[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
La nonviolenza e' in cammino. 556
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 556
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Thu, 3 Apr 2003 23:26:56 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 556 del 4 aprile 2003
Sommario di questo numero:
1. Wislawa Szymborska: l'odio
2. Comitato "Fermiamo la guerra" di Bolzano: cessate il fuoco
3. Cristina Papa: aggiornamento del sito de "Il paese delle donne"
4. Danilo Zolo: l'evanescenza del diritto di guerra
5. Elettra Deiana: intervento in parlamento del 19 marzo 2003
6. Ida Dominijanni: fra corpi e parole
7. Walter Peruzzi: editoriale di "Guerre & pace" n. 98
8. Riccardo Orioles, dopo
9. Augusto Cavadi: una data per non dimenticare
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'
1. POESIA E VERITA'. WISLAWA SZYMBORSKA: L'ODIO
[Da Wislawa Szymborska, 25 poesie, Scheiwiller, Milano 1997, Mondadori,
Milano 1998, pp. 47-49. Wilslawxa Szimborska, poetessa polacca, nata a Bnin
nel 1932, nel 1996 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura]
Guardate com'e' sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l'odio.
Con quanta facilita' supera gli ostacoli.
Come gli e' facile avventarsi, agguantare.
Non e' come gli altri sentimenti.
Insieme piu vecchio e piu' giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, non e' mai di un sonno eterno.
L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione -
purche' ci si inginocchi per il via.
Patria o non patria -
purche' si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre da solo.
L'odio. L'odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti -
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
puo' contare sulle folle?
La compassione e' mai
arrivata per prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verita':
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile e' il pathos delle rovine
e l'umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
E' un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante e' pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspettera'.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
- lui solo.
2. APPELLI. COMITATO "FERMIAMO LA GUERRA" DI BOLZANO: CESSATE IL FUOCO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
averci inviato questo appello]
Fermiamo la guerra.
Per la bambina irachena ferita che piange sola in silenzio in ospedale; ma
anche per il soldato statunitense impazzito che lancia una granata sulla
tenda dei suoi commilitoni (o dei suoi comandanti?); per le povere case
sventrate e distrutte; ma anche per i prigionieri alleati smarriti che
credevano a una marcia trionfale tra l'approvazione del popolo invaso; per i
morti civili da bombe "intelligenti"; per donne bambini anziani uccisi nei
selvaggi bombardamenti ripetuti sulle popolazioni nelle citta' o sulle
strade mentre cercano di sfuggire alla sete alla fame alla distruzione delle
loro abitazioni; per i soldati inglesi uccisi e rinviati in patria con
solenni funerali per incitare lo stupido nazionalismo britannico ("right or
wrong, my country", che abbia torto o ragione e' il mio paese) e per i morti
statunitensi spediti alla chetichella per non svelare alle famiglie gli
inganni di una guerra "amica"; per le terre inquinate; il petrolio sprecato;
per una catena di orrori tra i quali e' difficile fare graduatorie, ma dove
forse lo sdegno contro i pescecani che gia' lucrano sugli appalti della
ricostruzione ottiene il primo posto,
noi comitato "Fermiamo la guerra" di Bolzano:
* chiediamo subito il "cessate il fuoco";
* rivolgiamo un pressante appello:
- alle Nazioni Unite un pressante appello perche' in questo senso promuovano
pronunciamenti del Consiglio di sicurezza e dell'Assemblea generale;
- al Consiglio d'Europa perche' dimostri di essere all'altezza dei tempi che
viviamo mettendo avanti il peso delle popolazioni europee, unite contro la
guerra, anche a dispetto dei loro governi;
- al governo italiano, al parlamento, alla presidenza della Repubblica
perche' smettano di giocare su troppi tavoli e decidano - secondo la
Costituzione italiana - di separare del tutto le nostre responsabilita' da
una guerra immorale, reazionaria e nemica dei popoli, e in piu' illegale,
perche' senza copertura del Consiglio di sicurezza e per noi comunque
certamente incostituzionale.
Perche' le menzogne che sempre accompagnano le guerre abbiano termine, noi
chiediamo a gran voce di fermarla, negando il potere di giocare con le vite
e le cose umane, con le risorse della natura, con la terra martoriata dalle
nostre follie, a quanti stanno rintanati nelle loro solenni residenze o in
protetti bunker o sotto i loro paramenti religiosi: torni la ragione tra le
genti, tacciano le follie di potenza dei signori della guerra, dei mercanti
di morte e di una parte di autorita' religiose fanatiche.
Noi non dimentichiamo ne' dimenticheremo le distruzioni, le bugie, il "fuoco
amico", le bombe intelligenti, l'imbarbarimento dei gesti linguaggi
relazioni tra le persone. Non vogliamo un mondo nel quale queste cose
abbiano potere risorse strumenti di comunicazione e prevarichino sulle
persone, impongamo censure e distorsioni e servilismi e sacrifici pesanti
agli innocenti e alle vittime della violenza e dell'ingiustizia militare
politica ed economica.
Chiediamo pace perche' nella pace un altro mondo e' possibile e vi sono
forze ovunque sulla terra per costruirlo.
Intendiamo promuovere azioni e suggeriamo a chi voglia agire contro la
guerra di appoggiare sottoscrivere e divulgare questo appello e i
conseguenti propositi anche cercando di stabilire fin da ora rapporti
generosi con le popolazioni dell'Iraq per progettare insieme una vera
ricostruzione anche di rapporti umani e solidali attraverso aiuti economici
tecnologie pacifiche uso ragionevole delle risorse, rapporti di scambio e
non di morte ne' di sfruttamento.
Gia' sono avviate raccolte di denaro, richiesta di versare un'ora di
salario, progetti di formazione nelle scuole, adozione di quartieri villaggi
ospedali colpiti dalla guerra. Bolzano intende adottare il mercatino di
Baghdad colpito "non si sa da chi" prima che i venditori di quassu'
progettino affari: anche la cupidigia mercantile, conseguenza della follia e
della criminalita' bellica, dilaga. Gli esempi dei potenti della terra
vengono seguiti; cerchiamo di far camminare esempi di altro genere, che
diano speranza per il futuro.
3. INFORMAZIONE. CRISTINA PAPA: AGGIORNAMENTO DEL SITO DE "IL PAESE DELLE
DONNE"
[Cristina Papa fa parte della redazione de "Il paese delle donne" (per
contatti: e-mail: cristina@www.womenews.net, sito: www.womenews.net), uno
dei migliori siti femministi e pacifisti]
In questo numero parliamo di:
* Pace e guerra
- Dal regno di Blair
- Un pericoloso asservimento
- Vi e' stato detto, ma io vi dico...
- Continueremo a chieder conto
- La strada della giustizia
- In queste ore il fragore della guerra
- Ripristinare la legalita' internazionale
- Fare spazio alla pace
- Alle donne del mondo intero
* Mass media
- La tricea del capitano Jenifer
- La presidente
- Informazione di guerra
* Femminismi
- Autocoscienza e cittadinanza
* Formazione
- Una riforma coi buchi
* Culture
- Esperienze di vita e di lavoro
- I desideri non invecchiano
- Baby boomers
- Silence
* Democrazia paritaria
- Articolo 51: mobilitazione di attenzione
* Diritti
- Accade in Birmania
- Amina da salvare
- Infortunate ma non rinunciatarie
- Una storia e la norma
* Notizie in breve
4. RIFLESSIONE. DANILO ZOLO: L'EVANESCENZA DEL DIRITTO DI GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 marzo 2003. Danilo Zolo, illustre
giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, docente di filosofia e
sociologia del diritto all'Universita' di Firenze; tra le sue opere
segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta' borghesi, Laterza, Bari 1976;
Il principato democratico, Feltrinelli, Milano 1992; (a cura di), La
cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995;
Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000]
"Se il diritto internazionale e', in un certo senso, il punto di evanescenza
del diritto, il diritto bellico e' il punto di evanescenza del diritto
internazionale". Questa massima e' di Hersh Lauterpacht, uno dei piu'
autorevoli giuristi "internazionalisti" del secolo scorso. Nulla come le
vicende di questi giorni sembra confermare il realismo di questa massima.
Donald Rumsfeld, capo del Pentagono, accusa gli iracheni di non rispettare
la Convenzione di Ginevra. Le sue mani grondano sangue ma egli punta
l'indice contro chi ha osato mostrare al mondo, con la complicita' di Al
Jazeera, i volti sofferenti dei prigionieri americani. L'aggressore, che ha
stracciato la Carta delle Nazioni Unite e ha violato tutto cio' che poteva
essere violato, chiede che il diritto bellico venga applicato contro gli
aggrediti. Gli fa da contrappunto Kofi Annan, segretario generale delle
Nazioni Unite, che qualche anno fa il presidente Clinton ha imposto alla
comunita' internazionale con una serie di ricatti. Con olimpica
imparzialita' l'elegante cerimoniere delle Nazioni Unite ha invitato
entrambi i contendenti - gli aggressori e gli aggrediti - a rispettare il
diritto internazionale di guerra.
Le quattro Convenzioni della Conferenza diplomatica di Ginevra dell'agosto
1949 dettano norme per proteggere le vittime della guerra: i feriti, i
malati, i naufraghi, i prigionieri, la popolazione civile. Una delle
convenzioni, la terza, vieta che i prigionieri siano torturati fisicamente o
moralmente, che le loro vite siano messe in pericolo, che vengano usati come
ostaggi. Si puo' sostenere che l'esibizione televisiva dei prigionieri
americani da parte degli iracheni sia illegale perche' e' una forma di
tortura morale? E' una interpretazione estensiva, largamente opinabile, del
testo della convenzione.
Cio' che e' assai meno dubbia e' la serie di gravissime violazioni del
diritto bellico compiute impunemente dagli Stati Uniti e dai loro alleati
nel corso delle ultime guerre: dalla prima guerra del Golfo, alla guerra per
il Kosovo, alla guerra in Afghanistan. E' sufficiente ricordarne qualcuna
fra le moltissime.
Proprio nei luoghi dove in queste ore e' in pieno svolgimento la strategia
terroristica dello shock and awe, nel 1991 gli Stati Uniti si macchiarono di
un crimine orrendo. Sull'autostrada che collega la capitale del Kuwait a
Bassora - da allora chiamata l'autostrada della morte - un convoglio di
oltre dieci chilometri di lunghezza, composto di autocarri, autobus,
ambulanze e centinaia di automobili in fuga, venne annientato con una serie
di attacchi dal cielo nel corso della nottata conclusiva dell'offensiva
terrestre, quando Radio Baghdad aveva gia' annunciato la resa. Migliaia di
civili, in gran parte palestinesi, sudanesi ed egiziani, vennero sterminati
senza che potessero opporre la minima resistenza. Come sostenne "Newsweek"
(11 marzo 1991), nessun giornalista venne ammesso allo "spettacolo
apocalittico" della strage - cosi' lo defini' il maggiore americano Bob
Williams - prima che migliaia di cadaveri carbonizzati fossero stati
seppelliti nel corso di tre giornate.
E come non ricordare, come esempi di un sistematico uso criminale della
forza militare da parte degli Stati Uniti, il bombardamento di carceri e di
ospedali serbi e la strage dei giornalisti della televisione di Belgrado,
durante la guerra "umanitaria" contro la Repubblica Jugoslava? E il massacro
di prigionieri a Mazar-i-Sharif in Afghanistan? E l'uso continuato delle
cluster bombs e dei proiettili all'uranio impoverito (Du)?
E, soprattutto, come non ricordare il lager della baia di Guantanamo? Da
oltre un anno centinaia di prigionieri, accusati di complicita' con Al Qaeda
al di fuori di qualsiasi procedura legale, sono detenuti in condizioni
disumane che suscitano orrore. I suicidi sono gia' numerosi. A queste
persone e' stato negato persino lo status giuridico di prigionieri. Ed e' di
questi giorni la notizia che la Corte federale di appello americana alla
quale alcuni detenuti si erano rivolti, ha respinto le loro domande. In
flagrante complicita' con l'amministrazione Bush, la Corte ha sostenuto di
non avere competenza giurisdizionale, essendo Guantanamo una base militare
esterna al territorio degli Stati Uniti.
Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti perche' gli Stati Uniti si sono
accaniti contro la Corte penale internazionale e continuano a sabotarne
preventivamente l'attivita' giurisdizionale. Come ha scritto Antonio Cassese
("Repubblica", 24 marzo) il loro timore non e' tanto per i soldati, quanto
per i leader politici e i vertici militari, che possono essere perseguiti
per crimini di guerra o contro l'umanita'. Se quella Corte riuscira' mai ad
entrare in funzione, dovra' occuparsi a tempo pieno delle responsabilita'
penali dell'intera amministrazione Bush, a cominciare da Donald Rumsfeld che
oggi si atteggia a giustiziere.
E' una farsa tragica, una simulazione sfrontata, una crudele parodia della
giustizia internazionale.
5. DOCUMENTAZIONE. ELETTRA DEIANA: INTERVENTO IN PARLAMENTO DEL 19 MARZO
2003
[Riceviamo e diffondiamo questo intervento di Elettra Deiana (per contatti:
deiana_e@camera.it), parlamentare, da sempre impegnata per la pace e i
diritti]
Signor Presidente, onorevoli colleghi,
questa guerra, come hanno gia' ricordato altri colleghi, non ha nulla a che
vedere con le ragioni che sono state accampate da Bush per giustificarla e
che il governo Berlusconi ripete pedissequamente contro ogni logica ed
evidenza. Non c'entrano le armi di distruzione di massa, che forse ci sono
o, molto probabilmente, non ci sono. Non c'entra l'efferatezza del regime,
che sicuramente c'e'. Non c'entra nulla comunque. Non c'entra nulla il
terrorismo internazionale.
L'idea neocoloniale e sopraffattrice di mettere ordine nel mondo, di
"esportare la democrazia" sulla punta delle baionette moderne all'uranio
impoverito rappresenta, in realta', l'involucro ideologico di un piano
politico-militare molto preciso: l'Iraq deve diventare un protettorato
americano, lo ha ripetuto anche ieri il portavoce della Casa Bianca,
Fleischer, dicendo ai giornalisti che, se anche il rais se ne andasse in
esilio, le truppe americane dovrebbero ugualmente intervenire in Iraq per
rimettere in ordine le cose e "garantire la pace e la sicurezza".
Siamo di fronte ad una gigantesca operazione di penetrazione statunitense
nel continente asiatico, ad un processo di destabilizzazione e disgregazione
degli assetti statuali dell'Asia centrale, che e' il vero grande tema di
politica internazionale attorno al quale dovremmo discutere. Si discute,
invece, delle fandonie di Bush e delle fandonie di Berlusconi, dimenticando
di fare i conti con quanto e' gia' successo in quell'area del mondo, a
cominciare dall'Afghanistan, prima tappa di questo processo che ha permesso
di mettere sotto occupazione militare statunitense larga parte dell'Asia
centrale. Questa guerra va ben oltre la stessa questione - peraltro non
irrilevante - dei pozzi petroliferi: mira al dominio unilaterale del mondo
attraverso la superiorita' militare assoluta di cui godono gli Stati Uniti
d'America.
E' il progetto americano del nuovo ordine mondiale, lungamente dibattuto in
tutte le salse negli ambienti militari statunitensi, che oggi si manifesta
in tutta la sua portata e violenza. Un progetto incubato lungamente negli
anni novanta, interpretato diversamente a seconda di chi occupasse la Casa
Bianca. Le guerre del decennio degli anni novanta sono figlie di questa
incubazione. Oggi, Bush ha reso radicale e inequivocabile quel progetto e,
come tutti i personaggi animati da forte vocazione fondamentalistica, come
e' lui, lo ha esplicitato, sottraendogli l'involucro di ogni ipocrisia,
appalesandolo in tutta la sua devastante violenza.
Con la guerra di Bush contro l'Iraq e' diventato evidente che l'idea della
guerra preventiva e duratura, della supremazia militare permanente, del
potere di decisione unilaterale, costituisce la bussola strategica della
politica estera statunitense del nuovo secolo. Gli interessi immediati della
superpotenza, il controllo diretto delle risorse energetiche e quelli di
lunga durata - appunto il nuovo ordine mondiale - sono stati posti al mondo
con brutale evidenza.
E' per questa ragione che l'Europa e' andata in crisi, perche' qualcuno, in
Europa, ha cominciato a preoccuparsi di una dinamica politica che, se non
verra' contrastata, ridurra' l'Europa al ruolo di giullare dell'imperatore,
a quel ruolo che gia' oggi Blair, Aznar e Berlusconi in vario modo hanno
giocato sulla scena pubblica. Cosi' si spiega la crisi della stessa Nato e
dell'Onu e si spiegano le resistenze di governi di paesi con grandi
difficolta' economiche che, tuttavia, non si sono voluti piegare all'indegna
"campagna di acquisti" organizzata da Bush per assicurarsi la maggioranza
nel Consiglio di Sicurezza.
L'Onu, la Nato, l'Europa entrano in fibrillazione perche' la pretesa degli
Stati Uniti di dettare legge, di fare ordine, di giudicare e punire, mette
in allarme il mondo. Ed e' per questa ragione che si e' registrata una cosi'
vasta insorgenza dell'opinione pubblica contraria alla guerra e si sono
mescolati movimenti, soggetti, culture, storie diverse di donne e di uomini
accomunati da un no alla guerra che non ha precedenti nella storia per
vastita', ostinazione, intensita'. Che cosa desta preoccupazione, che cosa
inquieta le coscienze oggi? I bombardamenti sulle citta' irachene? I
terribili cosiddetti "effetti collaterali"? La sofferenza degli inermi?
Certamente tutto questo, ma anche lo scombussolamento di ogni riferimento
internazionale, la percezione del rischio che un baratro si e' aperto di
fronte a noi. Questa guerra, infatti, per la sua intrinseca natura di
laboratorio della nuova dottrina militare americana, di prova generale della
guerra preventiva di lunga durata che l'amministrazione Bush ha promesso al
mondo per i prossimi trent'anni, comporta la deflagrazione e l'azzeramento
di quell'ordine internazionale faticosamente costruito dopo la catastrofe
della seconda guerra mondiale.
Ordine certamente imperfetto, deficitario, contraddittorio quanto vogliamo,
ma ancorato ad un'idea grande che la guerra fosse un disastro da non
ripetere piu', che la costruzione del diritto internazionale fosse un bene
da difendere ed irrobustire, che l'Onu fosse uno strumento di mediazione
essenziale e necessaria per garantire la convivenza tra i popoli del mondo.
Tutto questo, oggi, costituisce, invece, per l'amministrazione Bush, un
inutile ingombro, lacci e lacciuoli da spezzare, come sta facendo George W.
Bush. Guerra criminale, dunque, questa, cari signori del governo, come
giustamente l'ha definita anche il papa, guerra criminale perche' massacra i
corpi inermi di donne e uomini, uccide ogni legalita' e mina alle radici la
convivenza tra i popoli; un aspetto che non e' stato sottolineato
sufficientemente. Essa, infatti, rischia di aprire un solco enorme tra
l'occidente ed il mondo islamico, di fomentare quella terribile dinamica di
scontro tra civilta' che sta diventando o rischia di diventare sempre piu'
l'elemento sovraordinatore del contesto internazionale.
Voi, signori del governo, avete certamente i numeri per assicurarvi, in
questa sede, l'appoggio al vostro si' alla guerra, al vostro si' al
coinvolgimento diretto dell'Italia in questa infame avventura
internazionale, all'assenso all'uso delle basi e dei cieli da parte degli
Stati Uniti. D'altra parte, lo avete gia' fatto mettendo a disposizione
l'intero nostro paese per i traffici di morte degli Stati Uniti d'America.
Ma sara' un voto di cui noi non riconosceremo la legittimita', perche' non
basta la maggioranza per prendere questo tipo di decisioni. Bisogna stare
alla Costituzione che conferisce legittimazione ad ogni decisione che parli
della pace e della guerra.
La violazione dell'articolo 11 non potrebbe essere piu' evidente di fronte
ad una relazione come quella del Presidente del Consiglio. E piu' evidente
non potrebbe essere la pretestuosita' del richiamo alla volonta' popolare di
cui si nutre tradizionalmente la propaganda mediatica del Presidente del
Consiglio. Non e' forse di dominio pubblico, confermato dai sondaggi, dalle
mobilitazioni costanti, da due milioni e mezzo di bandiere per la pace che
sventolano in ogni dove, che la stragrande maggioranza della popolazione di
questo paese, la guerra proprio non la vuole? Volonta' popolare e spirito
costituzionale vanno, su questo punto, insieme, in maniera straordinaria, e
forse al premier Berlusconi, questo, fa proprio paura, e della volonta'
popolare ha deciso di infischiarsene o di ingannarla grottescamente,
continuando a raccontare la favola del suo impegno per la pace, mentre il
Segretario di Stato americano rende pubblica la lista dei volenterosi e gli
Stati Uniti d'America ci annoverano tra i paesi amici.
Per questo, continueremo a chiedere conto di ogni vostra azione di guerra,
di ogni vostro atto di guerra, e a batterci in Parlamento e nel paese contro
la vostra cortigianeria bellicistica che coinvolge l'Italia in un'avventura
moralmente indegna e politicamente squalificata.
6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: FRA CORPI E PAROLE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 marzo 2003. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, e ' una delle piu' prestigiose intellettuali
femministe italiane]
Sorpresa, la guerra cade sui corpi: li offende, li uccide, li ferisce, li
amputa. Donald Rumsfeld e' contrariato e invoca contro Al Jazeera la
convenzione di Ginevra - la stessa che gli Stati Uniti hanno stracciato a
Guantanamo, ma lasciamo perdere. Mi chiedo se Rumsfeld e tutti quelli
contrariati come lui ci sono o ci fanno, come dicono a Roma.
Davvero contavano che il corpo del reato potesse restare occultato? Davvero
pensavano che in tempi di cavi e satelliti la strategia del
bombardamento-spettacolo concordata con la Cnn, fuochi d'artificio sui
palazzi di Baghdad che crollano senza che un solo corpo imbratti di sangue
la geometrica potenza delle bombe intelligenti, potesse regnare
indisturbata? Solito errore di valutazione di una globalizzazione vista solo
dall'alto del potere, politico e mediatico. In basso, invece, le
informazioni circolano altrimenti e anarchicamente. E il corpo, eterno
rimosso della politica e della guerra che vorrebbe esserne la continuazione,
irrompe sulla scena e la stravolge.
Non solo per questa irruzione del corpo fallira' la strategia
dell'immaginario allestita a sostegno dell'attacco preventivo all'Iraq. La
quale consiste, con tutta evidenza, nell'estrarre dall'inconscio americano
il ricordo dell'icona totale delle Torri Gemelle tranciate dagli
aerei-cyborg di Al Quaeda, sostituendola con l'icona more shocking and awing
dei funghi di fuoco sullo sky-line di Baghdad: come fa il dentista quando ti
toglie un dente che fa male e ti ci piazza sopra una bella capsula, ne' piu'
ne' meno, altro che elaborazione della ferita dell'11 settembre. Ma non
funzionera', perche' il film che si gira nel cielo sopra Baghdad e' una
copia cattiva di quello girato a suo tempo nel cielo sopra Manhattan, e non
ha lo stesso effetto. Una prova?
Allora il mondo rimase, come si disse, senza parole: alla lettera, nel senso
che mancavano le parole per dire lo spiazzamento, lo sgomento di fronte
all'immaginario che si faceva realta', lo stordimento di fronte a un mondo
globale che repentinamente ci si rivelava da una prospettiva capovolta.
Adesso invece le parole ce le abbiamo, perche' per quanto possano essere
suonare insufficienti fanno parte, tuttavia, di un archivio noto. Nel suo
orrore che si presenta ogni volta diverso, la guerra mantiene comunque una
sua dose costante di ripetizione che affligge senza spiazzare e senza
sorprendere. Anche da qui si vede che Bush ha preso una strada sbagliata:
quella di imbrigliare nella ripetizione cieca un mondo in tumultuoso
mutamento che domandava l'invenzione di parole nuove.
Quelle che spuntano adesso dal fragore della guerra che coincide col
collasso della politica, non sempre convincono. Prendiamo il discorso, che
sta diventando un tormentone, sull'occidente diviso fra le due sponde
dell'Atlantico, con la Vecchia Europa regno di Venere e Kant di qua e la
Nuova America bushiana regno di Marte e Hobbes di la', secondo le ormai note
metafore correnti. Tutto vero se, di nuovo, guardiamo la situazione solo dal
punto dei poteri e dei governi.
Ma se rovesciamo il cono e lo guardiamo dalla base, ecco che fra le due
sponde dell'oceano si rincorrono nuove rispondenze. Un esempio vicino
vicino, l'articolo di Judith Butler pubblicato sul "Manifesto" di ieri. Che
implicitamente tracciava un ponte non solo fra il movimento no-war americano
e quello europeo, ma fra la crisi della legalita' democratica americana e
quella, per dirne una, italiana. Certo, l'amministrazione Bush non e' il
governo Berlusconi, ma la cifra dell'illegalita' eretta a sistema e' la
stessa.
Implacabilmente, sotto la crosta dell'esportazione armata della democrazia,
quello che la crisi mondiale ci mette di fronte e' la malattia della
democrazia: la sua febbre alta di oggi, ma anche il virus violento che
alligna nella sua origine. Quello che Martin Scorsese ha messo a fuoco nel
suo Gangs of New York, specchio del tempo che l'establishment di Hollywood
ha creduto bene di chiudere in un armadio, come si fa con gli scheletri piu'
scomodi.
7. DOCUMENTAZIONE. WALTER PERUZZI: EDITORIALE DI "GUERRE & PACE" N. 98
[Da Walter Peruzzi riceviamo e diffondiamo l'editoriale che apparira' sul n.
98 della rivista "Guerre & pace" (per contatti: e-mail:
wa.peruzzi@tiscali.it, sito: www.mercatiesplosivi.com/guerrepace). Walter
Peruzzi e' un apprezzato studioso e attivista pacifista, dirige il mensile
"Guerre & pace" che e' una delle piu' interessanti riviste di informazione e
riflessione sui temi della guerra e della pace. Come e' noto, non ci
persuadono certe semplificazioni e forzature; e dispiace la mancata
percezione della nonviolenza, del suo ruolo e del suo significato a nostro
modesto avviso decisivi, in questo frangente piu' che mai]
Il grande movimento per la pace - il piu' grande, plurale e globale mai
visto - ha gia' ottenuto risultati importanti, fino a pochi mesi fa
inimmaginabili. E' cresciuto impetuosamente e ha esteso i consensi senza
perdere, anzi aumentando, in radicalita'. In Italia e' riuscito ad unire la
litigiosa opposizione portandola in piazza di peso e ha costretto il governo
a sgattaiolare all'italiana ("solidali" ma "non belligeranti") nel tentativo
di evitare l'ira di Bush e quella degli elettori. Nel mondo ha contribuito a
isolare gli aggressori, costringendoli a rinviare per mesi la guerra, a
intraprenderla senza e contro la comunita' internazionale, perfino a
cambiarne la "ragione sociale".
Bandita pudicamente come "disarmo forzoso" di Saddam voluto dall'Onu e
iniziata con il dichiarato proposito di rovesciare un regime e stabilire un
protettorato militare (come l'Onu espressamente vieta), l'invasione e' stata
riclassificata in corso d'opera "guerra di liberazione" dell'Iraq e dei
kurdi - o meglio di quanto ne restera' dopo aver raso al suolo un intero
paese.
Guardati a vista da un'opinione pubblica ostile, gli strateghi Usa hanno
dovuto fare inoltre (o fingere) bombardamenti "mirati" con missili zigzanti
attraverso Baghdad in modo da colpire solo il dittatore e schivare i civili.
*
"Liberatori" e mercenari
Bollettini, veline e mercenari dell'informazione hanno cercato naturalmente
di accreditare la favoletta dei "liberatori" accolti da folle festanti e da
iracheni con la bandiera bianca. Salvo poi lamentare che almeno in alcuni
casi si trattasse di un "trucco" per mascherare un agguato. Dal 20 al 23
marzo ci hanno dato e smentito a ripetizione la notizia di citta' irachene
"liberate" mentre soldati iracheni (sempre gli stessi) continuavano a
sfilare arrendendosi davanti alle telecamere. Salvo gridare alla ferocia di
Saddam quando ha mandato in Tv i prigionieri Usa e invocare per loro quelle
Convenzioni di Ginevra che Bush ha negato ai 3.000 prigioneri afghani
assassinati a freddo a Dasht Leili o a quelli mostrati (e torturati) nelle
gabbie di Guantanamo.
Incredibili personaggi come Belpietro e Guzzanti, Ferrara e Feltri per non
dir di Schifani ci hanno "venduto" l'aggressione all'Iraq come una
riedizione dello sbarco in Sicilia del 1943 e, dopo aver tuonato fino a ieri
perche' la sinistra italiana aveva ospitato il "terrorista" Ocalan, si sono
scoperti fans della causa kurda. Altri si sono levati a condannare la
"sfacciata indipendenza" della Francia, dimentica che solo gli Usa ci
difendono "da Stati folli e criminali" (Sofri) e allargano con le bombe "il
perimetro delle nostre liberta'" (Berlusconi).
Tutti ci hanno avvertito, come Biancheri su "La Stampa", che se poteva
essere lecito dissentire dalla guerra "prima", a guerra ormai cominciata e'
doveroso marciare uniti dietro il democratico (anche se criminale) Bush
contro il sanguinario, anche se "tecnicamentre aggredito", dittatore
iracheno.
*
Il ruolo strategico delle basi
Ma il movimento non ha abboccato. Ha continuato e continua a scendere
testardamente in piazza. Negli Usa sfida gli arresti di massa praticati
dalla "piu' grande democrazia del mondo". In Italia chiede a governo e capo
dello stato di rispettare non in modo tartufesco ma reale l'art. 11 della
Costituzione, condannando la guerra di Bush e negandogli le basi.
Questa richiesta e' fondamentale perche' puo' contribuire non solo a
"fermare" il conflitto in corso ma a rimettere in discussione la presenza
sul nostro territorio di uno strumento cruciale per la politica di guerra e
di dominio globale degli Stati Uniti.
Le basi, come ha scritto Zoltan Grossman (v. "G&P", n. 92), non sono
soltanto il mezzo di cui gli Stati Uniti si servono nelle loro guerre. Sono
prima ancora lo scopo di esse. In altre parole gli obiettivi strategici
delle guerre condotte dagli Usa nell'ultimo decennio e di quella attuale -
cioe' il controllo delle risorse energetiche, il riassetto di intere regioni
in senso funzionale ai loro interessi e l'imposizione di una egemonia
globale - non potrebbero essere perseguiti se, a conclusione di ogni
conflitto, gli Usa non lasciassero sul terreno i soldati e le basi (la
cosiddetta "presenza militare avanzata") necessari per controllare regioni
"dove non hanno appoggi politici o in cui possono dover contrastare una
concorrenza economica". Le basi, disseminate insieme ad accordi militari e a
governi fantoccio dall'Europa occidentale ai Balcani, dal Golfo alle
repubbliche asiatiche ex-sovietiche e all'Afghanistan, sono le "pistole
fumanti" puntate contro i popoli e gli "stati canaglia" per governare la
globalizzazione. Prodotto delle guerre passate, sono premessa-promessa di
quelle future.
*
La rottura dell'ordine internazionale
Semmai il dato rilevante, messo in evidenza dalla crisi e della guerra in
atto, e' che tali pistole sono puntate anche contro i tradizionali partner
europei e gli altri alleati. Quel presidio dei territori che poteva essere o
sembrare esercitato dagli Usa a "comune" vantaggio dei paesi capitalisti e
imperialisti appare oggi sempre piu' esclusivamente funzionale al loro
dominio e a quello delle loro multinazionali.
E' tale "svolta" - cui da anni lavorano gli attuali consiglieri della Casa
bianca (come conferma un loro documento diffuso e ritirato nel 1992) e che
oggi e' stata esplicitata con la teoria e con la pratica della guerra
unilaterale preventiva - ad aver prodotto la rottura dell'ordine mondiale,
del diritto internazionale, dell'Onu e la stessa crisi dell'egemonia
statunitense. Il "veto" della Francia ne e' solo l'effetto, non la causa,
contrariamente a quanto vorrebbe far credere il lustrascarpe di Arcore. Che
Francia, Germania, Russia, Cina, gli altri paesi che Bush non e' riuscito a
comprare o la Chiesa abbiano "tenuto", negando alla guerra l'ombrello
dell'Onu e trascinando con se' la stessa dirigenza moderata dell'Ulivo, e'
per un verso frutto delle pressioni del popolo della pace, per altro verso
ne ha favorito l'allargamento. Mostra in ogni caso quanto sia profondo, in
un momento di crisi economica e di contestazione sociale della
globalizzazione, il conflitto di interessi fra i diversi agenti capitalisti
e imperialisti, fra diversi stati e settori delle classi dominanti (v.
"G&P", n. 97).
*
Il pacifismo dei popoli e quello dei governi
Naturalmente i gruppi dirigenti e gli uomini politici europei contrari alla
guerra (da Chirac a D'Alema o Andreotti) non si sono "convertiti" al
pacifismo. Ma si trovano a dover convergere temporaneamente coi pacifisti
nell'invocare il diritto internazionale e nel denunciare l'arrogante
unilateralismo Usa se vogliono cercare di costruire l'Europa come soggetto
capitalista autonomo contro il tentativo di ridurla a una insignificante
congerie di stati-clienti. Al tempo stesso essi stanno gia' cercando di
utilizzare le difficolta' degli Usa e la stessa spinta pacifista per
ricontrattare da posizioni di forza nuovi spazi e per "ricucire" l'unita'
(della Nato e dell'Onu) nella gestione del dopoguerra e delle politiche
neoliberiste. Indicativo, al riguardo, il comportamento della Germania, che
dice "no" alla guerra e "si" all'uso delle basi.
Ma la "ricucitura" non andrebbe certo a vantaggio dei popoli e non puo'
essere quindi l'obiettivo del movimento, che dovra' invece intensificare la
sua radicale opposizione alla guerra e la sua pressione per un'Europa
sociale, contribuendo cosi' non a ricomporre ma ad aggravare le divisioni in
atto e con cio' a indebolire l'egemonia degli Stati uniti e il loro ordine
mondiale.
*
Gettiamo le basi, gettiamo Berlusconi
Elemento specificamente italiano dentro la battaglia per "fermare" la guerra
e' la richiesta che l'Italia condanni l'aggressione all'Iraq e revochi ad
essa ogni appoggio, compreso l'uso "passivo" delle basi Usa-Nato.
Questa richiesta non potra' non caratterizzare, come sta gia' avvenendo,
tutte le manifestazioni per la pace, da cui Berlusconi ha giustamente detto
di non attendersi "niente di buono" (per lui...), gli scioperi e le fermate
sul lavoro, i boicottaggi, le occupazioni delle scuole, le piu' diverse
forme di disobbedienza, ivi compreso il blocco dei luoghi della politica e
delle istituzioni, fino a costringere il governo (e il "silente" capo dello
stato) a mutare radicalmente politica o a pagare un prezzo molto alto, in
termini di consenso popolare e di "governabilita'" del paese. Fino a
provocarne, se non cambia rotta, la crisi. Questo e' il primo obiettivo.
La mobilitazione contro l'uso delle basi offre pero' anche l'occasione, come
si e' gia' detto, di far comprendere la necessita' della loro definitiva
eliminazione dal nostro territorio. Questo obiettivo strategico, essenziale
per costruire un'Europa "autonoma" dal predominio Usa, e' stato lanciato
gia' alcuni anni fa dalla campagna "gettiamo le basi" (v. "G&P", n. 50).
Oggi va ripreso con forza perche' puo' essere condiviso assai piu'
largamente, sia per il contesto politico favorevole, sia per l'aumentata
consapevolezza che basi come quelle di Aviano o della Sardegna sono una
minaccia anche per l'ambiente, la sovranita' e la salute dei cittadini.
8. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: DOPO
[Dalla rivista elettronica di Riccardo Orioles (per contatti:
riccardoorioles@libero.it), "Tanto per abbaiare", n. 171 del 24 marzo 2003,
riportiamo questo articolo. Riccardo Orioles, giornalista eccellente,
militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo
Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del
settimanale "Avvenimenti", ha formato al giornalismo d'inchiesta e di
impegno civile moltissimi giovani. Tra le persone che abbiamo avuto la
fortuna di conoscere e' un esempio pressoche' unico di rigore morale e
intellettuale (e quindi di limpido impegno politico). Attualmente svolge la
sua attivitą giornalistica prevalentemente scrivendo e diffondendo una
e-zine nella rete telematica, "Tanto per abbaiare", richiedibile
gratuitamente. Opere di Riccardo Orioles: i suoi scritti e interventi sono
pressoche' tutti dispersi in periodici e varie piccole e piccolissime
pubblicazioni; e sarebbe invece di grande utilita' raccoglierne in volume
una adeguata scelta e dare ad essi un'ampia diffusione (costituirebbe un
valido strumento di riflessione e di lotta per tutte le persone impegnate
per la democrazia e i diritti); per gli utenti della rete telematica vi e'
la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo
stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra
sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni
di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e
culturale, giornalistici e letterari. Attendiamo ancora che un editore ne
faccia un libro - come dire: cartaceo - che possa raggiungere una
concretamente piu' vasta area di lettori (i tanti non utenti di internet);
come "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo abbiamo ristampato in
opuscolo anni fa due suoi interventi: Gattopardi e garibaldini, Viterbo
1992; e L'esperienza de "I Siciliani", Viterbo 1998. Opere su Riccardo
Orioles: due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando
Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini
perbene (Einaudi, Torino 1999)]
Dopo. Americani isolati, aiutati solo dagli inglesi (con l'appendice
australiana) e da 200 polacchi. Pero' anche americani coesi - il riflesso
patriottico e' scattato come programmato - e molto piu' a destra di prima.
Seppellito definitivamente Roosevelt e anche la dottrina del "mondo libero"
anni '50-'60. Impero e basta, ancorche' popolare. La motivazione profonda
non e' stata il petrolio (oggetto di speculazioni private ma non di un
incoercibile interesse nazionale) ma questo scatto "imperiale" ormai maturo.
"Delenda Carthago", e poi la Grecia e l'Asia e il "pane e giochi". Questo,
naturalmente, rende - come si sente gia' da un paio d'anni - obsoleta la
vecchia democrazia.
Nella zona: l'Iran vince la sua antichissima guerra con Bagdad e diventa la
potenza della regione. Possiede adesso interessi comuni con la Turchia e,
come questa e probabilmente insieme a questa, ha le capacita' e gli
strumenti ideologici (islamismo sofisticato, eterodosso e moderno) per
unificare sul serio, col tempo, l'intera area "islamica".
Crollo del rapporto turco-americano (agli Usa i curdi servono) e di riflesso
di quello, importantissimo in questi anni, turco-israeliano.
Anche per cio', impegno diretto americano nella zona. Costretti a rimanere
in Iraq. Costretti pero' anche a importarvi un qualche rudimento
"democratico" (McArthur) che esercitera' appeal sui ceti medi attualmente
sotto dittatura nei regni/regimi "filoccidentali" (in particolare nella
penisola). Parallelo e contrastante richiamo (stavolta non fanatico ma
credibile e "ragionevole") dell'Iran o dell'asse turco-iraniano. Crisi a
breve di uno o piu' di quei regni/regimi, evoluzione in alcuni casi
"democratica" e filoamericana, in altri popolare e panaraba. In ogni caso,
ostilita' verso l'"Occidente" di tutti gli arabi (nessuno escluso, neanche i
"filoamericani") per le prossime due o tre generazioni. Abbassamento e
cronicizzazione del terrorismo. Pulizia etnica in Palestina.
L'Onu non muore affatto: cambia di ruolo. Da cinghia di trasmissione del
"mondo libero" con alla testa gli Usa, diventa camera di compensazione di
tutti gli interessi anti-americani o anche semplicemente non-americani. Nel
caso peggiore (per gli Usa) potrebbe anche diventare il luogo dell'alleanza
di fatto fra Europa, Russia e Cina.
Europa: spostamento "a sinistra" molto netto, probabile crisi o comunque
forte indebolimento delle componenti "di destra" (Inghilterra, Spagna e
Italia) con possibili riflessi a breve sulla tenuta dei governi. Non so se
sto usando "destra" e "sinistra" in senso politico-sociale o
politico-nazionale: ma non cambia molto. In ogni caso, il centrosinistra sta
tornando al potere in Europa, ma molto piu' consapevole e incattivito.
Fine di ogni residua velleita' di grande politica da parte inglese (si
chiude il ciclo delle Falkland, stranamente durato piu' di vent'anni).
Fine anche delle velleita' mitteleuropee, di ost-politik ecc. da parte
tedesca: gli europei nuovi sono tranquillamente americani (la Slovacchia
come il Kirghizistan), e dunque non sono affatto europei ma semplicemente
"occidentali", qualunque cosa significhi questa strana parola. L'Europa,
esattamente come prima, finisce a Berlino, Salonicco e Vienna. La sua
politica naturale, ora come ora, e' esattamente quella di De Gaulle: buoni
rapporti con Cina e Russia, ostilita' per l'America, buone parole al Terzo
Mondo.
*
E noi? Intanto, in Italia, abbiamo ottenuto un successo enorme. Abbiamo
fermato la spedizione italiana in Iraq (a cui il governo non avrebbe fatto
la minima obiezione se non avesse avuto contro il 70 per cento dei
sondaggi), abbiamo dunque salvato la vita di non sappiamo quanti
concittadini e l'immagine umana del Paese. Questo dobbiamo pensarlo per
prima cosa: non e' vero che "le manifestazioni non servono a niente".
Al contrario, da esse il governo e' stato costretto a fermarsi su una
classica posizione "andreottiana" ("l'Italia insulta il nemico dal balcone
di casa sua") molto lontana dal cowboysmo iniziale. Di questa moderata
posizione finale va dato correttamente atto al governo: partito per
aggredire la Costituzione, alla fine ne e' rimasto - a mio parere - entro i
limiti formali, sia pure pagando un tributo al senso del ridicolo di ogni
osservatore neutrale. Il transito per le basi non e' un peccato di questo
governo, ma il frutto "bipartisan" dell'esistenza stessa di esse: che prima
erano basi straniere in Italia, ma ora sono basi straniere in Europa.
*
Una vittoria nostra, ripetiamo, su cui bisognera' costruire, a partire
dall'immediato, il futuro.
"Nostra", di chi? Ah, questo lo sento benissimo con le emozioni ma non
riesco ad esprimerlo in parole. E' nata finalmente la sinistra, questo e'
certo: non un movimento qualunque, uno dei tanti, ma "il" successore del
vecchio movimento operaio e socialista che per tante generazioni ci ha
accompagnato, che avra' avuto i suoi errori ma che, nel complesso, ha
incivilito e umanizzato il Paese. La nuova bandiera rossa, adesso e' la
bandiera della pace: non perche' essa sia di un partito (chi ha voglia di
partiti, adesso?) ma proprio perche' non lo e'.
Come la vecchia bandiera rossa del primo movimento operaio, essa non esprime
affatto un partito preciso, un'organizzazione, una setta: ma un'ansia di
cambiamento, una gioventu' speranzosa, dei valori, che non sono "di"
sinistra ma sono "la" sinistra stessa. E come tali, a un certo momento
(questo momento) vengono riconosciuti spontaneamente da tutti. E' li' che
cambia la storia, che termina il libro vecchio e se ne apre un altro da
scrivere, tutto nuovo.
A questa nuova bandiera auguriamo di raccogliere tanti dolori, tante
speranze e tanta umanita' sulla sua strada quanti ne raccolse - nel suo
cammino lunghissimo - la vecchia; ma, a differenza di quest'ultima, di non
essere mai sporcata da nessuno.
*
Abbiamo tanto parlato male dell'America, nei discorsi da bar di questi
tempi, che ci siamo scordati degli americani in carne e ossa, quelli veri.
E' stata un'americana, una ragazza di ventitre' anni che si chiamava
Rachele, la prima a morire lottando in questa guerra. Lottava dalla parte
giusta, non contro altri esseri umani ma per difendere delle persone; e non
aveva armi, ma il suo semplice corpo vivente. L'ha interposto fra i
bulldozer di un esercito e le povere case e vite che esso voleva sgretolare,
a Gaza, dentro un ghetto: ed e' morta cosi', difendendo.
Pensiamo alla ragazza Rachele, quando parliamo dell'America, in questi
giorni. Perche' l'America e' lei, non i fantasmi sanguinosi che ora vanno in
giro a mietere con la falce.
9. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI: UNA DATA PER NON DIMENTICARE
[Ringraziamo Augusto Cavadi per averci messo a disposizione questo suo
articolo apparso nell'edizione palermitana de "La repubblica" il 20 marzo
2003. Augusto Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica,
impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda
ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll.,
Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri
educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione
profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola
1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998;
Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998,
seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di
storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999;
Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica,
Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]
Quasi ogni data del calendario e' ormai diventata un anniversario luttuoso
perche' uno, dieci o venti anni prima qualche cittadino onesto e' caduta
vittima della violenza mafiosa per il solo fatto di essere onesto. La
moltiplicazione delle ricorrenze ha finito, inevitabilmente, con
l'inflazionarle: non puo' scandalizzare dunque il fatto che manifestazioni
civili e celebrazioni religiose attirino sempre meno persone desiderose di
esprimere memoria, gratitudine e impegno. Ne' sarebbe meglio se si operasse
una sorta di gerarchia dei martiri, riservando ad alcuni la dignita' del
ricordo e lasciando inabissare gli altri nell'oscurita' dell'oblio: il
magistrato merita piu' riconoscenza della guardia carceraria, il politico
piu' del giornalista, il prete piu' del funzionario amministrativo? E chi
privilegiare fra il commissario di polizia e l'imprenditore ribelle al
racket?
Per evitare questi e simili inconvenienti, Libera - l'associazione di
associazioni (e di singoli cittadini) fortemente voluta da don Luigi Ciotti
da Torino per evidenziare la portata nazionale della questione mafiosa, e
radicata in tante zone della Sicilia - da alcuni anni porta avanti una
proposta saggia e proficua: concentrare in una sola data, il 21 marzo, la
memoria di tutte le vittime della lotta contro il sistema di potere mafioso.
In quella giornata - non a caso l'inizio della primavera - ragazzi e ragazze
di tutto il Paese vengono convocati in una citta' (quest'anno Modena) e
invitati a partecipare a iniziative che li aiutino a conoscere e ad
apprezzare quelle personalita' e quelle vicende che, per ragioni
anagrafiche, sfuggirebbero del tutto alla loro considerazione. Ed anche
quest'anno numerosi saranno gli studenti, anche giovanissimi, che
partiranno da vari Comuni isolani per vedere, vivere e raccontare al ritorno
la loro esperienza a chi e' rimasto a casa.
E' facile inanellare, una dopo l'altra, critiche e riserve su appuntamenti
come questi. Ma sono pertinenti solo a proposito di quelle scuole, o di
quelle classi, che si limitano a fare antimafia affittando pullman e
preparando striscioni. Diverso il caso di quegli insegnanti - e, ancor piu',
di quelle comunita' scolastiche - che approfittano del 21 marzo per
sottolineare un impegno educativo progettuale, metodico, quotidiano teso a
formare una coscienza civile e democratica. Probabilmente si tratta di casi
isolati, focolai di resistenza in controtendenza rispetto alla
"normalizzazione" in corso: ma, per fortuna, esistono e possono diventare
modello per altre esperienze pedagogiche e didattiche.
"Ricordati di ricordare/ coloro che caddero/ lottando per costruire/
un'altra storia/ e un'altra terra/ ricordali uno per uno/ perche' il
silenzio/ non chiuda per sempre/ la bocca dei morti/ e dove non e' arrivata
la giustizia/ arrivi la memoria/ e sia piu' forte/ della polvere/ e della
complicita'": cosi' inizia quella bella composizione lirica di Umberto
Santino con cui si chiude il "quaderno" del Centro Peppino Impastato
"Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal
1893 al 1994". La memoria puo' scadere a sterile esercizio archeologico, ma
puo' essere anche - secondo l'espressione di un teologo contemporaneo -
"sovversiva". E, se stiamo attenti a cio' che ci circonda, possiamo
trovare - accanto a motivi di scoraggiamento per il contesto ancora dominato
dalla dittatura mafiosa - anche piccoli episodi che autorizzano, quanti non
abbiano gettato la spugna, a perseverare. Un trafiletto di qualche mese fa,
ad esempio, raccontava un episodio marginale, ma non per questo
trascurabile, avvenuto a Corleone. Tre pregiudicati avevano rapinato un
benzinaio ed erano fuggiti con la cassa, ma i carabinieri - anche grazie
alla pronta collaborazione di alcuni ragazzini che indicavano la direzione
di marcia e l'abbigliamento dei banditi - sono riusciti a raggiungerli e ad
arrestarli. Qualche anno fa sarebbe successo? Tra le pieghe della cronaca
riluce qualche sprazzo di speranza? Forse la chiusa della poesia di Santino
non e' solo bella, ma anche vera: "Ricordati di ricordare/ quanto piu'
difficile e' il cammino/ e la meta piu' lontana/ perche'/ le mani dei vivi/
e le mani dei morti/ aprono la strada".
10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 556 del 4 aprile 2003