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La nonviolenza e' in cammino. 586



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 586 del 19 giugno 2003

Sommario di questo numero:
1. Rete Lilliput: i fondi della cooperazione allo sviluppo non siano
scippati per destinarli a scopi militari
2. Ileana Montini: in dialogo con Luisa Muraro e Rossana Rossanda
3. Enrico Peyretti: del principe e delle leggi
4. Maria G. Di Rienzo: interventi di pace
5. Lidia Cirillo: il militare e la crisi della virilita'
6. Alcuni proverbi militari di Ormanno Foraboschi
7. Carlo Molari presenta "Prima che l'amore finisca" di Raniero La Valle
8. Premio di laurea "Lanza del Vasto"
9. Quarta edizione del Premio di scrittura femminile "Il paese delle donne"
10. Riletture: Silvestra Mariniello, Lev Kulesov
11. Riletture: Dario Tomasi, Yasujiro Ozu
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. APPELLI. RETE LILLIPUT: I FONDI DELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO NON
SIANO SCIPPATI PER DESTINARLI A SCOPI MILITARI
[Dalla Rete di Lilliput (per contatti: www.retelilliput.org) riceviamo e
diffondiamo]
La notizia del tentativo governativo di stornare gli stanziamenti della
cooperazione allo sviluppo per reperire i fondi per la missione militare in
Iraq suscita pesanti interrogativi sulla correttezza delle recenti decisioni
di intervento in Iraq (che per loro natura e tempistica appare sempre piu'
diretto ad ottenere dei risultati in materia di assegnazione di appalti per
la ricostruzione invece di perseguire scopi di reale assistenza alle
popolazioni colpite dalla guerra), ma anche sulla rilevanza politica
attribuita agli interventi di cooperazione allo sviluppo, visto che secondo
il governo possono essere cancellati senza proccupazioni.
Pertanto la Rete Lilliput esprime la sua profonda contrarieta':
- verso il tentativo di finanziare l'intervento militare accompagnato da
iniziative di tipo assistenziali, sbagliate nella impostazione e nelle
modalita' di intervento (come sottolineato anche dalla Croce Rossa
Internazionale) e poco rispettose delle reali esigenze delle strutture
sanitarie irachene, attingendo fondi da stanziamenti gia' da tempo
attribuiti;
- verso le modalita' adottate dall'esecutivo per il reperimento di fondi, in
quanto ignorano sostanzialmente il dettato costituzionale che prevede di
indicare sempre per ogni legge le nuove fonti di finanziamento;
- verso lo svuotamento del dibattito parlamentare sulle modalita'
dell'intervento in Iraq e sulle priorita' attribuite da tempo agli
interventi di cooperazione allo sviluppo;
- verso la sostanziale negazione dei pur modesti impegni assunti nel recente
vertice dei G8 a Evian, che sembravano  delineare un qualche ruolo
dell'Italia per la soddisfazione di alcune delle piu' urgenti esigenze delle
popolazioni piu' povere ed emarginate del pianeta.
La Rete Lilliput chiede pertanto a tutti i parlamentari e a tutte le
organizzazioni che hanno di recente espresso la loro opposizione alla guerra
di voler esprimere il loro profondo dissenso verso questo modo di gestire la
politica estera dell'Italia e di voler proporre quanto prima nelle sedi
adeguate delle concrete proposte di lotta contro le poverta' e per la
soluzione dei "conflitti dimenticati".

2. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: IN DIALOGO CON LUISA MURARO E ROSSANA
ROSSANDA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
Mi piacerebbe che non si lasciasse cadere nel dimenticatoio il dibattito tra
Rossana Rossanda e Luisa Muraro pubblicato di recente [su "La nonviolenza e'
in cammino" n. 584] e riportato dalle pagine de "l'Unita'" e del
"Manifesto".
Credo sia un argomentare di grande interesse perche' presenta, in fondo, le
posizioni tipiche dell'area di sinistra sulla realta' contemporanea.
Scrive Luisa Muraro che "bisogna aprire un orizzonte che, per molto, non
sappiamo quanto, si e' chiuso con la fine del comunismo". E rifacendosi al
film 'Tutto o niente', ci dice che si parla di gente che la politica ha
abbandonato come un mare prosciugato da cui sono stati ritirati progetti e
programmi, ideali e militanza. Ci dice che i protagonisti sono incappati
nella mancanza del senso della vita.
Ci dice ancora che la politica delle regole e dei professionisti, da sola,
non basta piu' a vincere  tanto e' vero che poi vincono i Berlusconi che con
la politica militante non c'entrano per niente.
Rossana Rossanda si e' un po' arrabbiata e le risponde da vecchia comunista
e marxista quale e' sempre stata.
E dilatando un po' lo scritto della Muraro le rimprovera di affermare che le
condizioni di sfruttamento o la disoccupazione non fanno piu' problema, e le
chiede: "Che per chi lavora avere o non un contratto nazionale, un impiego
non precario o non averlo, qualche diritto o non rispetto all'impresa, fa lo
stesso? Oppure che 'ormai' e' inutile battersi perche' quel che avviene e'
fatale?".
Ma la Muraro non ci sta a sentirsi accusata  in questo modo e risponde sul
"Manifesto" del 10 giugno: "io dico che, per vincere, non basta mirare al
risultato elettorale secondo le forme della democrazia rappresentativa,
bisogna portare nella lotta politica qualcosa di altro, di extra, perche' la
fine del comunismo ha chiuso l'orizzonte e bisogna riaprirlo (...) per
vincere, prestiamo attenzione alla sofferenza corrente delle nostre vite, a
cominciare dalle vite schiacciate di tanti che hanno perso ogni fiducia
nella politica". E ancora piu' lucidamente: "Per esempio, non sostengo che
la relazione personale o affettiva azzeri i rapporti di forza materiali,
come tu mi fai dire. Ma penso che, per combattere i rapporti di forza e per
vincere, sia necessario portarsi su un piano di essere (e di politica) in
cui l'attenzione alla sofferenza personale e la cura delle relazioni sono
beni preziosi".
*
Ho riassunto gli interventi nei punti che ritenevo salienti per dimostrare
la mia tesi. Bisogna riconoscere una sorta di netta contrapposizione tra chi
e' rimasto ancorato alla dimensione diciamo pure materialista e marxista
della politica, e chi invece in un certo senso l'arricchisce di altre
dimensioni scientifiche e di un nuovo sentire.
E' tempo di cominciare a fare i conti con due aspetti : uno e' quello che
considera i politici di professione nella loro interezza, per come si
propongono da sempre quali militanti e mestieranti, e l'altro e' quello del
significato e dell'importanza politica che ha la sofferenza umana tout
court.
Primo aspetto: i professionisti militanti sono da svelare sotto l'aspetto
psicologico. Spesso si tratta di personalita' narcisistiche il cui fine
interiore e' quello di tenere un posto riconosciuto nel mondo e un bel po'
di potere, con una carica aggressiva e talvolta paranoica di rilievo, che li
porta a "combattere" con totale dedizione.
Secondo aspetto: perche' mai sono in aumento gli individui alla ricerca di
risposte "spirituali" al senso di vuoto e di insignificanza della vita o
alla sofferenza nevrotica del vivere?
Il lavoro, i rapporti di lavoro sono una delle basi materiali della vita.
Un'altra base materiale, insieme alla differenza uomo donna che la stessa
Rossanda cita, il marxismo e la sinistra in genere l'ha sempre sottovalutata
e continua in buona sostanza a farlo: l'ambiente naturale.
Ma c'e' anche la dimensione interiore, il semplice e complesso nello stesso
tempo funzionamento della psiche umana. Il gioco sottile tra cio' che ci e'
conscio e cio' che ci e' inconscio. C'e', per dirla con una grande della
letteratura quale e' stato Pirandello, la vicenda umana dell'essere "uno,
nessuno e centomila" contemporaneamente.
Ecco perche' ha ragione Luisa Muraro.
*
La nostra va considerata, come dicono i sociologi, la societa' di flusso,
dove il mutamento si misura anche come passaggio da una temporalita'
frazionata e scandita da ritmi collettivi a una temporalita' piu' fluida e
continua. La temporalita' di flusso contempla la molteplicita' delle
esperienze e la diversita' di accesso al reale. Potrei anche  leggere cosi'
l'invito di Luisa Muraro a fare i conti con il simbolico.
Con la societa' di flusso si introduce la nozione di mondo possibile come un
sistema di referenze organizzate e coerenti, un universo simbolico insomma,
dove l'identita' dell'individuo-attore e' anch'essa fluida, quindi forte e
debole nello stesso tempo.
Giddend definisce questa identita' una narrazione che corre. Gli individui
hanno a che fare con una moltiplicazione di mondi possibili, di spazi di
senso, e una rarefazione di vecchi mondi quale la nozione e la realta' di
stato- nazione. Sempre di piu', scrive lucidamente il sociologo Andrea
Semprini (La societa' di flusso, Franco Angeli, Milano 2003) "nel suo
avanzare, l'individuo non puo' piu' servirsi di punti di riferimento
ideologici, culturali o sociali univoci e condivisi (...) La proliferazione
di 'spazi significanti' e' una delle principali caratteristiche della
societa' di flusso".
I politici parlano e parlano, raccolgono firme per un referendum, si
scagliano contro un avversario, fanno affermazioni di principio, creano
gruppi di sostegno. Tutto cio' mentre il semplice individuo ha difficolta' a
situare il proprio interlocutore in uno spazio di comunicazione mobile, con
un effetto di isolamente spazio-temporale e indebolimento della identita'
storica e relazionale o contestuale. Cio' rinforza l'identita' astratta,
acontestuale e convenzionale.
Sono esempi.
Sono esempi per dire che mi piace la conclusione di Luisa Muraro: "Per parte
mia, penso che l'analisi solo economica della realta' sia politicamente
inconcludente, puo' essere scientificamente giusta ma non se ne puo' dedurre
una politica se non si considera quello che sentono, pensano, desiderano le
donne e gli uomini interessati. Non solo. Per vincere, bisogna anche che
questo sentire, pensare e desiderare si iscrivano in un orizzonte di
possibilita' alternative".

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: DEL PRINCIPE E DELLE LEGGI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
Oggi in Italia torna a valere il detto "Quod principi placuit legis habet
vigorem": quel che e' piaciuto al principe ha vigore di legge.
Oggi, in formale democrazia, il "principe" e' eletto. Meglio: l'eletto si
ritiene "principe". Egli si dice "unto del Signore". Come i re di diritto
divino, che venivano unti, consacrati, come fossero "sacerdoti",
rappresentanti di Dio. Percio', Dio veniva concepito come "fondamento dei
troni" (cosi' denunciava Ernst Bloch).
Si tratta di una sopravvalutazione sacralizzata della designazione
democratica. Viene risacralizzato il potere laicizzato nella democrazia.
L'investitura popolare viene fatta apparire come investitura divina: il
monarca di diritto divino e' assoluto (legibus ab-solutus), cioe' risponde
solo a Dio (unico ricorso possibile era l'"appello al cielo").
Il democratico "unto del Signore" tende a rispondere solo al popolo, non
alle leggi, non alla Costituzione, non ai giudici: il popolo lo ha eletto,
nessuno lo puo' giudicare, soltanto le prossime elezioni (giudizio di Dio).
Anzi, a suo dire, l'elezione lo ha reso pulito, lo ha assolto da ogni
accusa, lo ha messo al riparo da ogni sospetto, chi lo accusa profana
qualcosa di sacro.
Cosi' esaltato, l'eletto sfugge al principio del controllo democratico, del
Parlamento, dei vari organi, e della legge. La parola d'ordine, voce dal sen
fuggita di uno della sua corte, e' "prendi tutto!" Ma lo stato di diritto e'
"governo della legge e non degli uomini", come Bobbio dovette ricordare a
Craxi.
*
Ci sono (almeno) tre limiti della democrazia e della elezione:
1) rispetto delle regole procedurali: questa e' - finora - l'unica regola
rispettata da Berlusconi (ma non da Bush, nominato dai giudici nominati da
suo fratello, dopo aver interrotto il conto delle schede! ce lo
ricordiamo?). Anzi, questa regola e' assolutizzata: da formale e' resa
sostanziale: non solo regolare ma infallibile, dal momento che ha scelto
lui, il migliore.
2) rispetto dei principi costituzionali, non disponibili alla volonta'
maggioritaria del momento, ma base storica condivisa, in buona parte
immutabile, la' dove proclama i diritti umani, il diritto naturale, la
dignita' originaria inviolabile di ogni persona, valori riconosciuti e non
creati, non posti dallo stato e dalla legge positiva, non modificabili a
maggioranza. Un gruppo di sedici parlamentari, il 4 giugno 2003, accusa
Berlusconi di plurimo attentato alla Costituzione.
3) rispetto dell'ultima istanza di giudizio nelle controversie legali: la
giurisdizione e' fallibile, certamente, ma autocorreggibile, come la
democrazia; e' regola necessaria accettarne il giudizio finale, anche se
soggettivamente ci risulta ingiusto; cosi' fa l'obiettore e il disobbediente
civile, rivoluzionario nonviolento, non eversivo. Delegittimare la
magistratura e' eversione, non solo disobbedienza ad una legge, ma alla
legge in se', cioe' alla regola di convivenza; delegittimare la magistratura
e' sopraffazione.
*
La polemica attuale dell'esecutivo contro la magistratura rivela la
concezione della legalita' come tutta disponibile alla maggioranza designata
a governare: "quod principi placuit legis habet vigorem", cioe' regressione
dallo stato di diritto allo stato signorile, proprietario dei beni pubblici
materiali (oggi i mezzi di influenza sociale privatizzati) e del bene
immateriale: il principio di potere pubblico, le tre facolta' legislatrice
amministrativa e giurisdizionale sommate nelle stesse mani; facolta'
separate da Montesquieu e nello stato di diritto per evitare la
prevaricazione dello stato sul cittadino, e per limitare-bilanciare
reciprocamente i poteri statali.
In quella concezione principesca non c'e' altro criterio del bene e del
giusto che:
- la volonta' di chi puo' (potente) fare cio' che vuole;
- il positivismo forzista, a/nomico (senza legge precedente alla propria
forza);
- l'imbarbarimento civile, non visto da gran parte della popolazione, la
quale e': ineducata all'etica civile; maleducata da uno spettacolo della
politica come imposizione della forza (un popolo in troppa parte passivo
quanto a istruzione, informazione, etica e cultura, assiste, brontola, non
si ribella con la violenza - costa troppo! - ne' con l'azione nonviolenta -
la ignora! - ma avalla la forza col voto o col non-voto); capace di invidia
del potente ma non di critica, non di liberta' di scelta, non di capacita'
di azione organizzata democratica.
*
Inoltre, il potente trova sempre una corte di vice-potenti, che vedono,
sanno, capiscono, adulano per approfittare, per acquistare ritagli di
potere, pronti anche ad abbattere il potente come lo hanno servito (in
questo senso, e non come minaccia, Piero Ricca ha avvertito Berlusconi che
potra' fare la fine di Ceausescu e di don Rodrigo).
Tra questi vice-potenti troviamo anche persone colte civilmente e informate
moralmente, che pero' scelgono la via della potenza su quella della
giustizia, perche' sedotti e corrotti dalla scorciatoia del potere: non
agendo come pensavano finiscono per pensare come agiscono. Cosi' tanti
ex-democratici entrano tra i cortigiani del vincitore, disposti a tacere il
vero che sanno e dire il falso che conviene, fino a diventare porta-voce
(massima servitu') del signore. Per esempio il portavoce di Forza Italia
accusa (su "La stampa" del 26 maggio 2003) Caselli di pretendere per i
magistrati il compito di difendere la Costituzione. Cio' che e'
sacrosantamente vero. Cosi' quel portavoce del partito di maggioranza
relativa rivela di pensare che la regola somma, la regola delle regole,
debba essere a disposizione del gruppo di potere.
Invece il potere politico - legislativo ed esecutivo - deve obbedire alla
legge delle leggi, come alle leggi deve obbedire la magistratura. La quale
puo' errare, in buona o anche cattiva fede, in questo o quel caso o persona,
ma non puo' essere spogliata del compito di emettere l'ultima parola sulle
contese. Se cio' avviene l'ultima parola e' tutta e solo della forza. Ma
forse e' esattamente cio' che questa concezione vuole.
*
Dalla Pacem in Terris, n. 29: "Le persone investite di autorita' (...)
devono essere persone di grande equilibrio e di spiccata dirittura morale".
La democrazia e' una "aristocrazia elettiva", cioe' la scelta popolare dei
"migliori" ("aristoi"). Ma come potra' il popolo scegliere i migliori se non
si migliora esso stesso? Se si peggiora, scegliera' i peggiori, e allora non
avremo una "aristocrazia" ma una "kakistocrazia" ("kakistoi", i peggiori).
Contro le apparenze, la politica istituzionale  e' "secondaria" rispetto
alla politica quotidiana, delle relazioni sociali continue nello spazio e
nel tempo, dei cittadini tutti; specialmente in democrazia, la politica
istituzionale "dipende" dalla societa'; allora, lavorare nella societa'
(scuola, educazione, cultura, informazione, servizi vari) e' "primario". La
politica istituzionale pone condizioni (favorevoli o sfavorevoli) alla
politica quotidiana dei cittadini, ma e' questa che sostanzialmente
determina quella.

4. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: INTERVENTI DI PACE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
L'efficacia di un'azione diretta nonviolenta puo' ampliarsi grazie alla
presenza di persone con speciale "addestramento" alle spalle, in grado di
facilitare il prendere decisioni rapidamente o di individuare e disperdere
la tensione, di assorbire la rabbia, e cosi' via.
Anche se non volete specializzarvi in questo ruolo di mantenitori della
pace, potreste comunque trovarvi in una situazione difficile in cui alcune
conoscenze collegate al ruolo vi saranno utili: in un'azione diretta
nonviolenta ciascuno/a di noi, in qualche modo, e' un costruttore di pace.
Qualche suggerimento per il vostro lavoro:
1. Siete amichevoli, prestate aiuto, siate "caldi" in senso affettivo. Molto
dipende da come rispondete agli amici ed amiche che manifestano con voi,
alla polizia, ai media, ecc. La vostra attitudine sia di apertura e
rispetto.
2. Siate creativi. Fermi nel far rispettare gli accordi nonviolenti
sull'azione, ma non rigidi nei vostri interventi per risolvere i conflitti.
3. Restate calmi. Una persona che non si arrabbia o non si spaventa se
sottoposta a stress e' davvero rara: ma voi non siete deboli se avete paura,
la cosa importante e' che impariate a controllarla e che ricordiate sempre
lo scopo dell'azione e il motivo per cui fate quello che fate.
4. Perdonate. Lasciatevi alle spalle il risentimento verso le persone. Sono
le azioni sbagliate che state tentando di cambiare: se le persone cambiano
il loro modo di agire, e' una vittoria che condividete con esse.
5. Lavorate in gruppo. Non dovete fare tutto da soli/e. Date e chiedete
sostegno agli altri mantenitori della pace e ai dimostranti.
*
Situazioni in cui c'e' bisogno di intervento: gli attivisti stanno urlando
insulti ai poliziotti e cercano di forzare la loro linea; si accendono
conflitti fra persone e manifestanti che stanno bloccando una strada o un
luogo di passaggio; individui inneggiano all'attacco alla polizia o alla
distruzione di proprieta'; individui stanno rompendo finestre, scrivendo con
lo spray su edifici, tentando di entrare in negozi per saccheggiarli;
individui stanno lanciando bottiglie incendiarie, sassi, altri proiettili
alla polizia e/o agli attivisti stando nel mezzo o nei pressi della
manifestazione; gli attivisti tentano di colpire o picchiare questi
individui distruttivi o viceversa; si sta tentando di proteggere qualcuno
dall'arresto.
Cosa potete fare: di seguito vi indico alcune tecniche: quando e come usarle
e' una scelta che dipende dal grado di pericolo della situazione, da chi
avete di fronte, dal grado di consapevolezza dei manifestanti.
Le tecniche si basano sulla persuasione: i mantenitori della pace non
toccano, afferrano, spingono o assalgono gli individui che stanno
distruggendo proprieta' o accendendo conflitti.
1. Ascolto: cosa sta tentando di dire la persona distruttiva? A volte avere
qualcuno che ascolti le sue lamentele e' sufficiente a calmarla.
Avvicinatevi tenendo le braccia lungo il corpo o incrociandole dietro la
schiena: "Qual e' il problema? Cosa sta succedendo?".
2. Parlare per calmare: ricordate ai distruttori che stanno uscendo dalle
linee guida dell'azione: spiegate loro come questo mettera' in pericolo gli
altri; spiegate a cosa vanno incontro se verranno arrestati e processati;
mettete in evidenza che i loro atti non hanno nulla a che fare con il
messaggio che la manifestazione intende mandare.
3. Circondare e parlare: almeno quattro persone circondano il distruttore
per arrestarne l'azione e parlare di essa come sopra. Se l'individuo forza
il cerchio che avete fatto attorno a lui, lasciatelo andare.
4. Bloccare e parlare: almeno tre persone usano i loro corpi come blocco per
proteggere una persona o una proprieta' che i distruttori intendono
attaccare. Parlate come al punto due.

5. RIFLESSIONE. LIDIA CIRILLO: IL MILITARE E LA CRISI DELLA VIRILITA'
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
acuto intervento di Lidia Cirillo, prestigiosa militante ed intellettuale
femminista e pacifista. In questo testo non ci persuadono pienamente talune
peraltro particolari semplificazioni ed esemplificazioni in cui forse ci si
lascia trascinare dalla brillantezza dell'esempio e dalla concisione e
simmetria del giro di frase e di pensiero, ma si tratta comunque certo di un
pregevole contributo alla riflessione]
Il nuovo ciclo bellico sul piu' lungo periodo modifichera' i rapporti di
genere e certamente non a favore delle donne. Non ci si riferisce qui agli
effetti piu' devastanti delle guerre, alle donne uccise o ferite nei
bombardamenti, rimaste senza casa o costrette a partorire senza assistenza
oppure obbligate dalla violenza all'esodo.
Nei teatri di guerra sempre la condizione umana in se' scende al di sotto di
ogni soglia di tollerabilita' prima immaginata. Donne e uomini soffrono
insieme, quando la precarieta' diventa estrema e riguarda anche l'integrita'
e la sopravvivenza del proprio corpo. Eppure anche dove la morte schiaccia
tutte e tutti ai livelli piu' bassi dell'esistenza, puo' esservi per le
donne un sovrappiu' di umiliazioni e di violenze che di solito non toccano
agli uomini.
Non e' comunque il caso di insistere su quelle che sono per noi delle
ovvieta', perche' tra noi nessuna ha mai rimosso con eufemismi il
significato autentico del termine guerra con il suo carico di ingiustizia e
di dolore.
Si vuole invece affermare che, al di la' di ogni altra considerazione, i
conflitti armati producono fenomeni di restaurazione patriarcale nelle
societa' dei vincitori e dei vinti, nei teatri di guerra e nei paesi che
esportano la guerra ma non la subiscono.
Nella storia della specie umana l'inferiorizzazione delle donne e' stata
spesso legata al ruolo giocato in una societa' dalle armi. Piu' le armi sono
state decisive per il destino di una classe, di una comunita' o di un
popolo, piu' coloro che erano meno idonee a maneggiarle sono state
svalorizzate e rese marginali.
Studi autorevoli di antropologia fanno risalire alle prime guerre vere e
proprie nell'eta' del ferro - piu' ancora che alla nascita della proprieta'
privata - la svolta autentica nei rapporti tra donne e uomini. Nella storia
contemporanea, quando lo spirito di caserma ha conquistato il potere
politico, come e' accaduto con l'ascesa del fascismo in Europa, la misoginia
degli eserciti si e' diffusa come un'infezione nel corpo sociale.
Ma il militare, il guerriero, il soldato non sono l'uomo; non sono la
proiezione del corpo maschile nella storia o la sovrastruttura di genere
della struttura del sesso. Le teorie femministe che legano immediatamente
alle diversita' dei corpi umani le diversita' di atteggiamenti e di pensiero
e per cui il male si incarna nella morfologia di un corpo, riproducono in
ultima analisi la deformazione d'ottica propria del razzismo.
Il militare e' una costruzione sociopolitica e culturale ottenuta attraverso
la concentrazione e la stereotipizzazione di caratteristiche maschili,
spesso peraltro solo presunte. Il militare e' il prodotto della rimozione
traumatica di cio' che negli uomini non e' maschile, cioe' di cio' che non
si allinea agli stereotipi sulla mascolinita'. "Uccidero' la donna che e' in
voi", dice ai giovani appena arrivati alla caserma per l'addestramento un
sergente dei marines, ricordato in un saggio sulla costruzione dell'uomo e
del maschile.
Quanto poco il militare sia l'uomo autentico lo dimostra il fatto che in
grande maggioranza gli uomini non si arruolano se non vi sono costretti, ed
esercitano la funzione propria del soldato (quella di combattere, appunto)
solo sotto la minaccia della pena di morte o del carcere.
Il movimento operaio delle origini e' stato a lungo e profondamente
antimilitarista. Non e' stato solo contro le guerre imperialiste o gli
eserciti della borghesia: e' stato contro le guerre e gli eserciti tout
court, contro le loro gerarchie, i loro rituali di morte, le loro grottesche
relazioni interne.
Ancora poco dopo la rivoluzione d'ottobre in Unione Sovietica i
rivoluzionari si interrogavano sulla possibilita' di resistere alle armate
bianche, sfuggendo alle logiche e alle pratiche del militarismo.
Il militarismo non e' infatti l'uso delle armi e della violenza in se', che
ovviamente poi lo evoca e tende a riprodurlo. Come il militare e' una
costruzione, cosi' e' una costruzione anche il militarismo. Collegato nei
suoi aspetti piu' attuali alla nascita degli Stati nazionali e alla
concentrazione della violenza legittima nei loro apparati, il militarismo e'
l'ideologia di un'istituzione con le sue ricadute sul resto della societa' e
sui comportamenti maschili e femminili.
Prima ancora che culto della violenza, il cui uso e' peraltro eccezionale,
cioe' fa parte eccezionalmente della vita quotidiana dei militari, il
militarismo e' ossequio e idealizzazione delle gerarchie, subcultura
dell'ubbidienza, cancellazione della possibilita' e della facolta' di
critica, orrore della trasgressione e di cio' che non e' codificato. Il
militare e' infatti soprattutto il guardiano di un ordine, di cui non ha
bisogno di condividere necessariamente i valori, perche' ha gia' assunto
l'ordine come valore.
Non a caso il primo impatto delle guerre della globalizzazione e' stata
negli Usa una perdita delle facolta' di critica della societa' nel suo
complesso, in primo luogo degli intellettuali, cioe' proprio dei critici di
professione. Un fenomeno del genere si era gia' verificato nella prima fase
della guerra contro il Vietnam, anche se piu' tardi le cose sarebbero
cambiate in primo luogo per l'irriducibilita' dell'esperienza personale
all'ideologia.
I contesti di riarmo e di guerra e il modo in cui la violenza viene
utilizzata in una societa' incidono sui rapporti di genere, ma in modo piu'
contraddittorio e asimmetrico di quanto si pensi.
Tutte le volte che la parola passa alle armi non solo le donne vengono
emarginate ma si rafforzano gli stereotipi peggiori del maschile e si
ricostruiscono nei diversi contesti nuove versioni della cultura
militar-virile. E questo indipendentemente da quanto un conflitto armato sia
resistibile o irresistibile, imposto o subito, offensivo o difensivo. Al di
la' di ogni considerazione sulle necessita' della storia, resta il fatto che
una inevitabile ipertrofia di maschile, nel senso non biologico ma di
condensazione identitaria, si realizza come effetto di una funzione laddove
le armi diventano la mediazione decisiva nei rapporti tra esseri umani. In
una societa' che si rimilitarizza lo spirito di caserma deborda, condiziona
l'immaginazione sociale, sostiene miti e ideologie fortemente androcentrici.
Tuttavia se questa e' la costante sono esistite ed esistono varianti capaci
di rendere molto meno semplici le constatazioni sul rapporto tra armi e
genere, senza smentirle nella sostanza.
Nella vicenda storica in realta' ogni riarmo e' stato anche disarmo poiche'
solo in societa' primitive, con mezzi primitivi di distruzione, tutti gli
uomini sono stati autorizzati a detenere tutte le armi disponibili a un
certo livello di sviluppo tecnico.
La concentrazione di potere (e quindi anche del potere delle armi) nelle
mani dello Stato, per esempio, ha disarmato le classi che ne erano state
fino ad allora detentrici con l'effetto nello stesso tempo di una
contrazione e di una espansione della violenza e dell'immaginario virile. Le
classi disarmate hanno cambiato i loro atteggiamenti e i loro costumi,
raffinandoli e civilizzandoli. L'aristocrazia francese per esempio, dopo la
sconfitta della Fronda, subi' un sorprendente processo di femminilizzazione
che rappresentava nello stesso tempo un omaggio al sovrano, unico detentore
legittimo dell'immaginario militar-virile, e il simbolo di uno status, la
presa di distanze dal piu' rozzo avversario borghese.
Tuttavia lo Stato, assorbendo e conservando in se' gran parte della
conflittualita' inscritta nei rapporti sociali, ha creato le condizioni
materiali e culturali di una violenza appunto senza limiti. La bomba
atomica, in ultima analisi, e' solo la trascrizione in termini
tecnico-militari di una straordinaria concentrazione di potere economico,
politico e culturale.
Lo Stato assorbe in se' anche l'autorita' del Padre, da cui ottiene l'avallo
ad agire in nome della famiglia-nazione come principio d'ordine all'interno
e difesa dalle minacce dell'esterno.
Solo a un certo punto della vicenda storica e non a caso come effetto dei
processi di liberazione di soggetti subalterni, si affianca allo Stato-Padre
lo Stato-Madre, quello cioe' che socializza i compiti tradizionalmente
svolti dalle donne e crea posti di lavoro occupati in maggioranza da donne.
Si parla naturalmente di stereotipi, di fantasmi analogici e di prodotti
dell'immaginazione sociale, i quali tuttavia condizionano i modi di pensare
e di essere di un contesto storico. E peraltro un fatto materiale
immediatamente esemplifica il legame tra fenomeni immaginari e simbolici e
fenomeni reali. Il riarmo comporta investimenti dello Stato spesso
incompatibili con il welfare e puo' quindi diventare una delle cause di
riduzione di servizi e diritti a danno in primo luogo e non a caso delle
donne.
Una variante della guerra illimitata per i suoi possibili effetti sul genere
merita un momento di particolare attenzione. La crisi della virilita' nella
parte nordoccidentale del mondo non si attenua necessariamente per il riarmo
e le avventure belliche dei suoi gruppi dominanti. La crisi, che e' crisi
degli individui di sesso maschile solo nella misura in cui essi si allineano
alla costruzione ideologica che pretende di rappresentarli, potrebbe essere
accentuata da un latente paradosso. Appare oggi anche piu' grottesca che in
passato l'aura di onorabilita' e sprezzo del pericolo di cui ogni militare
di professione ama circondarsi. I mercenari occidentali incaricati di fare
ordine con il terrore della armi sono una corporazione ben pagata, che
rischia in guerra meno di giornalisti e fotografi, dispone di tecniche e
forze assolutamente soverchianti ed e' stata finora protetta dal timore del
ritorno di bare in patria, che suscito' negli Usa l'irresistibile movimento
contro la guerra in Vietnam. A ben vedere, l'onore e il coraggio di quei
militari sono della stessa qualita' di quelli degli agenti che a Genova, ben
mascherati e bene armati, si esercitarono a picchiare manifestanti pacifici
e con le mani alzate, donne e persone appena strappate al sonno.
Se altrove quindi l'esigenza di resistere alla spoliazione e alla prepotenza
lascia ancora margini all'idealizzazione della virilita', nelle zone del
mondo in cui il capitalismo ha ancora la sua testa, ritorno dello spirito di
caserma ed erosione di quei margini possono convivere. Ma si tratterebbe di
una convivenza sul piu' lungo periodo non simmetrica, perche' la crisi
dell'immaginario militar-virile toccherebbe (e in una certa misura gia'
tocca) in primo luogo i settori di popolazione piu' capaci di creare
antidoti culturali alle ideologie di giustificazione dello stato di cose
esistente.

6. AFORISMI. ALCUNI PROVERBI MILITARI DI ORMANNO FORABOSCHI
[Come molti che trovarono il nome di "Ormanno F." per la prima volta
nell'Ospite ingrato di Fortini pensai che fosse uno specchio, come Filippo
Ottonieri per capirci. Anni dopo scoprii che invece era esistito davvero un
Ormanno Foraboschi (scomparso nel 1973 lasciando un ricordo profondo e
scintillante di se' tra quanti lo conobbero), che alle pp. 126-128 del suo
libro su Bianciardi (Vita agra di un anarchico, Baldini & Castoldi, Milano
1993) Pino Corrias ci restituisce di scorcio. Credo di non saperne altro.
Questi suoi "proverbi militari" trascrivo di li', dove sono citati - a
memoria, da Fortini - a p. 127 (p. s.)]
Chi fa la guerra, la perde.
Un minuto di eroismo si paga tutta la vita.
Se ti spari da te, conosci il posto.
Bandiera perduta, pensiero levato.
Canna di fucile non da' zucchero.
Soldato scampato, buono per un'altra guerra.
Spara oggi, spara domani, qualcuno si fa male.

7. LIBRI. CARLO MOLARI PRESENTA "PRIMA CHE L'AMORE FINISCA" DI RANIERO LA
VALLE
[Ringraziamo Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle@tiscalinet.it)
per averci messo a disposizione questa recensione scritta da Carlo Molari
sul suo recente libro Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano
2003.
Dal sito www.educational.rai.it riportiamo la seguente scheda su Carlo
Molari: "nato a Cesena (Forli') il 25 luglio 1928, e' diventato sacerdote
nel 1952. Laureato in teologia dogmatica e in utroque iure nella Pontificia
Universita' Lateranense, ha insegnato teologia nella medesima Universita'
(1955-1968), nella Facolta' teologica della Universita' Urbaniana di
Propaganda Fide (1962-1978) e nell'Istituto di scienze religiose della
Universita' Gregoriana (1966-1976). Dal 1961 al 1968 e' stato Aiutante di
Studio della sezione dottrinale della S. Congregazione per la Dottrina della
Fede. Per un decennio ha svolto la funzione di segretario dell'Associazione
teologica italiana (Ati) e di membro del Comitato di consultazione della
sezione dogma della rivista internazionale "Concilium". Svolge attivita'
pastorale a Roma nell'Istituto S. Leone Magno dei fratelli Maristi delle
scuole. I suoi interessi sono rivolti soprattutto alla ricerca di modelli
teologici che rispondano alle necessita' spirituali dell'uomo di oggi,
all'incidenza della svolta linguistica della cultura sulla formulazione
della dottrina di fede e ai rapporti fra teologia e scienze. Bibliografia:
Teologia e diritto canonico in S. Tommaso d'Aquino, Laterano, Roma 1962; La
fede e il suo linguaggio, Cittadella, Assisi 1972; Darwinismo e teologia
cattolica, Borla, Roma 1984; Un passo al giorno, Cittadella, Assisi 1985;
Per un progetto di vita, Borla, Roma 1985; La fede professata. Catechismo
della chiesa cattolica e modelli teologici, Paoline, Milano 1996; La vita
del credente. Meditazioni spirituali per l'uomo d'oggi, Elle Di Ci,
Leumann-Torino 1996; Percorsi comunitari di fede, Borla, Roma 2000".
Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale,
giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di Vasti -
scuola di critica delle antropologie, presidente del comitato per la
democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive
della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele,
Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda
Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in
terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1987]
Le scienze umane hanno messo in luce, in modo sempre piu' preciso, le
dinamiche di crescita delle persone umane e l'importanza che per il loro
sviluppo hanno i rapporti con gli altri. La memoria di relazioni intrecciate
e di esperienze vissute ha quindi una funzione essenziale, non solo per
l'analisi dell'identita' personale, bensi' anche per stimolarne lo sviluppo.
La memoria infatti ha il potere di conservare i semi di vita raccolti lungo
il cammino e di farli germogliare anche dopo molto tempo. Soprattutto quando
i ricordi sono alimentati da una forte fede e percorsi da un intenso amore,
la vita rifiorisce e i semi fruttificano in modo rigoglioso. La memoria
delle relazioni, percio', quando e' custodita, traccia una sorta di
autobiografia spirituale e intellettuale e diventa un atto di gratitudine
per gli amici incontrati.
Lo ricorda don Angelo Casati, il parroco poeta di Milano: "Ti accorgi quanto
sia bene prezioso ricordare. Dentro una generazione che rischia la
smemoratezza. Ce ne andiamo distratti e boriosi, quasi ci fossimo fatti da
soli, mentre una parte di noi, Dio solo sa quanto grande, vive di linfa che
abbiamo assorbito. Noi siamo come contagiati, e non solo da parole, da
incontri piu' che da parole. Contagio di vita. Segnati da eventi. E le
persone sono evento, per chi resiste alla smemoratezza. Saremmo diversi,
sconfinatamente diversi, se non ci fosse stata offerta l'avventura di
incontrarci... Le memorie... non sono rami secchi, ne' servono solo per le
decorazioni, sono tronchi che si inteneriscono a primavera. Le memorie sono
come il seme gettato nella terra. A destinazione di germoglio. Per questo,
fare memoria di amici o di eventi non e' operazione vuota, di nostalgia o di
conservazione. Se il seme rimane improvvidamente e gelosamente chiuso nel
buio della madia di casa non ha altra destinazione che il rinsecchimento, un
vuoto di futuro. Getta il seme nel campo oggi, non farne un monumento
immobile, non fermare le memorie al passato. Accendile nell'oggi. La memoria
non va fermata ne' va ingabbiata nel passato. Ha come spazio l''altrove',
l'altrove della storia, il cammino dell'umanita'" (Lettera alla comunita',
aprile 2003).
*
Testimoni di un possibile mondo nuovo
Tutto cio' ha un efficace riscontro nel recente prezioso volume di Raniero
La Valle: Prima che l'amore finisca. Testimoni per un'altra storia possibile
(Ponte alle grazie, Milano 2003). E' la rievocazione di amici scomparsi e di
eventi accaduti, fatta "non per piangere, ma per riflettere, per chiedersi
il senso dell'aver avuto parte con loro, per farsi investire dalle grandi
questioni che sono state le loro, per celebrare la vita che attraverso di
loro e' fluita e, come io credo continua a fluire" (p. 9). Per giustificare
l'impresa, lo stesso Raniero, richiama la lezione dei biologi e ricorda che
la specie umana e' l'unica che "non ha raggiunto una completa
specializzazione" per cui l'uomo "e' come una creta nelle mani del vasaio
che pero', nel suo farsi, deve apprendere a darsi essa stessa la propria
forma; e sarebbe proprio questa infantile incompiutezza, questa immaturita'
originaria, cio' che farebbe umano l'uomo, bisognoso degli altri, chiamato a
discernere e a scegliere, capace di liberta' e di sorpresa" (p. 34, n. 3).
I quattro eventi rievocati nel libro ("l'Avvenire d'Italia", il Concilio, le
vittime della televisione jugoslava, le Torri gemelle di New York) e le
ventitre persone ricordate sono l'occasione per dire il proprio grazie, ma
anche per esaminare problemi vitali e questioni attuali. I ritratti
delineati con delicatezza e pudore, riflettono bagliori di fede vissuta e
anche quando non e' fede religiosa, vi riluce sempre un riverbero dall'alto.
E' la tensione che attraversa il libro da capo a fondo. E' un libro di
speranza teologale, di un amore che non nasce solo dalla passione o
dall'amicizia, ma dalla fede in Dio. Le persone, anche se ignote, sono
importanti per i problemi che pongono e le soluzioni che portano alla luce:
come Giuliana, la piccola fanciulla alla quale tutta la classe di Agata
dedicava mezz'ora al giorno perche' imparasse a parlare, che lancia il
messaggio degli esclusi "se non li mettiamo al centro, anche noi ci
perdiamo" (p. 319).
Il libro ha due titoli: il primo dice la forza che l'attraversa e il dono
che consegna, il secondo indica la speranza che lo anima: un possibile mondo
nuovo. Ha inoltre un esergo tratto da Jacob Taubes: "Prima di morire
racconti a qualcun altro queste cose"; esso indica la spinta interiore che
ha orientato i pensieri e guidato la mano dell'autore, perche' il dono
ricevuto non puo' essere trattenuto; per accoglierlo veramente occorre
offrirlo e il tempo stringe. Ricordare gli amici percio' e' rendere feconda
la loro esistenza. Anche i singoli capitoli hanno due titoli e un esergo: il
primo titolo indica la persona ricordata o l'evento rievocato, il secondo
riassume il messaggio e il problema vitale affrontato, mentre l'esergo e i
titoletti dei paragrafi suggeriscono il senso degli eventi e le scelte
storiche da compiere perche' il messaggio venga raccolto prima che la sua
efficacia svanisca. La finalita' e'sempre concreta e conduce alla domanda
sulle decisioni da prendere oggi. I ricordi infatti: "hanno a che fare con
una storia che continua, e con l'assillo di capire dove va, e che cosa c'e'
ora da fare" (p. 9).
Il libro percio' si presta a tre livelli di lettura: la cronaca del tempo, i
messaggi emergenti o i problemi che si impongono, e l'azione che la loro
memoria suscita per il presente. I tre livelli si intrecciano e si
accavallano sicche' a volte il personaggio rievocato sembra perdersi nella
trama dei problemi e delle riflessioni, mentre il lettore e' portato a
inseguire le prospettive tracciate in filigrana dalla storia narrata e
subisce il fascino delle speranze suscitate.
*
Un modo intelligente di tracciare l'autobiografia
I personaggi e gli eventi sono rievocati solo in funzione del messaggio, che
ha reso sensato un tratto di strada percorso dall'autore. Non ci si attenda
quindi di trovare circostanziate notizie delle persone o sommari degli
eventi ricordati. E' la traccia di un cammino personale nelle tortuose
strade di un'epoca e nella compagnia di molti amici. Traccia, che diventa
pero' interpretazione di una storia e indicazione di un percorso futuro. Le
persone sono in funzione delle verita' che esse hanno incarnato e
testimoniato, a volte fino a morirne. Ad ogni pagina riaffiorano gli
incontri, i colloqui, le strette di mano, le dispute accese, le esperienze
comuni, le avventure professionali, le passioni religiose.
Cosi' delle molte ricchezze della madre Mercedes sono evocati i due grandi
sogni: "di una citta' umana, amabile, fraterna, desiderabile sulla terra, e
il sogno di un mondo... di incontri, rapporti, scambi" (p. 14).
Del monaco amico Benedetto Calati risuona la profezia dei due primati:
dell'amore e della liberta'.
Dall'arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro, e' raccolta la lezione sulla
poverta' come condizione di pace.
Il nucleo del messaggio di papa Giovanni: "Non litigate. Non vi arrabbiate
durante il viaggio" (p. 56) si presta a una serrata analisi delle tesi di
Rene' Girard sulla violenza umana.
L'incontro con il discepolo di Gandhi, Vinoba Bhave, lascia la consegna del
dono, della gratuita', della condivisione come segreto della rivoluzione
nonviolenta.
Il ricordo del pastore e senatore Tullio Vinay e' associato all'avventura
dei cattolici eletti nel 1976 nelle liste del Partito comunista per favorire
un processo che sembrava suscitare speranze, "fino a quando di traverso, ci
si misero le Brigate Rosse" (p. 91).
Anche la memoria di Enrico Berlinguer sa di cammini incompiuti perche' "solo
incontrandosi e fecondandosi tra loro le rivoluzioni esaurite possono
rigenerarsi e riacquistare la loro spinta propulsiva" (p. 104).
La tragedia del grande statista Aldo Moro, vittima sacrificale di una
profezia non ascoltata, ricorda la fine di una cultura politica "venuta meno
nell'ora della prova" (p. 126).
La decisione di Marianella Garcia Villas, presidente della Commissione dei
diritti umani del Salvador, di tornare nella sua terra, dove sapeva che
prima o poi sarebbe stata uccisa come il suo arcivescovo Romero, lascia il
messaggio essenziale per il nostro tempo che "la morte non sara' stata
invano" quando la fedelta' al proprio popolo umiliato e oppresso diventa un
atto di amore.
L'eredita' di Carlo Carretto, presidente della Giac, poi piccolo fratello di
Gesu' a Spello, e' condensata nella questione di Dio e nell'interrogativo:
quale Dio ci puo' salvare?
La stessa domanda che, in modo diverso, emerge dalla sofferta testimonianza
di Claudio Napoleoni, convinto che ormai "non c'e' un'uscita per via
meramente politica alla crisi" (p. 157).
Il pensiero complesso del filosofo Italo Mancini e' riassunto nella proposta
di coesistenza dei volti diversi, nella idea che la grandezza dell'Europa
sta nel "rendere giustizia a un volto" e che questo "dovrebbe essere l'ethos
del futuro" (p. 182).
La straordinaria figura di Giuseppe Dossetti, "l'uomo di un amore indiviso"
(p. 201) e' tratteggiata nel giurista creativo e nel credente rigoroso
contro tutti gli idoli del tempo.
David Maria Turoldo, poeta e profeta "contro tutte le forme di violenza" (p.
206), aveva colto e viveva la promessa messianica della fraternita'
universale "che tutti, uomini e donne, siano assunti nella loro eguale
umanita', e la giustizia e il diritto siano stabiliti sulla terra.  Fuori di
questo non c'e' uscita... c'e' solo la profezia della fine" (p. 212). Il
messianismo infatti implica: la denuncia del male, la resistenza alle sue
spinte e l'annuncio rinnovato di una prossima aurora.
Temi analoghi risuonano nel messaggio di Ernesto Balducci, lo scolopio della
Badia Fiesolana, vissuto "tra un'aurora", ben presto svanita, "e una notte
che ci e' piombata addosso" (p. 222). E' la notte della violenza e della
guerra, che egli pensava ormai debellata e che invece si riproponeva ancora
come illusorio strumento di giustizia. "Quello che e' atteso puo' essere
forzato a nascere... 'dobbiamo forzare l'aurora a nascere'" (p. 231).
Il vescovo di Molfetta, Tonino Bello, e' ricordato come guida della
"liturgia messianica" celebrata a Sarajevo da un popolo pacifico in cammino
nelle strade della guerra, tra blocchi, carri armati e campi minati "per
romperne l'assedio, per vincerne la solitudine, per celebrarvi la festa
della condivisione e della comunione" (p. 232). Fu l'ultimo gesto di un
malato, gia' prossimo alla fine, che aveva fatto di tutta la sua vita un
servizio a favore dei poveri e per la "convivialita' delle differenze"
contro tutti i progetti di scontro di civilta'.
Don Luigi Di Liegro, il direttore infaticabile della Caritas romana, e'
ricordato per l'impegno lucido e deciso di impedire sofferenze inutili ed
evitare morti non necessarie.
Sergio Garavini e' il sindacalista che ha dedicato l'ultima parte della vita
a ristabilire l'unita' della sinistra italiana "con se stessa, con la
propria cultura e con i propri valori" (p. 269) per una missione nel mondo,
perche' "una sinistra che non sia per il mondo non ha senso" (p. 262).
Le venti pagine dedicate all'intellettuale palestinese Wael Zuaiter, ucciso
perche' non era antisemita e perche' nella sua mitezza avrebbe contrastato
ogni forma di terrorismo, sviluppano un'analisi sulla natura dello Stato di
Israele, sulla torsione apocalittica del messianismo e sulla disperazione
dei palestinesi su cui poggerebbe il progetto israeliano sul futuro.
La rara malattia (un sovrappiu' di difese immunitarie) di Cettina, "la
moglie della giovinezza e compagna di quarant'anni di traversata", offre
l'occasione per riflettere sul fatto che "un eccesso di difesa e'
distruttivo piu' dell'attacco temuto e che quando poi il nemico arriva
davvero, non si riesce ne' a riconoscerlo ne' a contrastarlo" (p. 293).
L'espressione poi di fratel Arturo Paoli, che nel suo biglietto di
condoglianze interpretava la prematura scomparsa come la venuta dell'Amico
che ha salvato l'amore dall'usura del tempo e ne ha assicurato la vittoria
sulla morte, sollecita riflessioni sulle urgenze del tempo, perche' "prima
che l'amore finisca, occorre che dai silenzi scaturiscano nuove parole e
occorre fare qualcosa perche' il mondo continui" (p. 308).
Singolare e' il capitolo su Jacob Taubes, un ebreo che rilegge Paolo di
Tarso, rimasto "ebreo anche quando predica il Signore risorto" (p. 314).
Il fatto, infine, che la notizia della morte di Ivan Illich (2 dicembre
2002) sia pervenuta all'autore mentre si trovava a Bagdad si presta a
riflessioni sulla recente guerra contro l'Iraq, per ribadire, con Illich,
che: "la guerra contemporanea, questa collaborazione tecnologica
all'Apocalisse, e' profondamente implicata nell'idea che il male possa
essere estirpato" (p. 328). In realta' non e' cosi'. Il male ci accompagna
lungo tutto il cammino della storia. La salvezza sta nell'imparare a
portarlo con la forza dell'amore che ne stravolge la spinta distruttrice
perche' l'investe di misericordia. Una forza, questa, che solo Dio puo'
offrire. Ormai molti ne sono convinti. Ed e' la speranza, consegnata al
lettore dall'autore, convinto che "l'amore non finira'" (p. 348).

8. INIZIATIVE. PREMIO  DI  LAUREA  "LANZA  DEL  VASTO"
[Dalla segreteria del sindaco del Comune di San Vito dei Normanni (per
contatti: svitonormgab@mail6.clio.it) riceviamo e volentieri diffondiamo.
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto e' una delle figure piu' grandi della
nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre
siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi
nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine
religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale,
ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la
giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti,
Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva
una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book
(che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e
precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria
Editrice Fiorentina; In fuoco e spirito, La Meridiana]
La Citta' di San Vito dei Normanni e l'associazione turistica Pro Loco di
San Vito dei Normanni bandiscono un concorso per una tesi di laurea avente
come tema il pensiero, l'insegnamento e l'opera di Lanza del Vasto, illustre
concittadino apostolo della pace.
Possono partecipare al concorso tutti coloro che conseguiranno la laurea
nell'anno accademico 2002-03.
Coloro che intendono partecipare al concorso dovranno far pervenire, a mezzo
raccomandata A. R. o mediante consegna a mano, al Comune di San Vito dei
Normanni (Brindisi) la tesi di laurea in cinque copie, insieme al
certificato di laurea, entro il 30 aprile 2004. Fara' fede il timbro postale
di spedizione.
Il premio, al quale partecipano economicamente i due enti organizzatori, e'
fissato in euro 1.500 (millecinquecento) ed e' indivisibile.
Una Commissione, composta da illustri docenti, nominata congiuntamente dai
due enti organizzatori, valutera' i lavori e aggiudichera' il premio. Il suo
giudizio e' insindacabile.
La Commissione si riserva il diritto di non attribuire il premio, qualora i
lavori non dovessero essere giudicati meritevoli.
A tutti i partecipanti al Concorso sara' rilasciato un attestato da poter
utilizzare per il prosieguo della loro carriera.
Il premio sara' assegnato nel corso di una manifestazione che si terra' a
San Vito dei Normanni per ricordare Lanza del Vasto, la cui data sara'
comunicata tempestivamente.
I due Enti organizzatori si riservano il diritto di pubblicare, d'intesa con
l'autore, il lavoro premiato, senza ulteriore compenso per lo stesso.
Una copia dei lavori partecipanti al Premio sara' conservata nell'archivio
della istituenda Fondazione "Lanza del Vasto".
Eventuali informazioni possono essere chieste alla segreteria del Premio
presso il Comune di San Vito dei Normanni (Br), tel. 0831955205, fax:
0831955230.
Il bando di concorso avra' periodicita' annuale.

9. INIZIATIVE. QUARTA EDIZIONE DEL PREMIO DI SCRITTURA FEMMINILE "IL PAESE
DELLE DONNE"
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo e
diffondiamo]
E' giunto alla quarta edizione il Premio di scrittura femminile "il Paese
delle donne" dedicato a Maria Teresa Guerrero (Maite).
L'associazione "il paese delle donne", che dal 1987 edita il "Foglio de il
Paese delle donne" (testata cartacea e telematica), promuove un Premio, in
cinque sezioni, per valorizzare e diffondere saperi e talenti delle donne.
Concorrono al Premio autrici senza limiti d'eta', titoli di studio,
cittadinanza e residenza, con testi in lingua italiana o, se plurilingue,
con una delle versioni in italiano.
Tutto il materiale concorrente al Premio deve essere posteriore al primo
gennaio 1998 e deve pervenire alla segreteria del Premio entro e non oltre
le ore 24 del 20 luglio 2003.
Il versamento della quota d'iscrizione al Premio deve essere effettuato sul
ccp n. 69515005 intestato a: Paese delle donne, via Matteo Boiardo 12, 00185
Roma.
Per ulteriori informaizoni: www.womenews.net

10. RILETTURE. SILVESTRA MARINIELLO: LEV KULESOV
Silvestra Mariniello, Lev Kulesov, Il castoro cinema - La Nuova Italia,
Firenze 1989, pp. 158, lire 16.000. Una bella monografia sul geniale
cineasta ingiustamente pressoche' dimenticato, e sovente scandalosamente
ridotto alla mera etichetta di "quello dell'effetto Kulesov".

11. RILETTURE. DARIO TOMASI: YASUJIRO OZU
Dario Tomasi, Yasujiro Ozu, Il castoro cinema, Milano 1996, pp. 176, lire
16.000. Uno studio accurato  (l'autore, docente universitario di semiologia
del cinema, ha studiato la lingua e la cultura giapponese e vissuto due anni
in Giappone), fine e appassionato, della personalita' e dell'opera del
grandissimo regista nipponico, la visione delle cui opere raccomandiamo
vivamente.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 586 del 19 giugno 2003