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[REPORT] da baghdad - 29/7
BAGHDAD - Waiting for Godot a Baghdad. Il teatro Al Taliaa, nello stesso
caseggiato che ospita l'Iraqi Human Rights Organization, ha poltroncine
sfondate e scenografie bucate, come sola illuminazione il bagliore che
filtra dall'esterno facendo brillare la polvere nell'aria e su ogni
superficie.
<<Stiamo provando da soli dieci giorni e non c'e' la musica>> si
giustificano gli attori prima di mostrarci le prove della scena iniziale
dell'opera di Beckett, piece particolarmente significativa nell'Iraq di oggi.
Baghdad prova faticosamente a risollevarsi, a recuperare la sua vitalita',
o piu' semplicemente cerca di sopravvivere, e lo fa anche attraverso
l'arte, veicolo per esprimere, dopo anni di feroce regime, la voglia di
liberta', promessa dagli angloamericani ma ancora sconosciuta nella
capitale e in tutto il paese. Si aspetta Godot.
D'altro canto e' del tutto normale che il bisogno di espressione, il
desiderio di vita degli iracheni assuma forme artistiche, poiche' l'arte e'
nel loro DNA. <<Gli iracheni sentono che l'arte gli appartiene, che e'
parte della loro storia>> mi aveva detto a febbraio Al-Tai, famoso pittore
e preside dell'Accademia di Belle Arti di Baghdad.
L'arte e' parte integrante della cultura irachena, di una civilta'
millenaria che la guerra ha pesantemente violentato. Forse anche questo
rientra nella logica dello scontro di civilta' teorizzato da Hungtington,
che oggi sembra essere una dichiarazione di intenti piu' che uno strumento
di interpretazione della realta'. La nostra civilta' stupra le altre
culture? Mi viene in mente la risposta del Mahatma Gandhi al giornalista
inglese che a Londra gli chiedeva cosa pensasse della civilta' occidentale
<<Sarebbe una buona idea>>.
Osservo con tristezza il desolato cortile del Museo Nazionale di Baghdad,
dove, sotto l'enorme arcata d'ingresso, un tank occupa il portone
principale. Proprio uno dei blindati che, secondo la ricostruzione di
Qasim, fotografo e pittore incontrato alla Hewar Art Gallery, avrebbero
sfondato i cancelli e le recinzioni dando di fatto avvio al saccheggio.
Guardo le finestre coi vetri frantumati, circondate dai tetri aloni scuri
lasciati dalle lingue di fuoco, alla Biblioteca Nazionale, trasformata in
un rogo che ha distrutto un numero enorme di testi inestimabili,
antichissime copie del Corano, mirabili esempi di calligrafia islamica e
documenti rari dell'epoca ottomana. Il giornalista Robert Fisk, che vide
l'incendio, ha ricostruito sull'Indipendent il suo tentativo di chiedere
l'intervento dei marines per salvare parte della collezione <<Ho dato la
mappa del posto, il nome preciso in arabo e in inglese, ho detto che si
vedeva il fumo da cinque chilometri di distanza e ci sarebbero voluti solo
cinque minuti per arrivare la'. Mezz'ora dopo non c'era neppure un
americano sul posto e le fiamme si alzavano nell'aria per settanta metri>>.
Cammino con Emad, professore universitario di inglese, tra le rovine della
palazzina per i congressi nel complesso del Palazzo degli Abbassidi, la cui
costruzione fu avviata dal Califfo Al Nasir Lidin Illah nel 1180 A.C.
Mostra i resti delle pagine nella libreria bruciata, fissa attonito il
posto dove era solito sedere nella sala delle conferenze, indica i cumuli
di libri arsi che evocano gli osceni crimini nazisti.
Anche Emad, al pari di tanti altri, fa riferimento al ruolo dei kuwaitiani
arrivati con i marines, oltre che ai criminali liberati in gennaio da
Saddam, nelle distruzioni e nei saccheggi dei siti culturali. Cosi' come
molte testimonianze chiamano in causa le responsabilita' delle forze USA
nel consentire, se non talvolta sostenere, l'opera di devastazione dei
razziatori.
<<Gli americani erano la mano destra dei ladri alla Biblioteca e al Museo>>
dice Saad. Qasim si spinge oltre <<I pezzi migliori erano gia' nel taschino
americano>>.
Un'idea che troverebbe conferma nei pareri di alcuni esperti citati da Ann
Talbot nell'articolo pubblicato il 19 aprile, come il Dott. Danny George
del Museo di Baghdad <<Credo che fossero persone che sapevano quello che
volevano. Hanno lasciato dov'era la copia dell'Obelisco Nero di
Salmanassar, passando oltre. Questo significa che dovevano essere
specialisti>>. Il Dott. Irving Finkel del British Museum ha dichiarato a
Channel Four che il saccheggio era assolutamente prevedibile e con
facilita' avrebbe potuto essere evitato o fermato. Infine il Dott.
G.J.Stein, professore di archeologia dell'Universita' di Chicago ed esperto
di scavi in Iraq, ha espresso al Business Week la sua convinzione che i
mercanti abbiano ordinato i pezzi in anticipo <<Stavano cercando esemplari
specifici, sapevano dove guardare>>.
Il quadro e' reso ancor piu' torbido, come riportato da Talbot,
dall'attivita' di pressione condotta dall'ACCP (American Council for
Cultural Policy), costituito nel 2001 da un gruppo di ricchi collezionisti
d'arte, al fine di rendere inefficace la Legge statunitense di
Regolamentazione della Proprieta' Culturale, tentativo di fissare delle
normative per il mercato dell'arte limitando il flusso di beni rubati verso
gli Stati Uniti.
Nell'incontro avuto prima della guerra con il Pentagono l'ACCP ha espresso
la propria profonda preoccupazione per il destino delle antichita' irachene
e, al contempo, ha criticato come protezionistiche le leggi irachene sul
patrimonio archeologico, come quelle di molti paesi miranti a considerare
tutti i reperti come proprieta' dello Stato e a vietarne l'esportazione. I
saccheggi hanno di fatto aggirato il problema della legislazione irachena,
se la Legge statunitense sul furto d'oggetti d'arte e materiale
archeologico verra' modificata; in particolare il Dott. John Merryman della
Scuola Giuridica di Stanford e membro dell'ACCP ha auspicato che i
tribunali statunitensi adottino <<una applicazione internazionale selettiva
dei controlli sull'esportazione>>.
Nella pratica sarebbe perfettamente legittimo importare quanto trafugato a
Baghdad nel momento in cui un tribunale USA decidesse di non riconoscere la
legislazione irachena. L'incendio dell'Archivio della Gazzetta Ufficiale
delle Leggi Irachene dal 1921, completamente distrutto, puo' essere
considerato un segnale indicativo della direzione presa.
<<E' stato anche un bombardamento della cultura>> racconta Emad <<quindi un
attacco all'umanita' intera>>. Ma l'umanita', l'opinione pubblica mondiale
e i media che ne amplificano o inducono gli umori non si sono risentiti
troppo per l'accaduto, non si sono fortemente indignati, quasi che la
cultura non interessasse loro.
Eppure si', qualche tempo fa interessava, quando ci si scagliava contro la
fanatica barbarie dei talebani che distruggevano le meravigliose statue dei
Buddha. Ora mi aspetto che migliaia e migliaia di Oriane Fallaci inveiscano
contro la devastazione e la depredazione del Museo Nazionale di Baghdad,
della Biblioteca Nazionale, degli edifici dell'area del Palazzo degli
Abbassidi.
Il silenzio e' colpevole. E' stato colpevole quando si e' ignorata la
tragedia dei dodici anni di embargo imposti al popolo iracheno, gia'
vessato dalla tirannide; fino a scoprire all'improvviso, attribuendo ogni
responsabilita' al neo-demone Saddam Hussein, con la violenza del
terrorismo lessicale, che servivano aiuti umanitari, democrazia, liberta'.
Godot in Iraq. Di fronte alle violazioni causate dall'occupazione il
silenzio e' colpevole oggi.
MAURO CASACCIA