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La nonviolenza e' in cammino. 562



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 562 del 10 aprile 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: contro il cinismo
2. Enrico Peyretti: non si puo' vivere in un mondo che uccide
3. Antonino Drago: Europa e difesa popolare nonviolenta
4. Fabrizia Ramondino: tra club Bush e clan Saddam
5. Luciano Bonfrate: in memoria di Martin Luther King
6. Osvaldo Caffianchi: in memoria di Primo Mazzolari
7. Benito D'Ippolito: in memoria di Dietrich Bonhoeffer
8. Chiara Zamboni: la forza dell'invisibile
9. Riletture. Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa: L'eclissi della madre
10. Riletture. Antoinette Fouque: I sessi sono due
11. Riletture. Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi: Se noi
siamo la terra
12. Riletture. Letizia Paolozzi, Alberto Leiss: Un paese sottosopra
13. Riletture. Silvia Vegetti Finzi (a cura di): Psicoanalisi al femminile
14. Peppe Sini: quello che oggi piu' occorre
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CONTRO IL CINISMO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento, che riteniamo di fondamentale importanza. Lidia Menapace
e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel
movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria,
fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della
cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza
in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia
Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di
autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di
liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana,
Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina,
Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa
ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le
donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il
dito e la luna, Milano 2001]
Dunque il testo da me proposto alla Convenzione permanente di donne contro
le guerre [e' il testo intitolato "Cessate il fuoco" apparso come editoriale
del n. 557 del 5 aprile 2003 di questo notiziario] a molte non e' piaciuto:
succede, e non e' tragico. Comumque poiche' e' anche possibile che non mi
sia spiegata, cerco di chiarirne le principali implicazioni cosi' avremo
qualcosa di preciso su cui discutere. Ma prima voglio narrare un paio di
episodi a mo' di introduzione.
Molti anni fa  partecipai ad Helsinki a una conferenza della Fdif
(Federation  democratique internationale des femmes, una specie di Udi
internazionale) nel corso della quale le donne dell'Udi facero lo strappo
con l'Urss ben prima del Pci, le cinesi uscirono dalla federazione stessa e
le vietnamite che erano presenti furono molto festeggiate e interrogate: era
in corso la guerra con gli Usa. A un certo punto qualcuna chiese che cosa
avremmo potuto fare per essere di aiuto, e con il loro bel sorriso orientale
un po' ironico ci risposero "Fate la rivoluzione nel vostro paese". Da
allora evito di dire ai vari popoli che cosa debbono fare. Ad esempio evito
di dire che il popolo iracheno deve fare la guerra all'imperialismo, dato
che ho a casa mia un governo  vassallo dell'impero e non sono capace di
buttarlo giu'.
L'altro fatto e' che penso che senza l'otto settembre 1943 non ci sarebbe
stato nemmeno il 25 aprile 1945. Insomma se i politici possono fare rapidi
giri di valzer, i popoli hanno bisogno di tempo per uscire da situazioni
ambigue e da condizioni difficili e da esperienze niente affatto limpide:
una cesura serve.
Al popolo iracheno non deve essere chiesto nulla se non di  uscire al piu'
presto dalla guerra e percio' quello che noi possiamo e dobbiamo fare e'
premere sulle Nazioni Unite perche' inducano Usa e Gran Bretagna a smettere.
Se il popolo iracheno chiede pace e si arrende, benissimo; se l'esercito
iracheno si disfa, niente di diverso da cio' che fece l'esercito italiano
nel 1943.
Se  Usa e Gran Bretagna non accettano di cessare il fuoco e non ammettono
che la transizione verso un libero assetto scelto dal popolo iracheno debba
essere avviata con la presenza e le garanzie che puo' dare l'Onu, allora se
vorra' avviare una resistenza contro l'occupazione il popolo iracheno avra'
diritto al pieno appoggio internazionale da parte di tutti i governi e i
popoli.
A quel punto cerchero' di spiegare che la resistenza nonviolenta e' la piu'
efficace e pur senza arrogarmi il diritto di giudicare cio' che gli iracheni
vorranno fare diro' che a mio parere certe forme di resistenza come il
martirio dei kamikaze sono inaccettabili e dannose. Ha fatto piu' male ai
palestinesi che Sharon.
Tutto questo esprime un giudizio severo sulle pratiche che a sinistra sono
state usate nel secolo scorso per raggiungere il potere e avviare esperienze
rivoluzionarie: sono convinta che se per respingere e superare
l'imperialismo usi gli stessi suoi metodi ha gia' vinto l'imperialismo, che
riesce a mettere in mora il processo rivoluzionario: e' successo ovunque
dall'Urss al Vietnam alla Cina a Cuba; ovunque vi sia stata violenza e
militarismo e guerrriglia  alla fine alle prime "libere" elezioni ha vinto
la destra e il sistema economico capitalistico.
Lo conferma per converso anche il Brasile e  non per caso li' il processo di
fuoriuscita da una condizione quasi coloniale e' avvenuto senza guerriglia.
Insomma, se diciamo "Fuori la guerra dalla storia" dobbiamo sapere quel che
diciamo e che conseguenze comporta: appunto di giudicare sempre e comunque
il ricorso alla violenza armata come un errore.
L'insistenza perche' gli iracheni si lascino uccidere pur di prolungare le
guerra e fiaccare gli Usa e' di un cinismo ributtante: la lotta
antimperialista non si puo' scambiare con un solo bambino ucciso o con una
sola bambina terrorizzata.
E del resto se si guarda agli Usa i 27.000 immigrati clandestini mandati a
morire per poter avere il passaporto statunitense sono vittime
dell'imperialismo non meno del popolo iracheno. Non so se sono stata chiara:
comunque e' quel che penso.

2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: NON SI PUO' VIVERE IN UN MONDO CHE UCCIDE
[Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999]
Io sono un seimiliardesimo dell'umanita'. Rispondo solo di questo
seimiliardesimo. Rispondo di quello che scoppia nel cuore e martella nella
mente. Non rappresento nessuno, anche se so che non sono solo. Ogni umano ha
in se' tutta l'umanita', nel bene e nel male.
Sono offeso, addolorato, indignato, sono reso sporco di fuori e colpevole di
dentro, da questa guerra piu' oscenamente visibile, che mi ripresenta agli
occhi tutte le altre guerre nascoste, in un boato spaventoso di male. Mi
sento accusato e umiliato di appartenere a questa umanita'.
So che la guerra non e' la piu' profonda e grave delle violenze. Le violenze
strutturali e culturali sono piu' profonde, piu' gravi, piu' accettate, meno
respinte, e sono radice e frutto delle guerre. Ma le guerre sono la loro
epifania orrenda, manifestano, anche a chi non vuol vedere, il Grande Male.
La guerra pone la domanda cruciale, che ci mette in croce: si puo' vivere o
non si puo' vivere in un mondo che uccide, che organizza e studia e finanzia
e comanda la morte data ad altri, come uno dei mezzi di azione, per
raggiungere degli scopi, per incidere sulla realta'?
*
La nostra morte e' naturale, e' nostra. La morte di guerra e' artificiale,
aggiunta, pensata, voluta, studiata, sapientemente inflitta ad altri. La
morte naturale puo' essere sorella, come la chiamava Francesco: per molti,
da sempre, e' la porta di una beatitudine sulla terra ignota; per altri e'
una quiete silenziosa dopo le tempeste della vita.
La morte di guerra e' soltanto nemica, e' l'inferno tracimato sulla terra.
Taglia la vita, non la conclude.
Non si puo' vivere in un mondo che uccide. Davvero, non si puo' vivere in un
mondo che uccide.
Come, non si puo' vivere? Ti dicono addirittura che solo cosi' si puo'
vivere, sopravvivere, vivere liberi, vivere sicuri, mantenere il nostro
livello di vita.
Invece, non si puo' vivere in un mondo che uccide. Non si puo' vivere in un
mondo che onora e serve e celebra la morte artificiale organizzata e
studiata, e le assoggetta la vita: una vita costruita sulla morte, grata e
debitrice alla morte, colpevole di morte.
Ma poi si vive lo stesso. Si vive rassegnati o disperati. Questa e' la
tenaglia, il dilemma in cui la guerra ci condanna: o rassegnati o disperati.
Sappiamo sfuggire al dilemma? Oppure vi cadiamo?
*
Il suicidio e' il grido piu' alto e silenzioso, piu' misterioso, piu' forte
e interpellante. Un grido che evitiamo di ascoltare.
Evitiamo il suo richiamo di sirena riposante dentro di noi. Evitiamo il
grido di chi esce volontariamente, ma scacciato, dal mondo crudele,
costretto a disperare definitivamente dell'umanita' irreparabile. E' un
grido troppo forte, il suo.
Eppure, pur comprendendolo, dobbiamo dirgli, senza rimprovero, che non fa la
cosa giusta. La morte che si pretende regina della storia ne ride, se ne
appropria. Dice a tutti, sbeffeggiando il tuo dolore, che cosi' le dai
ragione. Falsifica il tuo grido. Inoltre, il suicidio sottrae le tue energie
di vita alla lotta contro la morte. La morte nemica non merita il tuo
tributo. Merita il tuo affronto.
Respingi la nemica, pur pronto ad abbracciare la sorella. Cercavi una via di
fuga dal mondo in cui veramente non si puo' vivere, e ti trovi precipitato
nel campo della morte, la nemica, che ti ha vinto con la disperazione
riguardo alla vita. Amavi troppo la vita per sopportarla inquinata di morte.
Ma la vita non era tutta morte.
*
Non e' suicidio la morte di Rachel Corrie, l'ultima, per ora, di tanti che
si interpongono tra gli omicidi, soprattutto a scudo dei civili, prima a
prevenire, poi a fermare, se possibile, la corsa della morte, a costo di
esserne investiti. Essi sperano piu' di tutti.
Non cascano nel dilemma: o rassegnati o disperati. Con la loro vita e i loro
corpi fanno argine all'onda di morte, sperando di risvegliare l'umanita'
sopita in chi spara e bombarda.
Vive in loro lo spirito dell'antico cavaliere, scudo vivo dei deboli, oggi
perduto dai militari superarmati, reincarnato ora, ma piu' puro perche'
senza arma ne' corazza, nei corpi civili di pace.
*
Una via disperata e' invece quella di chi combatte contro la guerra
contaminato dalla guerra, contro la violenza contagiato dalla violenza.
Crede di usare la forza piu' grande e invece conferma i metodi della guerra,
come gli unici possibili. Non trova il modo di essere alternativo. E'
catturato e si crede libero solo perche' si divincola e colpisce. Gli
oppositori violenti alla guerra e alla violenza sono dei disperati, urlano
senza speranza, e sono complici involontari di cio' che credono di non
volere. Sono i collaboratori piu' ambiti dalla guerra, perche' la servono
nel campo degli oppositori. Sono combattenti per la pace che tradiscono la
pace.
*
Altri cercano una via di fuga nella vita privata. Guerra e pace, l'immenso
enciclopedico affresco di Tolstoj sull'esistenza, e' stato interpretato come
pace nel privato, guerra nel pubblico. Anche nel privato ci sono guerre, ma
spesso c'e' una sufficiente tregua, pazienza, costruttivita', vicinanza.
Ecco, qui vivere si puo'. Il mondo privato, familiare, amicale, produttivo,
collaborativo, bene o meno bene, manda avanti la vita. E poi c'e' tanto da
fare che ci tiene occupati, cioe' distratti (qualcuno ha parlato di "armi di
distrazione di massa"). Si puo' vivere a patto di emarginare dagli occhi,
dal cuore e dai pensieri la guerra, che si impone come regola regina nel
mondo delle grandi relazioni, nelle quali pero' sono coinvolti e travolti
tutti i piccoli.
La televisione porta in casa, sulla tavola della vita, la tempesta di morte
che e' la guerra. Ma sono solo immagini, i morti non gridano, sono lontani.
I titoli esplosivi dei giornali ti entrano in tasca, nella borsa. Ma basta
un po' di anestesia, un po' di callo sulla pelle, e le abrasioni brucianti,
le offese intime, diventano sopportabili, comunque vengono sopportate. Non
ci posso far niente, non possiamo farci niente. Speriamo che finisca presto.
Per non finire disperati, si finisce rassegnati.
*
C'e' anche chi parteggia, per l'uno o per l'altro non importa: dacci dentro,
fagliela pagare tutta, non badare alle chiacchiere e non fare tante parole,
non andare per il sottile, finiscilo presto. E' un modo di essere sia
disperati che rassegnati. Disperati perche' non c'e' soluzione meno
sanguinosa, rassegnati perche' a questa regola ci si inchina, e' la propria
regola.
*
La guerra arruola tutti, disperati e rassegnati: venite a servire la morte!
Restate nel vostro angolo, lasciatemi fare il mio lavoro di ammazzare!
Questo seimiliardesimo non vuole disperare e non vuole rassegnarsi.
Egli diserta l'uno e l'altro campo. Anche se non sapesse dove andare, il suo
primo dovere e' disertare.
No alla disperazione. No alla rassegnazione.
Dite che non c'e' speranza? E io la cerco ugualmente! Dite che non c'e'
altra realta' che questa? E io non accetto questa. Se voi ci morite dentro,
io moriro' fuori da queste mura.
Forse i miei occhi faranno in tempo a scorgere altri orizzonti. Forse altri
cammineranno piu' avanti di me, su quella via, su cui del resto vedo che
tanti altri, molto migliori e piu' forti di me, si sono da tempo
incamminati.
Una verita' ha colpito il mio sguardo. Non una verita' intellettuale, non
una verita' di fede, non una verita' di parte, non una ideologia (come
dicono per diffamarla), ma una verita' biologica, prima e vitale come la
nascita, come il respiro, come il mistero dell'esistenza. Una verita' umile
e misteriosa, che abbiamo in comune anche con gli animali senza altra parola
che gli occhi, e con le piante silenziose e ferme, che bevono dalla terra e
respirano col vento.
Da bambino ho visto uccidere prima di veder morire. Prima di vedere
spegnersi il respiro dei miei vecchi, nella casa raccolta attorno al loro
letto, ho visto uccidere, sulla piazza del paese per loro sconosciuto e
straniero, tre uomini prigionieri, inermi, accerchiati, in potere altrui.
Ora erano vivi, camminavano spaventati, in mano ai padroni della loro vita,
ora tornavano come sacchi bucati, perdenti sangue, gettati su un carretto
trainato da un asino a capo chino, piu' pietoso degli umani. Non uccisi in
combattimento, nella spietata maledetta necessita' di guerra, ma nei postumi
della guerra, infetti di odio e di vendetta. Non colpevoli provati di
qualche atrocita' o colpa personale, ma colpevoli soltanto di far parte del
gruppo nemico. Uccisi per quella facilita' ad uccidere, che la guerra, fosse
pure la piu' giustificabile come fu la Resistenza armata contro il
nazifascismo, induce in persone normali, trasformate facilmente in strumenti
in balia di un superiore meccanismo omicida.
Quella verita' e': non uccidere. Io l'ho imparata quel giorno, da quei tre
uccisi. A me tocca stare attaccato a quella verita', ripeterla come eco del
suono continuo del fiume accidentato della vita.
*
La prima e piu' necessaria delle leggi di vita ha sempre patito mille
eccezioni. Si uccide non solo contro la legge, ma anche coperti da qualche
emendamento aggiunto a quella. E il mondo diventa invivibile. Il mondo
uccide.
A volte sembra che l'intero mondo, le potenze del mondo, si lancino in
un'orgia di uccisioni. Non si puo' piu' vivere in un mondo che uccide. Non
si puo' lasciare che il mondo uccida. Vi siamo entrati perche' un uomo e una
donna, coi corpi congiunti in amore, ci hanno fatto nascere per vivere, non
per morire, non per uccidere, non per mettere un abisso tra una vita e
l'altra, tra un corpo e l'altro. Con lo stesso misterioso gesto e con mille
cure abbiamo aggiunto al mondo i nostri figli: ogni volta che li guardiamo
ci ammoniscono che la vita si da' e non si toglie.
Non uccidere e' legge.
Questa parola e' potente, perche' non e' mia, non e' tua. Non e' una delle
nostre tante e fiacche parole. Chi crede in Dio la sente scendere da lui.
Chi pensa la sente dire dalla ragione. Chi vive la sente pulsare nelle vene
della vita. Anche l'animale che ti guarda, ti dice: non uccidermi. Anche la
pianta che stormisce, canta: non stroncare alcuna vita; se te ne nutri
rispettala delicatamente come la vita tua. Tutti udiamo la stessa parola, se
vogliamo udirla. La piu' antica parola, stravolta e tradita, ritorna sempre
nuova, piu' potente quanto piu' offesa.
Nel mondo che uccide, ogni seimiliardesimo di umanita' la ode, l'ascolta o
non l'ascolta. Oggi, nel dolore dell'offesa, tante persone e popoli, tanti
come mai prima, in un movimento mondiale, l'ascoltano.
Non sappiamo se il movimento contro la guerra durera', crescera', se sara'
coerente e tenace. Forse si', forse no. Ora c'e'. La guerra lo ha suscitato.
Senza che compaia sulle bandiere e nei gridi, e' quella parola che lo
convoca: non uccidere.
E' parola che disperde le ragioni della morte usata contro altri viventi. Se
ne parli, c'e' chi ti dice che non e' una parola sufficiente: ci sono
conflitti acuti, estremi; ci sono minacce assolute; ci sono circostanze
eccezionali; e infine, ecco la loro contro-parola: la guerra - cioe'
l'uccidere - e' la risorsa estrema! Ma e' una "risorsa" che interessi e
forze anti-umanita' non vedono l'ora di usare! Ed e' "estrema", cioe'
massimamente esterna: e' "fuori dalla ragione" (alienum a ratione), diceva
Papa Giovanni nella Pacem in terris, pensare che la guerra, specialmente
nell'era atomica, possa essere mezzo di giustizia.
*
E invece il non uccidere e' parola necessaria e sufficiente, se le
permettiamo lo sviluppo che contiene.
Non e' una negazione, ma un'affermazione. Non e' un divieto, ma un diritto
di liberta'. E' mio diritto non essere ucciso, ma altrettanto non diventare
uccisore. E' un no che diventa subito un si', se lo accogliamo e lo
coltiviamo. Il no alla guerra che uccide, il no al mondo che uccide, sono il
si' al mondo senza guerra, senza uso della morte, cioe' libero dalle armi e
dal calcolo omicida.
Solo se si chiude la strada della guerra, possono aprirsi nelle menti, nelle
culture, nelle politiche, altre vie oggi escluse, ma possibili, anzi gia'
esistenti.
Il movimento attuale per la giustizia (new global) e per la pace (not in my
name) e' ricco di possibilita'. Porta le ragioni dell'umanita'. Deve
guardare piu' lontano della tragedia in corso, pensare piu' profondamente
della indignazione, dello scandalo e del dolore.
Il pensiero e la volonta' di giustizia e di pace non ignorano nulla delle
esigenze realistiche, della necessita' di leggi e di sagge sanzioni, del
bisogno di autorita' responsabile, della (per ora irrinunciabile) funzione
della forza pubblica a contenimento della violenza privata - forza che e'
diversa e opposta alla violenza bellica -, ma vogliono semplicemente
invertire il senso di una politica che non e' politica, fino a quando
continua a mettere in conto l'uccidere.

3. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: EUROPA E DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA
[Ringraziamo di cuore Antonino Drago (per contatti: tel. 0817803697, fax:
06233242218, e-mail: drago@unina.it) per questa lettera della quale
pubblichiamo ampi stralci. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di
storia della fisica all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei
movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani
e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di
Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano
1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino
1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa
e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi
(Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997]
Scrivo in collegamento a quanto scritto da Lidia Menapace nell'editoriale
"Per un'Europa della pace e della difesa popolare nonviolenta" nel n. 559
del 7 aprile 2003.
Tutta la politica europea dopo il 1989 e' stata giocata attorno a quel punto
che Lidia sottolinea: rifiutare la prospettiva di una difesa solo difensiva,
che sarebbe stata naturale per dei popoli scampati per miracolo
dall'ecatombe nucleare (programmata per loro dai sapientoni militari Usa e
Urss), e che all'Est avevano saputo sconfiggere i governi piu' duri con la
sola forza della nonviolenza, a mani nude.
Ma poco dopo il 1989 l'Europa ha imboccato la via di distaccarsi dal
Mediterraneo e dall'Africa a cui e' collegata geograficamente per mantenere
il patto atlantico (Nato) e tentare casomai di fare l'alternativa bipolare
agli Usa.
Maastricht e poi l'euro sono una precisa politica, che ha avuto come pendant
militare il finanziamento massiccio dell'industria aereonautica, allo scopo
di inseguire la speranza che tra dieci anni l'Europa diventi indipendente da
quella Usa; e mentre un F-16 consta 15 miliardi di dollari, un Tornado ne
costa 40 e l'Efa molti di piu'; ma per l'Europa vale la pena costruire il
Tornado e l'Efa per quella speranza di rendersi indipendenti.
Lidia, ti ricordi Ruggero e perche' si e' dimesso? Perche' sosteneva una
spesa cruciale per aiutare l'industria aereonautica europea (Airbus), mentre
invece Berlusconi aveva gia' deciso (da Genova G8) che quella Usa andava
bene e che la nostra politica internazionale aveva solo da dire si' agli
Usa. Per cui anche la vita politica partitica italiana si gioca tutta tra i
nostalgici del bipolarismo, che lo vogliono rinnovare con l'Europa che si
contrappone agli Usa, e i servi degli Usa; questo vale per la politica
sull'esercito come sulla politica estera.
Purtroppo Lilliput, Social Forum e girotondini sembrano non aver capito
questo gioco e tengono aperta la porta a questi partiti che nei fatti poi
non possono distaccarsi troppo dalla politica di prepotenza bellica su tutto
il mondo (chi dei partiti non ha votato a favore dell'esercito italiano che
deve difendere innanzitutto il livello di benessere della popolazione?).
D'altra parte, scegliere una difesa alternativa o la Difesa popolare
nonviolenta (Dpn) significa rompere con una tradizione europea di potere
mondiale, rottura che ridurrebbe l'Europa a commerciare con l'Africa invece
che con gli Usa... Dico questo non per fare il pessimista, ma per segnare
dei confini tra gli amici e di chi ci e' compagno di viaggio solo in poche
cose politiche. Bisogna saperlo...
La campagna di obiezione alle spese militari per la Difesa popolare
nonviolenta ora e' arrivata a raggiungere due dei tre obiettivi che si era
proposta (nuova legge sull'obiezione di coscienza e prima istituzione
statale per la Difesa popolare nonviolenta, l'Ufficio nazionale per il
servizio civile) ed e' molto vicina anche al terzo (opzione fiscale).
In settimana la campagna di quest'anno verra' lanciata a Roma. E avra' di
positivo soprattutto il fatto che dopo cinque anni che la Difesa popolare
nonviolenta e' stata stabilita per legge (230/98), i soldi specifici
(200.000 euro) sono stati finalmente sbloccati dall'Ufficio nazionale per il
servizio civile, da una lotta che ha visto pochi nonviolenti a lottare
contro gli strozzamenti finanziari prima e poi le manovre dilatorie del
governo.

4. RIFLESSIONE. FABRIZIA RAMONDINO: TRA CLUB BUSH E CLAN SADDAM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 aprile 2003. Fabrizia Ramondino e' una
prestigiosa scrittrice e intellettuale]
Per l'Europa non si aggira piu' il fantasma di Marx. Ma una domanda-fantasma
che quotidianamente i mass-media ci rivolgono ossessivamente: ´Sei per Bush
o per Saddam? Sei per una guerra lunga o breve?". Personalmente la vivo come
se in passato mi avessero chiesto rispetto a mafia e camorra: "Sei per
Provenzano o per Riina? Per Cutolo o Pupetta Maresca?".
Perche' c'e' una grande analogia tra le guerre tra bande
mafioso-camorristiche e quella tra l'amministrazione di Bush jr. e Saddam
Hussein.
Del clan di Saddam Hussein sappiamo quasi tutto: e' un feroce dittatore, che
non ha esitato a sterminare i suoi nemici, compresi parenti stretti e
accoliti, e con ogni mezzo, dall'impiccagione al colpo di fucile alle armi
biologiche.
Quanto si sottolinea meno e' che e' stato usato come un fantoccio degli Usa,
quando conveniva loro (un fantoccio, comunque e sempre, furbo e abilissimo);
che i suoi delitti e sterminii non sono stati denunciati e combattuti in
tempo ne' dagli Usa ne' dall'Onu, ne' dall'Unione europea, ne' da tanti
pacifisti unilaterali, o per connivenze politico-economiche, o per
opportunismo o per cecita'. Tranne eccezioni, come Danielle Mitterrand,
Amnesty International, qualche ong.
Del club Bush jr. fanno parte i teorici della guerra preveniva, gia'
proposta da loro fin dal '92, e figuri (a volte gli stessi) strettamente
legati all'industria di guerra e del petrolio, e alla finanza selvaggia. Un
club di malavita: economica (vedi tra l'altro lo scandalo Enron e quelli
successivi); politica (corruzione elettorale, espansione e dominio su tutti
i territori, disinteresse strategico), con l'uso tattico, quindi mutevole di
volta in volta, di "amici" e "nemici"; religiosa (quante volte viene
invocato, in nome della guerra, il nome di Dio invano) il che li accomuna ai
riti di iniziazione della mafia, in cui del patto fa parte anche una
ritualita' religiosa.
Per conoscere la dottrina politica del club Bush jr. non c'era bisogno che
qualche giorno fa il giornale "Internazionale"  pubblicasse, tradotto dal
settimanale tedesco "Der Spiegel", un articolo su questo argomento. Alcuni
giornalisti italiani sembrano essere caduti dalle nuvole, avere fatto
letteralmente "la scoperta dell'America". Queste carte non erano segrete,
sono ampiamente note da anni (e mesi fa sono state diffuse dalla rivista
"Limes", dal "Manifesto", dal canale tv franco-tedesco Arte). Allora delle
due l'una: o gran parte dei giornalisti italiani sono male informati o sono
in mala fede.
Le connessioni tra potere politico, economico, malavita, mass-media ci sono
note da anni, in qualunque regime si svolgano, tanto nelle dittature che
nelle democrazie, per natura sempre imperfette (e sempre piu' spesso
imperfettissime, come nel caso di quella attualmente amministrata dal club
Bush jr.).
Per studiare questi nessi, oltre tanta letteratura specialistica,
consiglierei di leggere La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertold
Brecht. Un'opera degli anni Trenta, iniziata nell'esilio finlandese
dell'autore, tanto invisa ai politici del dopoguerra, che non fu
rappresentata, ne' negli Usa, ne' nella Repubblica federale tedesca ne'
nell'ex Repubblica democratica tedesca, se non dopo la morte dell'autore,
nella seconda meta' degli anni '50. La parabola brechtiana e' ispirata ad Al
Capone, con chiari riferimenti all'ascesa di Hitler. Ma proprio perche' e'
una parabola vale per tutti gli stati in cui diventano dominanti affari
sporchi, scambio di voti, connessioni con la malavita organizzata, sete di
potere, ideologie della lotta tra "bene" e "male", manipolazione dei
mass-media. Siccome gli Usa sono una democrazia (seppure sempre piu'
imperfetta) l'opera e' stata rappresentata a New York nell'autunno 2002 con
grande successo di pubblico; e l'attore protagonista (nei panni di Arturo
Ui) era Al Pacino, che nella recitazione e nell'aspetto imitava Bush jr.
Sui modi per uccidere l'uomo ampia e' la scelta: dal coltello al fucile,
dalla bomba atomica alla bomba "stupida" o a quella "intelligente"; ma anche
dalla fame alla sete.
Ora, tornando alla domanda-fantasma di prima, perche' dovrei scegliere tra
due bande criminali rivali? Come cittadina, non solo italiana, ma del mondo,
sono per l'affermazione di un diritto e di una legge, locale o Onu-versale,
che ci garantisca nei limiti del possibile dalle loro intimidazioni e
delitti.
Fra le crepe del potere, di cui non dimentichiamo il quarto, si alzano,
flebili e tollerate con fastidio, le voci di Gandhi, di Ernst Bloch, di Aldo
Capitini, di Nelson Mandela, ispirate a una terza via tra guerra e pace.
Tutte persone che hanno pagato con la morte, la prigionia, l'esilio,
l'indifferenza, il disprezzo, le loro utopie.

5. MEMORIA. LUCIANO BONFRATE: IN MEMORIA DI MARTIN LUTHER KING
[Ricorrendo qualche giorno fa l'anniversario della morte di Martin Luther
King - assassinato il 4 aprile 1968 - il nostro collaboratore Luciano
Bonfrate ci ha messo a disposizione questo suo sonetto caudato. Martin
Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Universita'
di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si
stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (il
primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta nonviolenta
contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa.
Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e
repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i
testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1994 (edizione italiana
curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham -
Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993;
L'"altroğ"Martin Luther King (antologia a cura di Paolo Naso), Claudiana,
Torino 1993; "I have a dream", Mondadori, Milano 2001. Opere su Martin
Luther King: Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther
King, Feltrinelli, Milano 1996. Esistono altri testi in italiano (ad esempio
Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a
nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece
assai necessario uno studio critico approfondito della figura, della
riflessione e dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e
confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed
esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione
sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con
una buona bibliografia essenziale]

A una vita di studio e di preghiera
forse pensava King, recar conforto
con le parole lievi e la sincera
fede, traendo i di' in placido porto.

Conobbe allora quella piu' severa
prova, di opporre dritta lotta al torto:
uno volle essere di quella schiera
che cerca liberta', cammin non corto.

La verita' fa liberi, nutrice
a chi soffri' per lunga grave pieta,
la verita' che di pace e' radice

la verita' che e' in marcia e che disseta
chi ha sete di giustizia, e all'infelice
reca il sollievo della buona meta.

E con la forza quieta
del persuaso agire nonviolento
accese un lume che non sara' spento.

6. MEMORIA. OSVALDO CAFFIANCHI: IN MEMORIA DI PRIMO MAZZOLARI
[Ricorrendo il 12 aprile l'anniversario della morte di Primo Mazzolari il
nostro collaboratore Osvaldo Caffianchi ci ha messo a disposizione questo
testo. Primo Mazzolari, nato nel 1890 a S. Maria di Boschetto (Cremona),
ordinato sacerdote nel 1912, partecipo' alla prima guerra mondiale; parroco
tra i poveri, antifascista e uomo della Resistenza, precursore del Concilio
Vaticano II; nel 1949 fondo' la rivista "Adesso", svolse un'intensa
attivita' di pubblicista e scrittore; e' morto a Cremona nel 1959. Opere di
Primo Mazzolari: naturalmente nell'ambito che particolarmente ci interessa
e' fondamentale Tu non uccidere, La Lucusta, Vicenza 1955, ora anche
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1991; si veda anche La chiesa, il
fascismo e la guerra, Vallecchi, Firenze 1966. Presso La Locusta di Vicenza
sono state pubblicate decine di opere di Mazzolari. Una decina di volumi
sono stati pubblicati dalle Edizioni Dehoniane di Bologna. Viaggio in
Sicilia e' stato ripubblicato nel 1992 da Sellerio. Opere su Primo
Mazzolari: A. Bergamaschi, Mazzolari, un contestatore per tutte le stagioni,
Bologna 1969; L. Bedeschi, L'ultima battaglia di don Mazzolari, Morcelliana,
Brescia; AA. VV., Don Primo Mazzolari, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1999]

Veniva dalla Resistenza, don Primo Mazzolari
che reca dura la scienza
del bene e del male, il conoscere insieme
il valore del pane e del vino, la fame e la morte.

Veniva dalla campagna, don Primo Mazzolari
che conosce il ciclo dei giorni
e dei raccolti, e la disperazione
della grandine e della fame
e come gli uomini fecondino la terra
e tutto e' fatica e rigoglio.

Veniva dalla sequela, don Primo Mazzolari
credeva nell'assurdo di un figliuolo
dell'uomo che i potenti condannarono
a vile morte e che mori' indifeso.

Credeva nell'assurdo: il mansueto
che accetta l'ingiustizia di morire
e che cosi' di morte l'ingiustizia
per sempre smaschera
e annienta la violenza
con l'umile suo gesto di negare
di aggiungere violenza alla violenza.

Sapeva lottare, don Primo Mazzolari
con le arti della volpe e del leone,
con scienza di serpente e di colomba,
il lento lavoro della goccia
che scava la pietra stilla a stilla
a scheggia a scheggia scava la pietra.

E sapeva le parole, don Primo
Mazzolari, le parole che sanno
girare ruote e trascinare carri
muovere le montagne.

E se dovessi, cari, dire tutto
quel che mi pare di saper di lui
questo direi, che Primo Mazzolari
prese sul serio l'unico comando:
tu non uccidere.

Chi vuol rendergli onore
questo ricordi, a questo apprenda tutto
il cuor gentile suo:
tu non uccidere.

7. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: IN MEMORIA DI DIETRICH BONHOEFFER
[Ricorrendo il 9 aprile l'anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer il
nostro collaboratore Benito D'Ippolito ci ha messo a disposizione questo
testo. Dietrich Bonhoeffer, nato a Breslavia nel 1906, pastore e teologo, fu
ucciso dai nazisti il 9 aprile del 1945; non e' solo un eroe della
Resistenza, e' uno dei pensatori fondamentali del Novecento. Tra le opere di
Dietrich Bonhoeffer: Resistenza e resa (lettere e scritti dal carcere),
Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988; Etica, Bompiani, Milano 1969; presso
la Queriniana di Brescia sono stati pubblicati molti degli scritti di
Bonhoeffer (tra cui ovviamente anche Sanctorum Communio, Atto ed essere,
Sequela, La vita comune). Tra le opere su Dietrich Bonhoeffer: Eberhard
Bethge, Dietrich Bonhoeffer, amicizia e resistenza, Claudiana, Torino 1995;
Italo Mancini, Bonhoeffer, Morcelliana, Brescia 1995; AA. VV., Rileggere
Bonhoeffer, "Hermeneutica" 1996, Morcelliana, Brescia 1996; Ruggieri (a cura
di), Dietrich Bonhoeffer, la fede concreta, Il Mulino, Bologna 1996]

I.
Quando impiccarono Dietrich Bonhoeffer
dal cielo si senti' come un sospiro
profondo.
Il buon Signore aveva perso un forte
e buon compagno, e ne gemeva triste.

All'ora nona si rirallegrava
il cielo tutto
che' Dietrich Bonhoeffer
compiuta la sua corsa era tornato
infine a casa.

II.
E voi miei cari a cui qui intorno al fuoco
in questa veglia io riracconto ancora
la storia vera e la vera leggenda
del buon Dietrich Bonhoeffer, resistete
come lui resistette.

E non crediate
che non ha senso questo nostro esistere
resistere, cercare, accarezzare
lottare per la vita e la giustizia.

8. RIFLESSIONE. CHIARA ZAMBONI: LA FORZA DELL'INVISIBILE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 aprile 2003. Chiara Zamboni e' docente
di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla
comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni:
Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa.
Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione
perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra,
Colognola ai Colli (Vr) 1997]
C'e' qualche cosa che non torna nell'affermazione che la guerra in corso e'
una guerra tutta affidata alle immagini delle televisioni, dei fotoreporter,
una guerra dalla visibilita' totale che crea spettatori totali. Ho in mente
una foto - circolata in questi giorni sul "Manifesto" e altri giornali - che
e' stata costruita apposta per rafforzare questa idea e che per la sua
sfacciata intenzione mi risulta perfino irritante: un camion della croce
rossa che distribuisce viveri alla gente in Iraq e sopra il camion sette o
otto giornalisti che fotografano, riprendono. Un'affermazione che non viene
smentita dal fatto che il governo americano non vuole che questo conflitto
diventi veramente visibile attraverso il lavoro dei giornalisti, perche'
teme che possa succedere come nella guerra del Vietnam dove i servizi dei
giornali avevano "disturbato" le strategie degli apparati militari. Anche il
governo americano si comporta come se tutto fosse visibile, tanto e' vero
che ritiene che molto sia da tenere nascosto. L'idea di fondo resta la
stessa.
C'e' qualche cosa che non torna nel dire che tutto si gioca nella
visibilita'. Il visibile e' tale perche' e' leggibile da codici gia'
previsti. Cio' che si vede nelle immagini, quel che viene raccontato nella
notizia e' nuovo, ma si affida per essere capito a qualcosa di
riconoscibile, ripetibile, confrontabile con quel che gia' sappiamo. Non
mette in crisi i codici che condividiamo. Ma nel visibile, nei fotogrammi,
nei racconti di guerra, e' presente anche l'invisibile, che e' la cerniera
del visibile, il suo piano verticale. Non ha niente a che fare con quel che
viene nascosto con intenzione, e che, in questa guerra, si puo' portare a
visibilita' a volte con dei coraggiosi servizi giornalistici. C'e' un
invisibile che insiste come una nota ripetuta nel basso continuo del
presente e che noi sentiamo, ci immaginiamo, vediamo. Cogliamo in altro modo
e con altri sensi.
L'importanza della visibilita', su cui oggi tanto si insiste, e' estranea
alla mia esperienza. Le donne sanno bene che l'essenziale per loro sta tra
visibile e invisibile: tra la dimensione pubblica - che magari squaderna il
privato allo sguardo di tutti, ad esempio nelle foto dei morti per il
bombardamento al mercato di Baghdad - e sentimenti, sensazioni che sono
intime, segrete - il che e' molto diverso da "nascoste" - e che tessono la
trama del presente e gli danno una qualita' propria.
Non si tratta tanto di un sentimentalismo gia' previsto, per cui di fronte
ad un'immagine di una bambina irachena dagli occhi enormi, spauriti, che
guarda un gigante di soldato, mi trovo a commuovermi ed e' una emozione
provocata, tutta superficiale perche' messa a tema dal linguaggio stesso
della foto, che vedo sul giornale. Una foto scattata per commuovere. Il
sentimento e' interno al codice stesso che ha guidato la fotografia, o che
ha fatto scrivere quella notizia. Diffido di quel sentimentalismo, che mi
riempie e mi fa sentire totale, totalmente "buona" o "ostile" - il che e' lo
stesso: sempre un assoluto e quindi in fondo niente.
L'invisibile ha a che fare con sentimenti che non ci riempiono come un
assoluto, che lasciano spazio a molto da immaginare, da sentire, da capire,
da pensare. Ha a che fare con la fiducia che nel presente c'e' quello che
viene mostrato e c'e' qualcosa che non e' mostrato e che muove a livelli
piu' profondi.
Penso ad esempio al desiderio di vita e di allegria che ho capito, piu' che
visto, nella gente di Baghdad che non si e' comportata solo secondo una
razionalita' efficiente e prevedibile, organizzandosi bene, prima dei
bombardamenti annunciati. A Baghdad nei giorni prima della guerra la gente
faceva provviste, e in citta' si faceva anche altro che non aveva niente a
che fare con il sopravvivere. Walden Bello, in un articolo sul "manifesto"
del 30 marzo scorso, descrive ad esempio le ragazze e i ragazzi
testardamente intenzionati a continuare le lezioni all'universita' su
Giulietta e Romeo di Shakespeare con i loro professori. Come ricordo, poco
prima che Belgrado venisse bombardata nella guerra del Kossovo - e anche
quello era un bombardamento annunciato - che le ragazze e i ragazzi stavano
a chiacchierare ai tavoli dei caffe' godendosi il sole. Che invisibile c'e'
in un gesto apparentemente cosi' assurdo, cosi' poco razionale come questo?
Ci leggo il voler difendere il piacere e la felicita' della vita, prima di
tutto vivendola, e poi, soltanto poi, organizzandone la difesa. Ci vedo la
fiducia che la prima e piu' fondamentale difesa di cio' che e' vita e'
semplicemente vivere con pienezza. Ovvero continuare a godere di una bella
giornata, di un grande testo letterario, per di piu' nella lingua del nemico
che ti sta per attaccare.
Questa e' una forza dell'ordine dell'invisibile. E' una fede non in un dio o
nell'altro, o nello stesso sotto diverse bandiere, ma e' fede nella
scintilla di infinito che c'e' nell'esistenza e che noi preserviamo piu'
vivendola - incarnandola, si potrebbe dire - che combattendo per essa come
fosse un valore oggettivo. Nel momento in cui si trasforma in qualcosa di
oggettivo, l'abbiamo gia' perduta.
Chi scrive di questa come di altre guerre solo in termini di potenza di
armamenti, di strategie, di battaglia mediatica della visibilita' sia sul
fronte interno che esterno, di aiuti umanitari, di ricostruzione, non abbia
presente la forza dell'invisibile nel visibile.
Ne parla una donna algerina, raccontando dell'esperienza sua e di altre
donne in un'altra guerra che ha la forma della guerriglia e che dura ormai
da anni in Algeria. E' Zazi Sadou, in Fare pace dove c'e' guerra ("Quaderni
di Via Dogana", 2003). Parla delle donne che, minacciate di morte, ogni
giorno si fanno belle, che e' segno certo visibile, ma la bellezza e'
qualcosa di piu': e' legame tra se' e se' e il proprio corpo, e' armonia tra
l'inconscio e lo sguardo degli altri, e' ringraziamento a chi ci ha donato
l'esistenza, e' esercizio di vita. Ha molto della piega visibile di una
trascendenza invisibile.
E' per questo che dico che non e' necessario guardare o leggere troppo per
sapere che oltre le strategie militari, le morti violente e i poteri c'e'
quell'invisibile e forte che tesse legami all'interno dell'angoscia delle
madri, dell'amarezza dei vecchi, della paura nello sguardo di quel giovane
soldato americano preso prigioniero. La fiducia nell'invisibile permette di
vederne i segni. Di immaginarci anche cio' che non vediamo. E di immaginarci
molto e secondo verita'.
Un tempo questa capacita' veniva chiamata profetica. Le profetesse dei
vangeli e delle prime comunita' cristiane sapevano vedere nel presente segni
che altri non vedevano. Dobbiamo incominciare a chiederci quale nuova forma
questa capacita' profetica oggi abbia preso e come essa possa essere
ricchezza anche per quegli uomini stanchi del dominio del visibile, talmente
realistico da risultare finto.

9. RILETTURE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: L'ECLISSI DELLA MADRE
Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa: L'eclissi della madre, Pratiche, Milano
1998, pp. 260, lire 28.000. "Fecondazione artificiale: tecniche, fantasie e
norme" recita il sottotitolo: uno dei libri piu' interessanti sui complessi
temi posti dallo sviluppo delle tecniche di riproduzione artificiale.

10. RILETTURE. ANTOINETTE FOUQUE: I SESSI SONO DUE
Antoinette Fouque: I sessi sono due, Pratiche, Milano 1999, pp. 196, lire
28.000. Una raccolta di interventi della prestigiosa militante e pensatrice
francese, con un'introduzione di Lia Cigarini.

11. RILETTURE. SILVIA LAGORIO, LELLA RAVASI, SILVIA VEGETTI FINZI: SE NOI
SIAMO LA TERRA
Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi: Se noi siamo la terra,
Il Saggiatore, Milano 1996, pp. 128, lire 18.000. Una riflessione a piu'
voci di grande suggestione: tre psicoanaliste riflettono sulla maternita' e
sul "Regno delle Madri" tra psiche e mito, natura e societa'.

12. RILETTURE. LETIZIA PAOLOZZI, ALBERTO LEISS: UN PAESE SOTTOSOPRA
Letizia Paolozzi, Alberto Leiss: Un paese sottosopra, Pratiche, Milano 1999,
pp. 196, lire 28.000. Quasi un'antologia (arbitraria e scintillante) di, e
un confronto con, e una riflessione su una delle pubblicazioni piu'
rilevanti del femminismo italiano, quel "Sottosopra" che dal 1973 e' una
delle voci e degli specchi e dei grembi di alcuni dei pensieri e di alcune
delle pratiche piu' originali e ineludibili di riconoscimento e di
liberazione che le donne offrono all'umanita'.

13. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI (A CURA DI): PSICOANALISI AL FEMMINILE
Silvia Vegetti Finzi (a cura di): Psicoanalisi al femminile, Laterza,
Roma-Bari 1992, pp. XVIII + 402, lire 28.000. Un libro appassionante: acute
studiose come Silvia Vegetti Finzi, Simona Argentieri, Adele Nunziante
Cesaro, Anna Maria Accerboni Pavanello, Nadia Fusini, Francesca Molfino,
Anna Salvo, Luisa Mele, Gabriella Buzzatti, sono le autrici di densi e fini
saggi su "Le isteriche o la parola corporea" e su grandi figure come Anna
Freud, Melanie Klein, Marie Bonaparte, Lou Andreas-Salome', Sabina
Spielrein, Helene Deutsch, Karen Horney, Françoise Dolto, Luce Irigaray.

14. EDITORIALE. PEPPE SINI: QUELLO CHE OGGI PIU' OCCORRE
1. Non essere irresponsabili: la morte e' la morte, la guerra uccide,
uccidono le armi, uccidono gli eserciti. A tutte le uccisioni devi opporti.
2. Non essere frivoli: in altri tempi si potra' perdere tempo in futili
giochi. Ora occorre fermare la guerra.
3. Non essere astratti: cerchiamo di capirci: due cose possiamo e dobbiamo
fare, qui e adesso:
a) bloccare la macchina bellica Usa in Italia: con l'azione diretta
nonviolenta nostra, e con l'intervento degli enti locali fedeli alla
Costituzione italiana;
b) cacciare il governo italiano golpista complice della guerra stragista e
terrorista: con lo sciopero generale, e con la denuncia penale.
4. Non essere bugiardi: ogni esagerazione, ogni meschinita', ogni mezza
verita' (che e' gia' una completa bugia), ogni ignoranza, ogni furberia da
parte nostra, sono gia' un aiuto alla guerra, sono gia' complicita' con la
guerra.
5. Non essere autistici: le manifestazioni per la pace devono servire a
convincere altri all'impegno. Ciascuno di noi faccia un esame di coscienza
sul suo modo di porsi e di condursi, sulla comprensibilita' e sull'altrui
percezione delle nostre azioni.
6. Non essere fessi: se la nostra lotta non e' intransigente, essa non e'
nulla. Se non riusciamo a fermare la guerra, tutto il nostro dire ed agire
e' stato chiacchiera e fumo. Se non si sceglie la nonviolenza, siamo solo i
buffoni del re.
7. Non essere le scimmie dei potenti: quelli tra noi che si sentono piccoli
napoleoni sono solo dei fascisti; quelli tra noi che vanno e che mandano al
macello sono solo dei fascisti; quelli tra noi che auspicano la catastrofe
contribuiscono alla sua realizzazione.
Quello che oggi piu' occorre e' che la nostra azione sia limpida; quello che
oggi piu' occorre e' la scelta della nonviolenza. Solo la nonviolenza puo'
fermare la guerra. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 562 del 10 aprile 2003