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La nonviolenza e' in cammino. 589
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 589
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Sun, 22 Jun 2003 01:36:32 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 589 del 22 giugno 2003
Sommario di questo numero:
1. "A. Rivista anarchica": un dvd e un libro per ricordare Fabrizio De
Andre'
2. Le relazioni del convegno nazionale delle Caritas diocesane
3. Nella Ginatempo: il movimento contro la guerra dopo Baghdad
4. Augusto Cavadi: la memoria come azione quotidiana e riflessione
autocritica
5. Thomas Schaffroth intervista Andre' Gorz
6. Nadia Cervoni: ancora detenuta Leyla Zana
7. Amnesty International: ancora detenuta Aung San Suu Kyi
8. Action for peace: campagna europea contro la costruzione del muro di
separazione che devasta villaggi e campi coltivati palestinesi
9. Una lettera dei refuseniks israeliani agli amici palestinesi, contro il
terrorismo
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. MATERIALI. "A. RIVISTA ANARCHICA": UN DVD E UN LIBRO PER RICORDARE
FABRIZIO DE ANDRE'
[Da "A. Rivista anarchica" (per contatti: tel. 022896627, fax: 0228001271,
e-mail: arivista@tin.it, sito: www.anarca-bolo.ch/a-rivista) riceviamo e
diffondiamo. Fabrizio De Andre', chi non lo sa, e' stato un grandissimo
cantautore antimilitarista e libertario]
Per ricordare Fabrizio De Andre', dopo il dossier "Signora liberta',
signorina anarchia" (2000), e il Cd + libretto "Ed avevamo gli occhi troppo
belli" (2001), ecco il Dvd + libretto "Ma la divisa di un altro colore"
(2003).
Nel Dvd e' presente, innanzitutto, il documentario "Faber" (56'), realizzato
dai registi Bruno Bigoni e Romano Giuffrida nel 1999, prodotto da Minnie
Ferrara & Associati e presentato al Festival del Cinema a Torino di
quell'anno. Nel documentario, girato in Sardegna, a Genova e a Milano (i tre
luoghi principali di De Andre'), sono intervistati una quindicina di amici n
on famosi del cantautore, dal prete che fece da tramite durante il rapimento
al rom che lo aiuto' per una sua canzone dedicata agli zingari. Fanno da
colonna sonora le sue canzoni, la sua voce inconfondibile.
Accanto a "Faber" ci sono due interpretazioni tanto originali quanto
significative. Moni Ovadia, accompagnandosi alla chitarra, interpreta "La
guerra di Piero". Lella Costa, a sua volta, interpreta "Il girotondo",
accompagnata da Mauro Pagani al flauto traverso, da due chitarristi e da un
coro di voci bianche composto da 18 bambine.
Nel libretto, dopo la dedica di Dori Ghezzi e l'introduzione della redazione
della rivista anarchica "A", ci sono: un'intervista quasi sconosciuta
rilasciata da De Andre' ad un periodico antimilitarista nel 1991; il
"Diario di viaggio" del regista Bigoni che racconta come nacque "Faber"; uno
scritto del 1914 contro la guerra dell'anarchico Errico Malatesta; un brano
di Marina Padovese sugli stupri e altre violenze contro le donne nei recenti
conflitti balcanici; la testimonianza di Teresa Sarti (presidente di
Emergency) sull'incontro a meta' degli anni '90 tra lei e Gino Strada da una
parte e De Andre' e Dori Ghezzi dall'altra; un breve saggio comparativo tra
le canzoni antimilitariste di Leonard Cohen e di De Andre'; i testi delle
due canzoni antimilitariste di Fabrizio interpretate nel Dvd da Moni Ovadia
e da Lella Costa; una scheda curata da Emergency sulle loro attivita' ed in
particolare sul Centro chirurgico di Goderich (Sierra Leone), al quale e'
destinata la meta' dell'utile ricavato dalle vendite del Dvd + libretto "Ma
la divisa di un altro colore".
Il senso di quest'operazione editoriale e' innanzitutto quello di ricordare
e rivendicare l'impegno profondamente antimilitarista e antibellico del
cantautore genovese, pienamente inscritto nella sua dichiarata opzione
anarchica e libertaria. In questo contesto, l'impegno sviluppato da Dori e
Fabrizio in favore di Emergency, cosi' come il costante contributo di De
Andre' in favore della pubblicistica anarchica (e in particolare della
rivista "A") si legano tra loro e stanno indirettamente alla base di questo
strano "prodotto".
"Ma la divisa di un altro colore" costa 20 euro; da 3 copie, 19 euro; da 5
copie, 18 euro; da 10 copie, 16 euro, da 20 copie in su', 15 euro. In caso
di pagamento anticipato, non si pagano le spese postali. Per pagare
anticipatamente, si puo' effettuare un versamento sul nostro conto corrente
postale, un bonifico sul nostro conto corrente bancario oppure inviare un
assegno non trasferibile al nostro indirizzo postale.
Se invece si desidera pagare contrassegno, bisogna aggiungere 4 euro quale
contributo fisso (qualunque siano i prodotti richiesti e l'importo
complessivo).
Naturalmente l'ordinativo - sia prepagato sia in contrassegno - puo'
comprendere anche una o piu' copie del dossier "Signora liberta', signorina
anarchia" (costo 3 euro l'uno, da 10 copie in su 1,50 euro) e/o del Cd +
libretto "Ed avevamo gli occhi troppo belli" (una copia 14 euro; da 3 copie
13 euro; da 5 copie 12 euro; da 10 copie 11 euro; da 20 copie in su' 10
euro). Per eventuali ulteriori chiarimenti, visitate il nostro sito (nella
homepage c'e' l'icona di De Andre') o telefonateci.
Attenzione. Come il Cd + libretto, anche questo Dvd + libretto e' un numero
straordinario di "A", quindi ha l'Iva compresa nel prezzo, non ha ne'
scontrino ne' documento di trasporto, puo' essere strillonato e venduto come
un periodico qualsiasi. Il dvd ne e' parte integrante.
"Ma la divisa di un altro colore" puo' essere acquistato: per corrispondenza
(come sopra spiegato); presso numerose sedi anarchiche, centri sociali,
ecc.; sui banchetti di Emergency; in una serie di librerie e negozi, il cui
elenco aggiornato si puo' consultare sul sito di "A". Si tratta di quelle
librerie e di quei negozi che accettano le nostre inconsuete condizioni
commerciali, cioe' il conto assoluto (nessun diritto di resa), il pagamento
anticipato e uno sconto (massimo) del 25% sul prezzo di copertina.
A livello nazionale "Ma la divisa di un altro colore" e' disponibile nei
punti-vendita Feltrinelli Librerie, RicordiMediaStores, Feltrinelli Libri e
Musica e Feltrinelli Village. Segnaliamo poi la libreria Robin (Biella),
l'Unicopli e le librerie Centofiori, Odradek, Utopia (Milano), il negozio di
Gianni Tassio in via del Campo e la libreria Voltapagina (Genova), la
libreria San Michele (Albenga), l'Info-shop Mag6 (Reggio Emilia), il negozio
Tasti Neri (Urbino), le librerie Anomalia, Odradek, Rinascita (Roma).
Consultate l'elenco aggiornato sul nostro sito.
Per ulteriori informazioni, contattateci: Editrice A, casella postale 17120,
20170 Milano; tel. 022896627, fax: 0228001271, e-mail: arivista@tin.it,
sito: www.anarca-bolo.ch/a-rivista, conto corrente postale: 12552204; c. c.
bancario 107397, Banca Etica, filiale di Milano, abi 05018, cab 01600.
2. SEGNALAZIONI. LE RELAZIONI DEL CONVEGNO NAZIONALE DELLE CARITAS DIOCESANE
Nel sito della Caritas italiana (www.caritasitaliana.it) segnaliamo gli atti
del XXIX convegno nazionale delle Caritas diocesane tenutosi ad Orosei dal
16 al 19 giugno sul tema "Scelte di giustizia, cammini di pace". Segnaliamo
e raccomandiamo alla lettura le eccellenti relazioni di Francesco
Montenegro, Juergen Moltmann, Mauro Magatti, Enrico Chiavacci, Giancarlo
Perego, Gregorio Rosa Chavez, Giuliana Martirani, Paolo Beccegato, Vittorio
Mozza, Renato Raffaele Martino.
3. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: IL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA DOPO BAGHDAD
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento. Nella Ginatempo (per contatti: nellagin@tiscali.it) e' una
prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la
guerra, per la globalizzazione dei diritti; e' docente di sociologia urbana
e rurale all'universita' di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di
sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile;
attualmente svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del
territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La citta' del
Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine,
1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello Stretto, 1999. Tra altre che
condividiamo pienamente, alcune delle opinioni qui espresse non ci
persuadono, e proprio in quanto esse sono assai diffuse nel movimento per la
pace ci pare siano segno della necessita' di approfondimenti ineludibili e
dell'urgenza di una pienamente consapevole e rigorosa scelta della
nonviolenza; a maggior ragione ci pare opportuno proporre questo intervento
dell'autorevole pensatrice e militante alla riflessione di tutte le persone
che leggono questo foglio]
L'incubo della guerra imposta dagli Usa contro il volere della maggioranza
dell'umanita', ed oggi questa infamia del dopoguerra in Iraq dove gli
occupanti/aggressori stracciano ogni residuo di legalita' e di decenza.
Abbiamo perso? Siamo al tappeto come movimento antiliberista e antiguerra?
No, io non credo. Non ho mai pensato che avevamo la concreta possibilita' di
fermare la potenza piu' armata del mondo, costringendola a desistere da
quella strategia lungamente elaborata assai prima dell'11 settembre.
L'obiettivo di fermare la guerra era utopico, non illusorio: cioe' era la
giusta direzione anche se la meta da raggiungere e' lontana. Cie' che era
sbagliato era ritenere, da parte di alcuni, che si trattasse di fermare solo
la guerra in Iraq che veniva assunta come paradigma di "una guerra
sbagliata", perche' senza giustificazioni umanitarie o di difesa, e fondata
su una aggressione arbitraria non autorizzata dall'Onu. L'insufficienza
culturale ed etica di questo approccio consiste nella riserva mentale di
ritenere che la guerra puo' essere in certi casi un'ultima risorsa (vedi
documento dell'Internazionale Socialista) e rivelarsi una guerra giusta a
conti fatti, imposta da una superiore ragione. L'errore politico di questa
impostazione, invece, sta nel rimuovere il ruolo della guerra preventiva e
l'analisi corretta del contesto mondiale successivo all'89, con l'emergere
dell'unipolarismo Usa e della guerra permanente globale come strumento di
dominio del mondo. Il nuovo ruolo degli Usa, la loro strategia, il nuovo
espansionismo militare spacciato per strategia di sicurezza nazionale, la
programmazione di una "guerra dei trent'anni" o come ha affermato Kristol
(membro del Pnac, Project for new american century) della quarta guerra
mondiale, le minacce ad una lunga serie di "Stati-canaglia": tutto cio' non
faceva parte delle analisi dei maggiori esponenti del centro-sinistra
perche' richiede una vera crisi della loro propria visione del mondo, ancora
oggi fondata sul pensiero unico dominante, sull'accettazione della
globalizzazione capitalistica come unico mondo possibile e sulla
subalternita' agli Usa cui non riescono mai a negare un ruolo progressivo,
neanche di fronte all'evidenza.
Cosi' come non interpretavano correttamente la guerra contro l'Iraq, oggi
queste forze non sono in grado di interpretare il cosiddetto dopoguerra,
ritengono che la parentesi cruenta sia finita e che tutto sommato e' meglio
far governare l'Iraq agli Stati Uniti che al sanguinario dittatore Saddam
Hussein.
Invece no. La guerra non e' finita, in Iraq si trasforma in una guerra
d'occupazione fondata sul saccheggio di tutte le risorse e
sull'espropriazione di tutti i diritti politici, oltre che umani, del popolo
iracheno. E se guardiamo l'Afghanistan ci rendiamo conto che il governo
fantoccio messo dagli Usa per gestire il territorio, l'oleodotto ed i
contratti col consorzio Unolocal (di cui Karzai era stato funzionario) non
e' riuscito a pacificare il paese, continua l'occupazione militare del
territorio, le repressioni, gli attentati e gli eccidi. I nostri alpini
fanno la' una guerra a bassa intensita'. Ed in Serbia, qualcuno si e'
preoccupato di analizzare i giganteschi problemi dei profughi, della miseria
generalizzata, della devastazione del territorio con le sue risorse ed
infrastrutture, dell'inquinamento gravissimo da uranio impoverito con
conseguente diffusione di malattie da radioattivita' in vasti strati della
popolazione? Ma a Kumanovo la Nato ha costruito la piu' grande base militare
dell'Europa dell'est: serve per concretare la sudditanza politica e militare
dell'Europa vecchia e nuova al nuovo dominio Usa.
Dunque cio' che si rimuove e' la dimensione della guerra (infinita
permanente globale) ed il suo significato reale: lo strumento scelto dal
paese leader della globalizzazione per governare la crisi economica e di
consenso che la globalizzazione porta con se' e che coinvolge innanzi tutto
proprio gli Stati Uniti.
Per questi motivi dobbiamo guardare alla guerra all'Iraq come ad una tappa,
un tassello della guerra permanente globale di cui fa parte integrante il
tentativo di controllo del Medio Oriente, dunque la Palestina e tra poco
Siria, Libano e Iran e le aree petrolifere di tutta questa parte del mondo.
Il controllo del petrolio e' essenziale agli Usa per il controllo della
economia mondiale, in un contesto in cui la supremazia del dollaro e'
incrinata e le risorse petrolifere diventano piu' scarse. Chi controllera'
il petrolio nei prossimi anni avra' il potere di dominare il mondo. Questo
elemento ha scatenato fortissime contraddizioni intercapitalistiche tra gli
Stati Uniti e i paesi che hanno detto no alla guerra all'Iraq (Francia,
Germania, Russia e Cina) e spiegano perche' abbiano deciso di appoggiare
l'ondata pacifista. E' un pacifismo che puzza di petrolio e non sappiamo
ancora come andra' a finire: dietro il ruolo dell'Onu e la gestione del
dopoguerra in Iraq c'e' una guerra commerciale tra governi e tra contratti
petroliferi. Le multinazionali e i governi potranno anche trovare degli
accordi, lasciando scoperto politicamente il movimento mondiale per la pace.
Per questo dobbiamo mantenere una sana lucidita' di analisi e non avere
fiducia nei governi, sapendo invece che dobbiamo rafforzare il nostro
movimento come una lunga resistenza contro la guerra infinita e tutte le sue
tappe, rifiutando i modelli di riarmo europeo o le giustificazioni all'uso
della forza, da qualunque parte provengano. Ad esempio, prepararci ad una
chiara dissociazione contro la ripresa di nuove crociate contro il
terrorismo, che potrebbero essere appoggiate anche dalle forze della
"sinistra moderata" e ricominciare in molte parti del mondo, a partire dalla
Cecenia, contro la quale si potrebbe accanire il governo russo, assai poco
pacifista quando si tratta del suo cortile di casa.
*
Rilanciare l'opposizione alla guerra infinita
Ripartire da quel concetto semplice e radicale che dice: no alla guerra
senza se e senza ma. Il che significa no a tutte le guerre, non solo a
quelle "sbagliate" cioe' non autorizzate dall'Onu oppure troppo indecenti,
perche' senza piu' veli umanitari. Significa dire no per sempre alle guerre
umanitarie, alle guerre contro il terrorismo, alle guerre per la democrazia,
oppure per disarmare gli altri mentre noi spendiamo miliardi di dollari per
armarci fino alle stelle. E su questo io credo che i popoli del mondo hanno
cominciato a vincere. E' vero, abbiamo subito una sconfitta militare, ma
quando mai avremmo potuto sfidare il gigante Usa sul piano militare?
Ma abbiamo segnato una straordinaria vittoria politica il 15 febbraio,
ottenendo l'isolamento politico della guerra preventiva, dell'arroganza
imperiale di Bush. E soprattutto abbiamo fermato la guerra nelle teste di
milioni di persone, cioe' abbiamo cominciato a delegittimare la guerra, a
buttarla fuori dalla storia. E' cominciata un'epoca nuova in cui milioni di
persone nei cinque continenti hanno iniziato una rivoluzione culturale.
Forse le prossime generazioni guarderanno alla guerra come noi oggi
guardiamo al cannibalismo o all'incesto.
Il problema oggi e' come sottrarre ai governi piu' potenti della terra il
potere di guerra, la licenza pubblica di uccidere.
Il dominio imperiale del mondo si esprime con la guerra infinita contro i
cosiddetti Stati canaglia. Le prime vittime di questa guerra sono i popoli
dei paesi poveri, non siamo noi, popoli dell'Occidente. Si tratta infatti di
una guerra/genocidio che nega il diritto alla vita per milioni di persone,
sottoposte alla morte per fame, per sete, e per bombe.
Noi siamo implicati in questa strategia di morte perche' il nostro ricco
paese e' complice dell'attuale leadership imperiale Usa e sostiene i nuovi
armamenti ed i nuovi bombardamenti. Non e' sufficiente dire che siamo contro
le scelte di guerra del nostro governo per tirarci fuori da questa
complicita'. Noi siamo il cavallo che viene bardato e frustato per correre
ad uccidere i poveri del mondo: non basta la diserzione morale, non basta
che rallentiamo la corsa, dobbiamo disarcionare il cavaliere ed invertire la
corsa. Infatti le nostre risorse ed i nostri soldati verranno impiegati per
la guerra infinita, anche se e soprattutto se ce ne laviamo le mani, sia
pure con sdegno e riprovazione.
Voglio dire che il no alla guerra per essere efficace deve diventare vero
conflitto. Da posizione di principio deve trasformarsi in azione di lotta,
sempre nonviolenta ma radicale, coinvolgente, di massa. Il pacifismo della
testimonianza ha prodotto poco finora, sul piano dell'efficacia delle
decisioni politiche. Come dice Ingrao, siamo confrontati oggi col potere
piu' forte e piu' terribile del mondo, quello dell'apparato bellico
industriale globale. Davanti ad un potere cosi' autoritario e sovrastante
dobbiamo cercare nuove forme di lotta efficaci che non siano piu' soltanto
le marce, le sfilate e le preghiere. Conflitto globale contro i signori
della guerra. L'obiettivo realistico che dovremmo raggiungere e' quello di
muovere contro le scelte di guerra la maggioranza dell'opinione pubblica
dell'Occidente attraverso campagne efficaci, radicali nei contenuti,
nonviolente nei metodi, maggioritarie nella partecipazione, in grado di
danneggiare efficacemente i meccanismi dei poteri di guerra e di rendere
evidente l'ingovernabilita' del mondo attraverso lo strumento guerra.
Ma chi siamo veramente noi di fronte alla guerra ? Io credo che la nostra
opposizione alla guerra come movimento dei movimenti non nasca direttamente
dai nostri interessi colpiti. Voglio dire che la nostra esistenza quotidiana
e' molto piu' toccata dalla sospensione dei diritti democratici (vedi Napoli
e Genova 2001), dalla decurtazione dei salari, dalla disoccupazione e
precarieta' generali, dalla abolizione dei diritti sindacali,
dall'impoverimento crescente che anche in Occidente progredisce insieme alla
forma autoritaria dello Stato. E molto giustamente molti di noi hanno
osservato che gli sfruttati dei paesi ricchi e tutto il movimento
antiliberista sono nel mirino della repressione globale, cioe' sono le
vittime di una trasformazione epocale delle democrazie occidentali verso una
forma di Stato militarista che ha distrutto le liberta' e i diritti. Ma
credo che i nostri diretti interessi piu' colpiti siano economici,
sindacali, politici, cioe' sono bisogni che vanno oltre la mera
sopravvivenza. Credo che la maggior parte di noi avverta l'urgenza delle
lotte sociali che sono direttamente legate alla nostra quotidianita', al
nostro stare nella societa' civile, nei sindacati, nel mondo del lavoro. E'
molto difficile invece sentire l'urgenza di un conflitto reale per opporsi
alla guerra che i nostri governi portano agli altri popoli. Siamo molto piu'
concentrati non a lottare contro la guerra infinita ma contro la piccola
guerra di casa nostra. Quella economica e sociale che colpisce noi vittime
della ingiustizia in Occidente E' umano e inevitabile che il liberismo di
casa nostra ci coinvolga di piu' quando ci privatizzano i servizi sotto
casa, ci licenziano o ci condannano all'ete' di quarant'anni alla
precarieta' senza sbocco.
Dunque l'opposizione alla guerra non puo' che essere un conflitto di tipo
nuovo, non basato sugli interessi immediati ma su una rivolta etica
generalizzata. Cioe' un conflitto che nasce piu' dai valori che dagli
interessi. Una rivolta etica che dovrebbe portare a rifiutare di produrre
armi da parte del movimento operaio di tutto il mondo, cosi' come da parte
degli intellettuali, scienziati e classi medie in vario modo asserviti al
capitale e alla guerra. E, d'altra parte, non abbiamo sempre detto che il
movimento dei movimenti e' una novita'? Un movimento contro l'ingiustizia
globale, che si batte per i poveri del mondo, un movimento che e' nato con
una forte spinta etica. Dunque non una riedizione del vecchio movimento
operaio ma un soggetto nuovo che rifiuta le compatibilita' di questo mondo
perche' crede in un altro mondo possibile Questa eticita' dell'opposizione
alla guerra ne costituisce anche il limite intrinseco. Infatti tanti sono
disposti a manifestare e ad appendere le bandiere, ma quanti veramente sono
pronti a lottare per bloccare l'invio di soldati, per circondare le basi
militari, per esprimere un conflitto piu' diretto? Purtroppo, io credo,
ancora pochi, perche' gli interessi immediati o la mera sopravvivenza di noi
occidentali non e' messa duramente in crisi dalla guerra agli altri popoli.
Dunque ancora a lungo dovremo lavorare come attivisti del movimento per
tenere desta e vigile la coscienza di massa, per costruire resistenza, per
offrire continuita'.
*
Saldare le lotte sociali al conflitto contro i poteri di guerra
Continuare a rendere visibili alcuni nodi. Ad esempio il nesso che lega il
genocidio per bombe al genocidio per fame e sete. La poverta' e
l'ingiustizia sociale ed economica per essere imposte a tutto il mondo non
occidentale, vista la macroscopica ingovernabilita' degli squilibri in
crescita, richiedono ormai solo la guerra militare come bastone di comando.
E' il tentativo estremo del capitalismo di imporre questa globalizzazione -
che produce miliardi di affamati- per tamponare la crisi economica di
sovraproduzione attraverso il rilancio dell'economia di guerra e per
affrontare manu militari la crisi energetica, asservendo i paesi arabi al
disegno delle multinazionali petrolifere.
C'e' poi un nesso che va svelato fino in fondo ed e' quello tra la
precarieta' globale nei paesi ricchi d'Occidente e la militarizzazione
globale. Faccio un solo esempio.
La Fao all'ultimo vertice di Roma ha chiesto 24 miliardi di dollari per
dimezzare la fame nel mondo nel 2015. Neanche queste briciole i paesi ricchi
d'Occidente sono disposti a dare. Confrontiamo questi 24 miliardi con i
quasi 500 miliardi di dollari che costituiscono il bilancio delle spese
militari Usa per il 2003. Siamo di fronte non solo ad una gigantesca
sproporzione nella distribuzione delle risorse, ma ad una trasformazione
epocale dallo Stato sociale allo Stato militarista. Le risorse maggiori
verranno destinate a fabbricare armamenti, sottraendole alle spese sociali,
alle varie forme richieste di reddito di cittadinanza, di salario sociale ed
altre garanzie per i poveri d'Occidente, a partire in primo luogo dagli
immigrati. Le spese per la sanita', l'istruzione e tutti i servizi vengono
decurtate a favore delle privatizzazioni e questo produce piu' precarieta',
piu' licenziamenti, piu' disoccupazione. C'e' dunque un gigantesco
spostamento di risorse dall'ex-Welfare al nuovo Warfare. Qui si possono
saldare le nostre lotte sociali alle lotte per il disarmo: "contro un Airbus
di guerra un milione di eurosalari di cittadinanza" potrebbe essere una
buona campagna europea che salda i valori agli interessi e smette di
relegare il conflitto per il disarmo nell'angolino della semplice
testimonianza. Dovremmo riuscire ad articolare uno sciopero generalizzato
che coinvolga tutte le figure sociali contro la precarieta' globale e contro
la militarizzazione globale. Dalle spese militari alle spese sociali, non un
soldo per la guerra ma case agli immigrati, no alla nuova finanziaria di
guerra.
Inoltre la politica militare e' l'altra faccia della medaglia della politica
economica internazionale. Non possiamo porci come centrale solo il problema
della distribuzione del reddito tra le classi sociali dell'Occidente,
dimenticando il problema della distribuzione del reddito tra noi e il resto
del mondo. Perche' e' proprio qui il nodo: e' questo macroscopico squilibrio
tra il reddito del Nord Ovest del mondo e tutti i restanti paesi che produce
la guerra.
Oggi capire e contestare la globalizzazione significa mettere al centro
insieme politica interna e internazionale, politica economica e politica
militare, lotte sociali e lotte per il disarmo, neoliberismo e guerra.
*
Le campagne
Cominciamo col disarmare l'economia di guerra a partire da una campagna di
boicottaggio dei consumatori contro le benzine implicate nella guerra
all'Iraq ( Esso, Chevron, Texaco, Bp-Amoco) e contro i principali prodotti
delle multinazionali Usa. Dovremmo dare grande respiro a questa campagna,
sul piano internazionale: il nostro no alla guerra dovrebbe volare
sull'abbassamento dei titoli in borsa e dei listini prezzi di queste
compagnie. Una vera sanzione dal basso contro quegli Stati e quegli
interessi multinazionali che hanno innescato il meccanismo della produzione
di guerre a mezzo guerre.
Questa campagna si collega ad un disegno di lungo periodo che dobbiamo
perseguire: la lunga marcia dentro l'economia attraverso la riconversione
degli apparati industriali di armi verso usi civili, attraverso il
boicottaggio delle banche armate, attraverso il potenziamento del commercio
equo e solidale e la Banca Etica. I 110 milioni del 15 febbraio potrebbero
essere capillarmente coinvolti in questa campagna che significa diventare
attivisti di pace attraverso il mercato mondiale. E i sindacati di tutto il
mondo dovrebbero essere chiamati a grandi discussioni e riflessioni sui
necessari piani di riconversione delle produzioni di armi perche' "anche se
vi credete assolti siete per sempre coinvolti".
Ma il meccanismo della guerra militare deve essere compreso non solo nei
suoi nessi con le politiche del neoliberismo ma nella sua specificita', nel
suo estendersi, nei suoi nuovi armamenti, nel pericolo nucleare, nell'abisso
di morti che si spalanca sotto i nostri occhi. E per opporci alla guerra
infinita ed ai nuovi armamenti e' necessario andare agli obiettivi: le basi
militari da cui partono gli aerei, i nuovi territori dove tengono pronti gli
Eurofighter, i cantieri che costruiscono le portaerei, le fabbriche che
producono le nuove bombe all'uranio impoverito, le multinazionali come
l'Alenia che partecipa alla costruzione di pezzi del nuovo scudo spaziale.
Dobbiamo cominciare a creare azioni di conflitto vero contro le fabbriche di
morte. Ma non piu' solo le armi leggere come abbiamo fatto a Brescia in
occasione della Fiera delle armi Exa.
La nostra resistenza contro il riarmo, per un vero disarmo globale, per
un'Europa che chiuda le basi militari e inauguri un nuovo modello
alternativo di Difesa, basato sulla difesa popolare nonviolenta e sui Corpi
civili di pace, comincia dalla nostra contestazione delle basi militari e
della loro presenza in Italia. La campagna sulle basi militari puo'
cominciare dalla rivendicazione della chiusura delle basi straniere
("gettiamo a mare le basi americane", ricordate?) che e' stata al centro
delle lotte del nostro movimento dopo il Social Forum di Firenze ed in
collegamento con il trainstopping. E' una campagna che puo' avere molto
successo perche' ben legata ai territori ed alla sensibilizzazione delle
popolazioni locali e dovremmo lavorare molto per articolarla sulla mappa
italiana, per collegarla a livello europeo, per organizzare una periodicita'
delle lotte e delle iniziative. Ma e' un terreno cruciale. Disarmo economico
e disarmo militare: sono i venti che possono gonfiare le vele della nostra
nave, oggi cadute in bonaccia. Ma prepariamoci alla tempesta.
4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LA MEMORIA COME AZIONE QUOTIDIANA E
RIFLESSIONE AUTOCRITICA
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso sull'edizione
palermitana de "La repubblica" del 21 maggio 2003. Augusto Cavadi,
prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
Ad essere spietatamente sinceri con se stessi, ogni anniversario luttuoso
per il movimento antimafia rischia di diventare un incubo. O, per lo meno,
una spina inquietante. Da una parte, infatti, si avverte il rischio di
assuefarsi al ritualismo, trasformando in atto dovuto - e stereotipato -
ogni iniziativa in memoria dei caduti. Dall'altra, pero', basta scambiare
due parole con un figlio, o con un allievo a scuola, per constatare come
stiano gia' entrando nell'adolescenza le generazioni troppo giovani per
ricordare cosa e' accaduto e perche' e' accaduto. Da qui il dilemma:
commemorare, pur rischiando l'automatismo dell'ufficialita', o concentrarsi
sulle tragedie del presente, accettando l'oblio del passato anche recente?
Tra i vari modi di sciogliere il dubbio, per il terzo anno consecutivo
l'Associazione di volontariato culturale "Giovanni Falcone" di Palermo
propone al movimento antimafia, e a i cittadini piu' in generale,
un'ipotesi: in memoria dei caduti di ieri, segnalare all'attenzione pubblica
qualche personalita' che si spenda - oggi - per gli stessi ideali. Due anni
fa un pastore valdese di origine nigeriana che combatte la tratta delle
donne provenienti dalla sua terra; l'anno scorso una donna di Monreale che
prova ad offrire nel suo quartiere popolare occasioni di aggregazione e di
formazione. E quest'anno? Si e' individuata una figura singolare che a
Corleone, da parecchi anni, intreccia instancabilmente la fatica
intellettuale (la rivisitazione storiografica di Placido Rizzotto, la
fondazione del giornale - prima stampato ora in internet - "Citta' nuove")
con l'impegno nel territorio (come funzionario statale, come sindacalista,
come animatore d'iniziative politico-culturali). Come i due operatori
sociali che lo hanno preceduto nella breve storia della Targa "Falcone",
Dino Paternostro e' noto ma non notissimo. Egli appartiene, infatti, a
quella fascia di cittadini adulti, consapevoli, attivi che lavorano nel
silenzio della quotidianita', lontani dai riflettori, ma che proprio per
questo assicurano la continuita' della resistenza contro il sistema di
potere mafioso e - secondo il comitato organizzatore - meritano, per un
giorno nella vita, di essere additati a mo' di incoraggiamento per loro e
per tutti quelli come loro.
Per evitare di sostituire con una sorta di agiografia in tono minore
l'esaltazione delle vittime canoniche, la consegna annuale della Targa e'
stata concepita, anche quest'anno, come occasione per riflettere, a partire
da una biografia, su problematiche di contesto.
Per questo, la sera del 22 maggio, presso la Chiesa di S. Giovanni dei
Napoletani in corso Vittorio Emanuele, la premiazione di Paternostro sara'
inserita allinterno di una manifestazione piu' articolata nel corso della
quale (oltre a momenti di fruizione artistica curati dal Circolo di cultura
cinematografica "Controcampo" e dai professori d'orchestra Massimo Barrale e
Marta Pasquini) il deputato Giuseppe Lumia ed il giornalista Tano Gullo
avvieranno una riflessione critica sull'esperienza della "primavera"
corleonese. "Il coraggio della verita' in terra di mafia" - titolo
complessivo dell'incontro - allude certamente al coraggio di denunziare la
verita' del prepotere mafioso, ma anche di ammettere lucidamente che
errori - individuali o collettivi - sono stati compiuti in quest'opera di
denunzia. E' un fatto che anche elettoralmente, nello stupore - si potrebbe
dire senza esagerare - del mondo intero, la patria di Liggio e di Riina ha
optato per un'amministrazione trasparente e impegnata senza equivoci nella
lotta alle cosche. Ma e' un fatto altrettanto evidente - e la cosa non offre
minori motivi di riflessione - che gli stessi elettori, dopo una congrua
esperienza, hanno rivolto altrove i consensi. Chi sono i nuovi
rappresentanti dei cittadini? Perche' sono riusciti a invertire i ruoli fra
chi era in maggioranza e chi faceva opposizione? E' un passo in avanti per
Corleone o solo il sintomo del tramonto di un'illusione? E se - anche in
considerazione dei legami con uno schieramento nazionale che stravolge la
legislazione per favorire l'impunita' - non si tratta di un progresso
culturale e civile, possiamo solo maledire il vento di destra che soffia
impetuoso in tutto l'Occidente o non anche individuare sviste, inadempienze,
superficialita' da parte di chi ha avuto in mano le redini del governo
locale? Piu' ampiamente: intellettuali, organi di stampa e di informazione,
agenzie educative come la scuola e le chiese, magistrati, forze dell'ordine,
partiti e sindacati dichiaratamente antimafiosi hanno mantenuto l'occhio
vigile e aperto sull'intero orizzonte o si sono in qualche misura ripiegati
su obiettivi settoriali e minimali? Insomma: che antimafia hanno fatto e
stanno facendo quelli che dicono di averla fatta e di volerla fare?
Negli ambienti di centro-destra simili analisi autocritiche non sono
frequenti. Si preferisce il trionfalismo ipocrita o, se proprio si deve
constatare un fallimento, la gogna con nome e cognome del colpevole del
giorno (salvo poi a riabbracciarlo se risulta elettoralmente indispensabile
nella tornata successiva). Ma nelle aree progressiste non si puo' rinunziare
ai bilanci, rispettosi delle persone quanto impietosi nei confronti degli
errori oggettivi. E' questione di stile. E di metodo. E di efficacia della
risposta strategica, di lungo periodo, ai mafiosi, ai loro complici e -
qualora se ne accertasse l'identita' con ragionevole certezza - ai loro
referenti politici. Senza contare che si potrebbe scoprire che la parziale
riuscita delle "primavere" siciliane (palermitana in primis) e'
interpretabile come metafora del semi-fallimento (o, se si preferisce, del
semi-successo) del progetto socialdemocratico in diversi Paesi europei
(Italia non esclusa).
5. RIFLESSIONE: THOMAS SCHAFFROTH INTERVISTA ANDRE' GORZ
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 giugno 2003. Thomas Schaffroth scrive
su varie testate di lingua tedesca. Dal quotidiano citato estraiamo anche la
seguente breve scheda su Gorz: "Andre' Gorz nasce a Vienna nel 1924. Dopo
l'annessione dell'Austria alla Germania di Hitler, la sua famiglia, di
origine ebraica, lascia il paese per trasferirsi a Parigi. Una decisione che
influenzera' molto la decisione di Gorz di scrivere in francese e di non
recarsi mai piu' in Germania, anche quando il nazismo sara' sconfitto. Una
decisione a cui Gorz rimarra' fedele fino agli anni Ottanta, quando sara'
invitato per una serie di seminari da parte del sindacato tedesco
dell'allora Germania occidentale. Laureato in ingegneria, Andre' Gorz
partecipa attivamente ai primi anni di vita della rivista "Les Temps
Modernes" fondata da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il suo nome e'
legato alla pubblicazione del libro Addio al proletariato (Edizioni lavoro),
in cui viene prefigurata la fine della centralita' del lavoro industriale
nelle societa' capitalistica come conseguenza della crescente automazione
del processo lavorativo. Negli anni recenti la sua bibliografia si
arricchisce ancora del libro La strada del paradiso (Edizioni lavoro), del
pamphlet a favore della riduzione dell'orario di lavoro Il lavoro debole
(Edizioni lavoro), del volume Capitalismo, socialismo e ecologia
(Manifestolibri) in cui ipotizza l'incontro tra il movimento operaio e
l'ambientalismo, della critica alle nuove forme di sfruttamento presente ne
La metamorfosi del lavoro (Bollati Boringhieri) e in Miserie del presente,
ricchezze del possibile (Manifestolibri)"; tra le altre opere di Andre' Gorz
pubblicate in precedenza: La morale della storia, Il Saggiatore; Il
traditore, Il Saggiatore; Il socialismo difficile, Laterza; Critica al
capitalismo di ogni giorno, Jaca Book; Sette tesi per cambiare la vita,
Feltrinelli; Ecologia e politica, Cappelli]
Questa primavera, il teorico della societa' Andre' Gorz ha pubblicato in
Francia il suo nuovo libro dal titolo L'immateriel. Connaissance, valeur et
capital (Editions Galilee, Parigi, 2003. L'uscita in Italia del volume e'
prevista per l'inizio di autunno a cura della Bollati Boringhieri). Dopo
l'ultimo testo da lui pubblicato, tradotto in Italia con il titolo Miseria
del presente, ricchezze del possibile (Manifestolibri), in questo libro
l'ottantenne filosofo sviluppa ulteriormente le sue riflessioni sul
"capitale umano", la cui importanza ha ormai superato quella del "capitale
materiale". Ma ai fini del sistema capitalistico, il capitale cognitivo puo'
avere una funzione solo a condizione di essere privatizzato: un processo che
accentua le contraddizioni in ordine alla valutazione del sapere, cosi' come
alla sua utilizzazione e trasformazione in capitale.
- Thomas Schaffroth: Nel tuo nuovo libro hai messo in forse l'esistenza di
una societa' capitalistica del sapere, e la sua stessa possibilita' di
esistere. A tuo parere, l'economia cognitiva e il capitalismo sono
inconciliabili. Per quale motivo?
- Andre' Gorz: Perche' nella cosiddetta economia cognitiva i parametri
economici tradizionali non sono piu' validi. La principale forza
produttiva - il sapere - non e' quantificabile: la prestazione lavorativa
fondata sul sapere non puo' piu' essere misurata in ore di lavoro. E
nonostante tutti i possibili artifici, la trasformazione del sapere in
capitale - in capitale monetario - incontra ostacoli insormontabili. In
breve, le tre categorie fondamentali dell'economia politica - il lavoro, il
valore e il capitale - non possono piu' essere definite in termini
aritmetici, ne' misurate con parametri unitari. Oltre tutto, proprio in
quanto non misurabili, rendono sempre piu' difficile l'applicazione di
concetti quali plusvalore, pluslavoro, valore di scambio, prodotto sociale
lordo. Quando gli esperti di macroeconomia cercano di quantificare con gli
strumenti tradizionali i risultati economici e i trend di sviluppo, in
realta' procedono a tentoni nel buio. L'economia cognitiva rappresenta di
fatto una crisi di fondo del capitalismo, e prefigura un'altra economia,
nuova e ancora da fondare. Ed e' su questo che verte il dibattito in corso a
livello mondiale su cosa sia di fatto la ricchezza, e a quali criteri debba
corrispondere. L'economia ha sempre piu' bisogno di parametri qualitativi
piuttosto che quantitativi.
- T. S.: Lo studioso americano Jeremy Rifkin ha sostenuto, nel suo libro
L'era dell'accesso, che il capitale cognitivo immateriale ha un ruolo
centrale nella creazione di valore, e rappresenta la componente piu'
importante del capitale aziendale. Importanti imprese esternalizzano il loro
capitale materiale, e vendono ormai soltanto sapere e servizi...
- A. G.: In effetti e' cosi'. Ma la parola "sapere" viene usata per definire
cose molto diverse tra loro, per le quali non disponiamo di un parametro
unitario. Consideriamo innanzitutto le capacita' artistiche, la fantasia e
la creativita', molto richieste nell'ambito pubblicitario, nel marketing,
nel design, nell'innovazione, dato che riescono a conferire alle merci -
anche a quelle piu' comuni - un valore artistico, simbolico e incomparabile.
La pubblicita' e il marketing costituiscono una delle maggiori - anzi
probabilmente la maggiore industria cognitiva: nella misura in cui
attribuiscono alle merci qualita' uniche e incomparabili, le imprese possono
vendere i loro prodotti, almeno per qualche tempo, a prezzi maggiorati.
Detengono una sorta di monopolio, e si procurano cosi' una rendita
monopolistica, aggirando temporaneamente la legge del valore; in altri
termini, frenano il calo del valore di scambio delle merci, anche se queste
vengono prodotte a costi sempre minori in termini di ore di lavoro e di
personale.
- T. S.: In questo processo, qual e' il rapporto tra sapere e conoscenza?
- A. G.: I saperi, nel senso di competenze e procedimenti tecnici e
scientifici, possono avere un ruolo consimile, ma la portata dei loro
effetti e il loro valore d'uso hanno un'importanza assai piu' diretta. A
differenza delle capacita' artistiche e innovative, le competenze e i
procedimenti possono essere trasmessi o formalizzati anche separatamente, da
chiunque ne faccia uso; possono essere trascritti in forma digitale e
informatizzati per fini produttivi senza alcuna apporto umano aggiuntivo. Da
questo punto di vista, il sapere e' capitale fisso, e' mezzo di produzione.
Ma rispetto ai mezzi di produzione del passato presenta una differenza
determinante: e' riproducibile, praticamente a costo zero, in quantita'
illimitata. Per quanto possano essere state costose le ricerche alla sua
origine, il sapere digitalizzabile tende a diventare accessibile e
utilizzabile a costo zero. Se infatti viene riprodotto e utilizzato in
miliardi di copie, i costi alla sua origine diventano praticamente
irrilevanti. Cio' vale per tutti i programmi di software, cosi' come per il
contenuto di sapere dei farmaci. Se si vuole che funzioni come capitale
fisso e consenta il prelievo di un plusvalore, il sapere deve diventare
necessariamente una proprieta' monopolistica, tutelata da un brevetto che
assicuri al suo detentore una rendita di monopolio. La quotazione in borse
del capitale costituito dal sapere dipendera' dall'entita' della rendita
prevedibile. Su questa base si possono creare gigantesche bolle finanziarie,
che un bel giorno scoppiano all'improvviso. Il crack borsistico, prevedibile
fin dalla meta' degli anni '90, dimostra quanto sia difficile trasformare il
sapere in capitale finanziario, e farlo funzionare come capitale cognitivo.
- T. S.: Hai detto piu' d'una volta che l'economia cognitiva prefigura la
necessita' di un'"altra economia", di un'altra societa', la cui possibilita'
pratica si sta gia' delineando...
- A. G.: Si': il sapere non e' una merce qualsiasi, e non si presta ad
essere trattato come proprieta' privata. I suoi detentori non se ne privano
nell'atto di trasmetterlo. Quanto piu' si diffonde, tanto piu' ricca diventa
la societa'. Per sua stessa natura, il sapere richiede di essere trattato
come un bene comune, di essere considerato a priori come il risultato di un
lavoro sociale e collettivo. Privatizzarlo vuol dire limitare la sua
accessibilita', il suo valore d'uso sociale. Negli ultimi dieci o vent'anni,
cio' appare sempre piu' evidente, tanto che in tutto il mondo si e'
costituito un fronte anticapitalistico di lotta contro l'industria
cognitiva: ad esempio l'industria chimica e farmaceutica, ma anche quella
del software, e in particolare Microsoft. Di fatto, il capitalismo cognitivo
non si limita a impossessarsi del sapere al quale ha dato origine, ma
privatizza anche cio' che e' incontestabilmente bene comune, come il genoma
di piante e animali e quello umano. E attinge a costo zero al patrimonio
culturale comune per utilizzarlo come "capitale culturale" o "capitale
umano". Con il termine di "capitale umano" si designano soprattutto le
capacita' umane e le forme di sapere non formalizzabili, che gli individui
sviluppano giorno per giorno nei rapporti con i loro simili. A essere
strumentalizzate e sfruttate nel "capitalisme cognitif" - come lo
definiscono in Francia i teorici vicini a Toni Negri - non sono quindi
soltanto le ore di lavoro prestate, ma anche il tempo invisibile dedicato
alla propria crescita culturale e umana. Tutte le attivita' individuali
svolte al di fuori del tempo di lavoro e finalizzate alla propria
realizzazione possono essere dunque considerate attivita' produttive.
Quest'attivita' e' diventata quindi una delle principali fonti di
produttivita' e creazione di valore. In una vera societa' cognitiva
l'economia dovrebbe essere posta al servizio della cultura e della
realizzazione di se', e non viceversa, come accade oggi. Del resto, questo
concetto lo troviamo gia' in Marx, laddove scrive che la vera ricchezza e'
"lo sviluppo di tutte le energie umane in quanto tali, non misurate in base
a un parametro precostituito". E' su questo che si basa la rivendicazione di
un reddito d'esistenza garantito.
- T. S.: Hai detto che anche sul piano pratico si sta gia' delineando
un'altra economia, al di la' del capitalismo...
- A. G.: Si', ad esempio nei free nets e nella cultura del software con
libero accesso ai codici e alle fonti per gli utenti di internet. Del resto,
le imprese lavorano ormai in buona parte nell'ambito di reti, e si
concertano al momento di prendere una decisione. L'auto- organizzazione,
l'auto-coordinamento e il libero scambio sono oggi alla base della
produzione sociale; e sono realizzabili senza bisogno di una pianificazione
centrale, ne' dell'intermediazione del mercato. I produttori, collegati tra
loro in rete, si accorderebbero preventivamente e in maniera mirata per
produrre a seconda dei bisogni, e svolgerebbero la loro funzione produttiva
come un complesso di "attivita' collettive a priori", scambiando beni e
servizi ai quali non si sarebbe conferito previamente il carattere di merci.
Il denaro diventerebbe quindi superfluo, e al capitale verrebbe sottratta la
sua stessa base. Anche se non sottovaluto certo gli ostacoli ai quali
andrebbe incontro uno sviluppo del genere.
- T. S.: La societa' cognitiva che hai descritto sarebbe una societa'
comunista...
- A. G.: Esattamente.
- T. S.: Hai rimproverato ai battistrada delle intelligenze artificiali e
della vita artificiale di preparare non gia' una societa' del sapere, ma una
civilta' post- umana...
- A. G.: Questo e' per me un punto importantissimo. Ad esempio, il filosofo
berlinese Erich Hoerl ha dimostrato, in una tesi davvero magistrale, che nel
corso degli ultimi 150 anni la scienza si e' sempre piu' distaccata dalla
realta' percepibile attraverso i sensi: nel mondo reale, un pensiero sempre
piu' matematizzante pone oramai in luce soltanto le strutture inquadrabili
in termini matematici. Ad esempio, il linguaggio matematico dei calcoli
informatizzabili ha contribuito ad alienare non solo la scienza, ma anche il
capitalismo dai problemi di senso e dalle interazioni sociali, escludendo
come non reale tutto cio' che non e' calcolabile. A forza di processi di
pensiero asensoriali e matematici, si e' arrivati man mano a una condizione
ambientale e a un tipo di vita che non e' piu', fisicamente e mentalmente, a
misura d'uomo. Da questo i detentori del potere desumono la necessita' di
creare esseri umani piu' efficienti. La follia del potere economico e
militare e l'ossessione efficientista hanno bisogno di intelligenze
artificiali, di macchine umane artificiali. Di una societa' del sapere si
potra' parlare soltanto quando la scienza e l'economia non saranno piu'
assoggettate agli imperativi del capitale, ma perseguiranno obiettivi
politici e sociali, ecologici e culturali. Questi concetti sono oggi
condivisi anche da un numero ancora esiguo, ma in costante aumento, di
esponenti del mondo scientifico.
6. DIRITTI UMANI: NADIA CERVONI: ANCORA DETENUTA LEYLA ZANA
[Da Nadia Cervoni (per contatti: giraffan@tiscalinet.it, sito:
www.donneinnero.org) riceviamo e diffondiamo. Per contattare il gruppo Donne
in nero - donne curde-turche: e-mail: jin-kadin@donneinnero.org. Nadia
Cervoni e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace,
solidarieta', nonviolenza. Leyla Zana, intellettuale kurda, tra le figure
piu' significative dell'impegno per i diritti umani, eletta al Parlamento
della Turchia, ha subito durissime persecuzioni e la privazione della
liberta' per il suo impegno per i diritti del suo popolo, la democrazia e la
dignita' umana; e' in corso una campagna internazionale per la sua
liberazione]
Ankara, 20 giugno, quarta udienza del processo.
Silvana Barbieri di "Punto Rosso" che con la delegazione di europarlamenti
ha assistito anche a questa udienza mi ha raccontato brevemente al telefono
quanto accaduto nella giornata di oggi.
La difesa di Leyla e' riuscita finalmente ad ottenere che venissero
ascoltati quattro testimoni della difesa, nonostante la determinata
resistenza della corte e del procuratore. I testimoni non si sono fatti
intimidire e sono riusciti a rilasciare chiaramente la loro testimonianza
che tendeva a scagionare gli imputati dall'accusa di terrorismo.
La difesa come nelle volte precedenti ha chiesto di nuovo la scarcerazione
degli imputati, cosi' come previsto dalla Corte europea per i diritti umani.
La richiesta e' stata negata dalla Corte di Ankara che ha fissato la
prossima udienza per il 18 luglio 2003, annunciando che dovranno essere
sentiti altri testimoni d'accusa.
E' parere della difesa che il processo andra' ancora avanti, almeno fino ad
agosto, forse si spera in una distrazione vacanziera da parte delle
delegazioni internazionali.
7. DIRITTI UMANI. AMNESTY INTERNATIONAL: ANCORA DETENUTA AUNG SAN SUU KYI
[Da Amnesty International (per contatti: tel. 064490224, cell. 3486974361,
e-mail: press@amnesty.it) riceviamo e diffondiamo. Aung San Suu Kyi , figlia
di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la
leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha
subito dure persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le è
stato conferito il premio Nobel per la pace; tra le sue opere: Libera dalla
paura, Sperling & Kupfer, 1996, 1998]
Amnesty International ha appreso con preoccupazione la notizia che Aung San
Suu Kyi si trova agli arresti nella prigione di Insein, sulla base della
Sezione 10(a) della Legge sulla protezione dello Stato del 1975.
"Ribadiamo con forza la nostra richiesta alle autorita' di Myanmar di
rilasciare immediatamente e senza condizioni Aung San Suu Kyi" - ha
dichiarato Paolo Pobbiati, coordinatore Myanmar della sezione italiana di
Amnesty International. "Chiediamo inoltre al Consiglio di Stato per la pace
e lo sviluppo (Spdc) di rilasciare U Tin Oo, vicepresidente della Lega
nazionale per la democrazia e almeno 130 persone che dovrebbero essere a
loro volta in stato d'arresto, a seguito degli episodi del 30 maggio, solo a
causa delle loro pacifiche attivita' politiche".
"Nonostante lo Spdc abbia dichiarato che Aung San Suu Kyi e' trattenuta a
tutela della sua incolumita', la dirigente politica e premio Nobel per la
pace si trova in realta' agli arresti sulla base di disposizioni che negano
i fondamentali diritti umani e la considerano una minaccia alla sovranita' e
alla sicurezza dello Stato" - ha denunciato Pobbiati.
Amnesty International e' particolarmente preoccupata per il fatto che Aung
San Suu Kui si trovi agli arresti sulla base di una legge che permette fino
a un anno di detenzione arbitraria, senza accusa ne' processo e senza
possibilita' di assistenza legale o di revisione giudiziaria, sulla base di
un'ordinanza del potere esecutivo rinnovabile per un massimo di cinque anni.
"Tutti i detenuti, compresa Aung San Suu Kyi, devono avere immediatamente
accesso ad avvocati, familiari e cure mediche" - ha ribadito Pobbiati, il
quale ha aggiunto che Amnesty International non si sente affatto rassicurata
dalle dichiarazioni delle autorita', secondo le quali i detenuti saranno
rilasciati "al momento opportuno".
8. INIZIATIVE. ACTION FOR PEACE: CAMPAGNA EUROPEA CONTRO LA COSTRUZIONE DEL
MURO DI SEPARAZIONE CHE DEVASTA VILLAGGI E CAMPI COLTIVATI PALESTINESI
[Da Action for peace (per contatti: info.actionforpeace@tiscali.it)
riceviamo e diffondiamo]
Iniziato nel giugno del 2000, il "recinto di sicurezza" israeliano sara'
composto di reticolati ad alta tensione, filo spinato, barriere anticarro,
trincee, muri di cemento armato di 3 metri di altezza, sensori e telecamere
a circuito chiuso, torrette di guardia seminate lungo tutto il confine, zone
di passaggio e strade percorribili presidiate da checkpoints e posti di
blocco. Il governo di Tel Aviv ha dichiarato che il recinto sara' terminato
entro un anno dal suo inizio. Circa 15 villaggi palestinesi si troveranno
lungo il percorso del muro: questi saranno isolati dal resto del territorio
palestinese e dalle proprie terre, che saranno espropriate. Si stima che le
terre confiscate ammonteranno a circa 16.000 ettari (quasi tutti nel nord
della Cisgiordania). Le terre confiscate comprenderanno frutteti, la
maggiore produzione palestinese, terreni coltivabili e pozzi idrici (si
prevede l'espropriazione di 30 pozzi idrici durante la prima fase di
costruzione del muro, per un totale di circa 4 milioni di metri cubi di
acqua).
Ricordate il muro di Berlino? Non servono muri e recinti per raggiungere una
giusta pace.
Per informazioni e per aderire alla campagna: info.actionforpeace@tiscali.it
9. APPELLI. UNA LETTERA DEI REFUSENIKS ISRAELIANI AGLI AMICI PALESTINESI,
CONTRO IL TERRORISMO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2003. Il 15 giugno i media
palestinesi hanno pubblicato questa lettera firmata da circa 100 obiettori
di coscienza israeliani, comprendenti anche donne e riservisti. La lettera
chiede ai palestinesi di opporsi al terrore e di lavorare con il movimento
pacifista israeliano contro l'occupazione. La lettera e' stata redatta da
cinque refuseniks attualmente in carcere per il loro rifiuto di far parte di
un esercito di occupazione - Hagai Matar, Matan Kaminer, Adam Maor, Shimri
Tzameret e Noam Bahat. Questi cinque giovani stanno per affrontare la corte
marziale la prossima settimana a causa del loro rifiuto. Chiedono di
svolgere servizio civile anziche' militare. La maggioranza delle dozzine di
refuseniks che hanno firmato la lettera, ha passato del tempo in carcere a
causa del rifiuto. La lettera e' stata pubblicata integralmente il 15 giugno
su "Al Shark El Awsat", "El Hyat El Jedida", "El Quds" ed "El Hayam" e la
notizia e' stata ripresa il 16 giugno dal quotidiano israeliano "Haaretz".
Per informazioni: shministim@hotmail.com Per un sostegno diretto:conto
bancario: 495522 Mizrahi Bank, filiale 024 Kfar-Saba, Israel. La traduzione
di questa lettera e' a cura di Ronit Dovrat e Sveva Haertter]
Cari amici,
noi sottoscritti siamo coloro che rifiutano l'occupazione (refuseniks).
Una parte di noi ha rifiutato del tutto il servizio di leva perche' lo
riteniamo strumento della politica criminale dell'occupazione portata avanti
dal governo israeliano. Una parte di noi ha rifiutato di prestare servizio
militare nei territori occupati. Tutti paghiamo un prezzo personale pesante
a causa della nostra scelta, molti di noi vengono rinchiusi nel carcere
militare per settimane o anche per molti mesi.
Facciamo parte di un vasto movimento in Israele, un movimento di donne e di
uomini ebrei e arabi che si spendono contro l'occupazione e l'oppressione
del popolo palestinese.
Come compagni di lotta, abbiamo sentito il bisogno urgente di rivolgerci a
voi rispetto a un tema che ci riguarda tutti: gli attacchi che vengono fatti
dalle organizzazioni palestinesi contro civili israeliani innocenti.
In ogni conflitto e' difficile comprendere l'altra parte, ma proprio come
noi dobbiamo ricordare che la maggioranza dei palestinesi non e' composta da
terroristi, voi dovete ricordare che la maggioranza degli israeliani non e'
composta da soldati di occupazione. Negli attacchi suicidi trovano la morte
vittime innocenti - bambini e vecchi, donne e uomini, ebrei, arabi e
immigrati, sostenitori ed oppositori dell'occupazione.
Queste azioni sono immorali.
Sappiamo che, contrariamente a quanto crede la maggioranza degli israeliani,
il terrorismo non e' il motivo dell'occupazione. Ma questi omicidi a sangue
freddo, che colpiscono in modo casuale ed indiscriminato, terrorizzano la
maggior parte degli israeliani fino ad un punto in cui diventa facile per
Sharon ed i suoi alleati giustificare l'occupazione.
Gli attacchi terroristici rendono i palestinesi detestabili agli occhi dei
cittadini israeliani (e di altri a livello mondiale) ed aiuta a convincerli
della necessita' di perpetuare l'occupazione. Quindi ogni attacco
terroristico allontana il giorno in cui gli israeliani capiranno che
l'occupazione deve finire.
Noi non viviamo sotto occupazione. Noi non sappiamo come sia vivere per mesi
ed anni sotto coprifuoco, senza lavoro e possibilita' di studiare, dignita'
ed indipendenza. Possiamo solo provare ad immaginare l'impeto della rabbia e
della disperazione causato dall'occupazione e provare ad indovinare quanto
deve essere difficile guardare oltre l'uniforme del soldato sul bulldozer,
al blocco stradale o nell'elicottero e cercare di trovare un essere umano.
Noi rifiutiamo di essere parte delle forze di occupazione, anche per fare in
modo che voi possiate vedere gli israeliani come persone come voi, che
lottano, che incontrano difficolta' ed a volte riescono a superarle.
Noi che rifiutiamo, ci assumiamo le responsabilita' per cio' che avviene
nella nostra societa' attraverso l'atto del rifiuto e siamo disposti a
pagarne il prezzo. Il prezzo che voi, nostri compagni di lotta della parte
palestinese, rischiate di pagare in modo piu' pesante, ma noi crediamo che
ne valga la pena.
Una lotta palestinese che non comprenda attacchi contro civili sara' quella
piu' efficace. Una lotta che colpisca direttamente l'occupazione.
Manifestazioni, scioperi generali, azioni congiunte con il movimento
pacifista israeliano, tutte queste azioni saranno piu' efficaci di qualsiasi
attentatore suicida.
L'esercito di occupazione chiedera' senza dubbio un prezzo sanguinoso, ma il
mondo presto si accorgera' che le pallottole non hanno il potere di fermare
un popolo che lotta per la propria liberta'. La vittoria della lotta contro
l'occupazione sara' la vittoria della giustizia e della pace - la vittoria
dei palestinesi e degli israeliani.
Cordialmente.
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 589 del 22 giugno 2003