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La nonviolenza e' in cammino. 607
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 607
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Wed, 9 Jul 2003 22:34:43 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 607 del 10 luglio 2003
Sommario di questo numero:
1. Francesca Brezzi: la necessita'
2. Una petizione popolare perche' cessi la partecipazione italiana
all'occupazione militare dell'Iraq
3. Sergio Paronetto: non c'e' pace senza diritto
4. Michael Moore: una lettera al sottotenente Bush
5. Mao Valpiana: arrivederci a Gubbio
6. Omero Caiami Persichi: dieci quartine tra Assisi e Gubbio
7. Janina Bauman: il terrore e la memoria
8. Luigi Ferrajoli: la guerra, il diritto, e due ipotesi sull'Onu
9. Amerigo Bigagli: ancora sulle bandiere della pace
10. "Nigrizia" di luglio-agosto 2003
11. Riletture: AA. VV., Canti della protesta femminile
12. Riletture: Joan Baez, Ballate e folksong
13. Riletture: Billie Holiday, La signora canta il blues
14. Riletture: Violeta Parra, Canzoni
15. Riletture: Bessie Smith, Canzoni
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'
1. MAESTRE. FRANCESCA BREZZI: LA NECESSITA'
[Da Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero
Padova, 1999, p. 241. Francesca Brezzi e' docente di filosofia morale e
teoretica all'Universita' di Roma III. Tra le sue opere: Filosofia e
interpretazione, Bologna 1969; Fenelon, filosofo della religione, Perugia
1979; Inquieta limina, tra filosofia e religione, Roma 1992; A partire dal
gioco. Per i sentieri di un pensiero ludico, Genova 1992; Dizionario dei
concetti filosofici, Roma 1995; La passione di pensare. Angela da Foligno,
Maddalena de' Pazzi, Jeanne Guyon, Roma 1998; Ricoeur. Interpretare la fede,
Padova 1999]
... da qui la necessita' di riaprire il Libro di Giobbe e lasciarsi
investire nuovamente da quegli interrogativi e non solo perche' il male? ma:
perche' io?
2. APPELLI. UNA PETIZIONE POPOLARE PERCHE' CESSI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA
ALL'OCCUPAZIONE MILITARE DELL'IRAQ
[Dalla ong "Un ponte per" (per contatti: posta@unponteper.it) riceviamo e
diffondiamo questo appello]
Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq ha promosso una
petizione popolare indirizzata al Presidente della Camera dei Deputati ai
sensi dell'art. 109 del regolamento della Camera.
La petizione richiede al Parlamento Italiano che:
a) sia revocata la partecipazione italiana, in qualsiasi forma, alla
"Coalition Provisional Authority";
b) sia richiamato in Italia il contingente militare attualmente di stanza in
Iraq;
c) siano promosse iniziative di aiuto umanitario in esclusivo coordinamento
con le Agenzie delle Nazioni Unite sino a che non sia stato formato un
governo iracheno legittimo e internazionalmente riconosciuto.
La partecipazione dell'Italia, sia a livello politico che di supporto
funzionariale, alla "Coalition Provisional Authority" e l'invio di un
contingente militare, inquadrato sotto comando britannico, con compiti di
controllo territoriale nell'area di Nassiriya, di fatto ha trasformato il
nostro paese in una "potenza occupante" verso cui presto si riversera' il
malcontento della popolazione irachena che, in varie forme, sta manifestando
gia' una crescente insofferenza per il protrarsi dell'occupazione militare
senza alcuna previsione e certezza per il futuro.
La petizione popolare proposta dalle organizzazioni e associazioni del
Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq, sara' diffusa nel
periodo estivo in tutte le occasioni di incontro e dibattito del movimento
pacifista.
Sara' altresi' possibile firmare la petizione on-line sul sito
www.tavoloiraq.org, dal quale si potra' anche scaricare il modulo per
raccogliere direttamente le firme che andranno inviate presso l'ufficio di
coordinamento della campagna, non oltre il 15 settembre 2003, in via Carlo
Cattaneo 22/B, 00185 Roma.
Per ulteriori informazioni: tel. 06491252; e-mail info@tavoloiraq.org
3. APPELLI. SERGIO PARONETTO: NON C'E' PACE SENZA DIRITTO
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto@yahoo.com)
per questo appello. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di Pax
Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta']
Cari amici,
complici alcune armi di distrazione dimassa come l'"informazione" e
l'estate, il programma "eversivo" del governo avanza deciso.
Dopo le leggi sull'immunita'-impunita' (e il salutare allarme europeo), ecco
ora l'"assoluta separazione delle carriere" e altre proposte ancora.
L'Associazione nazionale magistrati ha espresso il suo "scoramento". Sembra
distrutta.
Siamo in piena fase di scardinamento dello stato di diritto. E non c'e' pace
senza diritto.
Il movimento per la pace e' un movimento di cittadinanza attiva. Mi viene
istintivo ricordare che alla "resa" si puo' opporre una robusta e serena
"resistenza" utilizzando sia la mobilitazione referendaria sia altre
ipotesi.
Perche' non rilanciare coordinamenti per la Costituzione? Per la pace e i
diritti? Per l'educazione alla legalita' e alla democrazia? Per un Istituto
nazionale per i diritti umani secondo il modello Onu?
Un fraterno abbraccio.
4. RIFLESSIONE. MICHAEL MOORE: UNA LETTERA AL SOTTOTENENTE BUSH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 luglio 2003. Michael Moore, una delle
figure piu' vivaci ed acute del pacifismo americano, regista cinematografico
vincitore dell'Oscar per il documentario Bowling a Columbine, e' autore del
libro Stupid White Men, Mondadori, Milano 2003]
Egregio sottotenente George W. Bush,
spero che non se ne abbia a male se mi rivolgo a lei con l'unico grado
militare che lei abbia mai veramente conseguito, nei giorni in cui montava e
smontava la guardia nell'"Air National Guard" del Texas.
Da quando l'ho vista atterrare su quella portaerei con indosso quella tuta
d'aviatore ho pensato che da allora in poi ci si dovesse rivolgere a lei con
il suo titolo militare, contrapposto a quello civile impostole dagli amici
di papa'.
Quindi sottotenente, mi chiedevo se lei potesse farmi un favore.
Potrebbe cortesemente inventarsi qualcosa di meglio di un cespuglio di rose
[in inglese "rose bush"]?
Ieri in televisione ho visto che i suoi uomini hanno scovato quel tipo,
l'iracheno che diceva di aver messo sotto terra - dodici anni fa - "sotto un
cespuglio di rose" nel giardinetto della casa di Baghdad alcuni progetti
nucleari.
Ehi ragazzo, questa e' buona. Ma pensi veramente che tutti noi siamo cosi'
stupidi come sembriamo?
Io so bene quanto facilmente ci lasciamo affascinare dall'Idolo Americano, e
quanto Scott Peterson [il sospetto colpevole di un omicidio in California,
storia che le televisioni hanno seguito ossessivamente lo scorso inverno,
ndt] possa farci passare per dei rimbecilliti, ma quando ci mentono per
portarci in guerra allora vogliamo almeno uno sforzo ulteriore e un passo in
piu'.
Vede, George, non sono le bugie e le macchinazioni delle spie ad avermi
fatto arrabbiare. Ma il fatto che in piu' di due mesi di controllo sull'Iraq
lei non sia riuscito a trovare il tempo di seminare almeno qualche arma
nucleare o qualche tanica di gas nervino, e nemmeno sia riuscito a
convincerci che non stava mentendo.
Vede, non falsificando le prove della armi di distruzione di massa, dimostra
di non curarsi del fatto che qualcuno possa accorgersi che e' stato proprio
lei ad architettare il tutto.
Un presidente di un'altra pasta, un presidente veramente convinto che
l'opinione pubblica americana si sarebbe sentita oltraggiata se mai la
verita' fosse venuta a galla, avrebbe fatto qualsiasi cosa per nascondere i
sui sotterfugi.
Il presidente Johnson fece cosi' nel Golfo del Tonkino. Dichiaro' che le
nostre navi erano state attaccate dai nordvietnamiti. Non era vero, ma lui
sapeva bene che doveva farlo sembrare tale.
Nixon affermo' di non essere un imbroglione, ma sapeva che non sarebbe
bastato. Cosi pago' il prezzo del silenzio agli scassinatori. E in qualche
modo 18 minuti e mezzo furono cancellati dalla registrazione dello studio
ovale. Perche' lo fece? Perche' sapeva che gli americani si sarebbero
sputtanati se avessero scoperto la verita'.
Il suo plateale rifiuto di accompagnare gli annunci fraudolenti con qualche
falsa prova, procedura alla quale siamo abituati, e' uno schiaffo in faccia
a noi americani. E' come se lei dicesse: "Questi sono cosi' maledettamente
apatici e pigri che non abbiamo bisogno di esibire nessuna arma per
sostenere le nostre affermazioni".
Se almeno nell'ultimo mese lei avesse fatto interrare nei pressi di Tikrit
qualche deposito missilistico o se avesse disseminato un po' d'antrace in
quei laboratori mobili nei pressi di Bassora o "scoperto" un po' di plutonio
con qualche videocassetta riservata di Uday Hussein che da' da mangiare alle
sue tigri, allora si' che sarebbe stato evidente che avremmo potuto
ribellarci se l'avessimo colta in fallo. In questo modo ci avrebbe mostrato
un po' di rispetto. Onestamente noi non ci saremmo preoccupati se poi in
seguito fosse venuto a galla che aveva installato lei le armi di distruzione
di massa - sicuramente ci saremmo un po' arrabbiati, ma quanto meno saremmo
stati orgogliosi di sapere che lei era consapevole di dover mascherare gli
annunci fasulli con qualcosa di concreto.
Credo proprio che alla fine deve averlo capito. Cominciava ad essere chiaro
che milioni di noi volevano vedere il bluff - quelle false ragioni di una
guerra menzognera.
Cosi' ha immediatamente riesumato quell'uomo, il suo cespuglio di rose, un
pezzo di carta vecchio di dodici anni e qualche affare metallico. Cosi' la
Cnn ha interrotto le trasmissioni alle cinque e un quarto del pomeriggio e
annunciato di avere l'esclusiva : "Ecco i piani nucleari".
Ma alcuni bravi inviati hanno fatto delle domande piuttosto essenziali e
appena tre ore piu' tardi, proprio la sua amministrazione e' stata costretta
ad ammettere che i piani non erano "la pistola fumante", la prova che l'Iraq
aveva le armi di distruzione di massa. Oops. Non e' stata una buona idea
affidarsi ad un cespuglio, sottotenente.
Posrt scriptum. Mi dispiace ma proprio non riesco a togliermi dalla mente
quella tuta imbottita d'aviatore. Lo so, ho bisogno d'aiuto. Ma quando lei
e' atterrato su quella portaerei c'era quella scritta: "Missione compiuta".
Quale era questa missione compiuta? Perche' per quello che so io piu' di
cinquanta soldati sono morti da quando ha dichiarato "Missione compiuta".
L'anarchia regna tuttora in Iraq, anche gli inglesi continuano a perdere
reclute e al momento quei pazzi dei fondamentalisti sembrano pronti a
dettare legge nel paese. Alle donne e' gia' stato detto di coprirsi il volto
e chiudere la bocca, i venditori di alcolici sono stati giustiziati e i
locali che proiettavano gli "immorali" film di Hollywood sono stati chiusi.
Eppure quello non e' neanche il profondo Texas. Forse potrebbe infilarsi di
nuovo in quella tuta, volare a Baghdad, atterrare all'aeroporto
internazionale ex Saddam e regalare uno di quei suoi grandi saluti sotto uno
slogan e una bandiera: "Missione impossibile".
5. EDITORIALE. MAO VALPIANA: ARRIVEDERCI A GUBBIO
[Ringraziamo Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti:
azionenonviolenta@sis.it), per averci messo a disposizione l'editoriale di
"Azione nonviolenta" di luglio 2003. Mao Valpiana e' una delle figure piu'
belle della nonviolenza in Italia]
L'appuntamento e' per tutti gli amici della nonviolenza.
Ancora una volta in Umbria.
Aldo Capitini l'amava molto e la descrisse cosi': "In confronto ad altre
regioni d'Italia, l'Umbria puo' apparire troppo raccolta in se', troppo
avvolta nel silenzio, troppo pura o 'contemplativa'. Ma c'e' una forza
dentro". E ancora: "Nell'Umbria si ha un senso di avvicinarsi, di entrare e
di salire, poiche' c'e' la prima Umbria, e c'e' l'Umbria piu' interna...
Diro' anche che vivendo entro questo paesaggio, camminando e posando,
annoiandocisi quasi nel silenzio (come bisogna fare per assimilare veramente
cose e persone) tutto sembra tenersi nel limite di umanita', ma senza
ostentazione di questa, e con tendenza ad ascoltare in silenzio senza mai
staccarsi dal maturare continuo della vita".
Dunque, ci siamo. Il percorso avviato piu' di un anno fa, al nostro
ventesimo congresso, sta per giungere al termine, con la "quattro giorni" di
Gubbio: la camminata lungo il sentiero francescano della pace ed il convegno
sulle alternative alla guerra.
Nei mesi scorsi ci hanno accompagnato le dieci parole della nonviolenza:
forza della verita', coscienza, amore, festa, sobrieta', giustizia,
liberazione, potere di tutti, bellezza, persuasione. Raccoglieremo in un
fascicolo le dieci riflessioni di chi ha condiviso con noi questo percorso
di cultura e di azione nonviolenta, insieme alle frasi di Gandhi, Capitini,
King e Francesco. Sara' uno strumento utile per chi si mette in cammino da
Assisi a Gubbio.
Allegato a questo numero di "Azione nonviolenta" trovate il pieghevole che
illustra nei dettagli l'iniziativa. E' una proposta, riteniamo
significativa, che facciamo a tutti gli amici della nonviolenza, a partire
da coloro che hanno condiviso con noi la marcia specifica "Mai piu' eserciti
e guerre" del settembre 2000, da Perugia ad Assisi. Fu a conclusione di
quella marcia, raccogliendo le tante richieste di proseguire il cammino
comune, che ci venne l'idea di proporre qualcosa che andasse "oltre Assisi".
Scoprimmo poi l'esistenza del bellissimo sentiero medioevale che attraverso
valli, boschi, prati e colline, collega Assisi con Gubbio, passando da
Valfabbrica. Il sentiero, ben curato dalla Provincia di Perugia, e' meta di
molti pellegrinaggi, pieno di suggestioni spirituali, di notevole bellezza
ed interesse storico, naturalistico, paesaggistico.
Gubbio richiama la leggenda francescana della conversione del lupo. Con la
parola, il dialogo, l'esempio, la mediazione, Francesco riusci' ad ammansire
il lupo e convinse gli eugubini a procurare il cibo per lui, a farselo
amico. La belva temuta si e' tramutata in ospite accolto. Metodo e strategia
della nonviolenza. Per questo Gubbio ci e' parso il luogo piu' adatto ad
ospitare la conclusione dell'iniziativa.
Abbiamo pensato di dare un taglio particolare al convegno: quale potrebbe
essere il ruolo di un'Europa disarmata nel mondo globalizzato della guerra
infinita? In fondo, Francesco e' da molti considerato un ponte tra oriente
ed occidente, l'uomo che ha rinnovato la cultura del medioevo, il primo
cittadino europeo. Dunque sulle tracce di Francesco cercheremo di capire
quale sia il ruolo degli amici della nonviolenza nella nuova Europa che si
va costruendo.
A Gubbio, grazie alla collaborazione di amici del Movimento Nonviolento,
abbiamo trovato la piena disponibilita' dell'amministrazione comunale che ci
offre il bellissimo centro servizi per lo svolgimento del convegno, ed il
prestigioso teatro romano per il momento di festa corale.
In quell'occasione vogliamo celebrare la nostra rivista, che si avvia verso
il quarantesimo anno di pubblicazioni. Stiamo allestendo una mostra che
ripercorre gli anni dal 1964 al 2003 attraverso le copertine piu'
significative di "Azione nonviolenta"; ne esce un pezzo di storia: da
Capitini a Martin Luther King, da don Milani ad Alexander Langer, il
movimento studentesco, la guerra del Vietnam, l'obiezione di coscienza, le
marce per la pace, il movimento antinucleare e quello ambientalista, Comiso,
il muro di Berlino, la Bosnia, il Golfo, il Kossovo, l'Iraq, la crescita
della resistenza nonviolenta in ogni parte del mondo.
Nonostante l'impegno di tanti amici, l'organizzazione non sara' perfetta,
anche perche' apprezziamo la bellezza degli imprevisti. Le condizioni di
ospitalita' saranno francescane e conviviali allo stesso tempo (l'Umbria e'
terra generosa di cibo e vino). Il Movimento Nonviolento vuole offrire
un'opportunita' che ognuno cerchera' di cogliere al meglio. Chi partecipa sa
che la sua presenza e' un contributo alla riuscita dell'iniziativa stessa.
6. RIFLESSIONE. OMERO CAIAMI PERSICHI: DIECI QUARTINE TRA ASSISI E GUBBIO
[Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio
promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia
Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In
preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della
nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni,
contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta@sis.it; sito:
www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di
riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni
mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico
Omero Caiami Persichi ha voluto contribuire improvvisando questi versi]
1. Forza della verita'
Oltre la coppa e lo stilo e' il nulla
ed anche questo canto certo e' nulla
due sole cose restano che valgono:
il pianto in comune, il riso in comune.
*
2. Coscienza
La parola e' piu' esigente del mondo
con la parola tu vai incontro al mondo
possa essere essa benedicente
possa essere essa portatrice di pace.
*
3. Amore
Ad eccezione del doloro tutto
dimenticai. Ma non dimenticai
la mano che mi si poso' sul volto.
Come una rosa fresca e profumata.
*
4. Festa
Mentre ceniamo insieme
mentre cantiamo insieme
si placa per un'ora questa furia
e per un'ora siamo ancora vivi.
*
5. Sobrieta'
Ascolta la voce del vento
ascolta l'orecchio del mare
ascolta la notte tutta occhi
e non negare mai la parola all'amico.
*
6. Giustizia
Non gravare su altri, sia lieve
il tuo camminare, il tuo parlare, il tuo sguardo.
Al curvo sii sostegno, a cio' che opprime
opponiti come una compatta roccia.
*
7. Liberazione
Tutto passera' presto, e' solo un attimo
ma questo attimo non sia sprecato.
Nulla passera' mai, per sempre resta
quello che hai fatto, quello che hai sperato.
*
8. Potere di tutti
E' nell'io la verita' del noi
ed e' nel noi la verita' dell'io.
Ma anche: e' nel tu la verita' dell'io
ed e' nel tutti la verita' dell'io, del tu, del noi.
*
9. Bellezza
Cosi' l'acqua dei sogni lava le angoscie
cosi' la luce del mondo risana le ferite
cosi' l'oblio rimuove le macerie
e la scoperta ci toglie il fiato ancora.
*
10. Persuasione
Anche di te vi e' bisogno
se questo sogno vogliamo trarre a vita
anche di te fa bisogno
per salvare di tutti la vita.
7. MAESTRE. JANINA BAUMAN: IL TERRORE E LA MEMORIA
[Da Janina Bauman, Un sogno di appartenenza, Il Mulino, Bologna 1997, p. 23.
Janina Bauman, ebrea polacca nata a Varsavia nel 1926, ha vissuto la
drammatica esperienza del ghetto di Varsavia. Sopravvissuta alla Shoah,
laureata in scienze sociali e politiche, ha lavorato nell'industria
cinematografica polacca; dopo le lotte studentesche del 1968 con il marito
Zygmunt che del movimento studentesco era uno dei punti di riferimento ha
dovuto abbandonare la Polonia. Tra le sue opere, i due volumi di memorie:
Inverno nel mattino, e Un sogno di appartenenza, entrambi editi dal Mulino]
Il terrore era passato, ma la memoria restava.
8. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: LA GUERRA, IL DIRITTO, E DUE IPOTESI
SULL'ONU
[Dal n. 39 del maggio 2003 de "La rivista del manifesto" (in rete:
www.larivistadelmanifesto.it) riprendiamo questo intervento di Luigi
Ferrajoli, illustre giurista, nato a Firenze nel 1940, gia' magistrato tra
il 1967 e il 1975, dal 1970 docente universitario. Opere di Luigi Ferrajoli:
tra i lavori recenti segnaliamo particolarmente la monumentale monografia
Diritto e ragione, Laterza 1989, giunta alla terza edizione; il saggio La
sovranita' nel mondo moderno, Laterza 1997; e La cultura giuridica
nell'Italia del Novecento, Laterza 1999]
Due interpretazioni della guerra contro l'Iraq
Secondo una tesi ampiamente diffusa, rafforzatasi dopo la caduta del regime
iracheno, la guerra scatenata contro l'Iraq dagli Stati Uniti senza
l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e contro il
parere di gran parte della comunita' internazionale ha rappresentato una
pesante sconfitta dell'Onu e ne ha segnalato la crisi e forse la fine. Oltre
alla crisi dell'Onu, si aggiunge, la guerra ha provocato la crisi
dell'Unione europea, divisasi tra i paesi che hanno sostenuto la guerra e
quelli che l'hanno condannata.
E' significativo che queste tesi vengano sostenute con particolare fervore
soprattutto dalle potenze che stanno facendo la guerra e da tutti coloro che
la guerra hanno appoggiato: dall'amministrazione Bush, in primo luogo, che
non ha mai nascosto il suo disprezzo per le Nazioni Unite, e dai governi
satelliti, a cominciare dal governo italiano.
Secondo questa tesi l'Onu, non avendo il Consiglio di Sicurezza votato la
guerra, sarebbe diventata, come ha dichiarato il presidente Bush,
"irrilevante". Non avendo preso atto "della determinazione degli Usa, unica
superpotenza rimasta, di arrivare comunque alla guerra", ha aggiunto Silvio
Berlusconi, avrebbe subito un "depotenziamento" e una "perdita di
credibilita'".
E' una tesi singolare. Non potendosi negare che la guerra e' stata illecita,
si tenta di negare il diritto, decretandone il superamento di fatto solo
perche' e' stato violato e, insieme, squalificando le istituzioni
internazionali che la sua violazione non hanno avallato.
E' stato precisamente questo, del resto, un obiettivo non secondario, forse
il principale, di questa guerra: quello di rifondare l'ordine internazionale
sulla superpotenza americana e sulla guerra, esautorando l'Onu o riducendola
a organismo subalterno al governo imperiale degli Stati Uniti. Ricordiamo il
Project for a New American Century elaborato, ben prima dell'elezione di
Bush, dai suoi attuali collaboratori - Cheney, Rumsfeld e Wolfowitz - nel
quale si afferma che gli Stati Uniti non dovranno mai piu' tollerare potenze
industriali o militari concorrenti sulla scena internazionale: un progetto
imperiale, poi ribadito ossessivamente, con toni da crociata, in tutti gli
interventi pubblici del presidente Bush successivi all'11 settembre, dal
discorso del 14 settembre 2001 nel quale fu dichiarata la guerra infinita
per "liberare il mondo dal male", fino alla dichiarazione della guerra
preventiva "di durata indefinibile" contenuta nel documento strategico del
17 settembre 2002.
Questa guerra, ci hanno ripetuto, e' stata fin dall'inizio progettata "senza
se e senza m"', al di la' dei diversi pretesti accampati, quale fine a se
stessa: una prova di forza diretta essenzialmente a rilegittimare la guerra,
e piu' precisamente il diritto di guerra in capo alla superpotenza
americana. Ed e' stata percio' una guerra "preventiva" non gia' e non tanto
rispetto alle inverosimili minacce alla pace rappresentate dall'Iraq, quanto
piuttosto nei confronti di tutte le altre potenze, presenti e future, a
cominciare dall'Unione europea.
E' tuttavia accaduto un fatto straordinario e inaspettato. Se l'obiettivo
della politica statunitense era una rifondazione del diritto internazionale
e una rilegittimazione della guerra, questo obiettivo non e' stato
raggiunto. Una cosa e' infatti certa. Questa guerra ha risvegliato la
coscienza civile di milioni di persone. Ha dato vita a un movimento globale,
tanto eterogeneo quanto potentemente unitario nel ripudio della guerra e
nella difesa dei diritti umani. Di piu', ha fatto nascere l'embrione di una
societa' civile mondiale. Da Melbourne a San Francisco, passando per Roma,
Parigi, Berlino, Londra, Madrid e Barcellona, abbiamo visto prendere corpo
nelle piazze e nelle strade di tutto il mondo un popolo globale accomunato
dalla condivisione dei medesimi valori: la pace, i diritti umani e la
legalita' internazionale. Se pure non e' riuscito a impedire la guerra,
questo movimento di protesta ne ha finora impedito la legittimazione morale
e politica.
Se questo e' vero, la tesi della crisi o peggio della fine dell'Onu e
dell'Unione europea puo' essere, con paradosso apparente, rovesciata.
Dobbiamo infatti riconoscere che oggi, contrariamente alle tesi degli
apologeti della politica di guerra americana, l'Onu non e' mai stato cosi'
importante e "rilevante", punto di riferimento politico per la maggioranza
dei paesi del mondo. E non e' mai stata cosi' rilevante l'Europa, che
certamente si e' divisa ma ha anche dato per la prima volta un segno di
autonomia dalla sudditanza agli Stati Uniti.
Per la prima volta il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, posto di fronte a una
pretesa illegittima degli Stati Uniti, ha rispettato il suo statuto ed ha
tenuto fede alla sua ragion d'essere: la salvaguardia della pace.
E la legalita' internazionale e' divenuta, come mai in passato, il criterio
di valutazione della guerra. Per questo la guerra americana e' stata
avvertita, dalla grande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, come un
crimine: perche' ha violato clamorosamente la Carta dell'Onu e perche'
questa violazione non ha ricevuto l'avallo del Consiglio di Sicurezza.
La fine dell'Onu si sarebbe avuta se il Consiglio di Sicurezza avesse votato
la guerra, come molti avrebbero voluto, con una risoluzione che sarebbe
stata comunque illegittima perche' non ne esisteva il presupposto giuridico,
cioe' l'accertamento dell'esistenza di una minaccia alla pace richiesto
dall'art. 39 della Carta, e ne avrebbe percio' sanzionato la soggezione
incondizionata agli Stati Uniti.
Il fatto invece che il Consiglio di Sicurezza non abbia ceduto alla
prepotenza americana ha non solo evidenziato e aggravato l'illegittimita'
della guerra, ma ha conferito alle Nazioni Unite una rilevanza e una
credibilita' senza precedenti. Non era mai successo che gli Stati Uniti
avessero cosi' lungamente ricercato l'autorizzazione dell'Onu. Ne' era mai
successo che non l'avessero ottenuta. Si e' trattato di una novita'
assoluta: per la prima volta le ragioni del diritto sono state giudicate
prevalenti sulle ragioni della forza, e la guerra ha cercato, ma non ha
ottenuto, neppure formalmente, la legittimazione del diritto. Gli americani
chiesero forse l'autorizzazione dell'Onu per fare la guerra in Vietnam? E la
stessa opposizione alla guerra del Vietnam fu mai da qualcuno condotta in
nome del diritto? Quanto poi alle guerre dell'ultimo decennio, esse furono
si' contestate da molti di noi come contrarie alla legalita' internazionale.
Anche contro di esse ci furono mobilitazioni di massa. Ma si tratto' di
contestazioni sostanzialmente minoritarie, cui non corrispose nessun
sostegno da parte degli Stati e meno che mai del Consiglio di sicurezza, che
fu invece in esse coinvolto o da esse emarginato.
Oggi, al contrario, la guerra americana e' stata condannata dalla
maggioranza dei popoli e degli Stati come una guerra di aggressione e di
rapina. Ovviamente nessuno puo' rimpiangere la rapida caduta del regime
feroce di Saddam Hussein. Tuttavia, nonostante la vittoria, del resto
scontata, gli Stati Uniti non sono mai stati cosi' isolati. Mezza Europa, la
maggioranza del Consiglio di sicurezza e dei suoi membri permanenti, la
Conferenza islamica, la Lega araba e la stragrande maggioranza dei paesi
delle Nazioni Unite non hanno accettato l'unilateralismo statunitense e non
si sono piegate al ricatto, alle pressioni e ai tentativi di corruzione
posti in atto dall'amministrazione americana.
Soprattutto, poi, e' emerso sulla scena politica un nuovo protagonista -
l'opinione pubblica mondiale - che al di la' degli schieramenti politici ha
condannato fermamente la guerra, pur senza indulgere minimamente nei
confronti del regime di Saddam Hussein.
E la condanna, questa e' la novita', e' avvenuta nel nome del diritto. Dai
movimenti di massa che hanno invaso le strade e le piazze con decine di
milioni di manifestanti - 110 milioni nella giornata del 15 febbraio - alla
maggioranza dei governi dei paesi membri dell'Onu, dal papa alle varie
chiese, tutti hanno letto, interpretato e contestato questa guerra con il
linguaggio del diritto.
Per la prima volta, la dimensione normativa del diritto e' entrata nel senso
comune e la legge arbitraria del piu' forte e' stata avvertita come
violazione della legalita' internazionale, rivelatasi a sua volta effettiva
come non mai. L'effettivita' del diritto, infatti, non consiste tanto nel
fatto che esso non sia mai violato, cio' che e' inverosimile dato il suo
carattere normativo, e neppure nel fatto che alle sue violazioni segua
sempre una sanzione. Essa risiede ancor prima, e soprattutto, nel fatto che
le sue violazioni siano percepite come tali: in breve, nel senso comune,
radicato e generalizzato, del carattere vincolante delle norme e
dell'illiceita' della loro trasgressione. Che e' precisamente quel che e'
avvenuto, per il divieto della guerra, in una misura che non ha precedenti
nella storia.
Io credo che la superpotenza americana per prima - i suoi esponenti politici
e la sua opinione pubblica - dovrebbe riflettere seriamente sul crollo del
suo prestigio e della sua credibilita' seguito a questa guerra. Con questa
iniziativa unilaterale gli Stati Uniti hanno dissipato l'egemonia indiscussa
di cui godevano all'indomani della caduta del muro di Berlino e l'enorme
patrimonio di solidarieta' che avevano accumulato dopo l'11 settembre. Per
questo e' ridicola l'accusa di antiamericanismo nei confronti di chi critica
questa politica: e' come accusare di anti-italianismo chi e' contro il
governo Berlusconi. Si potrebbe dire, al contrario, che dal punto di vista
degli interessi, anche di potenza, degli Stati Uniti, "anti-americana" e'
precisamente questa militarizzazione della politica. Gli Stati Uniti, se i
loro governanti fossero stati all'altezza della sfida gorbacioviana del
disarmo progressivo e generalizzato e della rifondazione dell'Onu sul
modello dello stato di diritto, avrebbero potuto esercitare sul mondo, dopo
la fine della guerra fredda, una sicura egemonia, sulla base della loro
riconosciuta superiorita' non solo militare ma soprattutto politica,
economica, tecnologica e culturale. Hanno invece dissolto, con la politica
delle armi, il generale consenso di cui godevano nelle relazioni
internazionali. Hanno scelto di fondare il loro dominio planetario sulla
paura, anziche' sull'egemonia e sul consenso. Al di la' della vittoria
militare, fin dall'inizio scontata, questa avventura ha rappresentato, a me
pare, la piu' grave sconfitta politica subita dagli Stati Uniti nella loro
storia.
*
Due ipotesi sul futuro dell'Onu. Il progetto americano
Tutto questo non vuol dire affatto che il progetto di una rifondazione
dell'ordine internazionale sul dominio degli Stati Uniti e sull'uso della
guerra come strumento di governo planetario non abbia altissime probabilita'
di riuscita. Possiamo al contrario essere certi che se l'attuale
amministrazione Bush, come e' probabile, sara' confermata al potere nelle
prossime elezioni, quel progetto, nonostante le velleita' e le illusioni di
Tony Blair, sara' perseguito a qualunque costo. Si parla gia' di una replica
della guerra contro la Siria e contro l'Iran, e poi contro altri paesi volta
a volta qualificati dal nuovo sovrano "Stati canaglia". Questa guerra, del
resto, non e' stata uno strappo contingente del diritto internazionale, ma
una scelta strategica: il primo passo di una guerra che si vuole "infinita"
o comunque destinata a finire solo con il trionfo incontrastato in tutto il
mondo del modello imperiale americano.
E' altrettanto certo, tuttavia, che questo progetto sta facendo paura a
tutto il mondo. Giacche' e' il progetto di una escalation della guerra e del
terrore all'insegna della destabilizzazione permanente e di un imperialismo
apertamente dichiarato. Per questo l'attuale isolamento degli Stati Uniti,
la pur parziale autonomia dell'Europa, la spaccatura dell'Occidente e,
soprattutto, la rivolta delle opinioni pubbliche di quasi tutti i paesi
occidentali rendono oggi possibile un'alternativa basata sul rilancio
dell'Onu e del diritto internazionale: se non altro, per i terribili costi
dei quali il mondo sembra sempre piu' consapevole, che il progetto americano
comporterebbe e che, va aggiunto, peserebbero non solo su tutto il pianeta
ma anche sugli stessi Stati Uniti.
Sono queste le due opposte, possibili ipotesi, conseguenti alle due
interpretazioni della guerra contro l'Iraq e del ruolo in essa svolto
dall'Onu e da una parte dell'Europa, che oggi si prospettano circa il futuro
delle relazioni internazionali.
La prima ipotesi punta a uno smantellamento dell'Onu, di cui non a caso si
diagnostica la crisi e il superamento - cosi' come, in Italia, si
diagnostica il superamento dell'art. 11 della nostra Costituzione - nella
prospettiva di una rifondazione dell'ordine mondiale sul dominio
statunitense e sulla guerra perpetua come strumento di soluzione delle
controversie internazionali.
Non e' difficile prevedere gli effetti che dovremo attenderci da una simile,
dissennata militarizzazione della politica internazionale.
Il primo effetto sara' una crescita esponenziale dell'instabilita' politica
nei paesi occupati, della minaccia terroristica, della corsa al riarmo -
dalla Russia all'Europa, dalla Corea all'Iran - e percio' dell'insicurezza
di tutti, inclusi gli Stati Uniti. Ma sara' anche un aumento in tutto il
mondo dell'odio nei confronti dell'Occidente e il crollo dei suoi cosiddetti
"valori", dei quali risultera' esplicitato il sottofondo razzista: la
copertura ideologica da essi offerta alla guerra, presentata come loro mezzo
di esportazione e diretta in realta' a difendere lo spaventoso divario di
ricchezza e di tenore di vita tra i nostri paradisi democratici e il resto
del mondo; la prospettiva, in breve, di un ordine mondiale fondato sulla
disuguaglianza, sullo sfruttamento, sull'esclusione, sulla forza, sul
terrore ed anche sull'inganno. Il terrorismo avrebbe vinto davvero. Di piu',
sarebbe il solo vincitore di questa sconsiderata guerra infinita, a sua
volta apertamente terroristica, che comprometterebbe non solo la pace ma
anche la sicurezza di tutti.
Il secondo effetto, del quale esistono gia' innumerevoli segni allarmanti,
e' la crisi della democrazia all'interno dei nostri paesi. Si pensi al clima
di paura, di emergenza, di patriottismo guerresco, di intimidazione e di
intolleranza per il dissenso che sta inquinando l'opinione pubblica
americana. Si pensi alla disinformazione nel paese della liberta' di stampa:
abbiamo tutti letto che la grande maggioranza dei cittadini statunitensi e'
convinta che l'attentato dell'11 settembre fu organizzato da Saddam Hussein,
che gli attentatori suicidi erano tutti iracheni e che Saddam stesse
preparando nuovi attentati contro gli Usa. Ma si pensi, soprattutto, alle
vergognose "leggi patriottiche" del 16 e del 26 ottobre 2001, che
autorizzano il presidente americano a dichiarare "terroristico", a suo
sovrano giudizio, qualunque soggetto o associazione nazionale o straniera,
aboliscono l'habeas corpus e istituiscono tribunali speciali e processi
sommari per i non cittadini statunitensi: "siamo tutti americani", si disse
all'indomani dell'11 settembre, ma non di fronte al diritto americano. Gli
Stati Uniti stanno d'altro canto diventando una societa' militarizzata, in
stato permanente d'assedio. E nulla garantisce contro l'involuzione interna
della loro pur solida democrazia, per effetto dell'assuefazione o peggio del
consenso di un'opinione pubblica impaurita e incattivita a qualunque
aggressione al diritto e ai diritti.
C'e' poi un terzo effetto, forse il piu' allarmante, che conseguirebbe alla
strategia americana e sul quale e' utile soffermarsi. Questa guerra
preventiva, infinita e sconfinata, globale e permanente, fatta contro la
volonta' dalla maggioranza degli Stati e di tutti i popoli del mondo,
eccettuato quello statunitense, ha posto in maniera chiara e drammatica il
problema del futuro della democrazia, ben al di la' di quanto si e' detto
sulle involuzioni autoritarie in atto negli Stati Uniti e in molti altri
paesi dell'Occidente. Tocchiamo qui una questione di fondo, che riguarda i
presupposti stessi della democrazia nell'eta' della globalizzazione. La
globalizzazione consiste precisamente in quell'assenza di regole e di limiti
giuridici ai grandi poteri transnazionali, politici ed economici, della
quale la guerra e' la manifestazione piu' terribile. Essa ha fatto saltare,
insieme alla sovranita' degli Stati e al monopolio statale della produzione
giuridica, il rapporto tra sistemi politici e popoli, tra pubblici poteri e
base sociale su cui si sono modellati cosi' la democrazia rappresentativa
che lo Stato di diritto.
Nell'eta' della globalizzazione, infatti, il futuro di ciascun paese, con la
sola eccezione degli Stati Uniti, dipende sempre meno da decisioni prese al
suo interno dai suoi governanti e sempre piu', soprattutto se si tratta di
paesi poveri, da decisioni esterne, assunte in sedi politiche sovranazionali
o da poteri economici globali. E' percio' venuto meno il nesso
democrazia/popolo e poteri/Stato di diritto, tradizionalmente mediato dalla
rappresentanza politica e dal primato della legge che dalla politica e'
prodotta. In un mondo di sovranita' disuguali e di crescente interdipendenza
non e' piu' vero che le decisioni rilevanti spettino a poteri direttamente o
indirettamente democratici; che le procedure democratiche garantiscano la
coincidenza dei governanti con i rappresentanti; che l'elezione di un
presidente o di un parlamento da parte di un popolo sia irrilevante per il
futuro di altri popoli. Sicuramente, l'elezione di un presidente degli Stati
Uniti bellicista ha effetti decisivi sul futuro della pace per tutti gli
abitanti del pianeta.
Tutto questo - la crisi del nesso Stato/democrazia e Stato/Stato di
diritto - era chiaro ben prima della guerra contro l'Iraq. Ma di tutto
questo la guerra ha esplicitato la terribile e minacciosa portata. Giacche'
la sua accettazione equivale alla restaurazione del diritto di guerra in
capo ad un unico sovrano cui tutti noi siamo sottoposti: un sovrano
"assoluto", nel senso letterale di legibus solutus, quale mai e' esistito
neppure nell'eta' dell'assolutismo, dato che il suo potere si propone come
universale e globale e la guerra, rimessa dalla Costituzione del suo paese
alla sua decisione, non e' la vecchia guerra tra piccoli eserciti, ma la
guerra odierna, illimitatamente distruttiva oltre che perpetua e planetaria.
Cio' che il progetto strategico americano sta prospettando - oltre a una
stagione di disordine infinito in un mondo popolato di ordigni nucleari, e
al di la' delle involuzioni illiberali dei nostri sistemi politici - e' il
collasso del paradigma stesso della democrazia costituzionale, fondata sulla
rappresentanza politica e sulla soggezione alla legge di tutti i poteri, e
la sua sostituzione con una sorta di stato d'eccezione internazionale
affidato al dominio militare della superpotenza americana e per essa del suo
presidente.
*
L'alternativa del diritto e la rifondazione dell'Onu
E' di fronte ai pericoli di questa regressione neoassolutistica dell'ordine
internazionale che si e' riaperto, nel mondo, lo spazio della politica e,
insieme, del diritto.
La novita' di questa guerra e' che questi pericoli, proprio perche'
apertamente dichiarati ed esibiti dal governo statunitense, sono stati
percepiti da tutto il mondo - dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza e
dalla grande maggioranza degli Stati, dalle pubbliche opinioni e da tutte le
Chiese - come micidiali e intollerabili.
Le tre guerre precedenti - la prima guerra del Golfo, quella per il Kosovo e
quella contro l'Afghanistan - furono anch'esse illegittime perche' in
contrasto con la Carta dell'Onu. Ma esse furono avallate sia dalla comunita'
internazionale che dalla maggioranza delle pubbliche opinioni. A differenza
della guerra in atto, esse invocarono a loro giustificazione argomenti
umanitari e para-giuridici, occultando le finalita' strategiche da cui erano
anch'esse motivate: il vizio, in questo modo, rendeva omaggio alla virtu',
formalmente pur se ipocritamente non rinnegata. Oggi, invece, la guerra
infinita e imperiale e' stata ripetutamente annunciata come strumento di
governo del mondo dal presidente Bush, che si e' curato di dissipare intorno
ad essa qualunque velo ideologico. Naturalmente non possiamo sapere se
Clinton avrebbe anch'egli scatenato questa guerra. Probabilmente non
l'avrebbe fatto, dato che il progetto della guerra contro l'Iraq appartiene
al gruppo oltranzista oggi al potere, che l'aveva proposto fin dalla
presidenza del primo Bush e poi accantonato. Ma e' certo che qualunque altra
guerra avesse fatto un presidente come Clinton sarebbe stata all'insegna
della copertura dell'Onu o quanto meno dell'Alleanza atlantica.
La rozzezza e il manicheismo religioso dell'attuale amministrazione hanno
comportato, se non altro, il vantaggio che l'operazione di normalizzazione e
di rilegittimazione della guerra, per la spaventosa arroganza con cui e'
stata perseguita, non e' riuscita. L'unilateralismo americano e' stato
rifiutato, in tutto il mondo, dai governi della maggioranza degli Stati e
dalla mobilitazione della maggioranza delle pubbliche opinioni. E il
super-potere degli Stati Uniti ha per la prima volta mostrato un difetto:
quello di non essere ne' accettato, ne' riconosciuto.
E' difficile dire quanto peso in questo non riconoscimento abbiano le
ragioni del diritto calpestate dai metodi di governo del mondo esibiti da
questo super-potere, quanto gli interessi politici ed economici degli altri
Stati, piccoli e grandi, e quanto l'obiezione di coscienza delle grandi
manifestazioni pacifiste. E' pero' certo che questi tre fattori convergono,
essendo l'uno funzionale all'altro: giacche' il diritto e i diritti sono al
tempo stesso l'unica tecnica di limitazione dei super-poteri, altrimenti
assoluti, nonche' di garanzia di una convivenza pacifica informata
all'uguaglianza e all'interesse di tutti.
E' quindi possibile che di fronte ai pericoli prefigurati da questa guerra
torni a prevalere la ragione: che si riconosca finalmente che non solo la
pace e la sicurezza ma anche la democrazia sono minacciate dall'assenza di
una sfera pubblica internazionale all'altezza dei nuovi poteri
transnazionali, siano essi economici o politici o militari.
Si riapre, in altre parole, lo spazio di una politica che punti non solo
alla difesa dell'Onu, ma anche al completamento del suo ordinamento nella
prospettiva di uno stato di diritto internazionale: innanzitutto la
democratizzazione del Consiglio di sicurezza; in secondo luogo la
funzionalizzazione delle attuali istituzioni di governo dell'economia - il
Wto, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e la fitta rete
dei poteri economici transnazionali - allo sviluppo dei paesi poveri e alla
tutela dei diritti economici e sociali; in terzo luogo la creazione di
adeguate funzioni e istituzioni di garanzia della pace e dei diritti
fondamentali, a cominciare dal disarmo progressivo e dalla messa al bando
della produzione e del commercio di armi; infine la formulazione di una
definizione adeguata del "crimine di aggressione", previsto dall'art. 5
lett. d dello statuto della Corte penale internazionale ma non ancora
elaborata anche a causa dell'opposizione degli Stati Uniti.
Perche' si realizzi una simile prospettiva sono pero' necessarie molte
condizioni.
La prima e' che continui la mobilitazione pacifista: perche' questa guerra
sia ricordata e condannata come un crimine e perche' su di essa non sia
possibile rifondare l'ordine internazionale, che sarebbe poi il massimo
disordine. A questo scopo e' essenziale che la ferita inferta con questa
guerra al diritto e alla convivenza civile non sia in alcun modo risanata:
che essa continui a pesare come un crimine nella memoria e nella coscienza
di tutti; che ovviamente si ricomponga la funzionalita' dell'Onu, ma senza
dimenticare cio' che e' accaduto. Sono solo le mobilitazioni pacifiste,
d'altro canto, che possono salvare la credibilita' di una parte almeno
dell'Occidente, impedendone l'equazione con la guerra anziche' con la pace e
con la democrazia, e insieme scongiurare lo scontro di civilta' e la guerra
di religione cui la politica americana ci condurrebbe.
La seconda condizione e' percio' la costruzione di un'Unione europea non
subalterna politicamente e culturalmente agli Stati Uniti. A questo scopo
non serve un'Europa come potenza militare, simmetrica e concorrente sul
terreno delle armi con gli Stati Uniti, quasi un ritorno a un nuovo
bipolarismo armato. Serve al contrario un'Europa in grado di rivendicare un
primato civile grazie precisamente al ripudio della guerra e alla difesa del
diritto e dei diritti; capace di rifuggire dalle tentazioni imperialistiche,
essendo vaccinata dai fallimenti dei suoi tanti imperi, antichi e recenti,
creati dai suoi diversi Stati nella sua lunga storia; idonea a proporsi come
modello di democrazia costituzionale alternativo al modello liberista e
imperiale americano perche' fondato sulla garanzia dei diritti sociali oltre
che della pace. Di qui l'enorme importanza dei tempi del processo di
integrazione dell'Europa e della qualita', allo stato attuale purtroppo
deludente, dei principi, dei diritti e delle garanzie che saranno
incorporate nella Costituzione europea in via di elaborazione.
La terza condizione e' che si sviluppi il dissenso nell'opinione pubblica
statunitense nei confronti dell'attuale amministrazione. Sicuramente il
progetto imperiale da questa perseguito non e' stato inventato da Bush, ma
affonda le sue radici in buona parte della politica estera americana.
Tuttavia, l'enorme consenso e la grande popolarita' di cui gode attualmente
il presidente americano sono dovuti soprattutto a due fattori. Il primo e'
la paura, alimentata dalla campagna presidenziale e dalla disinformazione:
ho gia' ricordato l'altissima percentuale di statunitensi convinti di essere
stati aggrediti, l'11 settembre, dall'Iraq di Saddam Hussein. Il secondo e'
il rapporto malsano noi/loro, Stati Uniti/ resto del mondo, sul quale si
basano le forme piu' accese di patriottismo istituzionale, generate a loro
volta dalla sostanziale non conoscenza del mondo esterno, avvertito, quando
non ignorato, come virtualmente ostile. Sono due fattori che possono essere
contrastati solo dalla mobilitazione del dissenso manifestatosi in questi
mesi e dalla crescita della consapevolezza circa la posta in gioco:
l'identita' democratica degli Stati Uniti e i loro stessi interessi di lungo
periodo. Per questo vanno respinte, come insensate e inammissibili nel
dibattito pubblico, le opzioni o le accuse di "filo-americanismo" o di
"anti-americanismo": formule e trappole ideologiche, che offrono degli Stati
Uniti un'immagine indifferenziata, in tutti i casi sbagliata, che puo' solo
giovare alla loro attuale politica di aggressione.
Naturalmente non ha senso fare previsioni e neppure dividersi tra ottimisti
e pessimisti. La sola cosa che sembra certa e' che oggi piu' che mai il
futuro dell'ordine internazionale resta largamente indeterminato. Grazie
alle grandi mobilitazioni pacifiste, l'esito del confronto tra la politica
americana della forza e una politica di pace rivolta al rafforzamento delle
Nazioni Unite e delle garanzie dei diritti umani non e' affatto scontato.
9. RIFLESSIONE. AMERIGO BIGAGLI: ANCORA SULLE BANDIERE DELLA PACE
[Ringraziamo Amerigo Bigagli (per contatti: amerigobigagli@infinito.it) per
questo intervento. Amerigo Bigagli e' impegnato nel Movimento Nonviolento a
Prato]
Ho seguito un po' il dibattito nella newsletter sulle bandiere della pace.
Mi rattrista il pensiero di toglierla dal balcone, ma mi rendo anche conto
che ho anch'io una certa assuefazione alla loro presenza su balconi e
davanzali. Allora mi sono chiesto come fare per riattivare l'attenzione alle
bandiere ed al loro significato sebbene in realta' vi siano, pultroppo,
diversi motivi sulla terra per sventolarle ancora.
Propongo dunque ai promotori dell'iniziativa (se cio' non comporta grosse
difficolta' per motivi che ora mi sfuggono) di concordare il momento e tempo
per aggiungere alle bandiere una striscia autoprodotta con su scritto il
riferimento ad uno dei tanti casi di conflitto e/o d'ingiustizia che
affligono in primo luogo popolazioni gia' sofferenti per la poverta' (ad
es.: Congo, Saharawi, Eritrea, Sudan, Cecenia, etc).
Il fatto che le bandiere, a seguito di una tale iniziativa, si logorino
ancora piu' rapidamente non mi pare grave, ma lo interpreto piuttosto come
la testimonianza che la lotta per la pace comporta lacerazioni comunque
rimarginabili.
10. INFORMAZIONE. "NIGRIZIA" DI LUGLIO-AGOSTO 2003
Nel fascicolo di luglio-agosto 2003 di "Nigrizia", l'ottimo "mensile
dell'Africa e del mondo nero" promosso dai missionari comboniani (per
contatti: e-mail: redazione@nigrizia.it, sito: www.nigrizia.it), tra molti
altri materiali un ampio dossier su "l'eredita' di Martin Luther King". Ne
raccomandiamo vivamente la lettura.
11. RILETTURE. AA. VV.: CANTI DELLA PROTESTA FEMMINILE
AA. VV., Canti della protesta femminile, Newton Compton, Roma 1977, pp. 240.
In questi "contributi alla presa di coscienza d'una nuova cultura
rivoluzionaria" "un viaggio attraverso il canto popolare tradizionale e la
nuova creativita' musicale femminile, alla ricerca della cultura che le
donne hanno espresso da sempre nella lunga lotta per la loro liberazione"
(dalla prima e dalla quarta di copertina).
12. RILETTURE. JOAN BAEZ: BALLATE E FOLKSONG
Joan Baez, Ballate e folksong, Newton Compton, Roma 1977, pp. 176. Con testo
originale a fronte, le parole di molte canzoni popolari cantate dalla grande
ricercatrice e musicista pacifista.
13. RILETTURE. BILLIE HOLIDAY: LA SIGNORA CANTA IL BLUES
Billie Holiday, La signora canta il blues, Feltrinelli, Milano 1979, 2002,
pp. 300, euro 8. Una delle piu' grandi voci del jazz si racconta. Con
un'ampia discografia.
14. RILETTURE. VIOLETA PARRA: CANZONI
Violeta Parra, Canzoni, Newton Compton, Roma 1979, pp. 240. Una bella
raccolta di canzoni (con testo originale a fronte) della grande artista,
studiosa e militante cilena. Con ampio apparato critico e documentario.
15. RILETTURE. BESSIE SMITH: CANZONI
Bessie Smith, Canzoni, Lato Side, Roma 1981, pp. 96. Con originale a fronte
i testi di molte canzoni indimenticabilmente interpretate dalla "regina del
blues".
16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 607 del 10 luglio 2003