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La contestazione di Evian raccontata da Haidi Giuliani



S'IL VOUS PLAÎT


Ho partecipato alla grande manifestazione contro gli 8 Grandi, 
asserragliati ad Evian, e tutto quello che rappresentano di negativo.

Ho marciato nel corteo che ha raggiunto il confine da Ginevra, colorato, 
chiassoso, tanto determinato quanto pacifico, vario: all'inizio l'ho 
guardato sfilare per un po', circa un'ora, poi mi sono inserita tra i 
Disobbedienti e un gruppo vestito tutto di nero, con i volti coperti e 
l'aria pericolosa; aveva in parte bandiere rosse e nere, in parte solo 
nere, qualche scritta bianca in tedesco.Black Blok, ho pensato 
naturalmente, meglio tenerli d'occhio.

Il gruppo ha fatto tutto il percorso (come gli altri), lanciando i propri 
slogan (come facevano tutti gli altri), gridando, saltando, in una parola 
manifestando.

Quando ha cominciato a circolare la voce del giovane precipitato da un 
ponte, mentre cercava di fissare uno striscione di protesta, perché 
qualcuno aveva pensato di tagliare la fune a cui era aggrappato - e 
all'inizio si diceva fosse morto - il gruppo nero si è arrabbiato molto 
(come gli altri) e ha gridato più forte (come tutti).

Non ha spaccato teste e denti, voglio dire, non ha tagliato corde.

Mentre eravamo al confine, chi sul viadotto, chi sotto, chi nei prati 
attorno, è giunta la notizia che la polizia stava circondando il campeggio 
a Losanna e che già molti manifestanti erano stati arrestati: gli avvocati 
del Legal Team che erano presenti sono partiti subito, senza calcolare la 
stanchezza, il caldo, la lontananza.

Sono ritornata a la Maison des Associations con alcuni Disobbedienti, 
commentando positivamente la presenza nel corteo di quel gruppo nero e 
l'assenza di provocazioni; commentando negativamente il fatto che, come a 
Genova, la polizia non aveva fermato chi nella notte aveva spaccato vetrine 
e appiccato il fuoco mentre ora se la prendeva con i manifestanti.

Gli avvocati hanno avuto un intenso pomeriggio di lavoro ma quando sono 
rientrati a Ginevra, verso sera, quasi tutti i fermati erano già stati 
rilasciati.

A quel punto avevamo fame ed eravamo davvero stanchi: c'era chi non aveva 
quasi dormito la notte precedente per effettuare i blocchi alle vie di 
accesso ad Evian e i falò che avevano "incendiato" allegramente il lago. Ma 
è arrivata la notizia che la polizia, già impegnata con alcuni gruppi di 
casseurs, si era presentata al Media Center, due strade più in là, e stava 
entrando, non si capiva con quale motivazione.

Siamo accorsi subito: forze dell'ordine in tenuta antisommossa schierate a 
quadrato all'incrocio, lacrimogeni CS, blindati.Gli avvocati, con la 
pettorina del Legal Team, sono stati fatti passare; ho cercato di seguirli 
ma una voce oltre il casco, la maschera e dall'alto di un paio di metri, mi 
ha fermato:

"S'il vous plaît!"

Già, - ho subito pensato - la famosa gentilezza svizzera, poi ti massacrano 
uguale.

Rifornita di pettorina ho raggiunto i compagni mentre sopraggiungevano 
anche diversi giornalisti e fotografi: davanti al portone altri cellulari, 
altro schieramento.

Davvero sembrava di rivedere in formato ridotto i filmati ripresi davanti 
alla Diaz, quasi due anni fa: la situazione, la puzza dei gas; un tipo 
massiccio in borghese, con tanto di pelatona lucida e una mascherina 
ridicola che gli copriva naso e bocca, si sbracciava in modo perentorio 
ogni volta che si socchiudeva il portone, e non dava certo affidamento.

Ho cercato di insinuarmi approfittando della confusione ma una manona 
guantata mi si è parata davanti, senza sfiorarmi:

"S'il vous plaît!"

Quando sono cominciati ad uscire uno alla volta, dopo quasi un'ora, i 
ragazzi rilasciati dall'interno, nessuno di loro era ferito; a parte un 
compagno di Indymedia, che abbiamo incontrato al piano superiore - quando 
finalmente la polizia si è ritirata - e che sanguinava dalla testa per un 
colpo ricevuto al momento dell'irruzione, nessuno era stato maltrattato, 
insultato, umiliato. Certo, non avremmo voluto vedere neanche la più 
piccola ferita, ma rispetto a quanto si era temuto.

Invece dentro tutto era intatto: accessori, suppellettili, computers, 
video, strumenti vari. A parte l'assurdità di quella "visita", a parte la 
protervia con cui si continuava a cercare terroristi o chissà quali prove 
di eversione all'interno del Movimento, il comportamento delle forze 
dell'ordine si era mantenuto nei limiti della correttezza.

"Altamente professionale," lo ha definito un compagno avvocato, esausto, 
all'uscita "anche se non si capisce perché prima minacciano di arrestare 
tutti e poi risolvono la cosa in poche ore: è tutto il giorno che ci fanno 
correre, sembra una guerra di nervi."

Ho lasciato Ginevra a mezzanotte passata; in qualche strada c'era ancora 
qualcuno che mandava vetri in frantumi o appiccava il fuoco alle panchine 
dei giardini: non credo avesse niente a che fare con la protesta, piuttosto 
con la mancanza di strumenti, di espressione, di cultura.

Di chi la responsabilità?


La mamma di Carlo