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Liberia: DIETRO IL CONFLITTO



EUGENIO MELANDRI
http://www.ilmattino.it/hermes/20030723/NAZIONALE/9/SASA.htm

È stata definita la più antica democrazia africana. Ma si tratta di una
democrazia fondata sulla discriminazione. Nel 1821 l'«American Colonisation
Society» compra una parte della Sierra Leone, per trasferirvi dall'America i
figli degli schiavi, liberati dalla guerra di secessione. Viene costruita
Monrovia, in onore dell'allora presidente americano, Monroe. Formalmente la
Liberia nasce nel 1841. Uno stato «americano» nel cuore dell'Africa. Con una
costituzione scritta ad Harward, con i nativi esclusi da ogni diritto e
chiamati con disprezzo «Negri della Selva». Protetti dai cannoni americani,
i nuovi arrivati - non più di 20.000 - si prendono le terre migliori e, di
fatto colonizzano il resto della popolazione. Da Washington viene nominato
primo governatore, J. Robertson, il quale nel 1847 sarà eletto presidente
della Repubblica da un Congresso che rappresenta soltanto i coloni
americani.
Nello stemma della Liberia è scritto: «Ci ha portati qui l'amore per la
libertà». Ma di libertà i nativi del Paese ne hanno avuta ben poca. I
diritti sono prerogativa degli antichi discendenti degli schiavi legati alle
imprese americane. Prima è la Firestone, per lo sfruttamento del caucciù e
del legname. Con l'andare del tempo e la scoperta delle ricchezze minerarie,
altre imprese entreranno nel Paese. È un fiorire di attività. Nasce così
quello che negli anni '60 sarà chiamato «miracolo liberiano». Monrovia e il
resto della Liberia in quel periodo sfoggiano una ricchezza non comune in
Africa. I suoi benefici, però, vanno soltanto a una infima minoranza.
Nel 1979, l'aumento del prezzo del riso provoca manifestazioni e rivolte che
porteranno, l'anno dopo, ad un sanguinoso colpo di Stato, condotto dal
Sergente Samuel Dole. Il presidente Tolbert e gran parte dei ministri
vengono giustiziati. Sono aboliti i partiti politici e viene sospesa la
costituzione. Poi, nel 1985 il Paese va alle urne. Dole, trasformatosi in un
dittatore, con frodi, intimidazioni, mettendo in carcere gli oppositori e in
mora i maggiori partiti di opposizione, viene eletto presidente con il 50%
dei voti. Ma ormai il Paese è instabile. Nel 1990 il Fronte Nazionale
Patriottico della Liberia, guidato da Taylor inizia una vera e propria
guerra civile. Ma quando ormai sembra arrivare al potere, mentre si combatte
per la conquista della capitale, il Fronte si divide in due tronconi: il
primo diretto da Taylor, il secondo da Prince Johnson. In settembre Dole
viene assassinato e, nel caos che ne segue, sono ben quattro a proclamarsi
presidenti ad interim.
Il resto è storia recente. Conflitti senza fine. Dialoghi e armistizi che
non concludono mai nulla. La vicenda di Taylor, buono o cattivo a seconda
delle circostanze. Il suo protagonismo nella guerra della Sierra Leone. Un
paese completamente diviso, comandato soltanto dai «signori della guerra».
Ora siamo di fronte all'ennesimo regolamento di conti. Arriveranno, pare, i
marines americani. In una sorta di accordo che vede protagonisti la Gran
Bretagna in Sierra Leone, la Francia nella Costa d'Avorio e gli Usa in
Liberia.
Per gli africani solo miseria e morte. Perché in Africa ciò che conta sono
le risorse, l'oro, i diamanti, il legname, il caucciù. La vita delle persone
non ha valore. In questa terra si sono alternate guerra e pace; democrazia e
dittatura. Ciò che non è mai mancato, in qualsiasi frangente, è stata la
presenza delle imprese multinazionali. Specialmente americane. Pecunia non
olet.