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comunicato su stampa e verità
Vi invio, se non vi è già arrivato, un comunicato-iniziativa del Comitato
contro la guerra di Napoli, in sintonia con la vostra iniziativa sui media:
La verità è la prima vittima della guerra
ma quanti giornalisti sono complici di questo omicidio?
Più la "guerra preventiva" rotola, per sua natura, verso la barbarie, più
assistiamo ad una sistematica falsificazione degli avvenimenti da parte dei
mezzi di comunicazione. Lo scopo è evidente: convincere della ³giustezza²
di questo conflitto e degli altri a venire un¹opinione pubblica largamente
contraria e diminuire la distanza abissale che separa il desiderio di pace
di milioni di uomini dalle sciagurate scelte di Bush, di Blair e dello
stesso Berlusconi.
Per ottenere l¹obiettivo si sono messi l¹elmetto molti giornalisti, non
solo delle testate notoriamente reazionarie e filo-usa, e anche i
conduttori di talk-show e ³salotti² televisivi, trasformati, grazie alla
presenza soverchiante di generali mai in pensione e presunti esperti
militari, in spot guerrafondai. La mancata analisi delle reali motivazioni
che hanno portato all¹invasione dell¹Iraq e l¹enorme pericolo che si
profila per l¹umanità per il trionfo della logica delle armi, la
sproporzione tra le forze in campo e il dramma dei civili, è purtroppo un
dato comune e manifesta un totale disprezzo per la vita umana.
Ad eccezione dei pochi inviati che hanno modo di verificare di persona gli
effetti di una guerra che sfoggia le più moderne ³armi di distruzioni di
massa²¹ occidentali², l¹identificazione con l¹esercito anglo-statunitense è
stata e continua ad essere spudorato, non solo tra i giornalisti Rai e
Mediaset al seguito delle colonne di marines o di stanza nei comandi in
Kuwait o nel Qatar. Lo si nota nel linguaggio (gli anglo-americani, ad
esempio, vengono chiamati ³alleati², per rievocare gli imperativi etici
della Seconda Guerra Mondiale), nel giudizio degli eventi bellici (si usa
definire ³terroristici² gli attacchi di sorpresa dei commandos irakeni e
non, ad esempio, le bombe all¹uranio lanciate su Baghdad o quelle a
frammentazione lanciate su Bassora) e nell¹utilizzo sfrontato di ³due pesi
e due misure² (sono state giudicate rivoltanti le immagini dei prigionieri
anglo-americani mentre c¹è la totale indifferenza per quelli irakeni, con
un sacco in testa o stesi con la faccia sulla sabbia). A partire dal primo
giorno di guerra (quando si è data per buona la notizia della fuga di Tareq
Aziz) ci si è trasformati nella cassa di risonanza dei comandi
anglo-americani², avallando anche le bugie più inverosimili. Citiamo, in
ordine sparso, la fantomatica ³rivolta² sciita di Bassora, il bombardamento
degli irakeni contro la popolazione in fuga sempre da Bassora, le storielle
quotidiane (che col vittoria anglo-americana alle porte non faranno che
moltiplicarsi) sulla ragazza impiccata perché salutava gli anglo-americani,
sulle esecuzioni dei prigionieri da parte irakena, sulle camere di tortura
del regime, sui ritrovamenti della famosa ³pistole fumante², sulla
liberazione dei 150 bambini refrattari all¹iscrizione del partito Baath...
Cosa ha spinto tanti giornalisti italiani a una simile miseria? Non
crediamo i soldi, sebbene alcuni mesi fa (con il tatto che gli è naturale
e in armonia con un governo abituato a ³comprare² con i dollari il consenso
alle sue scelte) il Pentagono promise laute ricompense ai giornalisti che
si arruolavano nella cosiddetta ³guerra al terrorismo². E allora cos¹altro?
Il solito parteggiare per il più forte e l¹inevitabile vincitore? La
pressione e i ricatti degli editori e dei loro padroni?
Chiediamo a tutti i giornalisti onestà personale e il rispetto minimo della
deontologia professionale. Chiediamo il rispetto delle regole basilari del
giornalismo, come la citazione delle fonti delle notizie, l¹uguale credito
alle parti in conflitto, la non censura delle poche fonti alternative a
quelle anglo-americane, come la televisione Al Jazeera (che durante tutta
la guerra si è rivelata senza alcun dubbio l¹emittente più credibile). Vi
chiediamo di usare quel minimo di intelligenza e di esperienza (che non
dovrebbero mancare in una professione di così tanta responsabilità) per
orientarvi nel mare di propaganda, menzogne e voci interessate che questa
guerra, come tutte le altre, produce. Di evitare di infarcire articoli e
corrispondenze con i propri desideri e le proprie idee (esistono spazi
appositi per le opinioni). E, infine, di dare rappresentanza sui giornali e
in televisione a quegli otto italiani su dieci che sono contrari a questa
guerra: da quando è cominciato il conflitto, a dibattere con una schiera
esorbitante e organizzata di convinti guerrafondai vengono invitati, al
massimo, alcuni timidi esponenti progressisti che ha subito il movimento
pacifista e che appare sempre più imbarazzato e a disagio per la sua forza
e la sua chiarezza.
Esprimiamo la nostra solidarietà e stima per i giornalisti rimasti a
Baghdad, che sono stati per questo deliberatamente colpiti dalle forze
anglo-americane con una chiara dimostrazione di cosa intendano loro e loro
governi per libertà, e in particolare per libertà d¹informazione.
Crediamo, infine, sia IMPORTANTE far sentire la propria voce di protesta
per ogni ³perla² propagandistica, telefonando alle redazioni giornalistiche
ed esponendo le proprie ragioni e rimostranze sull¹informazione quotidiana.
La protesta di una massa di utenti può rendere meno faziosa l¹informazione
pubblica. Per questo facciamo circolare i recapiti delle redazioni e, nei
prossimi giorni, faremo circolare quelle dei singoli giornalisti.
Salviamo la verità, la nostra libertà e la popolazione irakena dal
fanatismo degli arroganti e dei potenti
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