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La nonviolenza e' in cammino. 612



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 612 del 15 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Pasquale Pugliese: in cammino da Assisi a Gubbio
2. Undicesimo incontro internazionale delle Donne in nero
3. Assia Djebar: l'uccello della felicita' inespressa
4. Giulio Vittorangeli:un grumo di felicita'
5. Luisa Morgantini: la guerra nella pancia
6. Un profilo di Luisa Morgantini
7. Franco Lattes Fortini: una lettera agli ebrei italiani
8. Peppe Sini: di Franco Fortini e di noi medesimi
9. Lidia Campagnano: la dimensione umana
10. Charlotte-Rose de La Force: la morale di Mulinello
11. Riletture: Neera, Le idee di una donna
12. Riletture: Emilia Pardo Bazan, Insolacion
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. PASQUALE PUGLIESE: IN CAMMINO DA ASSISI A GUBBIO
[Ringraziamo Pasquale Pugliese (per contatti: puglipas@interfree.it) per
questo intervento a sostegno della partecipazione alla camminata da Assisi a
Gubbio che si terra' dal 4 al 7 settembre 2003 promossa dal Movimento
Nonviolento (per maggiori informazioni: www.nonviolenti.org). Pasquale
Pugliese e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Rete di Lilliput ed
in numerose iniziative di pace, e' stato il principale promotore
dell'iniziativa delle "biciclettate nonviolente"]
Sono molte le ragioni per le quali camminero' sul "sentiero della pace" da
Assisi a Gubbio dal 4 al 7 settembre, insieme a molti amici della
nonviolenza.
Alcune di queste ragioni oggi premono per trovare un'esplicitazione ed una
comunicazione: sono quelle che mi inducono a partecipare a quella che
Capitini definirebbe una "assemblea itinerante".
Altre sono piu' intime e le conservo per quei momenti di silenzio che
l'impegno del sentiero ci riservera' e che forse, con Thich Nhat Hanh,
possiamo chiamare di "meditazione camminata".
*
Camminero', dunque, "per la nonviolenza" come dice l'appello del Movimento
Nonviolento, perche' la nonviolenza e', oggi piu' che mai, io credo, il
sentiero stretto dal quale occorre passare per operare una profonda
trasformazione dei modi della convivenza tra le persone e tra esse e la
natura. La nonviolenza come rivoluzione permanente e la nonviolenza come
metodo rivoluzionario di fare la rivoluzione.
La nonviolenza come via alla pace, che non potra' esser frutto di sole
enormi manifestazioni - che pure sono importanti, e anzi necessarie, per
esprimere il rifiuto morale e politico della guerra - ma che poi finiscono e
si va tutti a casa.
La nonviolenza come via alla pace, perche' e' lotta e lavoro quotidiano per
il disarmo: culturale ed economico, oltre che militare. Ed e' costruzione
continua di nuova cultura, nuova economia e nuove e creative modalita' per
affrontare tutti i conflitti.
*
Camminero, poi, da Assisi a Gubbio, perche' credo che bisogna riprendere a
camminare.
Cioe' rivedere, anzi trasformare, tutto il sistema dei trasporti fondato
sulla velocita' e la stupidita' dell'automobile.
Un sistema intimamente violento che - oltre a distruggere, deturpare e
avvelenare l'ambiente nostro e delle generazioni future - uccide,
direttamente e indirettamente. Direttamente uccide, solo in Italia, migliaia
di persone ogni anni attraverso gli incidenti stradali; uccide
indirettamente centinaia di migliaia di persone, in tutto il mondo,
attraverso le infinite guerre per la benzina.
Percio' credo sia importante recuperare modalita' sostenibili di
spostamento: il treno, la bicicletta e il camminare, appunto. Il camminare
che attraversa i sentieri, i paesaggi naturali ed anche le citta' con
lentezza e dolcezza, cioe' con nonviolenza. In tutti i sensi.
*
Camminero' fino a Gubbio dove partecipero' all'importante momento di
riflessione proposto dal Movimento Nonviolento sull'Europa e sul suo disarmo
come alternativa alla guerra.
E lo faro', lo faremo, proprio mentre i ministri degli esteri dell'Unione
Europea - sovrapponendo alle nostre le loro date - saranno riuniti a Riva
del Garda a parlare invece di nuovo riarmo, culturale, economico e militare.
Ma mentre i ministri passano, la forza della nonviolenza cresce lentamente
un giorno dopo l'altro. E cammina, aprendosi varchi e sentieri per il mondo,
alimentando la parte migliore di quei movimenti che, in ogni dove,
rappresentano oggi l'unica proposta politica fondata sull'etica della
responsabilita'.
*
Camminero', dunque, con la consapevolezza e l'emozione di stare
attraversando, insieme a molti amici della nonviolenza, non solo un sentiero
ma quel passaggio che Capitini riteneva essere il "varco attuale della
storia".
E quando arrivero', insieme a tutti, faro' festa.
Arrivederci in cammino.

2. INCONTRI. UNDICESIMO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE IN NERO
[Da Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int) riceviamo e
diffondiamo. Luisa Morgantini, parlamentare europea e una delle figure piu'
vive dei movimenti pacifisti e di solidarieta', e' una delle animatrici
dell'esperienza delle Donne in nero]
Si svolgera' a Marina di Massa il 28-31 agosto 2003 l'undicesimo incontro
internazionale della rete delle Donne in nero sul tema "Osiamo la pace,
disarmiamo il mondo".
Il programma prevede:
Mercoledi' 27 in serata: arrivi e accoglienza.
*
Giovedi' 28: "Tra guerra e dopoguerra: pratiche, parole, pensieri di donne"
- Mattino ore 9: assemblea plenaria.
Apertura e saluti: donne della rete internazionale. Presentazione
dell'incontro: donne della rete italiana. Nazionalismo e militarismo nel
dopoguerra dei Balcani: Stasa Zajovic - Donne in nero di Belgrado; Jadranka
Milicevic - Donne per le donne di Sarajevo. La militarizzazione della
societa' israeliana: Shani Werner - New Profile, Israele. I mutamenti della
situazione in Palestina, in particolare per le donne. Dibattito. Percorsi di
nonviolenza in una realta' di violenza generalizzata: Clara Ines Mazo o/e
Elisabeth Sepulveda - Vamos Mujer, Colombia. Storie di donne africane in
tempi di guerra: hanno importanza le loro voci nel processo di pace? Ruth
Ojiambo Ochieng - direttora di Isis, Women's International Cross cultural
Exchange, Uganda. Dibattito.
- Pomeriggio, ore 15.30: seminari.
Il ruolo dei media per creare consenso alle guerre: Giuliana Sgrena e/o
Giovanna Botteri e/o Ida Dominijanni - giornaliste, Italia. Fondamentalismi,
liberta' delle donne e diritti di cittadinanza: Zoja e Orzala - Rawa e
Hawca, Afghanistan; rappresentante di Wluml; Laura Quagliolo - Donne in nero
di Milano, Italia; Giuliana Beltrame - Donne in nero di Padova, Italia.
Europa: riarmo ed esercito europeo: Luisa Morgantini - europarlamentare,
Italia; Elettra Deianna - parlamentare, Italia; Cristina Zadra.
Militarizzazione della societa' e delle menti in diversi contesti: Tinat
Masood - India; Elisabetta Donini - Donne in nero di Torino, Italia; una
rappresentante delle Donne in nero di Milano, Italia. Sicurezza per le
donne: Bernadette Muthien - International Peace Research Association e
Women's International Network on Gender Human Security, SudAfrica.
- Sera: attivita' artistiche.
*
Venerdi' 29: "Le nostre mani unite contro le loro mani armate"
- Mattino, ore 9: assemblea plenaria.
Guerra infinita e fondamentalismo in Usa: una rappresentante delle Donne in
nero di Los Angeles, Usa. Ri-militarizzazione del Giappone e riflessioni di
genere su guerra e colonialismo: Hisaho Motoyama - Donne in nero di Tokio,
Giappone. Dibattito. Come costruire percorsi nonviolenti all'interno della
violenza di stato: relatrice della Turchia. Simboli, parole e pratiche delle
donne curde: relatrice del Kurdistan. La pratica politica laica e
nonviolenta delle donne afgane: relatrice dell'Afghanistan. Relazioni tra
donne come motore di cambiamento della struttura patriarcale e per la
costruzione di una politica alternativa: Amparo Marques - Donne in nero di
Valencia, Spagna. Dibattito.
- Pomeriggio, ore 15.30: seminari.
Solidarieta', relazione e scambio come progetto politico: Karin Pally -
Donne in nero di Los Angeles, Usa; Jadranka Milicevic - Donne per le donne,
Sarajevo; Nadia Cervoni - Donne in nero di Roma, Italia; una rappresentante
delle Donne in nero di Milano, Italia. Politiche delle donne nei paesi che
hanno partecipato alla guerra in Iraq: rappresentanti delle Donne in nero
inglesi, statunitensi, australiane, spagnole. Pratiche politiche delle donne
per il superamento delle contrapposizioni identitarie: rappresentante di
Wluml; donne dei Balcani; Imma Barbarossa - Italia; una rappresentante del
Jerusalem Center for Women. L'articolarsi della rete delle donne dei Balcani
tra guerra e dopoguerra: Lepa Mladenovic - Donne in nero di Belgrado; Rada
Boric - Croazia. Un forte movimento per l'insegnamento della verita' sulla
guerra in Palestina: Elise Young, direttora di Global Women's History
Project, Usa.
- Sera: scambio di esperienze sui nostri modi di comunicazione, con
audiovisivi.
*
Sabato 30: "Prospettive"
Mattino, ore 9: seminari.
Donne in nero: la rete internazionale: Luisa Morgantini - europarlamentare,
Italia; Stasa Zajovic - Donne in nero di Belgrado; Marianita De Ambrogio -
Donne in nero di Padova, Italia; Yolanda Rouiller - Spagna. Pensando al
Forum Sociale Europeo di Parigi: rappresentante di Donne in nero di Parigi,
Francia; Patricia Tought - Donne in nero di Bologna, Italia; Annalisa
Comuzzi - Donne in nero di Udine, Italia. Inter-agire tra donne di diversi
movimenti: Nadia Cervoni - Donne in nero di Roma, Italia. Donne e movimento
dei movimenti: Anna Draghetti - Donne in nero di Bologna, Italia; Franca
Gianoni - Italia. Il ripudio della guerra nella Costituzione Europea: Lidia
Menapace - Italia.
- Pomeriggio: manifestazione pubblica.
*
Domenica 31
- Mattino, ore 9: assemblea plenaria di chiusura.
- Pomeriggio: saluti e partenza.

3. POESIA E VERITA'. ASSIA DJEBAR: L'UCCELLO DELLA FELICITA' INESPRESSA
[Da Assia Djebar, Lontano da Medina, Giunti, Firenze 1993, 2001, p. 42.
Assia Djebar e' una illustre intellettuale algerina impegnata per i diritti
umani, scrittrice, storica, antropologa, docente universitaria, cineasta.
Opere di Assia Djebar: cfr. almeno Donne d'Algeri nei loro appartamenti,
Giunti, Firenze 1988; Lontano da Medina. Figlie d'Ismaele, Giunti, Firenze
1993, 2001; L'amore, la guerra, Ibis, 1995; Vaste est la prison, Albin
Michel, Paris 1995; Bianco d'Algeria, Il Saggiatore, Milano 1998; Nel cuore
della notte algerina, Giunti, Firenze 1998; Ombra sultana, Baldini &
Castoldi, Milano 1999; Le notti di Strasburgo, Il Saggiatore, Milano 2000;
Figlie d'Ismaele nel vento e nella tempesta, Giunti, Firenze 2000; La donna
senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002. Opere su Assia Djebar: cfr. il
libro-intervista di Renate Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite, La
Tartaruga, Milano 1997]
L'uccello della felicita' inespressa, senza che neppure lei lo percepisca,
si mette a palpitarle in cuore.

4. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: UN GRUMO DI FELICITA'
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali
collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre
1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e
alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una
lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il
responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso
numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in
rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche
un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento,
riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la
solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita'
pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti
di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni;
tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati
gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e
le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di
innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio
1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica
desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita'
umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione,
Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da
soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa
Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica,
Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali,
Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca
della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta'
internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente
insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di
politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale
viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997).
Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"]
19 luglio 1979 - 19 luglio 2003: ventiquattro anni sono un tempo della
storia piu' che della memoria. Quasi un quarto di secolo, con dentro un
passaggio di millennio, due cambi di generazione, il mondo che s'e' fatto
globale, l'Italia che s'e' messa in transizione senza approdare da nessuna
parte. In un quarto di secolo cosi', la memoria collettiva dovrebbe aver
fatto il suo lavoro, elaborati fatti e fantasmi, consegnato il suo materiale
alla storia, trovato infine in questa un suo deposito condiviso. Cosi',
ventiquattro anni dopo, cosa resta della rivoluzione sandinista, che mezzo
mondo aveva amato e difeso? Quel paese non esiste piu', da tempo e' allo
stremo e prigioniero delle speranze tradite; perche' la rivoluzione e'
finita persa nella tragedia della guerra di aggressione degli Stati Uniti e
nei limiti del Fronte Sandinista, cancellata dalla democrazia dell'ordine
neoliberale; ma non sono finiti i poveri.
Ha scritto Maurizio Campisi: "Il termine democrazia, in Centroamerica, e'
andato associandosi al neoliberismo. L'individualismo e' la fonte
d'ispirazione dove il mercato libero serve come palestra per gli
investimenti della vecchia oligarchia (...) La democrazia e' un'illusione.
La gente della strada lo dice e lo ripete, soprattutto quando deve fare i
conti a fine mese e paragona il proprio stipendio con quello dei politici
(...) La democrazia centroamericana non e' morale. E' un affare di poche
famiglie, riservato, dove i poveri sono destinati ad essere sempre piu'
poveri, ed i ricchi sempre piu' ricchi. Non c'e' bisogno di dittature, come
nei tempi passati, per conservare la divisione della societa'. In questo
particolare momento storico, l'elite oligarchica ha scelto il modello
democratico, perche' piu' funzionale con i tempi, ma mantiene ugualmente un
sistema di sfruttamento antico". Come non sottoscrivere?
*
Allora tutto e' stato inutile, anche la nostra solidarieta'? Apparentemente
si'.
Oggi la solidarieta' e' svilita a moda, a show e industria. Chi ruba al
Terzo mondo contemporaneamente gli fa l'elemosina. Attraverso il meccanismo
del debito estero, il Primo mondo presta un dollaro al Terzo mondo e ne
esige fino a venti di ritorno.
Invece la vera solidarieta' internazionale ha alla sua base una strategia
rivoluzionaria, la promessa, per quanto fragile, di una umanita' liberata
dalla sopraffazione e dalla violenza. Sappiamo che la vera solidarieta' non
e' semplicemente un "mezzo" tra gli altri, ma una dimensione dell'esistenza,
che richiede (tra le altre cose) rigore morale  e coerenza, prima di tutti
verso se stessi.
Senza per questo nascondere i limiti passati e presenti della solidarieta'
internazionale. La simpatia nei confronti dei popoli che combattevano per la
propria autonomia e dignita' (dal Cile di Allende al Vietnam, da Cuba al
Nicaragua sandinista, dalla lotta del popolo nero sudafricano contro
l'apartheid a quella del popolo palestinese), si radicava nella consonanza
con la coscienza dei diritti violati e dell'ingiustizia subita che animava
quelle lotte e quelle rivoluzioni. Ma quando queste istanze di liberta' sono
entrate in crisi o si sono involute, i gruppi di solidarieta' che le
sostenevano si sono dileguati come neve al sole. C'e' qualcuno che oggi ha
qualcosa da dire su come il Vietnam e' finito? Come dire che le vittorie
hanno molti padri e padrini, mentre le sconfitte restano orfane.
Qualcosa di simile, anche se in forma minore, e' accaduto con la rivoluzione
sandinista; come se elaborare la sconfitta di quell'esperienza (le sue
speranze ed i suoi errori), fosse compito solo dei nicaraguesi e non di noi
tutti, di tutti quelli che quella rivoluzione hanno sostenuto. Del resto i
problemi posti in quel periodo non sono stati risolti: come si forma un
sistema politico? Quali meccanismi mette in marcia? Quali strutture sposta?
Come si esaurisce, che cose ne resta, poiche' ogni presente ha in se' piu'
d'una traccia del passato? Il sandinismo ha posto dilemmi nel tumulto del
secolo sanguinoso e delle nostre speranze sconfitte che non consente
risposte banali e che oggi e domani potranno valere ad altre latitudini,
ovunque si pone il problema della liberazione dei popoli (quindi il tema
della democrazia, della violenza, dell'autodifesa, del governare i
conflitti, eccetera), ovunque rinasce la speranza di liberazione dell'essere
umano dall'oppressione, dall'ingiustizia.
*
Perche' questa speranza e' come una strada.
All'inizio del mondo le strade non esistevano. Le strade nascono quando
tanti esseri umani si ritrovano a camminare insieme nella stessa direzione.
Sappiamo come davanti a tutto questo si venga facilmente accusati essere dei
sognatori e degli utopisti. Per cui tante nazioni del Primo mondo  (ma anche
popoli) senza sogni finiscono con il sentirsi superiori a chi qualche sogno
riesce ancora a portarselo dentro.
Del resto, sara' anche utopia (continuiamo testardamente a credere che non
tutto e' scritto nei fatti): utopia? E sia. Ma va vissuta, vale la pena. Non
fosse altro, perche' reca con se un grumo di felicita'.
Perche' se e' vero che tutti puntiamo alla felicita', e' ancora piu' vero
che solo chi ha conosciuto e amato e condiviso la fragilita' umana sapra'
essere un po' felice, almeno un po'.

5. TESTIMONIANZE. LUISA MORGANTINI: LA GUERRA NELLA PANCIA
[Questo testo di Luisa Morgantini abbiamo estratto dal sito
www.luisamorgantini.net. Per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int]
La guerra l'ho sentita nella pancia di mia madre, sono nata alla fine del
'40, nella Val d'Ossola, al confine della Svizzera e prima repubblica nata
dalla Resistenza. Mio padre ha fatto il partigiano. Di fronte alla mia
ammirazione diceva: "Mai piu' la guerra".
Anche da qui nascono le mie ragioni per andare oltre i confini, per un mondo
libero dalle ingiustizie, dalla poverta', dalla violenza.
La scelta di una politica fondata sulla nonviolenza e la mediazione dei
conflitti ha attraversato tutte le mie esperienze, da quelle sindacali -
come lavoratrice fin dai miei 14 anni a sindacalista dalla fine degli anni
'60 fino al '98 nei metalmeccanici della Flm nella Fim Cisl - al mio impegno
per i diritti dei popoli e come portavoce nazionale dell'Associazione per la
pace e nelle Donne in nero contro la guerra.
A partire dal 1980, durante il terremoto in Irpinia, nell'Associazione
Italia Nicaragua, e in quella per la pace, ho coniugato scelte politiche,
relazioni e progetti di solidarieta' con donne e uomini di molti paesi del
mondo: ricerca di soluzioni pacifiche alla guerra, lotta contro i
nazionalismi, costruzione di una politica alternativa che si fonda su una
diplomazia dal basso che e' altro dalla politica degli stati, perche'
pratica la solidarieta' concreta, nel riconoscimento delle disparita' e
differenze delle condizioni di vita.
Nel mio percorso individuale e collettivo mi sono misurata in luoghi di
conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la
specificita' dell'essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun
essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia,
contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia e nei
drammatici giorni del '99 contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per
i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e
l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
E' su questi problemi che intendo impegnarmi nel Parlamento Europeo. Per una
politica di giustizia economica, per una pace che non e' dominio ma
capacita' di risolvere i conflitti nel negoziato, perche' l'Italia sappia
essere in Europa ponte con il Mediterraneo ed il Medio-Oriente, con
politiche di sviluppo e di cooperazione, per una politica di sicurezza che
sappia difendere ogni popolo dalle guerre e dall'ingiustizia economica,
sociale, politica.

6. TESTIMONIANZE. UN PROFILO DI LUISA MORGANTINI
[Anche il seguente profilo abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net]
Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940.
Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a
Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha
frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato
sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato
presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli
adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici
nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima
donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione
sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni,
impiegati e tecnici.
Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del
sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato
italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e
nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici
(Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto
in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo
alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di
Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora
esistente.
Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non
governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa,
Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata
in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo
anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di
ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la
mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la
guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo
all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in
Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si
occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del
conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di
relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare
con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino
del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia).
Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace
e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia.
In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e
all'Associazione per la pace".

7. MAESTRI. FRANCO LATTES FORTINI: UNA LETTERA AGLI EBREI ITALIANI
[Da "La rivista del manifesto" (www.larivistadelmanifesto.it) n. 21
dell'ottobre 2001 riprendiamo il seguente testo di Fortini, originariamente
apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 24 maggio 1989 (le date,
naturalmente, contano). La redazione della rivista ha fatto precedere alla
riproduzione del testo la nota redazionale che qui di seguito ripresentiamo:
"Nel 1997 la Manifestolibri pubblicava, per gentile concessione di Ruth
Leiser Fortini, gli scritti di Franco apparsi sul 'Manifesto' dal 1972 al
1994 (Franco Fortini, Disobbedienze: I. Gli anni dei movimenti, II. Gli anni
della sconfitta, Manifestolibri, Roma 1997-1998). I testi furono raccolti
dall'archivio informatico del quotidiano, dal quale sfuggi' il solo scritto
che, a nostra conoscenza, Franco Fortini firmo' anche, e prioritariamente,
con il cognome paterno, Lattes, per ricordare che era un ebreo che si
rivolgeva agli ebrei. Nel 1972 aveva scritto, a proposito dell'attentato a
Monaco: 'Sono figlio di un ebreo, conosco la faccenda' (Disobbedienze, cit.,
I, p. 27). Per Einaudi aveva scritto nel 1967, dopo la guerra dei Sei
giorni, I cani del Sinai. Non mancarono le polemiche. In attesa che una
ripubblicazione dei volumi consenta di ovviare a questa non indifferente
lacuna, 'La rivista del manifesto' ristampa il testo apparso in prima pagina
sul 'Manifesto' del 24 maggio 1989". Poeta e saggista tra i maggiori del
Novecento, Franco Lattes (Fortini e' il cognome della madre) e' nato a
Firenze nel 1917, antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica
partigiana in Val d'Ossola. Nel dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di
Vittorini; in seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a
"Ragionamenti", da "Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni
piacentini", ad altre ancora. Ha lavorato nell'industria, nell'editoria,
come traduttore e come insegnante. E' stato una delle persone piu' limpide e
piu' lucide (e per questo piu' isolate) della sinistra italiana, un uomo di
un rigore morale ed intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel
1994. Opere di Franco Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno
le raccolte complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per
sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si
aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la
serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia
di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in
Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali
sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre
testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi
Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione
assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso
Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di
lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del
Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi
italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi
precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso
Pasolini, Einaudi. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da Paolo
Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; e la recente bella raccolta di
interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri. Opere su Franco
Fortini: in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione,
Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia,
Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986;
Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su Fortini hanno scritto
molti protagonisti della cultura e dell'impegno civile; fondamentali sono i
saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo]
Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la
popolazione palestinese. E ogni giorno piu' distratti dal suo significato,
come vuole chi la guida.
Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le
abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo - nel medesimo
tempo - distrugge o deforma l'onore di Israele. In uno spazio che e' quello
di una nostra regione, alla centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine
di migliaia di imprigionati - e al quotidiano sfruttamento della
forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini - corrispondono decine
di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tutta la loro
vita, notte dopo giorno, con mogli, figli e amici, dovranno rimuovere quanto
hanno fatto o lasciato fare. Anzi saranno indotti a giustificarlo. E
potranno farlo solo in nome di qualche cinismo real-politico e di qualche
delirio nazionale o mistico, diverso da quelli che hanno coperto di ossari e
monumenti l'Europa solo perche' e' dispiegato nei luoghi della vita d'ogni
giorno e con la manifesta complicita' dei piu'.
Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e
umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno
dire di non aver saputo oppure, come gia' fanno, chiedere con abominevole
augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti. Mangiano e bevono fin
d'ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo. Su questo, nei libri dei
loro e nostri profeti stanno scritte parole che non sta a me ricordare.
Quell'assedio puo' vincere. Anche le legioni di Tito vinsero. Quando dalle
mani dei palestinesi le pietre cadessero e - come auspicano i "falchi" di
Israele - fra provocazione e disperazione, i palestinesi avversari della
politica di distensione dell'Olp, prendessero le armi, allora la strapotenza
militare israeliana si dispiegherebbe fra gli applausi di una parte della
opinione internazionale e il silenzio impotente di odio di un'altra parte,
tanto piu' grande. Il popolo della memoria non dovrebbe disprezzare gli
altri popoli fino a crederli incapaci di ricordare per sempre.
Gli ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale
antisemitismo e' cresciuto e va rafforzandosi di giorno in giorno fra coloro
che dalla violenza della politica israeliana (unita alla potente macchina
ideologica della sua propaganda, che la Diaspora amplifica) si sentono
stoltamente autorizzati a deridere i sentimenti di eguaglianza e le
persuasioni di fraternita'. Per i nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora
non sono che agenti dello Stato di Israele. E questo e' anche l'esito di un
ventennio di politica israeliana.
L'uso che questa ha fatto della Diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, il
rapporto fra sostenitori e avversari di tale politica, in confronto al 1967.
Credevano di essere piu' protetti e sono piu' esposti alla diffidenza e alla
ostilita'.
Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra
politica israeliana ed ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione
della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani sconsideratamente accusata
di fomentare sentimenti razzisti) e' quella che nei nostri anni ha piu'
aiutato, quella distinzione, a mantenerla. Sono molti a saper distinguere e
anch'io ero di quelli. Ma ogni giorno di piu' mi chiedo: come sono possibili
tanto silenzio o non poche parole equivoche fra gli ebrei italiani e fra gli
amici degli ebrei italiani? Coloro che, ebrei o amici degli ebrei - pochi o
molti, noti o oscuri, non importa - credono che la coscienza e la verita'
siano piu' importanti della fedelta' e della tradizione, anzi che queste
senza di quelle imputridiscano, ebbene parlino finche' sono in tempo,
parlino con chiarezza, scelgano una parte, portino un segno. Abbiano il
coraggio di bagnare lo stipite delle loro porte col sangue dei palestinesi,
sperando che nella notte l'Angelo non lo riconosca; o invece trovino la
forza di rifiutare complicita' a chi quotidianamente ne bagna la terra, che
contro di lui grida. Ne' smentiscano a se stessi, come fanno, parificando le
stragi del terrorismo a quelle di un esercito inquadrato e disciplinato. I
loro figli sapranno e giudicheranno.
E se ora mi si chiedesse con quale diritto e in nome di quale mandato mi
permetto di rivolgere queste domande, non rispondero' che lo faccio per
rendere testimonianza della mia esistenza o del cognome di mio padre e della
sua discendenza da ebrei. Perche' credo che il significato e il valore degli
uomini stia in quello che essi fanno di se' medesimi a partire dal proprio
codice genetico e storico, non in quel che con esso hanno ricevuto in
destino. Mai come su questo punto - che rifiuta ogni "voce del sangue" e
ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente; si'
che a partire da questi siano giudicati - credo di sentirmi lontano da un
punto capitale dell'ebraismo o da quel che pare esserne manifestazione
corrente.
In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati,
amici degli ebrei e dell'ebraismo, scrivo queste parole a una estremita' di
sconforto e speranza perche' sono persuaso che il conflitto di Israele e di
Palestina sembra solo, ma non e', identificabile a quei tanti conflitti per
l'indipendenza e la liberta' nazionali che il nostro secolo conosce fin
troppo bene. Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il
braccio armato di una nazione, come la Francia agi' in Algeria, gli Stati
Uniti in Vietnam o l'Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come
la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy
e gli americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, cosi' gli
ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei
nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza,
delle nostre parole e volonta'. Non rammento quale sionista si era augurato
che quella eccezionalita' scomparisse e lo Stato di Israele avesse, come
ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute. Ora li ha e sono affari suoi.
Ma il suo Libro e' da sempre anche il nostro, e cosi' gli innumerevoli vivi
e morti libri che ne sono discesi. E' solo paradossale retorica dire che
ogni bandiera israeliana da nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo
sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o minaccia, sloggiato
arabi o palestinesi della citta' vecchia di Gerusalemme, tocca alla
interpretazione e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza
di Brahms?
La distinzione fra ebraismo e stato d'Israele, che fino a ieri ci era potuta
parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, e' stata rimessa in
forse proprio dall'assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso
di vedere meglio perche' non sia possibile considerare quel che avviene alle
porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei
conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per
una sua parte almeno, quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che e'
dentro di noi.
Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente
uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di
Palestina, va perduta una parte dell'immenso deposito di verita' e sapienza
che, nella e per la cultura d'Occidente, e' stato accumulato dalle
generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e
attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna
ebrea cristiana, Simone Weil, ha ricordato che la spada ferisce da due
parti. Anche da piu' di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i
palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a
umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un
sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha
parlato del proscritto e del suo sguardo "che danna un popolo intero intorno
ad un patibolo": ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni giorno
Israele rischia una condanna ben piu' grave di quelle dell'Onu, un processo
che si aprira' ma al suo interno, fra se' e se', se non vorra' ubriacarsi
come gia' fece Babilonia.
La nostra vita non e' solo diminuita dal sangue e dalla disperazioni
palestinese; lo e', ripeto, dalla dissipazione che Israele viene facendo di
un tesoro comune. Non c'e' laggiu' universita' o istituto di ricerca, non
biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di
compensare l'accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica
della sopraffazione induce nella vita e nella educazione degli israeliani.
E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali
sono io. Se ogni loro parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati
dello Tsahal, un'altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei
palestinesi. Parlino, dunque.

8. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: DI FRANCO FORTINI E DI NOI MEDESIMI
1. Ho cambiato casa diverse volte, ed ogni volta ho dovuto abbandonare cose
e carte cui tenevo, il fardello del viandante deve essere leggero. Ho sempre
avuto cura di salvare per prime e recare con me alcune brevi lettere di
Franco Fortini, che e' di quelli da cui ho imparato di piu' (e non solo cose
di grande momento, anche ad accettare il tratto dominante del mio carattere
che mi fa sempre essere in disaccordo con tutti e a me stesso nemico).
2. Nella durezza - splendida di forza e di stile - delle scritture di
Fortini ho sempre letto innanzitutto la pieta', il rivolgimento amoroso, e
il ritegno e la generosita' grandi che aveva. Ed in quel che vi e' di
sovrappiu' di gesto - e quindi di unilaterale e di ortativo - in cio' che
scrive, credo di saper leggere qualcosa che parla alla parte piu' profonda
del mio sentire, del mio consistere, del mio esistere: la coscienza della
lacerazione, la contraddizione che lega in un unico nodo verita' ed errore,
ed in quel nodo a un tempo siamo, e siamo tratti, e strozzati. Soli, tutti,
insieme.
3. Non mi si dica che queste parole di Franco Fortini, o quelle de I cani
del Sinai, sono viziate di ideologia, o che sono dettate con voce strabica,
e che non assurgono alla serena olimpicita' del consigliere segreto del
principe. Per l'appunto Fortini non era e non volle mai essere consigliere
segreto del principe (anche se ne tradusse magnificamente il Faust), ed
aveva rifiutato di sedere alla mensa dove si divide il pane degli angeli,
che e' la mensa degli sfruttatori. La voce di Fortini grida, e chi non sa
capire perche' grida non perda tempo a leggerlo. Io sono di quelli che
pensano che occorre gridare. E so che la voce arrochita del grido non rende
giustizia al bel canto e fa parere chi la emette stravolto. Ma noi siamo
davvero stravolti di fronte al dolore del mondo. Chi detiene la virtu'
signorile del sorridere dinanzi alle stragi fara' buona figura in societa',
ma non e' nostro amico, anzi. Nel campo delle vittime pianta la tua tenda.
4. C'e' bisogno di dirlo che Israele ci sta a cuore? Che l'ebraismo e' la
gemma piu' preziosa della nostra storia? Che ogni vita umana va difesa? C'e'
bisogno di dirlo che siamo amici della nonviolenza perche' siamo tutti -
l'umanita' intera - figli della Shoah? C'e' biisogno di dirlo, o non lo
vediamo da mille segni che il fascismo e il razzismo ogni giorno di piu'
impestano il mondo? La nostra solidarieta', piena, con il popolo
palestinese, e' anche la nostra solidarieta', piena, con il popolo
israeliano; l'affermazione del diritto ad esistere per uno stato palestinese
e' anche -  e non puo' non essere anche - l'affermazione del diritto ad
esistere per lo stato di Israele. Ed e' la condanna di ogni terrorismo,
individuale, di gruppo, di stato. Ed e' la rivendicazione di una comune
umanita'. Di liberi e di eguali.
5. E in guisa di postilla. Molte criminali idiozie sono state colpevolmente
dette e colpevolmente lasciate dire sulla situazione mediorientale e sul
conflitto israelo-palestinese nel movimento per la pace. Almeno questo
foglio non e' stato corrivo. Ed ha denunciato come rilevanti spezzoni di
infame retorica razzista, antisemita e nazista si siano pervasivamente
infiltrati sia nella sinistra politica piu' chiassosa e immorale, sia nei
movimenti sociali di contestazione in cui i ragazzi piu' ingenui tra i piu'
generosi rischiano di essere sedotti e traviati non solo da leader
solipsistici ed irresponsabili e da longevi marpioni che dando altrui sulla
voce pensano di poter evitare di fare i conti con le scelleraggini da essi
medesimi dette o commesse nei decenni passati, ma anche da espliciti
complici vecchi e nuovi dei vecchi e nuovi totalitarismi.
Cosi' stando, ahinoi, le cose, la voce - il magistero - di Franco Fortini e'
utile anche a tal fine: a guardare con sguardo di falco nel nostro passato e
nel nostro futuro, a denunciare le ambiguita' e la regressione
infantilistica e psicotica presente nel presente movimento che vuole abolire
lo stato di cose presenti, a rivendicare senza menzogne o edulcorazioni la
storia delle oppressioni e delle resistenze, delle persecuzioni e delle
lotte di liberazione e di solidarieta', e la riflessione - la tradizione di
pensiero, di coscienza - che su essa storia si innerva, e che essa storia
scuote e muove di contro al sempreuguale della violenza. La riflessione che
incessantemente chiama. Chiama te all'impegno di verita' e giustizia, di
resistenza e solidarieta'. Dalla parte dell'umano. Chiama te.

9. RIFLESSIONE. LIDIA CAMPAGNANO: LA DIMENSIONE UMANA
[Questo testo abbiamo estratto da una e-mail del 16 aprile 2003 di Lidia
Campagnano, pubblicata a p. 85 della rivista "Qui. Appunti dal presente", n.
8, estate 2003, monografico sul tema Di guerra (per richieste e contatti:
tel. 0257406574, e-mail: massimoparizzi@tin.it, sito:
www.quiappuntidalpresente.it). Lidia Campagnano, nata a Verdello (Bergamo),
ha vissuto per quasi trent'anni a Milano, e per diciassette ha lavorato
nella redazione de "Il manifesto". Ora vive a Roma. Partecipe di
aggregazioni e pubblicazioni del femminismo, scrive, in particolare sulla
guerra, la Jugoslavia distrutta, la politica e l'ordine 'sentimentale' dei
nostri tempi, e tiene seminari e lezioni. Suoi testi sono presenti in
numerosi libri collettivi. Inoltre ha pubblicato Gli anni del disordine, La
Tartaruga, Milano 1996, e Un dopoguerra ancora, Erga, Genova 2000]
C'e' un forte abbattimento, la sconfitta c'e' stata per un popolo, e anche
il popolo pacifista si sente sconfitto e si sente solo, e abbandonato dai
suoi perfino troppi rappresentanti politici. I quali stanno tornando a
parlare di come si sistema il mondo con un paternalismo umiliante per
chiunque. Quando i prepotenti bombardano si reagisce, con tutta la forza che
viene dalla commozione e dall'indignazione, dalla nostalgia di un'integrita'
e di una coerenza. Quando dai bombardamenti si passa all'occupazione, e a
un'occupazione arcaica, come quella dei Conquistadores, senza neppure i
missionari a dare pane e prediche (ma arriveranno i carabinieri e i camion
del pane con loro, e rischieranno di fare la guerra sul terreno, mentre i
ragazzi americani staranno intorno al petrolio), allora soltanto la politica
in senso proprio, cioe' uno sguardo che definisce il momento, e i compiti, e
le parole d'ordine, astraendo dalla quotidianita', puo' dare la forza.
Persino la forza di tenere un diario? Forse si'. O almeno, vale la pena di
fare questa ipotesi. Io ora so, purtroppo, che qualcuno qui (e non in Iraq,
non in Iraq!) pensa che per dare da bene agli iracheni si puo' decidere di
partecipare in armi a questa sudicia occupazione coloniale. Questo e' il
disordine sentimentale del tempo. Non e' uno scherzo, la dimensione umana
della politica: per chi la conserva e per chi la ripudia.

10. FRASI COLTE AL VOLO. CHARLOTTE-ROSE DE LA FORCE: LA MORALE DI MULINELLO
[Da Charles Perrault (et alii), I racconti delle fate, Newton Compton, Roma
1994, p. 332: e' la "morale" che conclude la favola Mulinello, tratta da Le
fate, racconti dei racconti, di Mademoiselle de La Force (1650-17024); non
solo la sua opera ma anche la sua vita meriterebbe uno studio approfondito]

Sian pur gravi i difetti che dentro vi portate,
Tutte le vostre pecche vi saran perdonate,
Pur che abbiate buon cuore,
E sappiate soccorrer nel dolore
Qualche infelice, essendo generoso
Senza sforzo penoso.
Un tale amico e' ben presto provato,
E chi lo incontra e' molto avventurato.

11. RILETTURE. NEERA: LE IDEE DI UNA DONNA
Neera, Le idee di una donna, Vallecchi, Firenze 1977, pp. XX + 156. Il
volume contiene il testo omonimo del 1903 e le Confessioni letterarie del
1891. Non solo per il suo valore documentario ci pare che meriti di essere
riletto questo libro della scrittrice (dietro lo pseudonimo oraziano Anna
Zuccari, 1846-1918) ammirata da Croce - che dei suoi scritti curo'
un'antologia ancora nel '42. Con un invito alla lettura di Francesca
Sanvitale.

12. RILETTURE. EMILIA PARDO BAZAN: INSOLACION
Emilia Pardo Bazan, Insolacion, Espasa Calpe, Madrid 1954, 1991, pp. 172.
Merita di essere riletta quest'opera del 1889 - e non solo questa - della
grande scrittrice spagnola (1851-1921). Con un'ampia introduzione di Marina
Mayoral.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 612 del 15 luglio 2003