethe:
un gruppo di giovani musicisti, fra i 14 e i 25 anni, provenienti da Egitto,
Siria, Libano, Giordania, Tunisia e Israele, venne selezionato per creare
una orchestra arabo-israeliana, riunita a Weimar nell'estate 1999 e 2000,
poi a Chicago nel 2001 e a Siviglia nel 2002. Come docenti del seminario
furono chiamati prestigiosi artisti internazionali, come il violoncellista
Yo-Yo. Era ovvio, dunque, che Barenboim si proponesse di tornare in
Cisgiordania: l'opposizione dell'esercito israeliano, nel marzo del 2002, lo
costrinse a rinunciare, ma ci riusci' in settembre, con l'aiuto di una
scorta diplomatica tedesca. Il ritorno a Ramallah, per suonare nella Friends
School, e' particolarmente significativo e il programma scelto fra i piu'
godibili: di Beethoven ha suonato la Patetica e insieme al figlio
diciassettenne, Michael, ha eseguito musiche di Brahms oltre a un duetto con
un pianista palestinese di 26 anni, Salim Abboud. La proposta fatta da
Barenboim in occasione del concerto di sabato, ovvero la costituzione di una
orchestra giovanile palestinese, e' un gesto di sapore inequivocabilmente
politico, che ricorda quello di Toscanini, venuto nel 1936 in Palestina per
fondare l'Orchestra Filarmonica d'Israele, composta di musicisti fuggiti
dall'Europa nazista.

5. MAESTRI. EMMANUEL LEVINAS: RIVELAZIONE
[Da Emmanuel Levinas, Trascendenza e intelligibilita', Marietti, Genova
1990, p. 36. Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre
1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari
giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in
Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici
anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano
allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, piu' tardi,
Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano
stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per
un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci
si puo' legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici.
Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia'
cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg.
L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel.
L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la
sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal
1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di
cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita
Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole
dell'Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di
vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani,
maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze
annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali
ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza
all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di
Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una
biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore
nazista..." (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a
Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua
riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva
importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En
decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina);
Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it.
parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo);
Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr.
it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee
(tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance
et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per
una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo
stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la
bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere
et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino,
La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas,
ermeneutica e separazione, Citta' Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas.
Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas,
Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, Edb,
Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg &
Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della
modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001; Francesca Salvarezza, Emmanuel
Levinas, Bruno Mondadori, Milano 2003. Tra i saggi, ovviamente non si puo'
non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di
quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in
L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese
cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion, 1994, 1996;
Francois Poirie', Emmanuel Levinas, La manufacture, 1987, Babel - Actes Sud,
Arles 1996]
La Legge di Dio e' Rivelazione poiche' in essa si enuncia: "non uccidere".

6. MAESTRE. ETTY HILLESUM: UN ARDORE ELEMENTARE
[Da Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001, pp.
114-115; e' un passo di una lettera scritta dal campo di Westerbork a Maria
Tuinzing il 7-8 agosto 1943. Etty Hillesum e' nata nel 1914 e deceduta ad
Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti
di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e
la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la
riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985,
1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum:
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002; Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a
cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile,
Apeiron, Sant'Oreste (Rm) 2002 (catalogo della mostra svoltasi a Roma nel
2002)]
... ho dovuto ripetutamente constatare in me stessa che non esiste alcun
nesso causale fra il comportamento delle persone e l'amore che si prova per
loro. Questo amore del prossimo e' come un ardore elementare che alimenta la
vita.

7. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: FRANZ JAEGERSTAETTER, NEL SESSANTESIMO
ANNIVERSARIO DELLA MORTE
[Ricorrendo il 9 agosto il sessantesimo anniversario del martirio di Franz
Jaegerstaetter, il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha scritto e ci ha
messo a disposizione la seguente epigrafe. Franz Jaegerstaetter, contadino
cattolico, condannato a morte ed ucciso il 9 agosto 1943 per essersi
rifiutato di prestare servizio militare nell'esercito nazista. Opere su
Franz Jaegerstaetter: Gordon Zahn, Il testimone solitario. Vita e morte di
Franz Jaegerstaetter, Gribaudi, Torino 1968; Erna Putz, Franz
Jaegerstaetter. Un contadino contro Hitler, Berti Piacenza, 2000; segnaliamo
anche l'articolo di Enrico Peyretti riprodotto sul notiziario di ieri,
articolo che segnalava anche i seguenti materiali: Alfons Riedl, Josef
Schwabeneder (Hg), Franz Jaegerstaetter - Christlicher Glaube und
politisches Gewissen [Fede cristiana e coscienza politica], Verlag Taur,
1997; videocassetta Franz Jaegerstaetter: un contadino contro Hitler, (27
minuti, in vhs) prodotta dall'Associazione Franz Jaegerstaetter, via Endrici
27, 38100 Trento (tel. 0461233777, oppure 810441); il capitolo Un nemico
dello Stato (pp. 76-86), in Thomas Merton, Fede e violenza, prefazione di
Ernesto Balducci, Morcelliana, Brescia 1965; una nota di Paolo Giuntella in
"Adista", n. 11, 13 febbraio 1993, pp. 9-10]

Molte sono le vie ed una sola e' l'arte
del ben morire.

Preferire essere ucciso piuttosto che uccidere.
In faccia al potere assassino dire no.
Amare la vita di tutti. Salvare
per quanto e' in te l'umanita' intera.

8. RIFLESSIONE. IRIS MARION YOUNG: DELL'EUROPA E DEL MONDO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 agosto 2003.
Iris Marion Young,  docente all'universita' di Chicago, e' una delle piu'
influenti filosofe femministe americane; tra le sue opere: Le politiche
della differenza, Feltrinelli, Milano 1996).
Juergen Habermas, sociologo e filosofo tedesco, nato nel 1929, e'
attualmente tra i pił influenti pensatori contemporanei. Opere di Juergen
Habermas: nella sua enorme produzione segnaliamo almeno Conoscenza e
interesse (1968, tr. it. Laterza); Teoria dell'agire comunicativo (1981, tr.
it. Il Mulino); Etica del discorso (1983, tr. it. Laterza); Il discorso
filosofico della modernita' (1984, tr. it. Laterza). Opere su Juergen
Habermas: un'agile introduzione e' il volumetto di Walter Privitera, Il
luogo della critica. Per leggere Habermas, Rubbettino, Soveria Mannelli
1996; la piu' recente monografia complessiva di taglio introduttivo e'
quella di Stefano Petrucciani, Introduzione a Habermas, Laterza, Roma-Bari
2000 (che vivamente raccomandiamo).
Jacques Derrida, nato a El Biar, in Algeria, nel 1930, e' uno dei piu'
grandi filosofi francesi viventi. Tra le sue opere segnaliamo
particolarmente: Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1989; La scrittura e
la differenza, Einaudi, Torino 1990; La voce e il fenomeno, Jaca Book,
Milano 1984; La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989; Posizioni, Bertani,
Verona 1975; Il fattore della verita', Adelphi, Milano 1978]
In un importante appello cofirmato da Jacques Derrida e apparso sulla
"Frankfurter Allgemeine Zeitung" il 31 maggio 2003, Juergen Habermas invita
gli stati e i cittadini europei a elaborare una politica estera comune per
controbilanciare il potere egemonico degli Stati uniti. Gli europei
dovrebbero elaborare un'identita' politica comune capace di resistere a tale
potere egemonico: un'identita' che sia aperta a idee di democrazia
cosmopolita.
Sono grata a questi filosofi dotati di senso civico per il loro invito a una
pubblica assunzione di responsabilita', in un momento storico in cui Usa e
Regno Unito sembrano intenzionati a occupare l'Iraq a tempo indefinito e gli
Usa minacciano altri stati. Apprezzo l'invito, rivolto all'Europa, ad essere
piu' indipendente degli Stati Uniti nel valutare i suoi stessi interessi e
gli interessi del mondo, e sono d'accordo che un atteggiamento unitario e
diverso da parte dell'Europa potrebbe temperare l'arroganza della politica
estera americana.
Mi chiedo pero' quanto sia cosmopolita la posizione assunta nel documento.
Dal punto di vista del resto del mondo, e in particolare degli stati e delle
popolazioni del Sud del mondo, l'appello dei filosofi puo' sembrare piu' un
ricentramento dell'Europa che non l'invocazione di una democrazia globale
includente. Habermas inizia citando il 15 febbraio 2003 come una data
storica. Essa potrebbe "passare alla storia come segno della nascita di una
sfera pubblica europea". Quel giorno, egli osserva, milioni di persone hanno
sfilato per opporsi alla guerra contro l'Iraq in tante citta' d'Europa tra
cui Londra, Roma, Madrid, Barcellona, Berlino, Parigi. La simultaneita'
coordinata di queste dimostrazioni, suggerisce Habermas, prefigura una sfera
pubblica europea.
Ma tale interpretazione distorce i fatti storici. In quello stesso week-end
si sono tenute dimostrazioni di massa anche in tutti gli altri continenti: a
Sidney, Tokyo, Seoul, Manila, Vancouver, Toronto, Citta' del Messico,
Tegucigalpa, San Paolo, Lagos, Johannesburg, Nairobi, Tel Aviv, il Cairo,
Istanbul, Varsavia, Mosca e in centinaia di altre citta', e molte anche in
America. Secondo le persone con cui ho parlato, il coordinamento mondiale di
queste dimostrazioni e' stato pianificato al terzo meeting del World Social
Forum a Porto Alegre nel gennaio 2003. Il coordinamento a livello mondiale
di queste dimostrazioni puo' cosi' segnalare l'emergere di una sfera
pubblica globale, di cui l'Europa fa parte, ma il cui cuore potrebbe
trovarsi nell'emisfero meridionale.
L'appello dei filosofi suggerisce l'idea che in questo momento storico
l'Europa debba promuovere in modo particolare la pace e la giustizia
mediante il diritto internazionale, contro una politica Usa che ostenta tale
internazionalismo.
L'Europa deve essere una "locomotiva" in grado di trainare i cittadini del
mondo nel loro viaggio verso la democrazia cosmopolita. Usando le
istituzioni internazionali delle Nazioni Unite, i summit economici come le
riunioni del G8, il Wto, il Fondo monetario internazionale e la Banca
mondiale, gli stati chiave dell'Europa "dovrebbero esercitare la (loro)
influenza nel delineare una democrazia globale ventura".
Certamente l'Europa dovrebbe esercitare la sua influenza, specialmente
contro gli sforzi degli Stati Uniti di bypassare o recidere i fili sottili
che le politiche internazionali hanno intessuto negli ultimi cinquant'anni.
L'immagine che ricavo da questo invito a usare i consessi pubblici dell'Onu,
del Wto, del Fondo monetario internazionale e i summit economici evoca
comunque incontri di stati industriali avanzati dell'emisfero settentrionale
in contrasto l'uno con l'altro. In questa immagine, la gran parte della
popolazione mondiale osserva i rivali di Nord America ed Europa discutere
tra loro; qualche altro paese entra nella discussione temporaneamente, da
una parte o dall'altra. Dal punto di vista della popolazione mondiale,
cioe', il confronto tra Europa e Stati Uniti puo' apparire come una
rivalita' tra fratelli. Se l'egemonia degli Stati Uniti fosse contrastata e
se si resistesse ad essa, e bisognerebbe che cio' avvenisse, perche' non
elencare sin dall'inizio gli sforzi delle popolazioni di Africa, Asia e
America latina, oltre a quelli dell'Europa?
Affinche' l'Europa possa compiere la sua missione globale come motore del
treno cosmopolita, secondo Habermas gli europei devono elaborare
un'identita' europea piu' forte, che trascenda il campanilismo
dell'identita' nazionale. Molte delle istituzioni e molti dei valori che
hanno avuto origine in Europa - come la cristianita', il capitalismo, la
scienza, la democrazia, i diritti umani - egli dice, si sono sviluppati al
di la' dell'Europa. Un'identita' europea per l'oggi puo' scaturire dal
caratteristico modo riflessivo in cui le societa' europee hanno risposto ai
problemi generati dalla modernita', dal nazionalismo, dall'espansione
capitalistica. Con il welfare state gli europei hanno dato una risposta alle
ineguaglianze generate dal capitalismo, e gli stati europei sono riusciti a
mantenere i loro standard di welfare nonostante le forti pressioni
economiche dovute alla globalizzazione. Gli europei inoltre, istituendo
l'Unione Europea, hanno gia' cominciato a lasciarsi alle spalle i pericoli
del nazionalismo. Questi successi possono e debbono servire da modelli per
il mondo.
Comunque, un'identita' europea non puo' esistere senza differenziarsi da
altre. L'invito ad abbracciare un'identita' europea particolarista, allora,
significa costruire una nuova distinzione tra insiders e outsiders. La
principale preoccupazione di Habermas e' distinguere un'identita' europea
rispetto a quella americana. "Per noi e' difficile immaginare un presidente
che inizi la giornata pregando e associ le sue decisioni importanti a una
missione divina".
Altri, ad Est e a Sud, restano in ombra e si accalcano ai bordi di questo
campo da gioco dove i piu' grandi si chiamano per nome.
E che ne e' dell'altro, all'interno dell'Europa? L'identita' europea e'
abbastanza ampia da includere i milioni di bambini di origini asiatiche e
africane i cui genitori e i cui nonni migrarono nelle metropoli? Come molti
americani, cosi' anche molti europei hanno reagito ai recenti conflitti
globali prendendo le distanze da quelli che identificano come stranieri.
Sicuramente invocare un'identita' europea riduce la tolleranza verso chi si
trova in Europa e la solidarieta' con chi e' lontano. Qui temo che Habermas
possa riproporre per l'Europa la logica dello stato-nazione, piuttosto che
trascenderla.
In The Invention of America, Enrique Dussel ripercorre la storia della
modernita' in quanto basata sul progetto coloniale europeo. Avendo speso
secoli a combattere i musulmani e a spingerli verso est, e avendo scoperto i
tesori, la potenza e l'innovazione tecnica degli imperi nell'Estremo
Oriente, l'Europa si trovava ai confini del mondo. L'immaginazione europea
invento' l'America, sostiene Dussel, per potersi ricollocare al centro.
L'appello dei filosofi non sembra forse un tentativo di ri-centrare
l'Europa? L'Europa si frapporra' tra il potere degli Stati Uniti e gli
interessi di un ordine globale includente, temperando il primo e offrendo
leadership per il secondo. Sono d'accordo che l'egemonia degli Stati Uniti
dovrebbe essere contrastata e si dovrebbe resistere ad essa; gli ultimi mesi
hanno dimostrato che la popolazione e gli stati europei, uniti in questa
resistenza, hanno il potenziale per portare piu' equilibrio al potere.
Comunque l'Europa non puo' e non deve cimentarsi in un simile confronto per
conto della popolazione mondiale, ma con essa.
L'appello per una politica estera europea termina con un riferimento a una
relazione tra i paesi europei e il Sud del mondo che ricorda il passato
imperiale europeo. Cento anni fa le grandi nazioni europee vissero la
"fioritura" del potere imperiale. Da allora il loro potere e' declinato e
gli europei hanno conosciuto la "perdita" dell'impero. Questa esperienza di
declino, dice Habermas, ha permesso agli europei di diventare riflessivi.
"Essi potrebbero imparare dalla prospettiva degli sconfitti a percepire se
stessi nel dubbio ruolo di vincitori che vengono chiamati a rispondere della
violenza di un processo di modernizzazione forzoso e sradicante".
In questa riflessione sento Habermas invitare il suo pubblico ad assumere
idealmente la prospettiva di altri ex colonizzati e ad imparare a guardare
all'Europa e agli europei da quella prospettiva. Certamente cimentarsi in un
simile esercizio e' meglio che essere assorbiti da se', come lo sono gli Usa
e molti americani. Ma non sarebbe meglio discutere veramente su basi
paritarie con persone e stati del Sud e dell'Est, che potrebbero dire agli
europei (e agli americani) cose che forse essi non hanno voglia di sentire
sui loro pregiudizi e i loro doveri? Dov'e' la forma che l'Europa ha
adottato per assumersi le sue responsabilita'?
Riferirsi al colonialismo e all'imperialismo come un "processo di
modernizzazione sradicante" fa apparire il colonialismo come uno sfortunato
prodotto secondario dell'altrimenti universalistico e illuminato progetto
con cui l'Europa intendeva radicare i principi dei diritti umani, del primat
o della legge, e di una maggiore produttivita'. Il colonialismo non e' stato
solo un processo di modernizzazione perverso, ma anche un sistema di
schiavitu' e di sfruttamento del lavoro. Cosa dimostra che la popolazione
europea e gli stati europei abbiano accolto l'invito a rispondere delle
proprie azioni con gesti di contrizione e riparazione?
Come americani, io e altri come me abbiamo il preciso dovere di resistere
alle politiche unilaterali del governo Usa e di premere per un cambiamento
positivo. I cittadini degli stati europei hanno le loro responsabilita' in
relazione ai loro stati e alle politiche dell'Unione europea. Comunque,
piuttosto che riposizionare l'Europa come giocatore mediano nella politica
globale, il progetto progressista dovrebbe consistere, secondo le parole di
Dipesh Chakabarty, nel provincializzare l'Europa (oltre che gli Usa). Per
lavorare alle soluzioni dei problemi globali i popoli di tutto il globo, e
specialmente di quelle zone i cui abitanti sono maggiormente esclusi e
dominati dai processi capitalistici guidati dall'America e dall'Europa,
dovrebbero relazionarsi tra loro in modo paritario e nel riconoscimento
della particolarita' di ciascuno.
Gli organismi su cui, secondo Habermas, l'Europa potrebbe esercitare la sua
influenza contro l'attuale, pericolosa spinta unilateralista della politica
estera statunitense tendono tutti a privilegiare il Nord del mondo e a
dominare il Sud. La struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
privilegia i cinque membri permanenti. Il Fondo monetario internazionale e
la Banca mondiale danno piu' potere e influenza ai paese ricchi che a quelli
poveri. Molti popoli dell'emisfero meridionale soffrono le conseguenze di un
debito schiacciante e della coercizione micro-economica imposta da alcune di
queste istituzioni internazionali, nel nome della responsabilita' fiscale e
della stabilizzazione dei mercati valutari. Il progetto della democrazia
cosmopolita non dovrebbe forse sollevare la questione della riforma o
dell'abolizione di tali istituzioni?
Le ineguaglianze globali non sono meramente un'eredita' del colonialismo, ma
sono dovute anche a perduranti processi strutturali che giorno dopo giorno
allargano il divario tra chi non ha nulla e chi vive in una privilegiata
opulenza. Anche nel paese piu' povero ci sono i ricchi, e nei paesi ricchi
ci sono i poveri, ma la maggior parte di coloro che possono contare su uno
stile di vita basato sul benessere vivono in Nord America e in Europa. Senza
dubbio i paesi europei riescono meglio degli Stati Uniti a correggere queste
ineguaglianze, ma persino la generosita' dell'Europa a questo riguardo e'
penosamente ridotta, e insieme a quella degli Stati Uniti dal 1990 ha
cominciato a diminuire.
I privilegi della ricchezza, l'ordine sociale, il comfort per i consumatori,
le infrastrutture ben sviluppate, una forte capacita' di finanziare
l'attivita' del governo, una cultura solidaristica, mettono gli stati e i
cittadini europei nella posizione ideale per assumere la leadership del
progetto di rafforzamento del diritto internazionale e della risoluzione
pacifica dei conflitti, e per attivare meccanismi di redistribuzione
globale. Certamente essi dovrebbero fare pressione sugli Stati Uniti e sui
suoi cittadini, criticarli e incoraggiarli a unirsi al progetto. Comunque
noi non avremo fatto alcun passo verso la democrazia cosmopolita
fintantoche' gli altri popoli del mondo non potranno sedere a un tavolo in
cui i potenti debbano rispondere ai poveri, un tavolo che consenta una
influenza reale alle regioni meno ricche. Il week-end del 15 febbraio 2003
ha segnalato una sfera pubblica globale che esisteva gia' prima di allora e
che dura tuttora. Molti partecipanti europei e nord-americani della societa'
civile globale guardano agli attivisti del Brasile o del Kenya o dell'India
o dello Sri Lanka per acume e leadership. Una politica estera europea
democratica ascolterebbe attraverso un centro vuoto quelle ed altre voci del
Sud del mondo in un cerchio di eguaglianza.

9. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL COLONIALISMO CHE NON PASSA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 agosto 2003. Ida Dominijanni (per
contatti:  idomini@ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una
prestigiosa intellettuale femminista]
Il 31 maggio scorso, durante la fase finale di stesura della bozza di
Costituzione europea, Juergen Habermas si fece promotore di un'iniziativa di
mobilitazione degli intellettuali e dell'opinione pubblica del vecchio
continente attorno all'idea di Europa. Il filosofo tedesco scrisse (e
Jacques Derrida cofirmo') per la "Frankfurter Allgemeine" un denso articolo
sullo stato e sul futuro dell'Unione, e chiese a Umberto Eco, Gianni
Vattimo, Fernando Savater, Adolf Muschg e Richard Rorty di fare altrettanto,
lo stesso giorno, su altri quotidiani europei, si' da mostrare all'opera
quell'idea di "sfera pubblica europea" che notoriamente Habermas considera
la premessa necessaria della nascita dell'Europa istituzionale.
L'iniziativa aveva un intento politico duplice e connesso: quello immediato
di pronunciarsi a favore di una struttura comunitaria e autonoma, e non
intergovernativa e subalterna agli Usa, dell'Unione; e quello strategico di
rilanciare il dibattito sull'identita' europea, in rapporto alle sfide del
mondo globale dopo le grandi cesure dell'89, dell'11 settembre e della
guerra in Iraq.
Con l'articolo che pubblichiamo oggi [e' l'articolo riprodotto qui sopra,
ndr], la filosofa americana Iris Marion Young riparte da quell'iniziativa
per interrogare Habermas sui punti salienti della sua proposta e in
particolare su un nodo cruciale dell'intero dibattito europeista: quello
della rivendicazione dell'identita' europea nel contesto di una
globalizzazione che riconfigura il rapporto fra identita' e differenze, fra
universalismo e appartenenze, fra democrazia cosmopolita e tentazioni
egemoniche occidentali.
E' un nodo delicato e ambivalente. Perche' per un verso la rivendicazione
dell'identita' europea e del patrimonio storico, culturale e politico che la
sorregge serve a Habermas e altri per delineare un'Europa in grado di fare
da contrappeso all'egemonismo statunitense e alla deriva di autodistruzione
dei valori occidentali che ne consegue. Ma per l'altro verso la
rivendicazione identitaria puo' scivolare a sua volta nella ripetizione di
una politica di potenza contrapposta negli obiettivi ma simile nella forma a
quella americana; e non meno escludente di quest'ultima nei confronti di
altre latitudini, altri interessi e altre culture del pianeta globale. In
sostanza: una riedizione dell'eurocentrismo che diede i natali al
colonialismo, fatta in nome della lotta alle pretese imperiali americane; un
conflitto di potenza tutto interno all'Occidente, e tutto a spese dei paesi
che reclamano una "democrazia globale" finalmente non subordinata alla
centralita' occidentale, americana o europea che sia.
Chi conosce il lavoro di Iris Marion Young non restera' stupito dalle sue
argomentazioni. Docente all'universita' di Chicago, autrice nel '90 di un
importante testo su Justice and the Politics of Difference (Le politiche
della differenza, Feltrinelli '96), fautrice di una democrazia radicale
imperniata sul riconoscimento delle differenze, Young e' una delle filosofe
femministe americane che meglio ha sviluppato la critica della "reductio ad
unum" immanente alla logica identitaria, e che in un ruvido confronto con
Rawls ha piu' duramente criticato il paradigma redistributivo della
giustizia, svelando le sotterranee complicita' fra le sue promesse di
imparzialita' e la forma di razionalita' dell'imperialismo culturale
americano e occidentale. Le sue preoccupazioni sui rischi di una riedizione
dell'eurocentrismo suonano come un campanello d'allarme verso l'ottimismo
talvolta troppo facile del discorso europeista.

10. I PENSIERINI DI PERSICONE: 4 NOVEMBRE
[Persicone, chi non lo sa, e' il povero illuso di una commedia giovanile di
Eduardo Scarpetta]
Ho sempre trovato ripugnante che ogni anno il 4 novembre nel nostro paese a
rendere omaggio alle persone uccise dalle guerre, cioe' dalle armi e dagli
eserciti, si rechino, ipocriti e sprezzanti, comandi e truppe militari in
armi.
Il 4 novembre, se vuol essere momento di memoria per le vittime, deve essere
altresi' momento di impegno per la pace, per il disarmo, per la completa
smilitarizzazione.
Che divenga il 4 novembre la celebrazione non delle forze armate ma
dell'abolizione delle forze armate, solo allora sara' atto di reverente
omaggio a tutte le vittime di tutte le guerre.

11. RILETTURE. VIRGINIA VACCA (A CURA DI): VITE E DETTI DI SANTI MUSULMANI
Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani, Utet, Torino
1968, Tea, Milano 1988, pp. 416, lire 12.000. Un'ampia silloge della
classica opera di Sha'rani di cinque secoli fa.

12. RILETTURE. MARTIN BUBER: I RACCONTI DEI CHASSIDIM
Martin Buber, I racconti dei Chassidim, Longanesi, Milano 1962, 1978,
Garzanti, Milano 1979, pp. XXII + 658. Una lettura per molti motivi
indispensabile.

13. RILETTURE. HANS MAGNUS ENZENSBERGER: COLLOQUI CON MARX E ENGELS
Hans Magnus Enzensberger, Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino 1977,
pp. VIII + 598. Una raccolta di testimonianze sulle vite di Marx ed Engels,
da leggere.

14. RILETTURE. ADRIENNE RICH: ESPLORANDO IL RELITTO
Adrienne Rich, Esplorando il relitto, Savelli, Milano 1979, pp. 128. La
straordinaria poesia esistenziale e politica della grande poetessa e
saggista autrice di Nato di donna.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 638 del 10 agosto 2003