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[REPORT] da baghdad, 27/7
BAGHDAD - Il primo missile su Baghdad, questa volta, ha colpito un palazzo
nei pressi della Banca dell'Agricoltura.
Poco distante, di fronte alla Central Bank che ora e' occupata dalle forze
USA, abbiamo un incontro ravvicinato con i marines, cosi' come ieri; i
soldati dietro la trincea vedono Franco impugnare la telecamera, puntano i
mitragliatori e accerchiano il pulmino, fermo nel traffico di auto,
carriole e camion.
Sono seduto al portellone e aprendolo come ordinato, per consegnare
videocamere e macchine fotografiche, mi trovo una Beretta italiana a un
metro e mezzo dal viso. Cerchiamo di spiegare e dopo l'aggressione
iniziale, visti i tesserini delle delegazioni internazionali, si mostrano
piu' cordiali; l'ufficiale, molto pacatamente, giustifica la misura di
sequestro dei materiali con l'esigenza di sicurezza, anche nostra.
Il militare che per fortuna ha abbassato la Beretta si rivolge a Francis,
un diciannovenne texano dell'International Solidarity Movement che si e'
aggregato al nostro gruppo di osservatori, chiedendo che cosa faccia a
Baghdad. <<Faccio quello che fanno loro>> e' la risposta, alla quale il
soldato scuote la testa. Poi si fa incontro alla folla di giovani che si e'
radunata intorno, forse una delle ragioni per cui mi ha impedito di
scendere dal pulmino per parlargli, e cerca di farli allontanare. Anche ad
un ragazzo iracheno dice qualcosa di simile a quanto detto al suo
connazionale <<Cosa ci fai qui? Vai a casa tua>>. La reazione di quello,
che conosce l'inglese, e' secca <<Io sono gia' a casa. Tutto l'Iraq e' casa
mia>>.
I marines ci lasciano andare ma senza la cassetta di Franco, il rullino di
Sabrina e il mio, srotolati davanti agli occhi. Percio' non posso fare
altro che raccontare qualcosa delle fotografie che non vedro' mai, che
nessuno vedra' mai.
Non guardero' la scarpa da bambino incastrata nel lungo groviglio di filo
spinato che restringe la carreggiata di Al Rasheed Street, ne' il tavolino
del venditore di cubi di ghiaccio nei 52 gradi della capitale irachena..
Non osservero' le lamiere divelte e i muri sgretolati dei locali dell'Iraqi
TV, le porte sfondate e le pareti bruciate della Biblioteca Nazionale, il
soffitto crollato dell'edificio per le conferenze nel complesso del Palazzo
degli Abbasidi.
Non vedro' Hadi Al Timimi e Fawsiye Hussein, arzilli settantatreenni che il
mese prossimo festeggeranno le Nozze d'Oro e che dal 1948, anno della loro
prima incarcerazione, hanno subito persecuzioni, violenze, arresti. Accusa
di comunismo. Lui militante del partito lo era, lei era la sua fidanzata e
comunista e' diventata in carcere, dove per le torture ha abortito il suo
primo bambino. Poi di figli ne hanno avuti dodici. Nel 1979 un maschio e
due femmine con i loro mariti, tutti militanti che lavoravano per il
giornale clandestino Tariq Al Shaab, La via comunista, fuggono all'estero;
iniziano cosi' gli interrogatori ad ogni ora, anche due-tre volte al
giorno, e proseguono le violenze per avere informazioni sui figli fuggiti.
Ad Hadi vengono offerti soldi e passaporto per andare a riportarli
indietro, in alternativa la galera <<Metteteci in prigione, mio figlio gia'
e' un uomo e non posso andare a prenderlo>>. Solo da due anni sono lasciati
un po' piu' tranquilli; non incontrano i loro figli all'estero da
ventiquattro anni, li rivedranno in Italia ad agosto per il meeting
internazionale delle Donne in Nero.
Non guardero' Emad Al Kaissi, professore universitario di inglese, mentre
sorregge la bandiera arcobaleno della pace. Poco prima aveva raccontato che
la maggior parte degli iracheni non crede al gruppo dei venticinque, il
governo imposto dagli anglo-americani, e la ragione sta semplicemente nella
card per le razioni, la tessera per ricevere le razioni alimentari, oggi in
Iraq piu' importante della carta d'identita'; per le strade di Baghdad la
gente pensa che quelli non ce l'abbiano, perche' non hanno il problema di
trovare da mangiare tutti i giorni, perche' sono arrivati on the back of
the tank, sono arrivati con l'esercito statunitense. <<Gli iracheni hanno
grandi intellettuali e una cultura millenaria>> dice Emad <<chi li
rappresenta deve essere uno di loro, che ha condiviso tutte le sofferenze,
le paure, le carenze, le ingiustizie del regime, delle guerre e dell'embargo>>.
Non vedro' il supermercato disintegrato accanto al Ministero
dell'Informazione, ne' le auto sventrate e completamente arse nel
parcheggio interno, circondate dai frammenti di vetro dei finestrini
rimodellati dal fuoco.
Nemmeno guardero' la vicina moschea che, dal retro del supermercato
crollato su se stesso, spunta fra le macerie con la sua cupola celeste e il
minareto. Ma forse mi ricordero' del canto del muezzin proveniente da essa
all'improvviso, della litania che, senza comprenderne le parole, in questa
Baghdad sofferente un tempo chiamata Madina Al Salam, citta' della pace,
sembra assumere la forma dolorosa di un pianto millenario.
MAURO CASACCIA