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La nonviolenza e' in cammino. 566
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 566
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Tue, 15 Apr 2003 00:00:04 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 566 del 14 aprile 2003
Sommario di questo numero:
1. Amelia Alberti: cavalli al galoppo
2. Ileana Montini: il letto dei nonni
3. Norma Bertullacelli: da settantadue settimane
4. Adriana Zarri: la capanna del fabbro
5. Hevi Dilara: come esule kurda vorrei ricordare
6. Giulio Vittorangeli: per la pace e la giustizia
7. Enrico Peyretti: libere volpi fra libere galline
8. "Unione sindacale italiana" del Lazio: una valutazione sul 12 aprile
9. Anna Maria Merlo presenta "Il libro nero del colonialismo"
10. Luciana Castellina presenta "Perche' (oggi) non possiamo non dirci
antiamericani" di Antonio Gambino
11. Il documento finale della manifestazione del 12 aprile
12. Peppe Sini: la sentenza e' gia' stata eseguita
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. AMELIA ALBERTI: CAVALLI AL GALOPPO
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di
Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica,
collaboratrice di questo foglio, impegnata in iniziative di pace e di
solidarieta', ha questa straordinaria capacita' di restituire in parola
poetica vibrante di emozione e verita' cio' che lo sguardo sui fatti del
mondo coglie di essenziale, e cosi' la sua voce e' ad un tempo voce di
denuncia e di impegno, di strazio per la visione dell'inumano, e di
irriducibile resistenza all'inumano]
Non so perche', tra le orrende immagini di guerra con cui la televisione ci
ha messo a dura prova nei giorni scorsi, quella che ritorna di tanto in
tanto ad affacciarsi alla mia mente e' la folle corsa dei cavalli di razza
del figlio di Saddam Hussein, trascinati con la lunghina da una macchina
scoperta. Mi sono improvvisamente domandata che cosa e' stata questa guerra
per quei cavalli, animali intelligenti e sensibili, certamente abituati ad
essere trattati infinitamente meglio di qualunque cittadino medio iracheno,
accuditi e sfamati con ogni cura, allevati in scuderie dotate di ogni
confort, e poi improvvisamente bombardati da boati, scoppi, rumori, grida,
presi e trascinati e probabilmente sgozzati e dati in pasto a persone
affamate. Essi non hanno capito. Ma anche noi non abbiamo capito il perche'
di tanta furia omicida, che trascorre a ondate negli uomini, dal giorno
maledetto in cui Caino ha alzato la pietra contro suo fratello Abele.
2. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: IL LETTO DEI NONNI
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
stupendo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista,
gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da
genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la
prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
Forse l'esercizio della memoria qualche volta puo' aiutarci a riflettere
sulla storia umana. Forse bisogna saper ricordare senza alcuna pieta' e
indulgenza per educarci a comprendere l'essenza umana, la psiche umana e i
comportamenti ripetitivi in ogni luogo della terra.
Finita o non finita che sia questa guerra in Iraq, le somiglianze con i
comportamenti degli italiani dopo l'8 settembre 1943, sono senz'altro
sorprendenti, come ha anche descritto Bocca su "La repubblica" del 12
aprile. Giorgio Bocca ha scritto: "Milioni di italiani guardano il sacco di
Baghdad, io fra loro, sconvolto e incredulo, e sono uno che e' passato per
almeno tre saccheggi nel nostro civilissimo paese".
Sono, come lui scrive, certamente lo sfogo di gente povera e che e' stata
oppressa, ma che, come abbiamo visto in tv, rischia ora il solito sfogo
vendicativo.
La vendetta e' un sentimento assai diffuso, che contiene pero' l'ombra
dell'invidia. Dopo l'8 settembre del '43 l'arrivo dei tedeschi a Cervia (la
cittadina dell'Adriatico romagnolo dove la grande scrittrice sarda Grazia
Deledda aveva voluto spendere i soldi del premio Nobel per la letteratura
del 1927 per acquistare la villetta tra le tamerici a due passi dal mare)
costrinse alla fuga molti cittadini. I tedeschi diedero l'ordine di sgombero
perche' intendevano far saltare le ville che si affacciavano sul mare per un
loro interesse logistico. Poi, per intercessione di un gerarca fascista,
interruppero l'operazione dopo averne distrutte solo alcune.
Mia nonna chiuse allora a chiave il portone, fece le valigie e ritorno' al
suo paese, in provincia di Reggio Emilia. Non molto tempo dopo si fece
mandare, da alcuni amici, le casse contenenti la biancheria. Tutto il resto
resto' chiuso nella villetta. I figli erano sparsi in Italia o in Africa
tranne i due che abitavano da tempo al suo paese. Poi la guerra fini' e
mori' anche lei in una giornata grigia del febbraio del 1946.
L' anno seguente mio babbo ottenne il trasferimento al comando della Guardia
di Finanza delle saline di Cervia. Ci trasferimmo con il desiderio di
andare ad abitare la villa dei nonni anche perche' lo stipendio di un
sottoufficiale che tra poco sarebbe stato un pensionato, si poteva definire
da fame. Invece fummo costretti in due camere d'affitto, e a cercare a
credito presso qualche negozio di alimentari di buon cuore. Per due anni
abitammo nella grande casa dove, negli anni venti, Grazia Deledda era stata
ospite nelle prime lunghe estati che la indussero a scrivere il romanzo
ambientato a Cervia "il Paese del vento".
La villa dei nonni, come tante altre abitazioni, all'indomani della fine
della guerra era stata saccheggiata e occupata. Avevano prelevato i mobili,
la batteria stupenda di tegami di rame, le ceramiche faentine, i lampadari e
cosi' via, lasciando soltanto i muri. E poi alcune famiglie di pescatori vi
si erano trasferite lasciando le loro case del "borgo marina". Non
intendevano concederci neppure una stanza perche' i nonni e i loro figli
erano considerati dei borghesi ai quali il proletariato aveva ragione di
togliere tutto.
Alcune donne "occupanti" erano state delle collaboratrici domestiche della
nonna, e avevano fatto il tifo per il fascismo correndo a salutare il Duce
quando venne in visita alla citta'. All'indomani della fine della guerra
avevano aderito al PCI e nel 1948, quando ci furono le elezioni, fu stilato
un elenco con le persone che, in caso di vittoria, sarebbero state eliminate
per impiccagione. Tutta la nostra famiglia fu trovata nell'elenco
sequestrato dalla questura.
L'antica rabbia anticlericale era tale che non facevano mistero di voler
preparare tagliatelle, piadina e ciambella da mangiare in chiesa ballando
valzer e mazurca in caso di schiacciante vittoria elettorale.
Poi, pian piano, svani' l'antico e proverbiale anticlericalismo, e la
popolazione, con grande capacita' inventiva, si trasformo', mutando lo
status di pescatori in quello di bagnini e albergatori con enorme successo
turistico. Con gli anni, e l'avanzata del benessere e del consumismo, la
sinistra comincio' a perdere voti e ora la "casa delle liberta'" e Alleanza
Nazionale si sono presi una bella fetta di elettorato.
Poco tempo fa mia sorella, invitata in casa di amici, venne portata in
visita alle varie stanze e quando il padrone di casa entro' nella stanza da
letto, le disse con perfetta inconsapevolezza e innocenza che il letto
matrimoniale di antica e bella fattura l'aveva ereditato dalla madre. Sua
madre era stata una delle "colf" della nonna, una di quelle che aveva
occupato la villa.
Mia sorella rivide cosi' il letto dei nonni.
3. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: DA SETTANTADUE SETTIMANE
[Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b@libero.it) per
questo intervento. Norma Bertullacelli, insegnante, amica della nonviolenza,
fa parte della "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova]
La guerra, costata migliaia di vite umane, somme di denaro difficili da
quantificare e la distruzione di un inestimabile patrimonio artistico ed
ambientale, ha ottenuto gli effetti previsti: gli Stati Uniti sono i soli
veri padroni del mondo; hanno calpestato impunemente il diritto
internazionale e le disposizioni delle Nazioni Unite; e sovrintenderanno
anche alla "ricostruzione" della parte materiale di cio' che hanno
distrutto.
Da 72 settimane, cioe' dall'indomani dell'attentato alle torri gemelle (a
proposito: e Bin Laden?) i pacifisti genovesi manifestano ogni mercoledi'
rimanendo un'ora in silenzio sui gradini del palazzo ducale di Genova.
Riproporranno l'iniziativa anche mercoledi' 16 aprile dalle 18 alle 19. Il
loro gesto, apparentemente cosi' impari rispetto alla gravita'
dell'ingiustizia che abbiamo visto e che vediamo, non sara' stato inutile se
avra' indotto anche solo qualche passante a riflettere sull'assurdita' di
una guerra fatta in nome della democrazia e della liberta' da uno stato che
possiede i maggiori depositi di armi di distruzione di massa, comprese
quelle atomiche; pratica largamente la pena di morte; rifiuta di ratificare
il protocollo di Kyoto sull'emissione di gas nell'atmosfera e la corte
penale internazionale; ha costruito un muro, non dissimile da quello di
Berlino, per difendersi dall'immigrazione di chi vorrebbe almeno qualche
briciola della sua "democrazia" e della sua "liberta'".
4. RIFLESSIONE. ADRIANA ZARRI: LA CAPANNA DEL FABBRO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2003. Adriana Zarri, nata a S.
Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere
segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella; Erba della mia
erba, Cittadella; Dodici lune, Camunia; Il figlio perduto, La Piccola]
Presso le popolazioni Samburu la capanna del fabbro deve sorgere fuori dal
villaggio perche' questi fabbrica lance e strumenti di morte.
Ma non solo uomini, ritenuti semiselvaggi, anche animali possono insegnarci
qualcosa. E' noto l'episodio degli elefanti che hanno liberato alcune
antilopi, imprigionate dagli uomini.
Dedicato ai gestori di tutti i campi di concentramento disseminati nel
mondo.
5. RIFLESSIONE. HEVI DILARA: COME ESULE KURDA VORREI RICORDARE
[Riportiamo l'intervento di Hevi Dilara alla manifestazione di Roma del 12
aprile 2003 "contro la guerra infinita". Hevi Dilara e' una delle piu'
autorevoli rappresentanti del popolo kurdo in Italia; fu lei che in
occasione della marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza svoltasi nel
settembre del 2000 pronuncio' lo storico discorso di ripudio della violenza
e di scelta della lotta nonviolenta da parte della piu' nota organizzazione
della resistenza kurda]
Come esule kurda, anzitutto vorrei ricordare a chi oggi esalta la democrazia
dopo le bombe, che quattro anni fa l'Occidente respinse l'offerta di pace e
democrazia del nostro principale leader, Ocalan, consegnandolo invece ai
suoi aguzzini. Se l'Europa avesse avuto piu' coraggio, forse oggi sarebbe
cambiata non solo la Turchia ma anche l'Iraq, e il regime di Saddam sarebbe
gia' caduto dal basso, senza una guerra crudele e illegale.
Perche' e' vero: ogni passo avanti o indietro in una parte del Kurdistan si
riflette nelle altre. La democrazia e la liberta' (quelle vere, non quelle
imposte da armi straniere) sono contagiose. La proposta di un democrazia
pluralista e federativa, allora come oggi, puo' diffondersi dalla Turchia
all'Iraq e viceversa, e in tutta l'area.
Difatti non c'e' kurdo il cui cuore non abbia tremato, vedendo la bandiera
del Kurdistan con il sole antico di Zoroastro sventolare su Kirkuk e Mosul.
Ma mentre vedevo quelle immagini di gioia, in controluce vedevo anche le
stragi di bambini a Baghdad, l'esodo di Bassora. Non farlo sarebbe
nazionalismo miope, e scaverebbe un solco fra kurdi e arabi, che insieme
devono convivere in un nuovo Medio Oriente con tutti gli altri popoli.
D'altra parte, chi cedette all'Iraq quelle antiche citta' kurde?
L'Inghilterra, in nome del petrolio.
Chi nell'88 ha dato a Saddam le armi chimiche per gasarci ad Halabja? Tutto
l'Occidente: e mentre noi protestavamo insieme a voi, Europa e Usa votavano
a Ginevra perche' l'Onu tacesse.
Chi nel '91 ha restituito alla Guardia repubblicana Kirkuk e Mosul insorte?
Il generale Powell e il padre di Bush.
E chi oggi vorrebbe impedire il ritorno degli esuli cacciati in decenni di
pulizia etnica? Tutti gli stati che ci opprimono, a cominciare dalla
Turchia; e presto, temo, anche il nuovo potere di Baghdad.
Noi kurdi conosciamo da generazioni gli inganni dei signori della guerra. Ma
siamo abituati, come diceva Apo, a far fiorire anche la nuda pietra. Dopo e
contro la guerra, vogliamo fare della Mesopotamia, culla della civilta',
l'avanguardia dell'umanita' nel nuovo secolo.
Il caos del dopoguerra puo' portare a una terribile guerra civile in Iraq, e
ad uno scontro etnico, aggiunto a una guerra d'occupazione turca, nel
Kurdistan iracheno. Oppure puo' essere l'occasione di un grande cambiamento,
se i kurdi sapranno ritrovare la loro unita' nazionale, ed unirsi con i
democratici iracheni e turchi, prendendo in mano il proprio futuro.
E se voi ci aiuterete.
Portando nella nostra terra aiuti umanitari ma anche speranza di pace e
autogoverno.
Offrendo ai nostri esuli asilo, ma anche dignita', identita', speranza di
ritorno.
Restando vicini al popolo kurdo, al popolo iracheno, alle vittime di questa
e di tutte le guerre e le repressioni, e sostenendo le forze democratiche.
E il popolo kurdo, come il popolo palestinese e tutti i popoli che molto
hanno sofferto, e' una grande riserva di democrazia e di umanita', per il
Medio Oriente ed anche per voi.
6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: PER LA PACE E LA GIUSTIZIA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, e una delle persone piu' lucide e rigorose
impegnate nella solidarieta' internazionale]
Mentre questa infame guerra all'Iraq sembra militarmente conclusa, nel resto
del mondo continuano a consumarsi altre guerre.
Un recente appello "Per la pace e la giustizia" (promosso da decine di
intellettuali, scrittori e politici di tutto il mondo, hanno gia' aderito 62
mila persone; per informazioni e adesioni: www.zmag.org) dice: "Sono contro
la distruzione delle foreste, della terra, dell'acqua, delle risorse
ambientali e della biodiversita' da cui dipende tutta la vita. Credo nella
giustizia. Sono contro le istituzioni economiche, politiche e culturali che
promuovono una mentalita' competitiva, contro le enormi disuguaglianza nella
ricchezza e nel potere...".
E' evidente che fino a quando miliardi di persone soffrono la fame e non
hanno acqua e non hanno abitazioni decenti, e muoiono in giovanissima eta' e
quelli che sopravvivono spesso vivono razzolando fra i rifiuti, e sono
afflitti da epidemie e malattie e non hanno energia o elettricita', non
potra' esserci pace sul pianeta. Dobbiamo sempre ricordarci che
trentatremila persone muoiono ogni giorno a causa della fame, ma non a causa
della scarsita' di cibo. Quando l'economia ha mostrato la sua tremenda
capacita' di crescita, decine di migliaia di donne e bambini sono morti a
causa della fame. Gli studi sul consumo del cibo, dimostrano che il 20%
della popolazione (equivale a circa 1,2 miliardi di persone) consuma
l'equivalente del cibo che puo' soddisfare i bisogni di 32 miliardi di
persone. Tutta la popolazione globale e' soltanto sei miliardi.
Ecco perche' non si puo' presentare la guerra come la via per eliminare le
ingiustizie. E' vero esattamente il contrario: la guerra e' frutto di
ingiustizia ed e' un moltiplicatore dell'ingiustizia. Fino a che non ci
saranno scuole, informazione corretta, coraggiosa comprensione dei diritti e
delle tradizioni altrui, non ci sara' pace.
E' vero anche che la diffusione dei conflitti e della violenza si e'
notevolmente accentuata da quando il mondo e' stato unificato, dieci anni
fa, nel segno delle leggi e dell'economia capitalistica dell'Occidente. Il
problema e' quindi quello della poverta' dei poveri e della attenuazione
delle grandi differenze di beni e servizi esistenti fra Nord e Sud del
mondo. Cosi' i problemi planetari sono abbastanza facilmente riconoscibili:
il disprezzo per concrete azioni di disarmo e di pace, l'effetto serra e la
poverta'.
"Le grandi diversita' di disponibilita' di acqua, cibo, energia, condizioni
abitative, salute, fra due grandi blocchi o classi di paesi, quello del Nord
del mondo, con una popolazione di circa 2.000 milioni di persone, e quello
del Sud del mondo, con circa 4.200 milioni di persone, ciascuna delle quali
ha una frazione piccola, o piccolissima, dei beni posseduti da ogni persona
che abita il Nord del mondo" (Giorgio Nebbia).
E' inutile percio' raccontarci bugie e peggio convincersene, se in nostro
livello di consumo (del quale, piaccia o meno, siamo a vario titolo
corresponsabili) rimarra' inalterato, gli esseri umani che appartengono al
cosiddetto Terzo mondo non disporranno di risorse per una vita decente, e
non ci sara' ne' pace ne' giustizia, ne' sara' possibile eliminare
discriminazioni e conflitti. Se il nostro standard di vita fosse allargato
al resto del mondo, ci vorrebbero altri sette pianeti per realizzare una
vita civilizzata (l'insostenibilita' della Terra).
"Se un mondo diverso e' possibile, dobbiamo praticarlo da subito, a partire
dal quotidiano, pena la sconfitta permanente di tutte le nostre utopie. Nel
villaggio globale in cui viviamo un sottile filo lega tra loro ignavia,
indifferenza, ignoranza e ipocrisia. Non dobbiamo e non possiamo limitarci
ad azioni tese ad incidere piu' sulla nostra coscienza che sui reali
meccanismi di prevaricazione economica - ma anche sociali e culturali - che
stanno alla base dell'intervento armato in Iraq, che non e' iniziato un
giorno di marzo, ma dura incessantemente da oltre dieci anni, e certamente
non terminera' con la conquista di Baghdad" (dalla newsletter
"Ecosalus.news", 8 aprile 2003).
7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LIBERE VOLPI FRA LIBERE GALLINE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei maestri piu' nitidi della
cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura
di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999]
Due saccheggi a Baghdad: uno dei ladruncoli, uno dei ladroni.
Quello dei ladruncoli Bush lo ha definito effetto (o parola simile) della
liberta' (tg3 delle 19 di sabato 12 aprile). Poi dice: vedo festa e non
anarchia (gr1 delle ore 8 di oggi 13 aprile). Allora anche Bush e' vittima
("fuoco amico") dell'uso bellico dei media?
Rumsfield dice: si', c'e' caos, ma la liberta' e' caotica, e' "violenza
creativa"; solo la vecchia Europa e' legata all'idea della "soggezione
perpetua al diritto". Letterale. Criminale. (Citato da Barbara Spinelli, "La
stampa" di oggi 13 aprile). Annotarsi bene queste espressioni.
Dunque, c'e' un antieuropeismo viscerale, anti-legalismo, in questi
esecutori del Project for New American Century (sul quale vedi
www.newamericancentury.org e inorridisci. E' in corso la traduzione:
traduttoriperlapace@yahoogroups.com).
Quanto al saccheggio dei ladroni, dalle valutazioni di Bush e Rumsfield si
capisce qual e' la loro idea di liberta': quella di libere volpi fra libere
galline.
Cosi' pensano, e fanno, gli adoratori nostrani dell'idea "bush-americana" di
liberta', ignorando la civilta' europea del diritto e della socialita'.
8. RIFLESSIONE. "UNIONE SINDACALE ITALIANA" DEL LAZIO: UNA VALUTAZIONE SUL
12 APRILE
[Dalla segreteria regionale del Lazio dell'Unione sindacale italiana (in
sigla: Usi-Ait), la storica organizzazione sindacale anarchica, riceviamo e
diffondiamo. Per contatti: e-mail: usiait1@virgilio.it, sito: www.usiait.it]
Centinaia di migliaia in corteo contro la "guerra infinita", per affermare
una cultura della pace, per la giustizia sociale e i diritti di cittadinanza
e dei lavoratori.
La manifestazione e' andata al di la' delle aspettative della vigilia, con
centinaia di migliaia di persone in corteo a Roma. Moltissime le situazioni
presenti, nonostante l'ambiguita' della parola d'ordine iniziale di
convocazione della manifestazione e il divario esistente tra i sostenitori
del ruolo degli organismi internazionali (Onu, Nato...) e coloro che hanno
sempre ribadito l'autodeterminazione dei popoli, la lotta contro le
ingiustizie sociali e lo sviluppo dell'autorganizzazione sociale e
sindacale, la democrazia diretta e non quella imposta con la forza delle
armi.
Anche in questa occasione, dopo la grande manifestazione del 15 febbraio,
l'Unione sindacale italiana (Usi-Ait) ha costruito nuovamente un percorso
comune con settori libertari e anarchici, gruppi studenteschi, gli immigrati
organizzati con lassociazione antirazzista "3 febbraio" ed altre
associazioni e forze, come Sr.
Il settore di corteo "autorganizzato, libertario e rivoluzionario", molto
variegato e colorato, ha caratterizzato la sua partecipazione con slogan ed
il microfono aperto sul camion dell'Usi, con molti interventi (tanti degli
immigrati), dimostrando una reale unione tra lavoratori autorganizzati
dell'Usi-Ait e i soggetti piu' colpiti da guerre e sfruttamento.
Questo settore di corteo ha terminato la manifestazione con un'assemblea a
piazza Venezia, vicino alla sede Onu di Roma, non sentendosi rappresentato
dagli istituzionali che si sono concentrati al Circo Massimo.
Unica nota stonata, la dimostrazione di immaturita' politica dell'area dei
"disobbedienti", culminata con l'aggressione ad uno studente anarchico e
l'attacco al camion dei lavoratori dell'Usi, solo per guadagnare 50 metri di
corteo, nell'infantile tentativo di praticare "azioni dirette" che non
appartengono alla loro cultura. Quest'area incapace di "dialogare" con altri
settori di manifestanti, come abbiamo potuto constatare direttamente,
preferisce azioni basate sull'egemonia e sullo squallido squadrismo (o forse
meglio da teppismo di stadio), che poco hanno a che vedere con la memoria
storica delle lotte operaie e sociali.
Come Usi siamo sempre disponibili al confronto politico con tutti, cosi'
come siamo disponibili allo sviluppo delle lotte su questioni concrete.
Per fortuna, il lungo percorso dell'autorganizzazione sindacale, sociale,
per "un altro futuro" e' un'altra storia, ed e' il terreno politico e
sindacale che intendiamo, come lavoratori autorganizzati, proseguire e
praticare dal basso, organizzati ma senza le derive del ribellismo giovanile
o disobbediente che sia.
9. LIBRI. ANNA MARIA MERLO PRESENTA "IL LIBRO NERO DEL COLONIALISMO"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2003. Anna Maria Merlo e' la
corrispondente del giornale da Parigi]
Mentre guardiamo in televisione gli orrori di una guerra che molti
definiscono "coloniale", puo' aiutare a capire il presente il libro Le Livre
noir du colonialisme, XVI-XXI siecle: de l'extermination a' la repentance
(Robert Laffont, pp. 843, euro 29). Una summa di quasi mille pagine, sotto
la direzione dello storico Marc Ferro, che viene dalle "Annales" (la sua
Histoire des colonisations e' stata tradotta in varie lingue), dedicata al
colonialismo nei secoli, senza limitarsi al suo lato oscuro e alle tragedie
che ha causato. Anche perche', come sottolinea il curatore, "la
colonizzazione non si riduce ai suoi misfatti e alcuni che le vengono
attribuiti non le sono imputabili. Inversamente, e' vero, altri misfatti
sono sopravvissuti alla colonizzazione". Una sopravvivenza presente in
quello che Ferro chiama l'"imperialismo multinazionale", cioe' una sorta di
colonialismo senza coloni, che ha sostituito il colonialismo della "vecchia
Europa". Un imperialismo multinazionale che si e' deciso a far uso delle
armi: "e'evidente che non e' Saddam Hussein che puo' minacciare la potenza
statunitense - ha spiegato Ferro in una recente intervista a "Liberation" -;
attraverso l'Iraq, gli americani, ormai minacciati dal terrorismo, sperano
in seguito di controllare la penisola arabica... Abbiamo a che fare con un
imperialismo puro ma che ha ricevuto, l'11 settembre 2001, una freccia al
cuore. Ma, nella storia, sono il colonialismo e l'imperialismo a dare i
colpi. Non ne ricevono, e soprattutto non in casa".
Il "libro nero" del colonialismo riprende polemicamente il titolo del volume
che era stato dedicato qualche anno fa al comunismo. Qui c'e' un'attenzione
particolare alla visione delle vittime del colonialismo. In effetti, i
misfatti del colonialismo sono conosciuti da sempre (il libro di Las Casas
e' del 1540) tra i colonizzatori, anche se persiste quello che Ferro
definisce un "mito", cioe' la credenza che questi crimini siano stati tenuti
nascosti.
La messa in causa del colonialismo ha preso diverse forme. L'idelogia
socialista, per esempio, ne ha messo in luce gli aspetti negativi e ne ha
contestato il principio stesso. Oggi, "alla svolta del millennio, per un
rovesciamento di mentalita' legato ai drammi del secolo passato, alla presa
di coscienza delle violenze commesse qui e altrove, una parte dell'opinione
delle vecchie nazioni europee si e' inscritta in un'ideologia dei diritti
dell'uomo che punta il dito contro l'insieme dei crimini commessi in nome
dello stato rosso o bruno, dello stato-nazione e delle 'vittorie della
civilta''".
Per quanto riguarda l'attualita' - il libro e' uscito a febbraio, poco prima
dell'inizio della guerra - Marc Ferro rileva che "in questi ultimi anni e
dopo il settembre 2001, le violente reazioni di una delle famiglie
dell'islam, l'islamismo integralista, testimoniano che, per un buon numero
delle sue vittime, la mondializzazione e i suoi effetti negativi sono ormai
piu' o meno identificati con l'azione degli Stati Uniti che hanno dato il
cambio alle vecchie potenze coloniali, almeno per cio' che concerne lo
scarto tra il discorso e la pratica". Non solo l'abisso tra la promessa di
liberazione e la pratica del massacro, ma anche qualcosa di meno violento in
apparenza e che potrebbe interessare il dopo-guerra in Iraq e la promessa
gestione statunitense del paese.
Le seguenti riflessioni dell'indiano Nerhu sottolineano la differenza di
percezione della colonizzazione tra i colonizzatori e i colonizzati: "una
delle caratteristiche piu' significative delle dominazione inglese in India,
scrive, e' che i piu' grandi mali che ha inflitto a questo popolo presentano
esteriormente l'apparenza di benefici del cielo: ferrovie, telegrafo,
telefono, radio e il resto furono benvenuti; erano necessari e noi proviamo
una grande gratitudine verso l'Inghilterra per averceli apportati. Ma non
dobbiamo dimenticare che il loro primo scopo fu il rafforzamento
dell'imperialismo britannico sul nostro suolo permettendo di stringere il
controllo amministrativo e la conquista di nuovi mercati per i prodotti
dell'industria inglese".
Un aspetto reso ancora piu' decisivo dalla concentrazione dovuta a un mondo
unipolare: "a partire dagli anni '80 - scrive Ferro - nessuna politica di
capovolgimento tra ovest ed est e' piu' possibile come ai tempi della guerra
fredda, di Bandung o della Tricontinentale; oggi sono da individuare le
forze che, anche nei settori economici minacciati dell'Europa, cercano di
controbilanciare questo nuovo restringimento del mondo, corollario della
concentrazione dei suoi centri di decisione". Un "fardello dell'uomo bianco"
che si sente destinato a civilizzare il mondo, credendo fermamente in
un'inferiorita' specifica di ogni popolo da colonizzare.
Una costante dell'ideologia colonialista presentata come concetto culturale
e' dunque il razzismo.
Volonta' di esportare la "civilta'", che si e' tradotta in un razzismo della
"differenza", dove il fattore sociale ha interferito con quello biologico
(proibizione dei matrimoni "misti", per esempio, decisa per decreto dal
governatore in India nel 1795). Ma che oggi prende prevalentemente l'aspetto
di un "razzismo universalista all'occidentale", che si rivela negli scarti
tra i livelli di vita dei colonizzatori e dei colonizzati, che non si
riassorbono quando il colonialismo vecchio stampo finisce: al contrario,
nelle nostre societa', da quando e' iniziata "nel XIX secolo, all'inizio del
XX, un'emigrazione inversa, quella delle vittime della miseria, della
guerra, verso le metropoli, il razzismo si e' sviluppato. Basta guardare la
gerarchia dei ruoli nei cantieri edili di oggi per constatare che tra
europei e maghrebini o neri e' la stessa che un tempo nelle colonie".
Il libro, a cui hanno contribuito una ventina di ricercatori appartenenti a
diverse scuole e di differenti discipline, si apre con un primo saggio sullo
sterminio degli indiani d'America, per fare poi un giro del mondo di "domini
e resistenze" nei tre continenti sottomessi, Americhe, Asia e Africa. Il
volume non cerca di trovare un denominatore comune a cui ridurre la
complessita' storica.
Una storia che rispecchia tutta la complessita' e che arriva fino ad oggi,
dove il colonialismo e' soprattutto concentrato in due paesi, gli Stati
Uniti e l'Australia. I neri e gli indiani, per gli Usa, anche se "va notato
un inizio di pentimento", sottolinea Ferro. In Australia, considerata nel
saggio ad essa dedicato, il paese che "al posto del Sudafrica" e' diventato
"il piu' reazionario e il piu' razzista di tutte le ex colonie britanniche"
nelle relazioni con gli aborigeni.
10. LIBRI. LUCIANA CASTELLINA PRESENTA "PERCHE' (OGGI) NON POSSIAMO NON
DIRCI ANTIAMERICANI" DI ANTONIO GAMBINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 aprile 2003. Luciana Castellina,
militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte
parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative
dell'impegno pacifista in Europa. Ovviamente la gran parte degli scritti di
Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante,
e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari;
in volume segnaliamo Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona]
Antonio Gambino, che nel '55 fu fra i fondatori dell'"Espresso", ha scelto
da un po' di tempo a questa parte per i suoi libri titoli provocatori. E ha
fatto bene, perche' viviamo in un'epoca in cui occorre bucare la cortina
fumogena della comunicazione che rende difficile cogliere la sostanza delle
cose. Anche se c'e' da dubitare che con tali titoli possa vincere nuovamente
qualche premio di saggistica, come ottenne, anni fa, a Viareggio, per Il
mito della politica; o anche solo godere della pubblicita' ottenuta dalle
sue opere precedenti, da Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere
Dc, del 1975, a Vivere con la bomba, del 1986. All'editoria italiana, anche
a quella illuminata, non piace la sconvenienza. Che certo sconveniente
appare chiamare un libro, quello di un anno fa, L'imperialismo dei diritti
umani, e questo ora uscito nientemeno che Perche' (oggi) non possiamo non
dirci antiamericani (Editori Riuniti).
Si tratta - cosi' io almeno l'ho sentito - di un titolo liberatorio, che
finalmente ha - e da' - il coraggio di gridare quanto ognuno ha in cuore e
pero' finisce per tenersi dentro, per non incorrere nell'ormai uggioso ma
condizionante rimbrotto di un arco di benpensanti quasi infinito, i quali
puntualmente ti avvertono che sei caduto nell'antiamericanismo; e spesso
aggiungono "primario". Sebbene sempre di sinistra, ma mai comunista, Gambino
non e' per fortuna affetto da quel complesso di colpa che ha trasformato
tanti vecchi ( o piu' giovani) osservanti della chiesa sovietica in ferventi
filoamericani.
La tesi del libro e' che la dottrina Bush - vale a dire la pretesa
dell'America di considerare giusto, naturale e dunque lecito che l'intero
globo adotti, con le buone o con le cattive, la sua visione del mondo e il
suo modello - ha radici antiche. Sia pure con conseguenze meno drammatiche e
metodi meno brutali gli Stati Uniti hanno sempre preteso di essere i soli
legittimi interpreti dell'universalismo, un'idea forza che ritroviamo alla
base della politica di tutti i presidenti, anche quelli democratici, Clinton
compreso, ma anche del sentire comune del popolo americano. Lo notava gia'
Tocqueville quando scriveva "sembra che gli americani nei loro rapporti con
gli stranieri non vogliano sopportare la minima critica", un atteggiamento
che casomai si e' aggravato negli ultimi decenni anche per via
dell'incredibile e crescente provincialismo dei cittadini statunitensi che,
nonostante le occasioni che offre loro l'era delle comunciazioni, non
conoscono l'altro da se', non riescono nemmeno ad immaginarlo, sicche' e'
facile lo considerino naturalmente come il male. (Basti pensare che il 97%
dei film che vedono e' prodotto nel loro stesso paese e dunque l'immagine
del resto del mondo filtra attraverso un forellino del 3%; e che solo un
ventesimo della popolazione possiede un passaporto).
E' fin dai tempi - il XVII secolo - in cui le prime colonie protestanti si
installarono sul continente che l'embrione dello stato che poi nacque con la
rivoluzione del 1776 comincio' a considerarsi la "nuova Gerusalemme".
Accompagnando il mito da una fede mistica e da un assolutismo ideologico
proprio alla cultura missionaria dell'epoca, oggi trasformata nella pretesa
di essere "missionario globale". Che permane, se e' vero che Strobe Talbott,
consigliere di Clinton, ebbe a dire che "gli Stati Uniti sono l'unico paese
fondato su un insieme di idee applicabili a tutti i popoli del mondo".
Col passare del tempo e l'accrescersi del potere del paese l'eccezionalismo
americano - e cioe' l'idea che gli Stati Uniti non debbano, come gli altri,
sottomettersi a regole collettivamente decise, diventa piu' gravido di
conseguenze. E ispira ogni passo della politica americana: dal rifiuto di
aderire alla Societa' delle Nazioni a quando il segretario di stato Kellog
firma, nel 1928, il patto che mette fuori legge la guerra col sottinteso che
la norma riguarda solo gli altri. Tant'e' vero che il suo successore -
racconta Gambino - ha l'arroganza di rendere esplicita l'intenzione
dichiarando che Washington avrebbe potuto intervenire con la forza in ogni
parte del mondo per punire i trasgressori.
Nelle vicende recenti relative all'Onu e all'Iraq non c'e', come si vede,
gran che di innovativo. Neppure - nota Gambino - nella teoria dell'
attacco/punizione preventiva contro una minaccia incerta, che trova in fondo
i suoi antecedenti nella decine di esecuzioni che ogni anno si praticano nel
paese, sebbene oltre il 10% dei giustiziati sia in seguito riconosciuto
innocente.
Di nuovo c'e' che negli ultimi anni questo fondamentalismo tradizionale si
e' combinato con il fatto che gli Stati Uniti sono diventati non uno dei
paesi piu' potenti, ma il solo paese in grado di imporre planetariamente con
la forza il proprio volere. E - questo e' il peggio - di spingere gli altri
ad accettarlo (molti altri: quando e' stato stabilito che la Nato avrebbe
avuto diritto ad interventi militari planetari anche senza autorizzazione
dell'Onu, nel '98, non c'era forse in Italia il centrosinistra e nel resto
d'Europa un eccezionale numero di governi socialisti?).
La conclusione di Gambino e' tuttavia ottimistica: citando Clausewitz
laddove diceva che la guerra e' fatta dai piu' deboli perche' i forti hanno
altri mezzi per imporre la propria volonta' suggerisce che gli Stati Uniti
sono in fondo entrati in una fase di crisi. Di crisi di egemonia. Ed e'
vero: il pensiero unico e' andato in frantumi, il modello americano non
affascina piu' (solo una parte della sua letteratura, del suo cinema, della
sua musica).
Ma dobbiamo stare attenti: il ritorno della guerra come strumento della
politica, estera e interna, accompagnato da questo messianicismo, gia'
stanno erodendo la democrazia, in America come in Europa. Pesantemente. Fino
a far intravedere una nuova fase, un processo di militarizzazione
complessiva che potrebbe portare - come suggerisce Alberto Burgio in un
articolo su "La rivista del manifesto" - a una grande trasformazione analoga
a quella degli anni '20-'30, e dunque alla fine della fase democratica del
capitalismo.
11. DOCUMENTAZIONE. IL DOCUMENTO FINALE DELLA MANIFESTAZIONE DEL 12 APRILE
[Riportiamo il documento finale della manifestazione svoltasi il 12 aprile
2003 a Roma "Contro la guerra infinita". E' con dispiacere che dobbiamo
segnalare come non si dedichi neppure una sola parola alla proposta della
nonviolenza, il che significa in sostanza il rifiuto di fare questa che a
noi pare una scelta necessaria e fondativa. Ed e' con dispiacere che
dobbiamo segnalare come non vi sia una sola parola di riconoscimento della
decisiva importanza, per una cultura della pace, della riflessione e delle
pratiche del pensiero e del movimento delle donne: ancora una volta meta'
dell'umanita' viene cancellata. Ed e' con dispiacere che dobbiamo segnalare
come non si spenda una sola parola per dichiarare una netta opposizione
all'antisemitismo che purtroppo alligna - fino al punto di riproporre
pubblicamente espressioni prese di peso dal linguaggio hitleriano - anche in
settori tuttora infiltrati nel movimento per la pace nell'indifferenza
omertosa di troppi]
Noi siamo ancora una volta qui, a Roma.
Il popolo della pace manifesta contro la guerra, contro le distruzioni delle
vite umane, delle civilta', della natura, contro le sofferenze delle
popolazioni civili.
Non siamo tornati a casa dopo il 15 febbraio, non ci siamo arresi alla
guerra quando e' cominciata il 20 marzo: si sono tenute migliaia di
iniziative, di manifestazioni, milioni di gesti di pace come i tre milioni
di bandiere che non dobbiamo e non vogliamo togliere dalle nostre finestre.
Siamo qui per dire che non ci arrendiamo alla spirale di odio, di vendetta,
di scatenamento della forza bruta e delle pulsioni di morte che la guerra
porta con se'.
Oggi come il 15 febbraio siamo insieme, movimenti che si battono contro la
globalizzazione neoliberista, movimenti per la pace, movimenti per la
democrazia, partiti politici, associazionismo ambientale e sociale,
sindacati confederali e di base, associazionismo religioso, social forum,
strutture dell'autorganizzazione, aree antagoniste e della disobbedienza,
ong, intellettuali, operatori della comunicazione, organizzazioni degli
studenti, delle donne, dei migranti, e migliaia di cittadine e cittadini.
Oggi i potenti stanno scrivendo la loro storia: la conquista dell'Iraq da
parte delle truppe di Bush e Blair e' l'esito di una guerra ingiusta e
illegittima, che sta causando lutti e distruzioni, che fa del popolo
iracheno, gia' vittima ieri del dittatore Saddam e dell'embargo
ultradecennale, oggi sottoposto ai comandi militari anglo-statunitensi.
La guerra rimane un orrore inaccettabile.
Alle vittime civili e militari, a tutte le vittime di questa nuova guerra va
tutta la nostra solidarieta'.
Esprimiamo ancora una volta il nostro dolore piu' profondo per la morte di
Rachel Corrie e Tom Horndoll, uccisi perche' cercavano di interporsi tra le
truppe di occupazione israeliane e la popolazione civile palestinese. Il
popolo della pace si stringe intorno a tutti quelli e quelle che, rischiando
la propria vita, cercano di costruire la pace nei luoghi in cui piu'
violenta esplode la guerra.
Un regime abietto e' caduto. I pacifisti lo condannano fin dai tempi in cui
Saddam, alleato di chi oggi lo abbatte, sterminava i kurdi e massacrava gli
oppositori. La comunita' internazionale ha avuto trent'anni per sostenere
l'opposizione democratica irachena che si batteva contro il regime. E non
l'ha fatto. Ora l'Iraq vive vendette e saccheggi, ed entro breve rischia di
vedere istituito un protettorato militare deciso e governato da Bush e
Rumsfeld.
Noi continueremo a impegnarci per un Iraq indipendente, libero, democratico
e pluralista.
Oggi i potenti stanno scrivendo la loro storia: la storia della distruzione
della legalita' internazionale. Vogliono cancellare l'Onu e le istituzioni
internazionali. Vogliono trascinarci in un'epoca di guerra infinita. Noi
vogliamo fermarla.
La Carta dell'Onu ha cancellato il diritto alla guerra degli Stati: gli
Stati non possono piu' fare le guerre.
Milioni e milioni di persone in questi mesi, in tutto il mondo, hanno
espresso in forme nuove e dirette il loro no alla guerra, contaminandosi
l'un l'altra con pratiche diverse ed esprimendo le piu' articolate
soggettivita': hanno disobbedito e fermato i treni e le navi della morte;
hanno scioperato, manifestato contro la guerra, boicottato i prodotti delle
multinazionali della guerra; circondato e invaso le basi militari, chiedendo
il loro smantellamento; senza distinzione di credo e di fede, hanno fatto
sentire la propria voce; hanno richiamato i valori dell'impegno civile e
pacifista alla base della nostra Costituzione e delle Carte internazionali;
hanno raccolto il richiamo delle Chiese, per far si' che le religioni non
siano strumenti di divisioni e di guerre, ma messaggere di pace.
Gli Stati, quando guidati soltanto dalla logica dei propri interessi
economici e geopolitici, non sono in grado di fermare le guerre: non
possiamo e non vogliamo affidare il destino dell'umanita' e della nostra
Terra alla ragion di Stato.
Nella lotta per la pace, per l'autodeterminazione dei popoli e per i diritti
umani sta nascendo la societa' civile mondiale, quella superpotenza pacifica
e pacifista che sola oggi puo' fermare la guerra.
La guerra infinita e preventiva e' legata al mantenimento di un ordine
sociale ed economico ingiusto, che alimenta disuguaglianze ed esclusioni. La
guerra provoca l'involuzione della democrazia, stati d'eccezione che
diventano permanenti, leggi liberticide.
Siamo qui anche contro la guerra economica, sociale e culturale che affligge
il pianeta, contro la globalizzazione neoliberista che produce ogni giorno
piu' disoccupazione, precarieta', miseria e ingiustizia sociale.
Questa guerra e' anche per il controllo delle grandi aree produttrici del
petrolio, che rimane la fonte energetica centrale per la produzione e i
consumi statunitensi e del Nord del pianeta, cioe' quel 20% della
popolazione mondiale che consuma l'80% delle risorse.
Il governo degli Usa si arroga il diritto di affermare, in quanto unica
superpotenza, il dominio unipolare, che vuol dettare le leggi in nome dei
suoi interessi assunti a parametro di giudizio universale. Vogliamo
rispondere a Bush con le parole di Arthur Schlesinger, ex-consigliere di
Kennedy, ricordandogli che non puo' trasformarsi in giudice, giuria e
carnefice del mondo. Noi sappiamo che la follia della guerra non ferma il
Pentagono dal minacciare altre guerre, con l'uso possibile e preventivato
delle armi nucleari: siamo determinati a fermarle.
La guerra moderna e' il crimine piu' devastante contro persone, beni e
natura; la guerra oggi e' soprattutto una guerra contro i civili: per questo
e' ipocrita parlare di "guerra umanitaria", come la tragica lezione del
Kossovo e dell'Afghanistan ci ha insegnato.
Non ci rassegniamo alla distruzione dell'Onu, perche' nella sua Carta sono
contenuti i principi e gli strumenti per porre la guerra fuori dalla storia.
La guerra e' illegittima, e' un male assoluto e come tale va ripudiata, come
prevede l'art. 11 della nostra Costituzione.
Noi consideriamo l'art. 11 una norma che dobbiamo rispettare come legge
superiore.
Noi ci riconosciamo nella Carta dell'Onu, quando ripudia il flagello della
guerra, e nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
Noi abbiamo difeso quelle Carte, anche quando l'istituzione preposta ad
applicarle - l'Onu - non lo ha fatto. Non di una Onu subalterna ai poteri
forti il mondo ha bisogno, ma di istituzioni internazionali realmente
democratiche e capaci di affermare e imporre le leggi superiori
dell'umanita', fondate sulla pace, sulla giustizia e sull'equita'.
La nostra parte di cittadini e cittadine la stiamo facendo, noi popolo di
Porto Alegre non ci fermeremo.
Proprio perche' vogliamo la pace e la democrazia in Iraq, vogliamo impedire
che l'Onu fornisca un'indebita copertura all'occupazione militare
anglo-statunitense. Noi chiediamo fermamente il ritiro delle truppe
occupanti, per consentire che l'Iraq possa autonomamente esprimere un
proprio governo, garantito dalle Nazioni Unite. Chiediamo inoltre che si
convochi con urgenza l'Assemblea generale straordinaria dell'Onu, in base
alla risoluzione n. 377 del 1950, per una condanna formale della guerra
preventiva e per affrontare il dopoguerra dell'Iraq, che deve essere
smilitarizzato e appartenere ai soli iracheni.
Con la sua maggioranza il governo Berlusconi, arruolato da Bush nella
coalizione dei volenterosi, ha approvato, sostenuto e santificato la guerra
preventiva; ha imposto una belligeranza di fatto, con l'uso delle basi, con
il transito di materiale bellico e di soldati, con il trasferimento di
paracadutisti statunitensi in Iraq. E oggi per questo ci opporremmo,
nell'ambito del protettorato anglo-statunitense, all'invio in Iraq dei
carabinieri, che andrebbero a fornire copertura militare e politica sia alla
guerra sia al piano di occupazione militare. L'art. 11 della Costituzione e'
stato violato. Il Parlamento non puo' decidere contro il dettato della
Costituzione.
Oggi impellente e' il compito di affrontare la tragedia umanitaria, di
sostenere la popolazione e di metterla in grado di riprendere al piu' presto
la propria vita normale.
Questo compito umanitario non puo' essere lasciato nelle mani degli eserciti
o sotto il controllo dei governi di guerra, noi lanciamo un appello perche'
siano le agenzie delle Nazioni Unite, le ong e il volontariato a organizzare
gli aiuti.
Lanciamo forte l'appello a sostenere le organizzazioni veramente
indipendenti presenti nelle zone di guerra. Vi invitiamo a sostenere il
Tavolo della solidarieta' e ad organizzare la raccolta dei fondi in ogni
citta': il popolo della pace non solo testimonia il suo dolore per le
vittime, ma sapra' generosamente impegnarsi in quest'azione di solidarieta'.
La democrazia non si esporta con le armi, la democrazia va costruita in Iraq
attraverso l'autodeterminazione delle sue popolazioni, la loro
partecipazione, il rispetto dei diritti umani e di quelli delle minoranze.
Le ricchezze irachene, il petrolio iracheno non deve essere il bottino da
spartire tra le potenzi vincitrici, la ricostruzione dell'Iraq non deve
essere la ghiotta quanto cinica occasione per gli affari delle imprese
multinazionali. Le risorse irachene appartengono e devono essere gestite
dalle popolazioni irachene per soddisfare i loro bisogni.
Un Iraq democratico vivra' solo se nell'intera regione si stabilira' una
pace giusta. Insieme alla guerra e al rischio di un suo allargamento, nel
Medio Oriente un altro dramma e' quello della Palestina. Chiediamo che
cessino l'occupazione militare, le brutalita', le violenze e gli assassinii
perpetrati contro la popolazione civile. Chiediamo che i palestinesi abbiano
finalmente un loro Stato, che il popolo palestinese possa vivere nella sua
terra in pace a fianco del popolo e dello Stato israeliani: due popoli in
due Stati.
Ai curdi va garantito il diritto all'autodeterminazione senza che siano
sottoposti alla logica degli interessi statunitensi e turchi.
L'Occidente, che ha fatto affari con il regime iracheno scambiando armi con
petrolio, che produce ed esporta armi sempre piu' distruttive, missili e
bombe, non puo' continuare con queste politiche belliciste.
E' tempo di riprendere la lotta per il disarmo globale, le spese militari
devono essere tagliate, e le risorse usate per debellare i mali del mondo,
della fame, della mancanza d'acqua, della salute, dell'educazione.
Continuiamo a batterci contro lo stravolgimento della legge 185, che
liberalizza il commercio di armi. Oggi a Brescia stiamo manifestando contro
l'Exa, l'orribile fiera delle armi, degli strumenti di morte con cui si
fanno profitti.
Disarmo, disarmo globale, per liberare l'umanita' dalla guerra e dalla
sopraffazione.
L'Europa si e' divisa in una componente bellicista ma, anche sotto la spinta
del movimento pacifista, in una parte - come la Francia, la Germania e il
Belgio - che ha contrastato la guerra, a cui Berlusconi si e' invece
supinamente piegato.
Non e' questa l'Europa che vogliamo, l'Europa sta nascendo dal basso, la
nuova cittadinanza europea vuole una Costituzione che metta al primo
articolo il ripudio della guerra.
Cosi' secondo noi puo' essere formulato l'articolo 1 della Costituzione
europea: "L'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali e riconosce nella pace un diritto fondamentale
delle persone e dei popoli. L'Europa contribuisce alla costruzione di un
ordine internazionale pacifico e democratico; a tale scopo, promuove e
favorisce il rafforzamento e la democratizzazione dell'Organizzazione delle
Nazioni Unite e lo sviluppo della cooperazione internazionale".
L'Europa che vogliamo non e' la fortezza che respinge migranti e profughi:
l'Europa, l'Italia devono accogliere i profughi che fuggono dalla guerra e
attivarsi perche' l'Unione europea promuova in tutti gli Stati l'accoglienza
e garantisca il diritto di asilo. Una politica di accoglienza dei profughi
e' il primo aiuto umanitario che l'Italia e l'Europa possano dare: il
parlamento e il governo deliberino i provvedimenti per l'accoglienza di
tutti i profughi.
Come il 15 febbraio siamo qui perche' siamo convinti che la guerra non
sconfigge i terrorismi. Il terrorismo non ha mai ragione, neanche quando si
nasconde dietro le ragioni dell'ingiustizia sociale, esso uccide la
partecipazione e gli ideali di pace e di giustizia: a delegare la lotta per
il cambiamento non ci rassegneremo mai.
La guerra preventiva del governo degli Stati Uniti e' impregnata della
volonta' d'imporre il suo modello di civilta', distruggendo quelle diverse,
marginalizzando culture e religioni che hanno contribuito e contribuiscono a
costruire scienza e conoscenza, e a dare senso e valori all'esistenza umana
e alla natura. E' un disegno di egemonia, di riduzione della ricchezza delle
molteplici esperienze culturali e civili.
Vogliamo una societa' multiculturale.
Vogliamo batterci per affrontare e risolvere i veri mali del mondo: fame,
malattie, ignoranza, per il rispetto dei diritti umani, del diritto dei
popoli all'uso delle risorse, per la giustizia tra i popoli.
Non ci arrendiamo alla logica di guerra che pervade la societa', alle tante
guerre dimenticate che fanno milioni di morti, di profughi, di rifugiati in
tutto il mondo.
Per il rispetto dell'articolo 11 della nostra Costituzione.
Per un'economia di giustizia, contro la guerra economica e sociale della
globalizzazione neoliberista.
Per il disarmo globale.
Per il cessate il fuoco della guerra infinita.
Mai piu' guerra.
Per una altro mondo possibile.
12. EDITORIALE: PEPPE SINI: LA SENTENZA E' GIA' STATA ESEGUITA
Erano miei fratelli i cubani assassinati dopo "legale" condanna a morte a
Cuba.
Ed erano miei fratelli Rachel e Tom, statunitense lei e inglese lui, uccisi
in Palestina da un "esercito regolare" di occupanti.
Lo erano anche gli iracheni assassinati dalle bombe "liberatrici", e gli
israeliani assassinati dai terroristi suicidi "in nome di Dio".
Perche' io metto tutte le vittime da una stessa parte, ed e' quella la mia
parte, la parte delle vittime, la parte dell'umanita'. Perche' come ebbe a
dire una volta Heinrich Boell sono consapevole che ogni vittima ha il volto
di Abele.
E se non ci opponiamo a tutte le armi ed a tutti gli armigeri, a tutti i
dittatori ed a tutti i terroristi, a tuti gli eserciti ed a tutti i
carnefici, sempre piu' orribile sara' la nostra comune vicenda, sempre piu'
infelice e turpe e scarso e incerto il futuro dell'umanita'.
Solo la scelta della nonviolenza, io credo, puo' salvare l'umanita' dalla
catastrofe; solo la scelta della nonviolenza puo' interrompere questa
lugubre teoria di stragi, e salvare l'unica civilta' che io conosca e
riconosca: la civilta' umana.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 566 del 14 aprile 2003