Articolo di Repubblica (redazione di Napoli) apparso il 16 giugno
2003.
Napoli non ammaina le bandiere della pace
Sui balconi resistono i drappi arcobaleno
di CARLOTTA MISMETTl CAPUA
NO, non se le sono dimenticate. Uno potrebbe pensarlo, vedendo le
bandiere della pace ondeggiare ancora, scolorite e sbrindellate, appese
ai balconi dopo quasi tre mesi dall’inizio della guerra. Invece no,
semplicemente da allora chi era contro la guerra in Iraq cominciata
la notte del 19 marzo e non ancora finita non ha cambiato bandiera.
Qualcuno magari l’ha messa in lavatrice. O ne ha comprata un’altra.
Qualcuno l’ha anche tolta. Eppure ce ne sono ancora a Napoli, molte,
moltissime. “No, la bandiera non la levo; sarebbe come dire che ho
cambiato idea”, spiega Andrea Riccio, diciassette anni, studentessa al
liceo Mercalli. “A qualcuno che non l’ha appesa potrà anche sembrare
anacronistico, ma per me il messaggio è ancora valido”. Andrea appartiene
allo zoccolo duro del popolo arcobaleno, quel rinnovato movimento
pacifista italiano che nei giorni della guerra ha stupito tutti, politici
e commentatori, trasformando tre milioni e mezzo di bandiere in un fatto
politico, prima ancora che in un fenomeno sociale. Sono stati infatti
soprattutto loro, i giovani, a rispondere all’appello “Fuor
l’Italia dalla guerra”: a fare il tam tam su Internet: ad appendere
alle finestre la bandiera dai colori universale che Bertrand Russel aveva
inventato negli anni Cinquanta per protestare contro il nucleare. Oggi
quelle bandiere che hanno mostrato prima dei sondaggi quello che gli
italiani pensavano otto persone su dieci contro la guerra, secondo un
sondaggio Eurisko-Repubblica sono ancora lì.
Se ne vedono appese ai palazzi borghesi del Vomero, dietro le vetrine dei
negozi di Spaccanapoli, dentro qualche automobile sui portoni della
chiesa di Baia, nelle scuole di Torre Annunziata, nelle parroc chiedi
Castellammare di Stabia. Sono ancora lì, a sventolare sotto il sole, pure
le bandiere di Frattaminore, dove i ragazzi della parrocchia di San
Simone avevano a marzo distribuito bandiere a mezza città, cucendole a
mano in casa, mamme e nonne al lavoro, colla stoffa che aveva donato un
commerciante della zona.
Di bandiere se ne vedono, ma non se ne vendono più, spiega il
proprietario dello spaccio di piazza del Gesù: “Qualcuna, ai turisti. La
vedono appese ai balconi e se ne innamorano”.
“La bandiera? Sì, è la nostra> risponde Maria Teresa Frascalle
inquilina con famiglia di via Rui 107, terzo piano. “La teniamo perché la
guerra non ci sembra sia finita. E poi, come fa piacere me vederla
sul balcone degli altri penso che farà piacere agli alti vedere la mia”,
precisa la signora Frascalle, insegnante alla scuola, insegnante alla
scuola media Michelangelo di Bagnoli. “E’ un segnale anche questo
aggiunge il fatto che le bandiere siano rimaste, che non ci va di
toglierle". Corso Vittorio Emanuele 84, un palazzo rosso con quattro
file di finestre bordate di giallo: qui all’inizio della guerra c’erano
sedici bandiere, praticamente tutta la facciata. Ora ne sono rimaste
otto: “Sì gli altri le hanno tolte, ma io non sono d’accordo”, dice
Davide Galante, filosofo ed esperto di vino. La casa di Davide ha cinque
finestre. E cinque bandiere appese, “più una in macchina. Per me è anche
un modo di dissentire da questo governo. Come dire io no, non ci sto”. Un
“io no” che potrebbe restare ancora appeso ancora al lungo.
Se le bandiere no-war sono state un fenomeno senza precedenti in
Europa non sono state, al contrario di quanto si pensi, un fenomeno
spontaneo: “Alex Zanotelli, Gino Strada e Don Ciotti hanno impostato una
campagna di immagine, di cui la bandiera è un vero e proprio logo
pacifista", spiega Alessandro Marescotti presidente
dell’organizzazione telematica PeaceLink e autore del libro
“Bandiere di Pace mondo in costruzione” (Chimienti Editore, dal 18 giugno
in libreria). Don Albino Bizzotto di Beati Costruttori di Pace ha fatto
il resto. Invadendo l’Italia, dall’autunno del 2002 alla primavera
dell’anno seguente, con i sui camion carichi di bandiere, diecimila al
giorno, fatte in Veneto, “Si trattava di coinvolgere e unire una fetta
precisa della popolazione, non i No-globai ma ilcetomedio riflessivo, che in Italia, dal dopoguerra in poi, è sempre
stato pacifista", argomenta Marescotti. "Lo scopo era
mostrare in maniera eclatante, che tra il paese reale e quello
rappresentato c’era una spaccatura”, prosegue. “E sbaglia chi non vede i
risultati tangibili delle bandiere arcobaleno. Non abbiamo fermato la
guerra, ma abbiamo impedito la guerra italiana: Berlusconi aveva
già pronta la flotta al porto di Taranto. Tre milioni e mezzo dì bandiere
gli hanno legato le mani”.