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La nonviolenza e' in cammino. 596
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 596
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Sun, 29 Jun 2003 02:04:32 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 596 del 29 giugno 2003
Sommario di questo numero:
1. Alessandro Marescotti: presentato il libro "Bandiere di pace" a Roma
2. Pierluigi Vito: sulla proposta di Lidia Menapace
3. Vittoria Oliva: ancora sulla proposta di Lidia Menapace
4. Giobbe Santabarbara: sulla proposta di Lidia Menapace e sulle nostre
miserie
5. Riccardo Orioles: a Dachau
6. Carlo Maria Martini: tre cose sulla pace
7. Giovanni Scotto: ripensare la politica estera
8. Rosa Luxemburg: uno sguardo intorno a noi
9. Augusto Cavadi: un tabu' che non regge
10. Riletture: Germaine Greer, L'eunuco femmina
11. Riletture: Germaine Greer, La donna intera
12. Riletture: Pat Patfoort, Una introduzione alla nonviolenza
13. Riletture: Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza
14. Riletture: Antonietta Potente, Gli amici e le amiche di Dio
15. Riletture: Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'
1. INCONTRI. ALESSANDRO MARESCOTTI: PRESENTATO IL LIBRO "BANDIERE DI PACE" A
ROMA
[Da Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti@peacelink.it)
riceviamo e diffondiamo. Alessandro Marescotti, amico carissimo, e'
presidente di Peacelink, fondamentale riferimento pacifista nella rete
telematica (sito: www.peacelink.it). Ci sia concessa una notazione: tra
tante cose buone e giuste, talune sconcertanti ingenuita' ed esagerazioni
degli oratori ci sembrano in parte il frutto di un modo di parlare retorico
e parenetico tanto leggero quanto nocivo, in parte sono purtroppo la
"vulgata" di un movimento per la pace che dal legame col complesso e confuso
movimento "no global" ha ereditato non pochi elementi linguistici ed
ideologici di inquietante faciloneria, velleitarismo, mancanza di rigore.
Raccomandiamo vivamente, va da se', la lettura del libro]
Il 26 giugno a Roma si e' svolta la presentazione del libro "Bandiere di
pace" promossa da PeaceLink, Megachip e campagna Pace da tutti i balconi.
"Dobbiamo lanciare la seconda ondata di bandiere di pace. Sono grato a chi
ha tenuto fuori le bandiere. Ora dobbiamo iniziare nuovamente ad esporle
come prima perche' stanno preparando una nuova guerra, questa volta
all'Iran". E' padre Alex Zanotelli che parla a conclusione della
presentazione del libro "Bandiere di pace" nella sala Protomoteca del
Campidoglio.
E' dal Colle Capitolino della capitale che viene rilanciata la campagna
"Pace da tutti i balconi". Zanotelli la ripropone con forza nel mutato
quadro internazionale, subito dopo l'intervento di Giulietto Chiesa il quale
traccia un'analisi grave della situazione e avverte: "La guerra non e'
finita, anzi le forze Usa si stanno gia' disponendo al confine con l'Iran".
Alex Zanotelli condivide le preoccupazioni di Giulietto Chiesa: "Non
aspettiamo la vigilia della prossima guerra. Dobbiamo reagire subito. Ci
stanno preparando alla guerra a piccole dosi, come per l'Irak. Il momento e'
grave. Dobbiamo ripartire alla grande con le bandiere. Per tre motivi.
Primo, perche' le bandiere devono rendere visibile preventivamente la nostra
indisponibilita' alla guerra. Secondo, per dire no alla militarizzazione
dell'Europa e a chi crede che il peso economico europeo possa contare solo
con un corrispettivo peso militare. Terzo, per rispondere al linguaggio
militarista di Bossi e di Borghezio che vorrebbero vedere tuonare i cannoni
contro le navi degli immigrati. Per questo dobbiamo lanciare una campagna
nuova: imbandieriamo daccapo l'Italia. Le bandiere della pace non vanno
tolte ma semmai moltiplicate perche' la situazione e' grave".
Alex Zanotelli lancia il suo invito a riproporre le bandiere dai balconi e
dalle finestre d'Italia in sintonia con Giulietto Chiesa che poco prima
aveva detto: "Non dobbiamo ritirare le bandiere. Le bandiere dilaghino
ancora, siano nuovamente piene di bandiere le citta'".
*
Giulietto Chiesa sottolinea il progressivo spostamento verso l'Iran del
mirino Usa: "Ormai hanno deciso: o con un sovvertimento dall'interno
mediante un cambio di regime o con un sovvertimento dall'esterno mediante
una guerra". Ed e' perentorio: "Dobbiamo sollevare il senso di allarme ed
inquietudine. Non possiamo consolarci di quanto abbiamo fatto negli scorsi
mesi, del livello di consenso raggiunto in passato. Cio' che della guerra
passa nella mente a livello di massa e' un'informazione distorta e il quadro
e' piu' grave di quanto possiamo immaginare. Negli Stati Uniti sono gia'
stati effettuati i primi sondaggi di opinione per saggiare il livello di
popolarita' di una guerra all'Iran, sondaggi che danno al presidente
l'appoggio della maggioranza degli americani in caso di guerra per bloccare
un eventuale programma atomico iraniano. Ma cio' che e' ancora piu' grave e'
che la maggioranza degli americani, sempre secondo tali sondaggi, ritiene
che Saddam Hussein abbia usato armi di distruzione di massa contro gli Usa.
Non solo la maggioranza degli americani non sa che le armi di distruzione di
massa non sono state trovate, ma e' addirittura convinta che tali armi siano
state usate. Sono molto angosciato. Questo e' il risultato del disfacimento
della democrazia negli Usa e del degrado e della distorsione dei mass media
in quella nazione". Giulietto Chiesa invita i pacifisti a non cullarsi sui
livelli di consenso ottenuti in passato.
*
Una piccola annotazione personale. Durante la presentazione del libro ho
reso noto un elemento statistico apparentemente paradossale: sul sito di
Peacelink infatti in questi giorni il numero degli utenti si e' dimezzato
rispetto ai giorni della guerra ma il numero di pagine lette e' piu' che
raddoppiato, per cui ad un calo delle visite si accompagna in parallelo un
aumento della richiesta globale di informazione. Oggi la quantita' di pagine
web lette dai pacifisti in alcuni casi supera quanto si leggeva durante la
guerra. Cio' testimonierebbe non un riflusso o una "vacanza" del movimento
pacifista, ma una forte voglia di informazione del suo nucleo piu' attivo.
Invitato a commentare questo dato, Giulietto Chiesa risponde dicendo che non
bisogna essere autoreferenziali e confondere internet con l'opinione
pubblica: "Oggi i processi di formazione delle opinioni di massa passano
attraverso certi programmi di intrattenimento, contano di piu' Mara Venier e
"Il grande fratello" degli stessi telegiornali. Internet non rispecchia la
situazione dell'opinione pubblica nel suo complesso. Non dobbiamo essere
autoreferenziali e non possiamo consolarci della nostra forza. Questo e'
invece il momento per sollevare inquietudine e allarme. Dobbiamo attaccare e
contestare il sistema dei mass media. Non basta fare altra informazione. E'
il cuore del sistema della comunicazione che va posto sotto un check-up
continuo perche' e' quello che poi va a formare l'opinione pubblica a
livello di massa".
Giulietto Chiesa, sollecitato dalle domande del pubblico, parla del progetto
di Nowar Tv (invitando a documentarsi sul sito www.nowartv.it) per il quale
e' in contatto anche con Monicelli, la Castellina, Banca Etica: "Occorre
creare tanti comitati locali e raccogliere due miliardi di vecchie lire. E
poi avremo il nostro canale televisivo con cui, dopo le nove di sera, faremo
il nostro controtelegiornale per dire dove hanno mentito. Possiamo
raggiungere due o tre milioni di persone".
*
Si giunge a parlare di tv di quartiere (la cui attrezzatura di base non
supera il costo di 500 euro) e l'assessore del Comune di Roma, Luigi Nieri,
interviene esprimendo sostegno e apprezzamento per queste nuove modalita' di
comunicazione (come Global Tv) e ricordando quanto sia stato importante al
G8 di Genova - per i manifestanti - poter filmare e documentare quanto stava
accadendo. L'assessore Nieri ha rilevato quale qualita' essenziale del libro
"Bandiere di pace" proprio l'importanza di documentare, di non perdere la
memoria di un grande fatto storico come l'esposizione di milioni di bandiere
della pace.
Nella presentazione del libro hanno parlato anche Luca Mucci, rappresentante
della campagna Pace da tutti i balconi, e due autori del libro Bandiere di
pace, Gisella Desiderato e Giuseppe Goffredo, che hanno ripreso ed esposto
le linee essenziali dei loro saggi.
Sono intervenuti anche Riccardo Troisi del nodo di Rete Lilliput di Roma, e
Antonella Marrone, giornalista dell'"Unita'" che interviene sottolineando la
necessita' della formazione di una cultura di pace.
Fondamentale per la riuscita dell'evento e' stata l'azione fattiva e
puntuale di Andrea La Spina della Cimarra che ha svolto il compito di
referente organizzativo in loco e di collegamento con la stampa.
*
Alex Zanotelli ha avuto parole molto efficaci per definire il possibile
ruolo del movimento pacifista: "Dobbiamo diventare societa' civile
organizzata. Dobbiamo parlare, ascoltare, capire. E' in atto un cambiamento
antropologico. Se Berlusconi non e' riuscito a convincere i suoi figli sulla
guerra vuol dire che il tarlo del dubbio si e' diffuso". Alex Zanotelli, pur
condividendo l'analisi preoccupata di Giulietto Chiesa, vede muoversi un
fermento positivo ed e' convinto che non siamo in presenza di un riflusso
del movimento per la pace. E aggiunge: "Dobbiamo far diventare la societa'
civile un luogo di dibattito e di organizzazione in cui maturino delle
proposte da passare poi ai politici. Su questo c'e' una differenza rispetto
a D'Alema che dice che solo i partiti sono soggetti politici. Non e' cosi'.
La societa' civile organizzata puo' diventare un soggetto politico. Lo si e'
visto per la legge 185 sul commercio delle armi quando e' stata la societa'
civile a richiamare i politici alle proprie responsabilita'. La societa'
civile deve avere obiettivi politici e non farsi strumentalizzare dai
partiti. I partiti rimangano fuori dagli organismi di rappresentanza della
societa' civile la quale deve dotarsi di portavoce autonomi. Ai partiti
spetta il compito di ascoltare e dialogare, riportando le proposte della
societa' civile negli organismi di rappresentanza". Zanotelli riprende cosi'
una delle tesi gia' espresse nel libro "Bandiere di pace".
Un libro che, e' bene ricordarlo, puo' essere richiesto nelle librerie
Feltrinelli e nelle Botteghe del commercio equo e solidale. Ogni gruppo
locale puo' convocarsi e presentarlo alla propria citta': la "societa'
civile organizzata" e' anche questo.
2. PROPOSTE. PIERLUIGI VITO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Pierluigi Vito (per contatti: bindalat@libero.it) per questo
intervento. Pierluigi Vito, gia' obiettore di coscienza, e' impegnato
nell'Azione cattolica, ed e' un amico di gentilezza e generosita' grandi]
Quanto impiega una bandiera a stingersi, sbrindellarsi, ecc.?
Diciamo due-tre mesi? o di piu? (dipende anche dalla qualita', dal clima,
ecc.).
Se il problema e' tenerla sempre linda e smagliante, un investimento di 5
euro a trimestre, il popolo della pace puo' anche concederselo. Diventerebbe
anzi un'impulso alla sobrieta': ricavare nel proprio bilancio lo spazio per
questo segno di pace.
Ecco perche' si puo' puntare a una scelta piu' radicale, quella di tenerla
sempre esposta per assumerla come "memento" quotidiano, simbolo di un
atteggiamento di vita che si fa prassi di pace.
Riguardo alle varie ricorrenze, se proprio si vuole si possono pensare altre
caratterizzazioni. Il 2 giugno, sinceramente, troverei piu' indicato esporre
il tricolore, anche per non lasciarlo in mano solo a militari e nazionalisti
paranoici: ci possiamo anche non sentire italiani, ma per fortuna o
purtroppo lo siamo.
3. PROPOSTE. VITTORIA OLIVA: ANCORA SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Vittoria Oliva (per contatti: huamboparanoico@tin.it) per
questo intervento. Vittoria Oliva e' impegnata nell'esperienza informativa
de "L'avamposto degli incompatibili" ed in numerose iniziative per i diritti
dei migranti, per l'abolizione degli incostituzionali centri di detenzione,
nella solidarieta' concreta con gli oppressi]
Riporto queste parole di Enrico Peyretti [da "La nonviolenza e' in cammino"
n. 593] per ribadire la mia convinzione che le bandiere della pace non
debbono essere tolte.
Peyretti in merito alla bandiera della pace dice: "la quale, ricordiamolo a
tutti, e' unica tra tutte le bandiere, nella storia umana: tutte le altre
indicano patrie, eserciti, squadre, simboli di parte, appartenenze parziali
e contrapposte, e sono spesso inferocite da simboli bestiali, o da croci
militarizzate (come Erasmo denunciava), o da stemmi signorili; questa nostra
e' la bandiera di tutti i colori, di tutte le parti, di tutti i popoli, di
tutte le idee che vogliono convivere con le altre. Esclude soltanto chi
esclude e si esclude. Abbiamo creato - meglio: ravvivato e moltiplicato - un
archetipo profondo, un simbolo piu' grande e potente di quello che potevamo
pensare all'inizio".
Vorrei che tutti tenessero presente queste parole, perche' a volte capita
che uno fa le cose senza sapere che significato e valenza reale prendono poi
nell'immaginario collettivo.
In effetti e' vero, questa bandiera e' diventata un archetipo, che tra
l'altro ha avuto pure la capacita' di unire al di la' di tutte le differenze
ideologiche; perche' ammainare la bandiera della pace?
E' stata dichiarata la pace? non mi pare.
C'e' la pace? c'e' solo la prospettiva di una guerra infinita e duratura.
Anzi io la porterei pure a Lampedusa, farei una manifestazione nazionale a
Lampedusa con tante bandiere della pace.
Perche' dovremmo ammainare la bandiera quando al governo c'e' chi dice che
vuole adoperare il cannone contro i migranti, per esempio?
Ora a dire la verita' io non vedo la necessita' di tanti ripensamenti su
questa bandiera. Credo che quanto piu' e' difficile a maggior ragione vada
esposta e portata in piazza. Io non la togliero' di certo, pure se fossi la
sola a metterla, e non le faro' certo fare la fine della freccia dei
carabinieri, che ora funziona e ora non funziona.
Quando sara' scolorita me la faro' da sola... Oltretutto siccome poi i
movimenti hanno flussi e riflussi, alti e bassi, e' scontato che tanti
toglieranno la bandiera, soprattutto quando non sara' bella da vedere... Ma
io vedo pure che tanti pervicacemente la tengono. E per me la speranza sta
in queste persone.
I simboli sono importanti, specialmente quando sono simboli positivi, ed io
di simboli positivi ne vedo proprio pochi attualmente...
4. PROPOSTE. GIOBBE SANTABARBARA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE E SULLE
NOSTRE MISERIE
[GiobbeSantabarbara e' uno dei principali redattori di questo notiziario, e
sembra che sappia scrivere solo cosi'; compatite]
1. Dal balcone del mio appartamento sventola ancora la bandiera della pace;
battezzata da un uccellino, aspetto che la lavino le prossime piogge. Non
l'ho piu' tolta, credo per pigrizia. Non so quando lo faro'.
2. Che la guerra in Iraq continui, non ne ho mai dubitato. Continuera'
almeno finche' vi saranno truppe euroamericane d'occupazione. Poi, se mai
quelle truppe d'occupazione se ne andranno (a seguito di un lungo
stillicidio di morti, probabilmente; visto che noi non siamo stati capaci
d'impedire che vi s'installassero), forse continuera' altrimenti, ma le
televisioni e i giornali del nord del mondo non saranno piu' li' per
dircelo.
3. E - se cosi' posso esprimermi - non e' mai finita neppure la seconda
guerra mondiale, a onor del vero: la guerra che Hitler non perse del tutto
se riusci' a disseminare non solo i suoi complici ma soprattutto la sua
ideologia e i suoi metodi un po' ovunque nel mondo, incistandoli nei suoi
stessi avversari; e non fini' anche perche' vi fu la bomba di Hiroshima,
dopo della quale la guerra e' entrata in una nuova fase, in cui anche la
pace, cosi' come la intendono i potenti, e' un pezzo di guerra, della guerra
che l'intera umanita' puo' annientare in un soffio. Sarebbe bene non
dimenticare.
4. Ci ho messo parecchio prima di decidermi a sciorinar la bandiera
arcobaleno al balcone.
Primo, perche' non mi piacciono i feticci, e meno che mai le bandiere, se
non una, quella rossa che ho sempre considerata lo straccio che dice il
dolore e la verita' degli ultimi (c'e' una poesia di Pasolini su questo, che
sento magnifica; e un articolo di Fortini che nitidamente spiega che quella
bandiera e' la bandiera dei fucilati da Stalin, non di Stalin e dei suoi
infiniti sgherri e compari e discepoli).
Secondo, perche' temevo potesse implicare un equivoco, l'equivoco secondo
cui bastava testimoniare il proprio "dissenso" - come si dice oggi,
offendendo i dissenzienti veri che finirono nel gulag - e cosi' eludere il
dovere della concreta lotta contro la guerra, lotta che e' da condurre non a
passeggiate e raduni e salotti tv (non dico dell'idiota spaccar vetrine, la
cui unica utilita' e' quella di favorire gli affari di Charlot nel
"Monello"), ma con l'azione diretta nonviolenta che praticamente fronteggi e
contrasti la macchina bellica e i poteri assassini: operativamente, sul
terreno.
Terzo, perche' sono lento a decidermi in generale, e riottoso dinanzi alle
cose che vengono proposte in toni entusiasti. Sono un vecchio marxista
leopardiano, cresciuto alla scuola di Timpanaro e Fortini, ho letto da
giovane Il nipote di Rameau, vorranno perdonarmi i lettori.
5. Ma per strada mi sono convinto che quel gesto, per poco che fosse, valeva
la pena. Ed ho fatto io pure lo sforzo di appendere il drappo al ferro,
vincendo tutte le mie riserve di spaccacapelliinquattro e di rigido
aniconista. E, perplesso ancora, ho dato retta a Diego e Nicoletta, e Lidia,
ed Enrico, e Marigia, e Dario, e tante e tanti ancora.
6. Non mi piacciono le esagerazioni, e nel movimento per la pace di
sciocchezze sesquipedali se ne dicono in quantita' pari a quelle della
propaganda di guerra, con l'aggravante che per noi la verita' dovrebbe
essere un valore e un criterio e una scelta.
Mi ripugnano i trionfalismi, massime quelli irragionevoli. Farsi tra noi
tanti salamelecchi per aver fatto - come dire - garrire una stoffa, mi pare
smodato; come mi pare insensato complimentarsi l'un l'altro per la mera
estensione del movimento per la pace in Italia e nel mondo, succubi di una
logica stravolta da sfilata di moda o peggio da adunata oceanica.
Poiche' il nocciolo della questione e' che ancora una volta non abbiamo
saputo impedire la guerra, che era l'unica cosa che contava. E non abbiamo
saputo fermare la guerra perche' non abbiamo saputo fare la scelta della
nonviolenza, la scelta della lotta nonviolenta, la scelta dell'azione
diretta nonviolenta per contrastare e paralizzare e disarmare gli eserciti
assassini e i loro comandi onnicidi.
7. Cosicche' questa riflessione mi pare utile a condizione che non si ricada
per l'ennesima volta nella situazione dell'abusato apologo cinese: che si
guardi il dito che indica la luna, invece della luna dal dito indicata;
occorre, mi sembra, che si ragioni su quanto di concreto e' da farsi, e che
la scelta dell'esposizione delle bandiere della pace, per un giorno o un
anno o per sempre, comunque segnala. Come fosse una spina nella carne.
8. Mi sembra preziosa questa nostra comune riflessione, vorrei che
proseguisse, e che andasse piu' in profondita'. E confido, anzi bramerei,
che Lidia, quando vorra', raccogliesse quanto sta emergendo e ne ricavasse e
restituisse anche ulteriori proposte di pensiero e di azione. Ahime', che
chiusa mazziniana che mi denuncia per quel vecchio barbogio che sono.
5. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: A DACHAU
[Da "Tanto per abbaiare" n. 184 del 23 giugno 2003 riprendiamo questo
articolo. Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles@libero.it), che
con "Tanto per abbaiare" redige la piu' appassionante e commovente impresa
di giornalismo critico nella rete telematica, e' giornalista eccellente ed
esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di
limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi,
ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato
tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti"; ha formato al giornalismo
d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete
telematica vi e' la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti
(curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di
un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di
traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta)
politica e culturale, giornalistici e letterari. Attendiamo ancora che un
editore ne faccia un libro - come dire: cartaceo - che possa raggiungere una
concretamente piu' vasta area di lettori (i tanti non utenti di internet).
Come Centro di ricerca per la pace di Viterbo abbiamo anni fa ristampato in
opuscolo due suoi interventi: Gattopardi e garibaldini, Viterbo 1992; e
L'esperienza de "I Siciliani", Viterbo 1998. Due ampi profili di Riccardo
Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino
1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)]
A Dachau, ridente cittadina della Baviera, nessuno dei quindicimila
abitanti - tutte brave persone, gemutlich, casa chiesa e partito - sapeva
niente delle attivita' che si svolgevano nel campo di raccolta alle porte
della citta'. "Non sono affari nostri. Lasciateci lavorare".
Quando gli americani conquistarono la citta', fecero una bella retata di
cittadini perbene, gli dettero un badile per uno e li costrinsero, a
baionette puntate, a entrare nel campo, a guardare coi loro propri occhi le
cataste dei morti, e a seppellirli con le loro mani.
Le donne, gli uomini e i bambini che sono affogati in solitudine nel nostro
mare non sono stati uccisi da una forza della natura. Sono stati assassinati
dai buoni cittadini di Treviso, viso per viso, uno per uno. Non vi spiego
perche', e se avete bisogno di spiegazioni allora chiedetevi anche perche'
erano degli assassini i buoni borghesi di Dachau. La colpa non era di
Hitler, e non e' di Bossi. Costoro, orrende maschere della disumanita'
collettiva, non sarebbero riusciti a gasare nemmeno un ebreo, ad annegare
nemmeno un tunisino, se non avessero avuto alle spalle, a milioni e milioni,
convinti e soddisfatti di se stessi, i volenterosi elettori di Dachau e di
Treviso.
In questo stesso momento, da qualche parte del mare, un essere umano
agonizza nell'acqua come sotto lo Ziklon-B. Non dicano "io sono innocente".
Non saranno assolti.
Mi dicono, e se e' vero ne sono orgoglioso, che c'e' stata una vera
sollevazione fra gli ufficiali della nostra Marina all'annuncio di Bossi di
mandare le nostre navi all'assalto, in acque internazionali, degli
immigrati. A questa sollevazione si deve la veloce smentita del ministro
della Difesa; resta che la proposta assassina e' stata fatta ("Voglio
sentire il cannone") e che questa proposta disonora chi l'ha fatta e chi
l'ha applaudita.
Io non sono di Treviso, grazie a Dio. Non ho niente a che fare con loro, e
non accetto che gente nazista, che da' il settanta per cento dei voti a un
Gentilini ("travestirli da leprotti e poi cacciarli"), si permetta di farsi
passare per italiana.
Hanno ragione Bossi e gli altri: l'Italia finisce prima di Treviso. Si
tengano i loro Goebbels e i loro Benetton, sbarazzino della loro vergogna il
paese, e se ne vadano al diavolo dove vogliono loro. Non li rimpiangeremo.
*
Mentre questo miserabile intreccio di politicantismo e ferocia offre
un'orrenda immagine degli italiani, ecco che degli italiani stanno per
annegare.
E' Mohamed a tuffarsi, ad afferrare il primo e il secondo corpo che si
dibatte e a portarli a riva. E in quel momento dall'acqua arriva un altro
grido d'aiuto, di un bambino: ed ecco che il tunisino ansimante si tuffa
ancora, tenta qualche bracciata, muore nel tentativo di salvare un altro
italiano.
Non si permetta il presidente della Repubblica di dare una medaglia a
Mohamed Habib, al tunisino: le medaglie italiane, in questo momento,
sporcano piuttosto che premiare. Chieda piuttosto perdono in ginocchio, a
nome di tutti gli italiani nei confronti di tutti i tunisini, delle vili
parole sbraitate da un ministro italiano contro i loro morti.
6. RIFLESSIONE. CARLO MARIA MARTINI: TRE COSE SULLA PACE
[Questo testo di Carlo Maria Martini, scritto a Gerusalemme il 12 marzo
2003, abbiamo estratto dal sito di "Namaste" (www.namaste-ostiglia.it), che
a sua volta lo riprende da "Giovani e missione" (www.giovaniemissione.it).
Carlo Maria Martini, gia' arcivescovo di Milano, e' una delle figure piu'
prestigiose della cultura della pace]
Sono passati sei mesi da quando ho terminato il ministero attivo come
Arcivescovo e in molti mi domandano, anche solo implicitamente, le ragioni
del silenzio "sabbatico" tenuto in questo periodo, invitandomi a romperlo in
qualche occasione particolare.
Vorrei anzitutto precisare che non si tratta di un silenzio che si potrebbe
un po' definire come "dispettoso" (cioe' di chi si tira fuori dai problemi
con senso di superiorita' o di sufficienza), ne' del silenzio detto
"ossequioso", quello cioe' di chi ha paura di disturbare autorita' politiche
o ecclesiastiche: si tratta di un silenzio che vorrei definire "rispettoso",
che tiene conto cioe' della mia nuova situazione di vita, del mio abitare in
parte a Roma e in parte a Gerusalemme, e degli equilibri delicati che tutto
cio' comporta. Ma vorrei definirlo al meglio un silenzio "sabbatico",
ricordando quelle parole che noi sacerdoti anziani citiamo ancora della
Bibbia latina "sabbato quidem siluerunt secundum mandatum" (Lc 23, 56) dove
la Bibbia della C.E.I. traduce "il giorno di sabato osservarono il riposo,
secondo il comandamento", che e' poi quel medesimo antico comandamento che
impone, per la sanita' stessa dell'uomo e in ordine al servizio
dell'Altissimo, l'alternarsi di lavoro e di riposo, e quindi anche di parola
e di pause di silenzio.
Ma vi sono pure occasioni e situazioni che invitano a fare eccezione a
questa regola, per ragioni gravi. E terribilmente grave e' certamente la
situazione delle attuali minacce alla pace e delle violazioni della pace,
messe in questi giorni ancora piu' in rilievo da grandi e corali desideri di
pace.
Ci si deve certamente rallegrare di questa grande, spontanea, diffusa,
praticamente unanime volonta' di pace. Vi e' in essa un riflesso del
desiderio di quella pace che e' dono di Dio, della pace offerta a Betlemme
agli uomini che Dio ama. Questa volonta' e questa ansia di pace, che
totalmente condividiamo, ci spingono pero' a ricordare tre cose.
*
La prima e' che la pace ha un costo. Mi diceva un amico qualche tempo fa,
parlando della sua esperienza come straniero in una societa' travagliata da
conflitti: questa societa', nelle sue espressioni migliori, vuole
sinceramente la pace, ma non sa decidersi a pagarne il prezzo. Va infatti
ricordato che persino quel fiore raro e prezioso del Vangelo che talora
viene chiamato (con una semplificazione terminologica) "nonviolenza", ha un
prezzo preciso: "a chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la
tunica, tu lascia anche il mantello" (Mt 5, 40). Cio' significa che bisogna
essere disposti a pagare un prezzo e a rinunciare anche a qualcosa a cui si
avrebbe pure diritto.
Non basta dunque invocare la pace: bisogna essere disposti a sacrificare
anche qualcosa di proprio per questo grande bene, e non solo a livello
personale ma pure a livello di gruppo, di popolo, di nazione.
*
Una seconda cosa che menzionerei e' che la pace non e' mai un edificio
solido, costruito compatto una volta per tutte, ma somiglia piuttosto ad una
tenda, ad un castello di sabbia, da custodire e da ricostruire sempre con
infinita pazienza ("settanta volte sette" direbbe Gesu', cfr. Mt 18, 22).
In altre parole, non e' sufficiente rifarsi soltanto a considerazioni
etico-politiche (chi ha ragione, chi ha torto, chi e' l'aggressore, chi e'
l'aggredito, l'uso della legittima difesa, l'eventuale possibilita' di una
guerra giusta, ecc.). Occorre avere il coraggio di proclamazioni profetiche,
che tengano conto della precarieta' e peccaminosita' della situazione umana
storica.
Infatti la prima e perenne difficolta' nella costruzione della pace nella
citta' degli uomini risiede in un dato antropologico che la Bibbia ricorda
fin dalle prime pagine e cioe' che "l'istinto del cuore umano e' incline al
male fin dalla adolescenza" (Gen 8, 21).
Ogni volonta' costruttiva della pace si scontra con la ineludibile
aggressivita' umana, col desiderio insito in tanti di noi, persone e gruppi,
di possedere cio' che e' dell'altro, di avere piu' dell'altro, meglio
dell'altro, togliendolo, se non c'e' altro mezzo, anche con la forza.
Tutto cio' costituisce una dimensione tragica dell'esistenza che non e'
lecito ignorare, fare come se non esistesse. In questo senso la sola e
astratta sollecitazione di atteggiamenti belli ma carichi di utopia, senza
inserirli nel contesto reale della struttura, dei bisogni e delle miserie
umane, minaccia alla fine la causa stessa della pace. Non per niente una
delle tradizioni bibliche piu' antiche dice che la prima citta' fu fondata
da Caino, allo scopo certamente anche di contenere e arginare quelle
aggressioni scatenate che alla fine avrebbero potuto uccidere lo stesso
Caino (cfr. Gen 4, 17).
Il conflitto, l'uso della forza, la possibilita' dello scatenarsi della
violenza, sono dati di cui si deve tener conto nel programmare la vicenda
umana, cio' che e' compito soprattutto dei politici.
E' percio' inevitabile, per la pace di questo mondo, ideale sommo e sempre
da perseguire con indomito coraggio, ritessere continuamente le fila di una
concordia che non si illuda di sradicare del tutto l'aggressivita', ma che
si proponga il compito, piu' modesto ma insieme piu' realistico, di
moderarla fino al punto da preferire talora anche un compromesso, in cui
ciascuno debba concedere qualcosa a cui avrebbe teoricamente diritto, in
vista del superamento di una litigiosita' violenta e senza fine. Si tratta
cioe' di superare il solo punto di vista etico-politico per accedere a quel
profetico "porgi l'altra guancia" (cfr. Mt 5, 39) che non crediamo sia cosi'
utopico come sembrerebbe a prima vista.
La difficolta' perenne di una politica della pace (che sara' sempre una pace
fragile e minacciata) sara' infatti proprio nella determinazione del punto
di equilibrio tra le ragioni delle parti in causa e le possibilita' pratiche
di gestirle senza conflitto violento, in una sana dialettica che conduca
tutti i contendenti alla rinuncia di qualcosa di proprio in vista della
ricerca del maggior bene comune concretamente realizzabile qui e ora.
*
La terza verita' da ricordare e' che, per tutti i motivi detti sopra, una
pace seria e duratura, la' dove persistono ragioni gravi di conflitto, ha
sempre un po' del "miracoloso", dell'improbabile, del "dono dall'alto" ("Vi
do la mia pace. Non come la da' il mondo, io la do a voi", Gv 14, 27) e
percio' chi crede in Dio la deve chiedere nella preghiera con tutte le forze
e anche chi non crede la deve invocare dal fondo della propria coscienza
pronto a sacrificarsi con tutto se stesso.
Occorre cercare la pace possibile e intercedere per essa con quella
instancabilita' con cui pregava Gesu' nell'orto degli Ulivi "ripetendo le
stesse parole" (Mt 26, 44), con quella costanza, perseveranza, creativita' e
tenacia di cui ci da' esempio papa Giovanni Paolo II.
Come afferma il Concilio Vaticano II, la pace (che e' molto di piu' che non
l'assenza di guerra o la presenza di un fragile armistizio) e' il dono che
va invocato e ricercato con l'aiuto di tutti: "La pace terrena che nasce
dall'amore del prossimo, e' immagine ed effetto della pace di Cristo, che
promana da Dio Padre" (Gaudium et spes, n. 77).
Di qui si puo' anche intendere il senso vero e profondo del famoso e
sapiente detto biblico "opus iustitiae pax" (cfr. Is 32, 7): "effetto della
giustizia sara' la pace". Si', la pace non puo' che essere frutto della
giustizia, ma la pace di questo mondo non sara' soltanto il risultato di una
giustizia mondana perfetta, che non si avrebbe mai nelle attuali
aggrovigliate condizioni storiche, ma frutto di quella giustizia che e' al
momento ottenibile anche a prezzo di sacrifici e rinunce di singoli e di
gruppi in vista di un bene comune piu' alto e condiviso. La pace percio'
alla fine e' opera di una giustizia che partecipa della giustizia divina, di
una giustizia cioe' che e' anche perdonante, misericordiosa, riabilitante,
capace di dimenticare i torti subiti.
7. RIFLESSIONE. GIOVANNI SCOTTO: RIPENSARE LA POLITICA ESTERA
[Ringraziamo Giovanni Scotto (per contatti: e-mail:
gscotto@zedat.fu-berlin.de, sito: http://userpage.fu-berlin.de/~gscotto/)
per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso su "Azione
nonviolenta" del maggio 2003. Giovanni Scotto e' uno dei piu' importanti
studiosi italiani nell'ambito della peace research, studioso e amico della
nonviolenza; ricercatore presso il "Berghof Research Center for Constructive
Conflict Management" di Berlino; collabora con l'"Institute for Peace Work
and Nonviolent Settlement of Conflicts" di Wahlenau e con il "Centro studi
difesa civile" di Roma. Tra le opere di Giovanni Scotto: con Emanuele
Arielli, I conflitti, Bruno Mondadori, Milano 1998; sempre con Emanuele
Arielli, La guerra del Kosovo, Editori Riuniti, Roma 1999]
La guerra annunciata si e' compiuta. E' ancora troppo presto per valutare
appieno le conseguenze dell'attacco angloamericano all'Irak. Mentre la
guerra e' stata piu' breve di quanto molti si aspettavano, i primi giorni
del dopoguerra, con l'il caos e i saccheggi nelle grandi citta' irachene,
mostrano che al momento le forze occupanti non hanno ne' l'interesse, ne' la
capacita' di garantire un minimo di ordine nel paese. Intanto gli strateghi
folli dell'amministrazione statunitense sembrano gia' affilare le armi
contro il prossimo nemico, la Siria: e speriamo che rimangano soltanto
esercizi retorici.
Quel che e' certo e' che gli Stati Uniti hanno dato un colpo micidiale a un
pilastro dell'insieme di regole che governava il sistema internazionale dal
dopoguerra. Certo la superpotenza era gia' intervenuta militarmente, in
maniera diretta o indiretta, in tanti stati. Ma la sensazione e' che oggi
una soglia sia stata superata, che il modo di agire degli Stati Uniti sia
diventato quello di una potenza imperiale, che sfrutta come e quando vuole
la sua superiorita' militare. Questa mutazione sembra essersi compiuta nel
giro di pochi mesi.
Se questo e' vero, vuol dire che e' arrivato il momento di ridiscutere i
rapporti con la superpotenza alleata dell'Italia, ed in particolare
riesaminare il senso della Nato, che del vecchio ordine era parte
integrante, e la necessita' della concessione di basi alle forze militari
statunitensi.
Due erano le caratteristiche portanti dell'alleanza nel passato: il fatto di
inquadrarsi nel sistema delle Nazioni Unite e la sua natura difensiva.
Tralasciamo per brevita' il fatto che in sostanza nemmeno in passato questi
principi erano rispettati e che la mutazione e' stata a lungo preparata. Il
comportamento dell'alleato dominante oggi ha definitivamente affossato quei
principi. La dottrina della guerra preventiva fa strame della funzione
difensiva delle forze armate atlantiche; l'unilateralismo della superpotenza
ha messo in un angolo le istituzioni internazionali.
Da una idea di difesa militare collettiva ci ritroviamo dentro un sistema di
sicurezza imperiale, dove il partner piu' potente puo' fare quel che vuole,
incluso prendere decisioni (come la guerra di oggi) che in prospettiva
mettono a rischio la sicurezza interna dell'alleato piu' debole. Perche' e'
chiaro che, anche se volessimo definire l'interesse del nostro paese alla
maniera degli "esperti di sicurezza", questa guerra puo' farci solo male,
esacerbando le frange estremiste del fondamentalismo e preparando il terreno
a nuovi attentati terroristici in tutto il mondo, Italia inclusa.
Sono percio' venuti a mancare del tutto i presupposti che erano alla base
della stretta alleanza militare tra Italia e Stati Uniti. Per questo e'
urgente aprire una discussione nella politica e nella societa' italiana
sulla permanenza del nostro paese nell'alleanza e sulla concessione delle
basi militari agli Usa.
La nonviolenza offre una strada radicalmente diversa alla sicurezza: questa
non viene intesa come garantita dalla strapotenza delle armi, ma dalla
solidita' interna e dalla capacita' di instaurare rapporti costruttivi con
l'esterno. Solidita' interna vuol dire diverse cose: resistienza nei
confronti di eventuali attacchi esterni, capacita' di offrire una difesa
popolare nonviolenza, una economia non dedita allo sfruttamento e alla
rapina altrui. La creazione di rapporti costruttivi con altri popoli e paesi
presuppone la costruzione di una politica estera di pace, della quale
abbiamo gia' parlato e di cui certamente continueremo a occuparci.
Ma non dimentichiamo che la novita' non e' solo la guerra, ma anche il
movimento diffuso, capillare, senza pari, che abbiamo di fronte oggi.
Milioni di persone con cui parlare; le paure, speranze e idee per un mondo
nuovo da condividere, da capire; una capacita' di pace da far crescere e
maturare.
E' urgente parlare di nuovo, a tutti, di difesa alternativa, di sicurezza
alternativa. Trovare spazi, nei media, nella societa', nella politica, per
rimettere in questione la Nato e la concessione delle basi agli Stati Uniti.
Se riusciamo a innescare un confronto ampio su una nuova sicurezza, su una
politica estera di pace, e in definitiva sul superamento della nostra
dipendenza militare dall'impero, forse scopriremo di poter raggiungere molte
piu' persone di quanto crediamo. In fondo sappiamo bene che la nonviolenza
fa miracoli.
8. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: UNO SGUARDO INTORNO A NOI
[Da Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, p.
447. E' un passo da La crisi della socialdemocrazia, la celebre
"Juniusbroschuere" scritta nel carcere in cui era detenuta per la sua
opposizione alla guerra, e pubblicata nel 1916. Rosa Luxemburg, 1871-1919,
e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno
contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu
gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per
lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e'
sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri
ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'."; Epitaffio per
Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea
polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli
oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di
Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in
italiano: Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con
una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa
Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori;
Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il
Saggiatore; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria,
Mursia; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista,
Mazzotta]
Che cosa significa "regresso nella barbarie" al grado ora raggiunto dalla
nostra civilta' europea? Finora tutti noi abbiamo letto e ripetuto senza
pensarci queste parole, senza sospettare la loro terribile gravita'. Uno
sguardo intorno a noi in questo momento ci dimostra che cosa significa un
regresso della societa' borghese nella barbarie. Questa guerra mondiale -
ecco un regresso nella barbarie. Il trionfo dell'imperialismo porta
all'annientamento della civilta' - sporadicamente per la durata di una
guerra moderna e definitivamente se il periodo ora appena iniziato delle
guerre mondiali dovesse continuare indisturbato il suo corso alle estreme
conseguenze.
9. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: UN TABU' CHE NON REGGE
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso nell'edizione
palermitana de "La repubblica" del 18 giugno 2003. Augusto Cavadi,
prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
Senza voler minimamente anticipare le conclusioni investigative e
giudiziarie - ed attenendosi rigorosamente ai dati accertati sinora -
eventi tragici come la morte violenta per strangolamento del parroco di
Mazara del Vallo ripropongono all'opinione pubblica degli interrogativi non
del tutto oziosi.
Una prima questione, sollevata da parte di preti stessi gia' da alcuni
decenni, concerne in modo particolare il Meridione: perche' e' prevalsa la
consuetudine del ministro ordinato di vivere da solo, o con una sorella o
con una Perpetua, e non in assetto comunitario con altri colleghi impegnati
nello stesso territorio? Perche' questo inchiodare i giovani sacerdoti ad
un'esistenza di solitudine o, in alternativa (forse peggiore per la loro
maturazione psicologica), ad una vita di eterni figli di famiglia incapaci
di tagliare il cordone ombelicale?
Ma questa prima domanda rimanda ad una seconda questione piu' radicale:
perche' tutte le chiese cristiane (ortodossa, luterana, calvinista,
anglicana...), radicate nell'unico vangelo di Cristo, accettano serenamente
l'eventuale matrimonio dei presbiteri (come avveniva sin dai primissimi
secoli della storia ecclesiale) e solo i cattolici s'incaponiscono
nell'obbligatorieta' giuridica del celibato? In Sicilia, Calabria e
Basilicata vivono gli unici preti-sposati (o, per essere piu' precisi: gli
unici sposati consacrati preti) del mondo: sono i sacerdoti cattolici di
rito greco dipendenti dall'Eparchia di Piana degli Albanesi e dalle altre
diocesi analoghe. Costituiscono un'eccezione che rende ancora meno
comprensibile la regola generale.
Si potrebbe obiettare che cosi' si toccano problematiche interne alla Chiesa
cattolica e, al limite, addirittura appartenenti alla sfera intima degli
individui. A parte la considerazione che la Chiesa cattolica non e' fatta
solo da preti, frati e suore, ma - in larghissima maggioranza - da "fedeli
laici" cui non si puo' negare il diritto di riflettere a voce alta, si
potrebbe aggiungere che anche il mondo dei laici "esterni" all'istituzione
ha diritto di ragionare - con tutta la delicatezza necessaria - sui principi
etici della comunita' cattolica. Proprio come ha diritto di vagliare, alla
luce della Costituzione e delle leggi statali, le linee teoriche e pratiche
di fondo delle comunita' islamiche, delle sette religiose orientali, della
massoneria, dei partiti rivoluzionari di sinistra... Nel caso particolare
della Chiesa cattolica, poi, si tratta di una presenza radicata e diffusa
dal Monte Bianco all'Etna (come in molti si affrettano a ricordare quando si
tratta di giustificare certi privilegi, come ad esempio la frequenza in Rai
di servizi radio-televisivi sui viaggi del papa, trasmissioni sugli
anniversari dei concili, sceneggiati a puntate sulla vita di santi e sante,
dibattiti a piu' voci su miracoli e sindoni).
Poiche' i preti non vivono in una campana di vetro, ma a contatto quotidiano
con uomini e donne, giovani e bambini, le loro scelte sessuali sono private
sino a un certo punto. Le statistiche, piu' o meno attendibili, di cui danno
periodicamente notizia alcuni organi di stampa specializzati (vedi, in
Italia, l'agenzia "Adista" di Roma) non sono certo tranquillizzanti: preti
pedofili, preti che sfruttano sessualmente le suorine giovani - e con
famiglie indigenti alle spalle - provenienti dal Terzo e Quarto Mondo, preti
che praticano abitualmente o occasionalmente l'omosessualita' con adulti
consenzienti, preti che hanno relazioni sentimentali clandestine con donne
nubili o sposate. Insomma, tutto un vasto campionario che non elimina certo
il numero consistente di sacerdoti sostanzialmente fedeli alla promessa di
castita' celibataria ma che lo rende meno compatto di quanto non si possa
sospettare in base alle posizioni ufficiali del Magistero. Senza contare
quel mare di sofferenze interiori patite dagli uomini e dalle donne che
vogliono a tutti i costi restare fedeli ad una promessa giovanile:
sofferenze che provocano nevrosi e psicopatie su cui il prete cattolico e
psicanalista Eugen Drewermann si e' soffermato in un libro (I funzionari di
Dio. Psicogramma di un ideale) tradotto in diverse lingue ma pagato con la
riduzione allo stato laicale.
Proprio l'abozione dell'obbligatorieta' del celibato ecclesiastico rientra
nei punti programmatici che, da una decina di anni, porta avanti un
movimento ecclesiale internazionale ("We are the Church") cui hanno aderito
circa cinque milioni di persone nel mondo e che puo' contare, in Italia in
generale e in Sicilia in particolare, sul sostegno di circa cinquantamila
persone. Si tratta comunque, ad avviso di alcuni esperti, di un obiettivo
parziale. La questione e' piu' complessa e piu' profonda. Un prete sposato
non e' ancora necessariamente un prete che viva, come gli apostoli e i loro
primi successori, in un contesto di normalita' comunitaria. Non e' un prete
che deve sudare per guadagnarsi il pane, preoccuparsi del suo futuro
professionale, affrontare senza privilegi le difficolta' ordinarie della
burocrazia e delle relazioni sociali: non e', insomma, un credente fra gli
altri che - secondo l'auspicio del Concilio Vaticano II - condivide
effettivamente, e non solo 'spiritualmente', "le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di
tutti coloro che soffrono". Quando (come avviene oggi solo per alcuni preti
dei quartieri difficili o dei paesini sperduti in montagna) nessun ministro
di Dio - vescovi e papi compresi - vivra' piu' in ville recintate, con
sistemi di allarmi e cani da guardia, sara' un giorno piu' luminoso per la
Chiesa cattolica: e un segno di speranza anche per la societa' civile.
10. RILETTURE. GERMAINE GREER: L'EUNUCO FEMMINA
Germaine Greer, L'eunuco femmina, Bompiani, Milano 1972, 1979, pp. XXIV +
380. Questo libro del 1970 a noi pare ancora un punto di riferimento
fondamentale.
11. RILETTURE. GERMAINE GREER: LA DONNA INTERA
Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, pp. 396, euro
8,26. Ancora un libro di grande acume e finezza.
12. RILETTURE. PAT PATFOORT: UNA INTRODUZIONE ALLA NONVIOLENZA
Pat Patfoort, Una introduzione alla nonviolenza, Edizioni del Movimento
Nonviolento, Verona 1988, pp. 32. Un utile opuscolo della biologa e
antropologa belga, tra le piu' note formatrici alla nonviolenza (per
richieste: azionenonviolenta@sis.it).
13. RILETTURE. PAT PATFOORT: COSTRUIRE LA NONVIOLENZA
Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1992,
pp. 128, lire 22.000. Un utile testo introduttivo "per una pedagogia dei
conflitti".
14. RILETTURE. ANTONIETTA POTENTE: GLI AMICI E LE AMICHE DI DIO
Antonietta Potente, Gli amici e le amiche di Dio, Icone, Roma 2000, pp. 112,
euro 5,16. Nato da cinque serate di dialogo a Roma nel gennaio 2000, questo
libriccino ci restituisce in freschezza e profondita' meditazioni e
suggestioni della sempre sensibile e generosa teologa domenicana.
15. RILETTURE. ANTONIETTA POTENTE: UN TESSUTO DI MILLE COLORI
Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori, Icone, Roma 2001, pp. 80,
euro 3,62. Tre saggi per una riflessione sulle differenze (di genere, di
cultura, di religione).
16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 596 del 29 giugno 2003