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La nonviolenza e' in cammino. 600



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 600 del 3 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Germaine Tillion: la sede dell'Onu a Gerusalemme
2. Nello Scardani: ancora dieci parole della nonviolenza riflesse in dieci
volti di donne
3. Maria G. Di Rienzo: condividere il potere nelle relazioni
4. Enrico Peyretti: il mio paese
5. Francesco Tullio: disobbedire o resistere?
6. Giovanna Boursier: i rom e l'Europa
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. GERMAINE TILLION: LA SEDE DELL'ONU A GERUSALEMME
[Questo frammento abbiamo estratto da un'intervista a cura di Charles
Silvestre apparsa su "L'humanite'" del 6 marzo 2003. Germaine Tillion, 96
anni compiuti il 30 maggio scorso, e' una delle piu' grandi figure morali
del Novecento; allieva di Marcel Mauss, etnologa e antropologa, ricercatrice
in Algeria e solidale col popolo algerino, poi animatrice in Francia della
Resistenza, deportata nel lager di Ravensbrueck; antirazzista ed
anticolonialista, impegnata contro tutti i totalitarismi, contro la guerra,
contro la tortura, nella solidarieta' con i popoli oppressi, per i diritti
delle donne, per i diritti umani; ha condotto e preso parte a iniziative di
pace, di verita' e giustizia, e scritto libri fondamentali. E' ancora
incredibilmente pressoche' sconosciuta in Italia. Su Germaine Tillion hanno
scritto testi notevoli tra altri Jean Lacouture e Tzvetan Todorov]
Non a New York, che e' anche la sede del potere del denaro e del potere
militare; la sede dell'Onu non puo' essere che a Gerusalemme.
Gerusalemme e' la sede della religione ebraica, della religione musulmana e
della religione cristiana. E' altresi' il luogo in cui le persone che sono
semplicemente politicamente impegnate, sagge, anche non credenti, possono
accettare che si trovino i loro rappresentanti.

2. RIFLESSIONE. NELLO SCARDANI: ANCORA DIECI PAROLE DELLA NONVIOLENZA
RIFLESSE IN DIECI VOLTI DI DONNE
[Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio
promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia
Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In
preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della
nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni,
contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta@sis.it; sito:
www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di
riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni
mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico
Nello Scardani ha voluto contribuire improvvisando, seguendo il cattivo
esempio altrui, questi versi]

1. Carla Lonzi, o della forza della verita'

Piu' passa il tempo e piu' diventa chiaro
che quelle parole scritte sulla carta vetrata
trent'anni fa, ancora c'interpellano.

Piu' passa il tempo e piu' diventa urgente
quel nitore di sguardo e di voce
per contrastare l'orrore presente.
*
2. Maria Zambrano, o della coscienza

La coscienza e' l'esilio
e l'esilio e' il ritrovarsi.

Perso tutto, allora resti tu.

Ed il pensiero che pensa e che ricrea
un mondo intero infine abitabile
da tutte tutte le persone umane.
*
3. Marina Cvetaeva, o dell'amore

Nessuno mai amo' quanto Marina:
amo' la luce e la terra, i corpi e i sogni e le parole.

Amo' le vite delle persone
si oppose sempre al cenno del carnefice.
*
4. Violeta Parra, o della festa

Conosceva la tristezza dalla coda lunga
come la Ande e fino in Patagonia.

Sapeva stringere i denti e lottare
masticando le erbe piu' amare, senza arrendersi mai.

Smascherava i fascisti col grido e col riso
e col ragionamento,
insegnava ad ascoltare lo zittito, l'offesa, gli inermi.

Ed abbracciata alla chitarra con la voce
rompeva catene, cavalcava le nuvole, dava sollievo
muovendo al coro e alla danza.

Al popolo restituiva
la dignita' rubata dai padroni.
*
5. Georgia O'Keeffe, o della sobrieta'

Per arrivare all'essenzialita'
occorre liberarsi dai feticci
spogliarsi dai viluppi di fantasmi
alla lusinghe del superfluo dire no.
Ed asciugarsi, andare nel deserto.

E solo allora trovi la scala
che dalla terra porta alla luna.
*
6. Marianella Garcia, o della giustizia

Salvare anche i morti
restituir loro il volto,
allo scempio compiuto dai carnefici
opporre infinita la pieta'.

E cosi' salvare coloro che verranno
dalla ripetizione incessante dell'orrore,
cosi' salvare l'umanita' presente,
cosi' rendere bene per male.
*
7. Rosanna Benzi, o della liberazione

Io la ricordo come una voce
che mi giunse qualche volta da un telefono
da Genova, dal polmone d'acciaio.

Ma la ricordo anche come donna
che volle vivere una vita piena
di affetti e di lotte, di verita'
che affronta il dolore e nessuno abbandona
nelle fauci dell'orco, nessuno
nel pozzo nero della solitudine
lascia che sia gettato.

Di liberazione maestra
non piu' dimenticata.
L'apertura che Capitini disse
in lei si era incarnata.
*
8. Ginetta Sagan, o del potere di tutti

Partecipo' alla Resistenza
fondo' Amnesty International
rese l'umanita' piu' buona e piu' forte.

Ancora chiama la sua voce all'azione
e chiama te.
*
9. Emily Dickinson, o della bellezza

Si puo' condurre una vita segreta
e donare al mondo tanta luce
che io che leggo ogni volta mi chiedo
quanto dolore costo' tanta gioia
quanta fatica tale levita'.

Si puo' essere sola e in solitudine
essere gia' figura dell'intero
genere umano, e lieve silenziosa
essere gia' di quella
societa' delle estranee che il mondo
ha da salvare, da mettere al mondo.
*
10. Margarete Buber-Neumann, o della persuasione

I campi, e nei campi l'umanita'.
I campi, e contro i campi l'umanita'.

Dire la verita', salvare quel che resta
delle vittime, contrastare
il totalitarismo che genera i campi
ed ogni ora si riproduce.
Ed ogni ora devi contrastare.

Saper distinguere tra i ruoli, le idee
astratte, e concreta la carne che soffre.
Saper riconoscere il bene e non sottrarsi.
Fare la scelta di salvare le persone.

3. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: CONDIVIDERE IL POTERE NELLE RELAZIONI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Si potrebbe dire che e' il salto evolutivo che come umanita' ci troviamo di
fronte: la condivisione del potere, ovvero il muoversi dalle strutture di
dominio verso l'esercizio di un potere collettivo che abbia come scopo il
benessere di ciascuno e di tutti. Il paradigma del dominio e' "me o loro",
quello della condivisione e' "me e loro", il potere di creare insieme.
Naturalmente ci vuole qualcosa di piu' del trovare "buona" l'idea: ognuno/a
di noi deve imparare a pensare in modo differente, a fare nuove valutazioni,
a usare nuove pratiche, sino a che questo spostamento divenga usuale, di
routine.
Vi offro cinque parole della co-creazione per aiutarvi a creare la vostra
mappa in questo territorio ancora largamente inesplorato: impegno,
comunicazione, cooperazione, collaborazione, pianificazione.
*
Impegno: date nome alle vostre intenzioni, alla vostra idealita', ai vostri
sogni.
Chiedetevi: qual e' il terreno comune del mio impegno e di quello altrui?
Sappiamo dire il nostro impegno gli uni agli altri? Questo impegno genera
entusiasmo? Vive esso nelle nostre conversazioni di ogni giorno? Quali sono
gli ostacoli che incontriamo nel dispiegare le nostre abilita' per l'impegno
che si siamo assunti? Come maneggiamo questi ostacoli?
*
Comunicazione: create un ambiente favorevole alla comunicazione. Come esseri
umani, moltissimo delle nostre relazioni vive nel linguaggio. Cio' di cui
parliamo e come ne parliamo determina il clima emotivo delle nostre
relazioni.
Chiedetevi: il mio stile comunicativo (e/o lo stile del gruppo di cui faccio
parte) nutre la creativita' e il senso di sicurezza? Comunico con gli altri
apertamente, direttamente, onestamente? Ci sono cose di cui abbiamo paura di
discutere e che sarebbe necessario discutere? La nostra attenzione e' sviata
da emozioni inespresse? Il nostro modo di comunicare include il
riconoscimento e la gratitudine? Le persone nel nostro gruppo sanno
richiedere cio' che serve loro, dire cio' che desiderano? I propositi che il
nostro gruppo si da' giungono all'esterno in modi ispirativi, generando
interesse e partecipazione?
*
Cooperazione: ovvero, l'attitudine necessaria.
Come cooperiamo con gli altri? La nostra cooperazione e' motivata dalla
nostra passione interiore o e' forzata dalla paura, o dal bisogno di stare
nel flusso delle opinioni altrui? Siamo capaci di trovare un sentiero comune
nelle avversita'? Parliamo di cooperazione, ma il nostro ego e quelli degli
altri competono? Abbiamo chiari i benefici della cooperazione, e abbiamo
chiari i rischi della non cooperazione, rispetto al lavoro per il
cambiamento sociale?
*
Collaborazione: la sinergia delle idee.
C'e' in noi, nel nostro gruppo, la convinzione che le idee di ciascuno sono
importanti? Possiamo esprimerle liberamente nel gruppo, oppure dobbiamo
temere il disprezzo e la ridicolizzazione? Siamo capaci di porre domande
creative, domande "chiave", ovvero le grandi domande che inducono ciascuna/o
a tirar fuori i propri talenti ed impulsi creativi? Siamo capaci di pensare
in termini di possibilita' future? Il sistema con cui lavoriamo e prendiamo
decisioni e' capace di ricevere la creativita' che generiamo?
*
Pianificazione: la sincronia delle azioni.
Qual e' il nostro scopo, come vogliamo ottenerlo? Stiamo coordinando le
nostre azioni in modo armonioso ad esso? Abbiamo chiaro che ciascuna parte
(individuo, sottogruppo, ecc.) deve lavorare insieme con le altre? Le aree
di responsabilita' individuale sono chiare? Come e in che forma abbiamo
necessita' di comunicare per pianificare le nostre azioni in modo
efficiente?
*
Tutte e tutti giochiamo un ruolo fondamentale nellíemergente paradigma della
co-creazione. Scoprire l'unicita' del nostro contributo personale e' parte
dell'avventura.
Per chiarezza, puo' essere utile usare degli accordi scritti per la
fondazione di gruppi basati sulla relazione co-creativa, ovvero una
"convenzione" di questo tipo:
1. Convengo di portare la mia passione e i miei talenti allo sforzo
collettivo.
2. Convengo di parlare nella verita' e nella compassione.
3. Convengo di ascoltare gli altri/le altre profondamente e con rispetto.
4. Convengo di essere responsabile dei miei bisogni, dei miei desideri, e
del senso del mio valore.
5. Convengo di conoscere gli altri/le altre con generosita'.
6. Convengo di usare gli errori costruttivamente.
7. Convengo di trasformare le mie lamentele in richieste, e di comunicare
costruttivamente con le persone cui si riferiscono tali lamentele.
8. Convengo di incoraggiare ed essere incoraggiato/a nel portare alla luce
il genio individuale.
9.  Convengo di mantenere la fiducia di gruppo, e di restaurarla qualora
venga danneggiata.
10. Convengo di nutrire la connessione (spirituale, ideale, di affinita')
con i miei compagni e compagne, co-creatori e co-creatrici.
11. Convengo di usare questo protocollo per risolvere i conflitti in modi
che esaltino la responsabilita' personale e l'armonia collettiva.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL MIO PAESE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
"Giusto o sbagliato, e' il mio paese".
Questo detto non e' giusto, ma sbagliato.
Piu' del mio paese vale la giustizia.
Se il mio paese sbaglia, mio paese e' la giustizia.

5. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: DISOBBEDIRE O RESISTERE?
[Ringraziamo Francesco Tullio (per contatti:
psicosoluzioni@francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo
intervento. Francesco Tullio, amico della nonviolenza, docente di
psicoterapia breve all'Universita' di Perugia, e' uno dei piu' noti
peace-researcher, gia' presidente del Centro Studi Difesa Civile (sito:
www.pacedifesa.org). Ci sia consentito di notare almeno che ci pare che in
un passo di questo per vari aspetti utile e nitido intervento si sottovaluti
con soverchio candore la gravita' dell'attacco eversivo alla democrazia e
alla legalita' specificamente e consapevolemente condotto dall'attuale
coalizione governativa e dal suo demiurgo e padrone]
1. Introduzione
Nella resistenza nonviolenta la lotta per qualcosa e' piu' importante della
lotta contro qualcuno.
Il tema della resistenza serpeggia attualmente in Italia, sia nel movimento
per la pace in seguito alla guerra in Iraq, sia in alcuni ambienti politici
ed istituzionali, in seguito alla controversia in atto fra esecutivo e
magistratura.
Ovviamente la situazione e' complessa e la valutazione se passare alla
resistenza non facile. Il conflitto attuale puo' essere letto, dal punto di
vista dei pacifisti, come il sovrapporsi di diversi conflitti, fra esecutivo
e magistratura, fra diversi governi del pianeta, fra lo sviluppo basato sul
petrolio e lo sviluppo ecocompatibile, fra privilegi precostituiti e crisi
politica, economica e psico-sociale, fra visioni diverse del mondo in un
caleidoscopio talvolta troppo turbolento di colori, di forme, di velocita' e
suoni diversi.
Le metodologie attive della resistenza nonviolenta sono una delle radici
della difesa civile, intesa come difesa attiva degli abitanti di una
comunita' rispetto alla eventuale  invasione di potenze straniere o a
degenerazioni autoritarie interne (1). Alcune  precedenti ricerche del
Centro studi difesa civile (Csdc) si sono occupate in specifico della
resistenza popolare e nonviolenta (2). Il Csdc si e' pero' occupato anche
del ruolo della societa' civile per la trasformazione costruttiva dei
conflitti (3), e per la costruzione di un ordine mondiale democratico, cioe'
per una globalizzazione etica (4).
Resistere per il Csdc non significa solo disobbidire ed opporsi, ma
soprattutto continuare, malgrado le condizioni piu' difficili, a  costruire
rapporti di dialogo, tolleranza e solidarieta', a tessere relazioni
economiche e politiche etiche, a continuare a proporre e favorire modelli di
sviluppo  innovativi e rispettosi dell'ambiente e del prossimo, a modellare
le Istituzioni sempre piu' vicine alla gente ed allo spirito della civilta'.
Per fare questo dobbiamo evitare di cadere nelle chimere dello scontro
risolutivo, nella illusione delle azioni radicali, nelle concezioni
paranoidee.
La difesa civile e la resistenza nonviolenta si sono arricchite in questi
ultimi anni delle conoscenze della comunicazione (5) e della epistemologia
sistemica delle scienze (6).
Da questi approcci scientifici provengono alcune importanti riflessioni e
spiegazioni di quello che la pratica  della nonviolenza gia' metteva in
campo e che hanno a che fare con il modo di comunicare con la controparte e
con gli alleati.
Il Centro studi difesa civile puo' offrire degli spunti a coloro che evocano
la resistenza, pensando magari soprattutto ad una impostazione di contrasto,
con azioni di contrapposizione e di disobbedienza civile. Magari chi pensa
alla resistenza in questi termini lo fa all'interno di un impegno teso ad
arginare il ricorso alle azioni violente da parte di un movimento e di una
societa' civile esasperati. Tuttavia prima di mettere in atto le azioni
concrete della resistenza, e' indispensabile valutarne rischi ed
opportunita', considerare la migliore e la peggiore alternativa possibile
(7) sia ad una soluzione concordata al conflitto che  alla applicazione
della resistenza stessa.
E' necessario specificare, a meno che non si voglia fare dell'impulsivita'
reattiva una bandiera: 1. per quale diritto, 2. per quali finalita' ed
obiettivi, a favore di cosa o chi, 3. come, con quali metodi e strumenti, 4.
quando, a quali condizioni, sara' necessario ed utile applicare anche le
azioni specifiche collettive della resistenza nonviolenta.
Queste azioni possono comprendere un  ostacolamento dell'azione dell'altro,
la insubordinazione, la esecuzione passiva ed inefficace degli ordini, il
boicottaggio,  ma devono essere comunque sempre accompagnate da chiare e
forti proposte costruttive e devono offrire la opportunita' anche per la
controparte di uscire onorevolmente dal conflitto.
Non va escluso che in una prima fase queste azioni possano essere trattate
dalla potenziale controparte e da segmenti delle Istituzioni come semplici
azioni di disobbedienza ed opposizione. A mio avviso spetta a chi volesse
applicare tale forma di resistenza rimarcare soprattutto e rendere evidente
all'opinione pubblica tutta (anche quella che appoggia la controparte) la
valenza costruttiva e  la disponibilita' a recuperare il dialogo da
condizioni di giustizia. Non bisogna cadere negli errori tattici che portano
dalla contrapposizione allo strappo e che possono aprire la strada al
confronto violento.
Durante la applicazione di atti violenti e repressivi della controparte la
strategia della resistenza nonviolenta potrebbe cambiare per la
determinazione con cui vengono portate avanti le azioni, ma non nella
sostanza della disponibilita' al dialogo nella giustizia. Una volta messe in
atto ci si trova in una fase di scontro con implicazioni non sempre
piacevoli e la possibilita' di andare incontro ad una serie di morti. E'
pertanto necessario evitare le fughe in avanti di frange sia pur
comprensibilmente inquiete del movimento della pace, e sapersi muovere in
modo compatto, consensuale e trasparente. Bisogna evitare di cadere in
alleanze ambigue o in ingenue commistioni come quelle di Genova 2002,
perche' esse possono diventare il pretesto utile ai falchi delle varie parti
per esasperare il confronto e scatenare la violenza.
Vi sono specifiche tecniche per impedire questa strumentalizzazione. Esse
passano da un lato attraverso il deciso contenimento e l'eventuale ripudio
dei facinorosi all'interno del movimento, dall'altro attraverso specifiche
forme e contenuti della comunicazione che non permettano alle parti di
interpretare e divulgare arbitrariamente informazioni tendenti alla
esasperazione dello scontro.
*
2. Diritto di resistenza o resistenza per il diritto?
La resistenza non e' "disobbedienza" ma "fedelta' alla Costituzione".
Il Csdc ha deciso di avviare un dibattito sulla applicabilita' della
resistenza popolare e nonviolenta nella fase politica attuale. Giorgio
Giannini ha scritto un articolo sul diritto di resistenza nonviolenta nella
Costituzione italiana (8). Egli ha evidenziato il diritto di  resistenza
nella sua componente di obbedienza o meno all'autorita' costituita. Per gli
antichi cristiani veniva prima l'obbedienza verso Dio che non  l'obbedienza
alle leggi dello Stato. L'approccio di Giorgio e' la ricerca del
riconoscimento giuridico del diritto-dovere di resistenza all'oppressione.
Questo diritto trova fra l'altro spazio esplicito nella Dichiarazione di
indipendenza degli Stati Uniti d'America nel 1776 e poi in numerose altre
Costituzioni. Nella Costituzione italiana una formulazione esplicita non fu
invece accolta, ma il diritto di resistenza e' implicitamente legittimato
fra l'altro nel principio di sovranita' popolare (9). Peraltro Giorgio ci
segnala l'importante distinzione fra resistenza e rivoluzione. La resistenza
mira alla conservazione del regime politico (purche' democratico) e quindi
e' uno strumento di garanzia per la sua esistenza (10), la rivoluzione mira
al rovesciamento del regime politico.
Nel nostro ordinamento vi sono inoltre varie norme che stabiliscono la
legittimita' della resistenza individuale di fronte al provvedimento
illegittimo dell'autorita' e/o al comportamento arbitrario di un pubblico
funzionario. L'art. 4 del dll n. 288 del 1944  legittima la resistenza
attiva (non solo passiva) ad un pubblico ufficiale o ad un corpo politico,
amministrativo o giudiziario, qualora queste funzioni pubbliche siano
esercitate in modo  arbitrario. L'art. 650 del Codice Penale legittima la
disobbedienza  contro provvedimenti non "legalmente dati" dall'autorita',
cioe' emanati arbitrariamente e quindi illegittimi.
Grazie alla ricerca di Giorgio, possiamo trarre la conclusione che e'
legittima la resistenza collettiva contro ordini, decisioni o comportamenti
che siano in contrasto con i principi costituzionali, e che vengano adottati
non solo da pubblici funzionari o dalle autorita', ma anche da organi
costituzionali, quali governo e Parlamento, che rappresentano lo
Stato-apparato. Giorgio ci indica che per noi questa legittimita' e'
ulteriormente definita dall'art. 54 della Costituzione che sancisce: "Tutti
i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne
la Costituzione e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni
pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando
giuramento" (11).
La fedelta', specifica ancora Giorgio, non significa obbedienza
all'autorita' quando questa agisce in contrasto allo spirito della
Costituzione. Noi del Csdc ci sentiamo vincolati a questa Costituzione ed
agiremo nella fedelta' ad essa, al suo spirito. Richiamiamo il movimento ad
essere esplicito ed univoco su questo punto. Chi non lo fosse non pueo'
essere un nostro alleato.
L'aspetto giuridico riguardo alla possibile legittimazione della resistenza
si interseca con altre due dimensioni: la legittimazione alla gestione del
potere, cioe' all'uso che se ne fa, e la legittimazione all'uso della
violenza di cui parlero' in seguito (12).
Prima quindi di avviare una resistenza bisogna stabilire se gli atti di una
autorita' configurano un comportamento non fedele allo spirito della
Costituzione, che scavalca i principi costituzionali e le funzioni che le
leggi del nostro Stato gli affidano. Va anche chiarito se i suoi atti
corrodono realmente la impalcatura dello Stato democratico, basata sulla
divisione dei poteri.
Prendiamo ad esempio le affermazioni del presidente Berlusconi contro la
magistratura. Diffido di chi da' giudizi frettolosi in tal senso, che a me
appaiono piuttosto pre-giudizi. Io parto dalla certezza che il Presidente
del Consiglio e' fedele alla Costituzione ed a questa vada richiamato come
d'altra parte sta facendo con fermezza e garbo il Presidente della
Repubblica, nostro garante e riferimento. Il fatto che Berlusconi si sia
lasciato  andare ad esternazioni "politically uncorrect" va per ora letto
alla luce dell'essere italiano, della polemica politica, della passionalita'
che e' emersa e questo non e' un danno, ma un potenziale. Tutto il suo
apparato di costruzione comunicativa, con le scientifiche preparazioni
strategiche e l'imperativo del controllo  e' saltato in questo frangente
mostrando, nella difficolta', un lato umano del primo ministro. Il fatto che
Berlusconi sia in fondo meno ingessato di quanto voglia apparire e' a mio
avviso un fatto positivo e va valorizzato non ridicolizzato o aggredito.
Le mie affermazioni a qualcuno appariranno ingenue e illusorie, ma non lo
sono. Noi ci prepariamo al peggio e siamo pronti. La nostra forza sta
proprio nel non aggredire la controparte con affermazioni a riguardo delle
sue supposte intenzioni che alimentano il circolo vizioso, la escalation del
conflitto, e rischiano di diventare una profezia che si autoavvera. E'
sbagliato soffiare sul fuoco e cercare di strumentalizzare le dichiarazioni
emozionali del Primo Ministro. Dietro all'errore c'e' l'uomo e con l'uomo si
puo' discutere, dopo la sfuriata. Anche noi dobbiamo essere pronti a
discutere con la nostra disposizione tranquilla e ferma ancorata al
riferimento costituzionale. Non c'e' alcun bisogno di sbraitare. Gridare,
minacciare, agitarsi e' controproducente. Non vogliamo la lotta, che
peraltro non si improvvisa, la percorreremo solo come ultima ratio e dopo
aver chiarito quali sono i paletti invalicabili. Il Presidente della
Repubblica li sta indicando.
La revisione, anche implicita, del comportamento di Berlusconi deve poter
innescare la trasformazione del conflitto fra esecutivo e magistratura. Ci
vuole quindi la specifica volonta' reciproca di non abusare degli errori
dell'altro, di non usare linguaggi che alimentano la spirale dello scontro
per fini elettorali ed allora le Istituzioni potranno uscirne piu' forti.
Facciamo in modo che il conflitto in questo caso si trasformi in
opportunita'.
Uno spiraglio di speranza proviene dalla intuizione che un cartello
trasversale del buonsenso potrebbe favorire un processo gia' in atto. Una
quota dell'elettorato comincia infatti ad essere esasperata delle forme
aggressive, dispregiative ed offensive della comunicazione politica ed i
veri democratici possono abilmente facilitare la penalizzazione di chi
dovesse continuare a farne ancora uso, anziche' lanciarsi a loro volta nelle
accuse e negli improperi.
Nello stagno torbido delle comunicazioni propagandistiche non si capisce chi
inquina le acque. Bisogna prima smettere di rimestare.
*
3. Resistenza per cosa?
La mia tesi e' che la resistenza debba essere soprattutto un processo di
ri-appropiazione dei meccanismi della partecipazione e della costruzione
democratica del consenso. La resistenza dei singoli e dei gruppi andrebbe
rivolta all'inquinamento demagogico delle strutture verticistiche. In questo
processo c'e' anche da tenere presente il delicato risvolto culturale del
consumismo e, particolarmente nei periodi di crisi, della diffusione del
pensiero manicheo.
La resistenza quindi assolutamente non e' orientata contro il governo,
almeno non in questa fase, ma contro un sistema complesso e per sua natura
sfuggente, camaleontico, che non considera la necessita' di un cambiamento
sostanziale dei rapporti produttivi,  la valorizzazione della qualita' della
vita rispetto al prodotto interno lordo, del risparmio rispetto alla
produzione ed ai consumi, del diritto dei popoli rispetto agli interessi
precostituiti, i diritti delle generazioni future e del pianeta rispetto a
quelli del benessere materiale attuale.
La resistenza nonviolenta va dunque applicata ai modelli di sviluppo e di
gestione del potere non rispettosi del prossimo, dell'ambiente e delle
generazioni future, e va intesa come riappropriazione dei meccanismi della
partecipazione e della costruzione democratica del consenso. Questa
riappropriazione dovra' essere etica ed internazionale nel senso che la
spirito della democrazia e' una ricerca ed un dialogo costante, non una
esportazione di modelli preconfezionati. La vera democrazia e' pertanto il
processo stesso, la duttile disponibilita' a rispettare e discutere con
tutti i popoli e le culture del pianeta per trovare ragionevoli soluzioni
progressivamente piu' efficaci alle ragionevoli istanze di tutti.
La situazione italiana attuale appare a molti sconfortante ed esiste una
tendenza a  semplificare la situazione individuando in Berlusconi e nel suo
governo la causa delle difficolta', delle ingiustizie, della guerra. Io non
credo in questa semplificazione. Il processo di deterioramento e' molto piu'
complesso, le responsabilita' sono diffuse. Possiamo provare a discuterne
distinguendo diversi piani. In particolare nel nostro paese  possiamo
discutere delle responsabilita' in merito: 1) ai problemi
dell'inquinamento/qualita' della vita/scelte di sviluppo; 2) alla guerra ed
all'espansionismo; 3) alla crisi della giustizia.
Ad esempio sulle scelte di sviluppo ed il conseguente espansionismo
economico dobbiamo riconoscere il ruolo pervasivo del consumismo con le sue
responsabilita' diffuse a quasi tutti i cittadini del primo mondo ed a molti
degli altri, non solo ai capi di stato ed industriali.
In questa fase storica dove non ci sono state lesioni unilaterali ed
univoche alla struttura democratica della societa', ma il processo di
disgregazione e' sottile e le responsabilita' condivise, le recenti
affermazioni di Berlusconi contro la magistratura, potrebbero anche mirare
ad una lesione in tal senso ma personalmente ritengo, come ho scritto in
precedenza, che egli sia fedele alla Costituzione e che si sia trattato di
una umana e addirittura salutare caduta di stile.
Senza un adeguato connettivo culturale la ipotetica cura della resistenza,
immaginata in termini eroici come contrapposizione ad un potere dispotico,
puo' provocare danni piu' gravi dei sintomi. Anche rispetto alla crisi della
giustizia e' opportuno evitare che ci si focalizzi soltanto  sulle
esternazioni di Berlusconi e  si trascurino le responsabilita' diffuse. Se
non ci dovessimo riassumere tutti le nostre quote di responsabilita' e non
trovassimo le vie per nuove forme di gestione funzionale della giustizia, il
pur nobile senso del dovere di alcuni magistrati rischia di essere sterile
ed agli occhi di qualche indagato fra i molti sfuggiti alla legge,
ingiustamente persecutorio.
La resistenza va indirizzata insomma prima di tutto contro il pensiero e la
cultura manichea. Si tratta cioe' della resistenza all'inquinamento, non
solo quello reale di aria acqua e terra, ma anche quello
metaforico-semantico, cioe' alla demagogia. La demagogia, la bassa furbizia,
la manipolazione, la strumentalizzazione, l'arroganza non sono solo tipici
della politica ma anzi sono caratteristiche diffuse nella societa', che si
evidenziano nelle relazioni umane a tutti i livelli nella perenne lotta fra
correttezza, fratellanza e solidarieta' ed avidita', egocentrismo ed
utilitarismo.
Queste caratteristiche dei comportamenti umani talvolta si aggregano
politicamente fino a far prevalere scelte e forme del potere che cercano di
favorire non la maturazione della democrazia ma interessi di gruppi parziali
e lo svincolamento dalle leggi morali e giuridiche.
Tuttavia identificare con certezza la responsabilita' di tale processo in
una sola parte dell'insieme sociale, simbolizzate da uno o pochi uomini,
rischia di essere illusorio e controproducente. Come infatti e' stato
possibile, se non per le nostre contraddizioni interne, per le debolezze, le
incoerenze, le furbizie, le immaturita' anche della nostra parte (nota bene:
qualunque sia la parte nostra).
Il rischio e' che tale atteggiamento che segue alla convinzione "tutto il
bene dalla nostra parte, tutto il male dalla loro" agisca come una profezia
che si autoavvera, che favorisca lo sviluppo di un potere piu' rigido, piu'
impermeabile e piu' bieco.
I temi verso cui possiamo pensare di orientare la resistenza sono
l'approccio cinico al potere, non le persone, le visioni monocausali dei
problemi e delle difficolta' della vita che vengono fatte proprie talvolta
dal governo, dall'opposizione, dalla scienza.  Distinguendo i problemi dalle
persone avremo qualche probabilita' in piu' di contribuire ad invertire il
processo vizioso, creando le condizioni per fermare chi mettera' in atto
scelte e comportamenti non conformi alla Costituzione.
La resistenza nel contesto italiano non puo' che partire dalla
riappropriazione dei meccanismi della partecipazione e della costruzione
democratica del consenso e degli strumenti di pace all'interno dello stesso
movimento pacifista, dal rilancio dei  processi di rappresentanza corretti e
di controllo sulla gestione del potere, a partire dal nostro piccolo,
evitando manipolazioni e strumentalizzazioni.
Per quanto riguarda la dimensione internazionale una possibilita' da
prendere in considerazione e' la  possibilita' di sincronizzare a livello
mondiale i consumi critici, facendo leva sulla costituzione di nuove reti
comunicative orizzontali e selezionando collettivamente le aziende da
favorire per il loro approccio etico, penalizzando quelle coinvolte in
procedure scorrette e nell'appoggio alle dittature ed alle guerre. In questo
senso vedo la possibilita' di continuare il dibattito di Porto Alegre che
porti alla scelta di una strategia impostata sul rinforzo e la legittimita'
della rete comunicativa/partecipativa, alla scelta di fasi e di priorita'
condivise, alla scelta di modalita' di rappresentanza che escludano gli
iperattivi sgomitanti e rampanti (che possono tranquillamente continuare a
dare il loro contributo in termini di servizio e non di autogratificazione
delle illusioni di onnipotenza e/o acquisizione di vantaggi narcisistici) e
selezionino alcune personalita' dai diversi continenti di sicura
credibilita' morale ed equilibrio personale.
La nostra resistenza  potrebbe anche essere teoricamente in futuro orientata
verso le istituzioni, se esse perdessero la loro qualita' democratica. Ma
finche' non e' questo il caso, la resistenza non puo' essere orientata verso
le Istituzioni. Sarebbe una sciocchezza. Il loro sfascio definitivo
comporterebbe una fase di confusione che a qualcuno sembrera' anche utile,
ma che libererebbe grandi quantita' di violenza immagazzinata dalle stesse
Istituzioni e dai cittadini, con un carico di ingiustizie intollerabili per
la coscienza civile. Non siamo pacifisti a senso unico. Prima dunque
dovremmo predisporre le Istituzioni nuove e non trovarci come gli americani
a Bagdad, ad essere impotenti di fronte al disordine, ai saccheggi, alle
faide, alle vendette personali.
*
4. Resistere come?
L'idea di resistenza alla quale posso aderire consiste in un processo con un
principio invalicabile della nonviolenza. La resistenza nonviolenta non e'
"disobbedienza"  ma "fedelta' alla Costituzione." Essa comprende un insieme
di metodi ed azioni per impedire una invasione straniera o una degenerazione
interna, colpi di stato o abusi del potere da parte di qualche autorita'
costituita. La disobbedienza civile e' una delle possibile tecniche della
resistenza, ma non la sola. Altre importanti e recenti tecniche derivano
dalla ricerca e le esperienze per la gestione costruttiva dei conflitti,
dalle teorie della comunicazione e dalla teoria dei sistemi.
Si parte da questo presupposto: Le affermazioni provocatorie e bellicose
della controparte sono determinate in parte da una carica di inquietudine,
comprensibilmente umana, legata al nervosismo per la situazione difficile
che si sta affrontando e che e' materia del contendere. La nostra
comunicazione non deve assolutamente cadere in questa trappola, perche'
altrimenti si generano una serie di problemi ulteriori, malintesi, rancori,
ecc. La nostra comunicazione quindi resta sempre rispettosa, disponibile ad
ascoltare le ragioni dell'altro ed a trovare soluzioni innovative al
problema, addirittura essa punta a creare nell'altro la disponibilita' alla
soluzione del problema.
Questo approccio spesso facilita la controparte anche a superare le proprie
contraddizioni e le proprie  "arroganze", ma ovviamente non sempre. Le
azioni dirette nonviolente scattano allora laddove la controparte agisce in
modo non conforme alle leggi, laddove impone regole e prassi non
corrispondenti ai principi costituzionali. Non c'e' bisogno della minaccia
prima di mettere in atto le specifiche e concrete tecniche ed azioni
nonviolente. Queste sono infatti anche esse rispettose delle persone, degli
antagonisti, pur provocando un danno economico oppure una sollecitazione
morale forte e dirompente sulla volonta' prevaricatrice dell'avversario.
Tuttavia e' importante segnalare in modo chiaro oltre quale intollerabile
punto scatteranno le sanzioni nonviolente.
Affinche' le azioni nonviolente siano efficaci sono necessarie alcune
condizioni che vanno prima verificate e costruite. Sicuramente c'e' bisogno
nel fronte che la applica di compattezza, adesione morale,  una strategia
credibile, ecc., fattori per nulla scontati. Inoltre la controparte deve
essere recettiva al "danno" economico o alla sollecitazione morale che
l'azione diretta nonviolenta gli provoca e che deve essere sempre
accompagnata da un chiaro messaggio di disponibilita' ad andare oltre
l'azione stessa per identificare soluzioni che siano rispettose delle
ragionevoli esigenze delle varie parti in conflitto, quindi anche
dell'avversario.
Ma in questa fase politica il punto che a me sembra centrale e' la forma
della comunicazione con l'avversario che non si intende distruggere ma
recuperare alla reale disponibilita' al dialogo, alla democrazia ed al
rispetto del prossimo e dei principi costituzionali.
Un punto importante per la crescita culturale della resistenza nonviolenta
sta nella estensione della consapevolezza e dei comportamenti nonviolenti.
Dobbiamo allargare il concetto ora usato da molti come scelta di  non
colpire mai le persone fisicamente (che gia' comunque e' un buon inizio)
anche al senso morale di non ferirle mai, rilevare si' le loro
contraddizioni, indicare i comportamenti e le scelte inaccettabili, ma
evitando approcci accusatori. Questi rendono piu' difficile la loro
revisione, il passaggio a modalita' piu' adeguate. Insistere quindi con la
fermezza e la forza della ragione indicando il disaccordo verso gli atti
della persona ma continuando ad indicare  il rispetto verso la persona
stessa. Nella cultura della gestione costruttiva dei conflitti (Ury-Fisher)
questo si riassume nei termini "duri con il problema, morbidi con le
persone". In termini politici si traduce in duri con i problemi, con gli
atti, con le scelte antidemocratiche o non rispettose di altre popoli,
soggetti, realta' viventi, ma fermi e cortesi nel cercare di salvare il
concetto e lo spirito della democrazia dichiarato, anche se non sempre
rispettato, dalle Istituzioni stesse. Vuol dire facilitare attraverso il
dialogo non offensivo, il processo di ri-identificazione dei rappresentanti
delle istituzioni nei principi dichiarati delle stesse istituzioni.
La resistenza nonviolenta non e' mai rivolta contro le persone ma contro i
loro atti illegittimi, per interromperli e ristabilire l'ordine. Non si cade
nella posizione paranoidea che sollecita atteggiamenti eroici da parte di
"noi che siamo il bene ed abbiamo ragione" contro "loro che portano la
responsabilita' per tutte le miserie del mondo e fanno tutto per pura
cattiveria". Non c'e' alcun autocompiacimento, non c'e' esaltazione, non
c'e' eccitazione per lo scontro, ne' il bisogno interiore di identificare un
nemico sul quale scaricare la propria rabbia ed aggressivita'.
Si tratta soprattutto di continuare a lavorare per la tolleranza, la
giustizia, la democrazia, malgrado le aumentate difficolta', senza per
questo cadere nel circolo vizioso delle accuse reciproche prima, delle
ritorsioni poi; con la fermezza della volonta' e nella sobrieta' del
linguaggio. Nella nonviolenza vengono superati il sarcasmo, le illazioni, le
interpretazioni delle intenzioni dell'altro, la ritorsione e la vendetta,
per concentrarsi sulla soluzione creativa ed innovativa, che permette di
andare oltre il conflitto.
Come gia' dicevamo, le azioni dirette possono anche comprendere
l'ostacolamento dell'azione dell'altro, la insubordinazione,
l'ostruzionismo, la esecuzione passiva ed inefficace degli ordini, il
boicottaggio, ma devono essere sempre accompagnate da forti e comprensibili
proposte costruttive e di riconciliazione. Infatti la nonviolenza lascia
sempre alla controparte la possibilita' di uscire onorevolmente dal
conflitto.
Prima di mettere in atto le azioni concrete della resistenza, e'
indispensabile valutarne rischi ed opportunita', considerare la  migliore e
la peggiore alternativa possibile sia ad una soluzione concordata al
conflitto che alla applicazione della resistenza stessa. Bisogna anche
chiarire per quale diritto, per quali finalita' ed obiettivi (a favore di
cosa), come (con quali metodi e strumenti), quando ed in quali condizioni,
diventa necessario ed utile applicare queste azioni dirette. Una volta messe
in atto ci si trova in una fase di scontro con implicazioni per nulla
piacevoli e la possibilita' di andare incontro ad una serie di morti E'
pertanto necessario evitare le fughe in avanti di frange comprensibilmente
inquiete del movimento della pace, perche' esse possono diventare la miccia
utile ai falchi della controparte per esasperare il confronto e scatenare la
repressione.
*
Note
1. Si veda La Difesa civile e il progetto Caschi Bianchi. Peacekeepers
civili disarmati, a cura di F. Tullio, Franco Angeli, Milano 2000. Si tratta
della prima ricerca di strategia mai svolta da obiettori di coscienza per il
Ministero della Difesa. Commissionata dal Centro Militare di Studi
Strategici (Cemiss, facente parte del Casd, Centro Alti Studi Difesa,
Ministero della Difesa) la ricerca e' stata  finanziata con 7 milioni di
lire a fronte di una spesa totale quantificabile in 30 milioni di lire e poi
pubblicata  a parte a spese dello stesso Cemiss.
2. Con il contributo del Comitato per il cinquantennale della Resistenza e
della Guerra di Liberazione fu organizzato il convegno: La lotta non-armata
nella Resistenza, tenutosi a Roma il 25 ottobre 1993; Gli atti a cura di G.
Giannini furono  pubblicati in  proprio, Roma, 1993; La Resistenza
non-armata, convegno tenutosi a Roma il 24 -25 novembre 1994, atti a cura di
G. Giannini, pubblicati dalla Coop. editrice Sinnos, Roma nel 1995;
L'opposizione popolare al fascismo, convegno tenutosi a Roma il 27-28
ottobre 1995, atti a cura di G. Giannini, pubblicati dalle Edizioni
Qualevita, Torre dei Nolfi 1996;
3. Le Ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace nelle
crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive,  a cura di F.Tullio,
Edizioni Associate/ Editrice Internazionale, Roma, maggio 2002. Questa
ricerca fu commissionata e finanziata per intero con 30 milioni di lire,
dall'ufficio Onu, Dgapm, Ministero degli Affari Esteri, e e' stata
pubblicata a spese dell'editore.
4. Si veda a tale proposito: Una Forza non armata sotto l'egida dell'Onu,
utopia o necessita'?, convegno tenutosi a Roma nell'ottobre 1987; gli atti a
cura di F. Tullio furono pubblicati da Edizioni Formazione e Lavoro, Roma
1988.
5. Watzlawick, Paul (a cura di), Die erfundene Wirklichkeit, Piper und Co.
Verlag, Muenchen; trad it.: La realta' inventata, Feltrinelli, Milano 1988;
P. Watzawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione
umana: studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi,
Astrolabio, Roma 1971.
6. von Bertalanffy, L. (1956), "An outline of general system theory" in
English journal of  philosophy of science; trad .it.: Teoria generale dei
sistemi, Isedi, Milano1969; Bateson Gregory (1972), Steps to an ecology of
mind, New York; trad. it.: Verso una ecologia della mente, Adelphi,
Milano1978.
7. Roger Fisher e William Ury, L'arte del negoziato, Mondadori, Milano 1995.
8. Pubblicato su "Carta Almanacco", del 24/30 aprile 2003 e sul  sito del
Csdc (www.pacedifesa.org).
9. A tale proposito sono significative le note di Giorgio nel suo articolo.
10. Evidente che qui il termine regime sta per organizzazione democratica,
non per oligarchia.
11. Giorgio aggiunge: "Non si deve pero' confondere il dovere di fedelta'
con quello di obbedienza. Sono infatti due concetti diversi: la fedelta'
alla Repubblica precede, logicamente e concettualmente, l'osservanza delle
leggi dello Stato. Pertanto, il dovere di fedelta' alla Repubblica, e quindi
alla Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa
stabiliti, prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il
presupposto giuridico. Quindi, in caso di contrasto delle leggi in vigore
con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, e' sempre
l'obbedienza a questi ultimi che prevale sull'obbedienza alle leggi.
Peraltro, la semplice obbedienza alle leggi non esaurisce l'obbligo di
fedelta' alle Istituzioni, che richiede un comportamento concreto in
sintonia con i principi fondamentali sanciti dalla carta costituzionale".
12. Intendo pero' affrontare prossimamente questa griglia di riflessione non
solo  per la valutazione delle azioni del governo e delle Istituzioni, ma
anche applicandola a partiti e movimenti.

6. RIFLESSIONE. GIOVANNA BOURSIER: I ROM E L'EUROPA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2003. Giovanna Boursier e'
una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche
alla storia e alla cultura dei rom]
"La minoranza rom e' da secoli vittima di discriminazioni". Per una volta a
dirlo non siamo noi ma il presidente della Banca mondiale in persona, James
Wolfensohn, che ha anche aggiunto: "La poverta' di queste popolazioni e' uno
dei problemi centrali che i paesi candidati a entrare nell'Unione europea
devono ancora affrontare prima del loro ingresso". Tutto questo l'altroieri
a Budapest, in una conferenza organizzata dalla Banca mondiale e dall'Open
Society Institute del finanziere americano George Soros, il quale ha poi
invitato governi, ong e organizzazioni rom dei vari paesi a dotarsi di
strumenti per avviare progetti di inclusione delle minoranze rom entro il
2005. Perche', ha specificato, bisogna prepararsi al futuro e lavorare sul
lungo periodo. Forse anche per questo negli ultimi anni la Banca mondiale
(in particolare proprio a partire dalla presidenza Wolfensohn nel 1995) ha
avviato studi e ricerche che mostrano indiscutibilmente come gli oltre sei
milioni di rom dell'Europa centrale vivano una vita indegna, con livelli di
poverta' durissimi, tassi di disoccupazione enormi e crescenti e problemi
sanitari devastanti. Le ricerche dicono che in Romania, dov'e' la minoranza
rom piu' consistente di quell'area - circa due milioni e mezzo di persone -
l'aspettativa di vita di un rom e' di 15-20 anni inferiore a quella della
popolazione maggioritaria, che la meta' dei rom e' analfabeta e che un
quarto di loro e' senza lavoro e senza prospettive. In Ungheria il quaranta
per cento degli abitanti rom - che sono circa mezzo milione - vive sotto la
soglia minima di poverta' con meno di quattro dollari al giorno.
In Europa esiste quindi un'area compatta densamente popolata di rom, dove,
come ha infine chiarito Anna Diamantopoulou - commissario per gli affari
sociali dell'Unione europea - i problemi delle minoranze rom sono evidenti
e, "con l'ingresso di questi paesi nell'Unione, li vedremo moltiplicati su
larga scala". Anche perche', come aggiungono ancora i risultati statistici
dell'istituto, ci sono aree, per esempio in Slovacchia, dove quella che e'
oggi una minoranza disoccupata ed emarginata di poco meno di mezzo milione
di persone, potrebbe diventare, nel giro di una sessantina d'anni,
maggioranza della popolazione.
Se per chi si occupa della realta' e delle condizioni di vita dei rom
europei niente di tutto questo rappresenta una novita', e' vero anche il
fatto che adesso appelli e raccomandazioni a favore di un popolo da sempre
perseguitato arrivano dall'alta finanza americana. Il che, se da una parte
puo' stupire, deve insieme far riflettere. In realta' per le organizzazioni
e associazioni di rom nei paesi dell'est non e' una novita' che George Soros
da qualche tempo si interessi di loro. La novita' e', per noi, che lo dica,
e perdipiu' in una sede tanto istituzionale. Oltre all'evidenza
dell'interesse americano nell'ex impero sovietico puo' essere importante
ragionare sul fatto che oggi, per chi vuole governare e dominare il mondo,
le politiche di controllo - e quindi di assimilazione - possono apparire
piu' efficaci di quelle discriminatorie.
Il che - senza illusioni - potrebbe almeno far ragionare un paese come il
nostro. Dove, invece, rom e sinti ormai stanziali da decenni continuano a
vivere segregati nei campi nomadi, accatastati nei ghetti della civilta'
contemporanea, dove vengono catapultati anche quelli che arrivano disperati
da guerre e persecuzioni. Quelli di cui parlano Wolfensohn e Soros. Ormai
sono migliaia e migliaia, senza diritti e ignorati dalle politiche
nazionali. Sembrano interessare solo chi continua a volerli invisibili e
altrove e puo' continuare a scatenare, impunito, beceri istinti di razzismo
e violenza. Come e' accaduto, solo tre giorni fa, a Saviano.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 600 del 3 luglio 2003