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La nonviolenza e' in cammino. 548



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 548 del 27 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. Movimento Nonviolento, no alla guerra
2. Peppe Sini, una lettera ai Sindaci nel territorio dei cui Comuni si
trovano basi militari statunitensi e Nato
3. Andrea Fiorentino, l'esperienza di "Parents' Circle"
4. Giuristi democratici, il diritto contro la guerra
5. Sinodo delle chiese valdesi e metodiste: vi scongiuriamo di abbandonare
questa strada
6. Maria G. Di Rienzo, continuiamo a farci domande
7. Judith Butler: noi, gli "antipatrioti"
8. Ida Dominijanni presenta Judith Butler
9. Giovanni Mandorino, una lettera al Presidente della Repubblica
sull'espulsione di cittadini e diplomatici iracheni
10. Tre interventi di Amnesty International
11. La scomparsa di Luciano Della Mea
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. APPELLI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: NO ALLA GUERRA
[Riceviamo, diffondiamo ed invitiamo tutti i nostri interlocutori a
diffondere questo appello del Movimento Nonviolento. Per informazioni e
contatti: Movimento Nonviolento, c/o Casa per la nonviolenza, via Spagna 8,
37123 Verona, e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org]
No alla guerra, sia essa giusta, santa, umanitaria, chirurgica, difensiva,
offensiva, legittima, illegittima o preventiva.
La guerra, fatta da chiunque, per qualunque motivo, con qualsiasi arma, e'
sempre e comunque il piu' grande crimine contro l'umanita'.
L'unica via di salvezza e' la nonviolenza attiva, che significa:
- non collaborare in alcun modo con l'apparato militare;
- promuovere dal basso il disarmo unilaterale, integrale, assoluto,
immediato;
- abolire gli eserciti e sostituirli con la polizia internazionale e i corpi
civili di pace.
Anche tu puoi aiutare la nonviolenza organizzata a crescere, nel modo che ti
e' possibile:
- esporre al balcone la bandiera della pace e della nonviolenza;
- aderire alla campagna di obiezione dei cittadini "Scelgo la nonviolenza";
- approfondire la cultura, l'educazione, la formazione alla nonviolenza;
- attuare l'obiezione di coscienza alle spese e al servizio militare;
- partecipare ad azioni nonviolente, di boicottaggio e disobbedienza civile;
- diffondere la stampa e sostenere i movimenti nonviolenti;
- praticare la sobrieta', ridurre i consumi con scelte critiche e
responsabili (cibo, televisione, benzina...), per cambiare stile di vita.
Mai piu' eserciti e guerre.

2. APPELLI. PEPPE SINI: UNA LETTERA AI SINDACI NEL TERRITORIO DEI CUI COMUNI
SI TROVANO BASI MILITARI STATUNITENSI E NATO
[Questa lettera aperta e' stata diffusa ieri dal responsabile del "Centro di
ricerca per la pace" di Viterbo. Invitiamo i nostri lettori a riprodurla ed
inviarla ai sindaci ed ai consiglieri comunali del Comuni che ospitano basi
militari statunitensi e Nato]
L'ora della scelta: voi potete, voi dovete fermare la macchina bellica
Egregi signori,
la tragedia in corso impone anche a voi una scelta non piu' rinviabile.
*
Dovete scegliere
Dovete scegliere se esser fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana
cui fedelta' avete giurato e nel cui nome esercitate la vostra funzione
pubblica; o se essere complici della guerra terrorista e stragista,
criminale e criminogena, che sta uccidendo migliaia di persone, ne sta
straziando milioni, e mette in pericolo di annientamento l'umanita' intera.
Dovete scegliere se essere fedeli alla legge del vostro paese che coincide
in questo caso con quella della coscienza di ogni essere umano, ed opporvi
alla guerra; o tradire tutto cio' che nell'essere umano vale, ed essere
complici della guerra e delle stragi.
Dovete scegliere. Ed agire di conseguenza.
*
Voi avete un potere grande
Voi avete un potere grande: la legge italiana vi da' il potere di
intervenire con provvedimenti coattivi a difesa degli abitanti e del
territorio del vostro Comune: oggi difendendo i vostri concittadini e il
vostro territorio voi potete difendere l'umanita' intera.
La legge vi da' un potere grande: voi avete il potere di bloccare e
interdire qualunque attivita' nel territorio del vostro Comune metta in
pericolo persone e ambiente.
Voi avete un potere grande. E' il momento di usarlo.
*
Voi potete, voi dovete
Nel vostro territorio sono presenti basi militari di potenze e di alleanze
di cui fanno parte potenze impegnate in una guerra alla quale l'Italia non
solo non puo' partecipare per obbligo di legge, ma alla quale per obbligo di
legge deve opporsi con la massima energia. Voi dovete rispettare la legge,
voi dovete applicarla nel vostro ambito territoriale per quanto di vostra
specifica competenza.
Voi potete emettere un'ordinanza che vieti ogni attivita' delle basi
militari americane e Nato collocate nel vostro territorio.
Voi potete, voi dovete.
Voi potete emettere un'ordinanza che imponga la cessazione di ogni attivita'
e lo smantellamento di ogni struttura presente nel territorio del vostro
Comune che metta in pericolo vite umane. E le attivita' e strutture militari
di potenze straniere e di alleanze inclusive di potenze straniere impegnate
in una guerra illegale e criminale, stragista e terrorista, costituiscono
reato e corpo di reato, delitto e fonte di delitto, crimine e organizzazione
criminale.
Voi potete, voi dovete.
Con una vostra ordinanza voi potete imporre la cessazione di ogni attivita'
assassina, con una vostra ordinanza che difenda la popolazione e il
territorio del vostro Comune, e con essi l'umanita' intera e l'intero
pianeta, e con essi la Costituzione italiana e il diritto internazionale, e
con essi la legge non scritta ma incisa nel fondo della coscienza di ogni
persona: non uccidere.
Voi potete, voi dovete.
*
Fatelo subito
Fatelo. Fatelo subito. Questo vostro gesto di ripristino della legalita'
costituzionale italiana violata dai golpisti complici della guerra, questo
vostro gesto di fedelta' alle leggi e alla coscienza, questo vostro gesto
puo' avere un impatto decisivo nel contrastare la macchina bellica stragista
e terrorista.
Fatelo. Fatelo subito. Ve ne prego dal profondo del cuore.
Fatelo. Fatelo subito. Che non dobbiate domani trovarvi sul banco degli
imputati dei tribunali italiani come complici dei golpisti e dei crimini di
guerra e contro l'umanita' di cui la guerra consiste.
Fatelo. Fatelo subito. Ve ne prego dal profondo del cuore.
Fatelo. Fatelo subito. Contribuite a fermare la macchina bellica.
Contribuite a salvare l'umanita'.
Fatelo. Fatelo subito. Ve ne prego dal profondo del cuore.

3. ESPERIENZE. ANDREA FIORENTINO: L'ESPERIENZA DI "PARENTS' CIRCLE"
[Ringraziamo Andrea Fiorentino (per contatti:
brigitte.moretti@tiscalinet.it) per questo intervento. Andrea Fiorentino e
Brigitte Moretti sono da sempre impegnati in iniziative di pace e di
solidarieta', per i diritti umani e dei popoli; sono tra i promotori
dell'esperienza degli incontri di accostamento alla nonviolenza che si
svolgono periodicamente ad Amelia]
Il 23 dicembre 2002 ha avuto luogo in Campidoglio a Roma un incontro con
alcuni rappresentanti di Parents' Circle. L'incontro rientrava fra le
iniziative dell'Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma, che ha
deciso di sostenere la campagna di informazione e sensibilizzazione "Hello,
Shalom. Stop shooting, start talking" promossa dal Forum per la Pace del
Parents' Circle. Ho avuto la possibilita' di partecipare a tale incontro e
quindi, dopo la breve presentazione dell'associazione redatta dal Comune di
Roma per l'invito, aggiungero' alcune considerazioni ed osservazioni
personali.
*
Parents' Circle e' un'associazione non-profit, fondata nel 1995 da Yitzhak
Frankenthal, a seguito del rapimento e dell'uccisione di suo figlio Arik, da
parte di Hamas, nel 1994.
Parents' Circle rappresenta un gruppo di genitori di famiglie che hanno
perso i loro cari a seguito del conflitto israelo-palestinese.
Parents' Circle ha promosso il Forum per la Pace dei Familiari delle vittime
Israelo-Palestinesi, che raggruppa oltre 200 famiglie israeliane e oltre 190
famiglie palestinesi. Tutte le famiglie hanno accettato i principi e gli
obiettivi del Forum.
I principi del Forum:
- Preferire la pace ed il negoziato quali strumenti per conseguire le
legittime aspirazioni degli Israeliani e dei Palestinesi.
- Promuovere la dignita' degli individui, la loro liberta', il loro
benessere, la loro sicurezza e la loro prosperita', prima di altri valori,
quale quello territoriale.
- Lottare per la riconciliazione e per una pace durevole tra Israeliani e
Palestinesi.
*
L'associazione promuove incontri, seminari e conferenze che favoriscano ed
inducano al dialogo ed esercita pressione sulle autorita' competenti, sia
israeliane che palestinesi, affinche' si proceda sulla strada che conduce ad
una pace duratura.
Lo sforzo maggiore e' impegnato nella campagna "Hello Peace", che consiste
in un numero telefonico gratuito, chiamando il quale si viene messi in
condizione di comunicare e condividere con altri i propri sentimenti, le
proprie paure e le proprie aspettative. Il telefono e' aperto alle famiglie
israeliane e palestinesi; quando chiama un israeliano viene messo in
contatto con un palestinese, e quando chiama un palestinese viene messo in
contatto con un israeliano. I membri dell'associazione ritengono che
parlarsi e conoscersi aiuti a superare quelle barriere che ostacolano la
reciproca comprensione.
Attualmente l'associazione, anche a causa delle difficolta' di movimento e
comunicazione nei territori occupati, vede nei ruoli di coordinamento
prevalentemente israeliani; ma alla domanda specifica su tale disparita', i
rappresentanti si sono detti consapevoli di cio' ed hanno espresso la
volonta' di modificare tale assetto.
Uno degli aspetti che mi ha colpito ed allo stesso tempo positivamente
impressionato e' che Yitzhak Frankenthal non e', ne' si presenta, come un
"pacifista di principio", ma come qualcuno che ha raggiunto la convinzione
che l'unica strada da percorrere per arrivare ad una soluzione della crisi
israelo-palestinese sia quella che passa attraverso il dialogo, la reciproca
comprensione, il riconoscimento degli altrui diritti ed una soluzione
negoziata politicamente.
Un altro aspetto importante (sottolineato anche dagli esponenti di "Semi di
Pace in Medio Oriente", con i quali si e' tenuto un altro incontro
patrocinato dal Comune di Roma, in febbraio) riguarda cio' che viene chiesto
a chi si trova qui, lontano e fuori dagli scenari della crisi: fondamentale
e' il sostegno, non solo economico, che si puo' fornire a queste
associazioni, diffonderne la conoscenza, cercare di mantenere con loro dei
rapporti, non farli sentire isolati e/o abbandonati a loro stessi.
A tale proposito vorrei spendere anch'io una parola in merito al
boicottaggio delle universita' israeliane proposto da alcuni docenti
italiani: il boicottaggio e' un'azione che va indirizzata verso degli
obiettivi precisi che hanno responsabilita' nelle situazioni che si vogliono
contrastare. Nelle universita' sono presenti ed attivi la maggior parte dei
movimenti e delle persone che in Israele agiscono per promuovere la pace;
boicottare le universita' significa danneggiare la parte che si dice di
voler sostenere, mettendo in condizioni di isolamento internazionale persone
che gia' tanto faticano per portare avanti i propri progetti ed inducendo
magari alcuni a rivedere le loro attuali posizioni.
Sosteniamo i pacifisti palestinesi e israeliani. Non lasciamoli soli.

4. MATERIALI. GIURISTI DEMOCRATICI: IL DIRITTO CONTRO LA GUERRA
[Da varie persone amiche - che ringraziamo - abbiamo ricevuto, e volentieri
diffondiamo, questo documento redatto nel marzo 2003 e gia' pubblicato sul
sito: www.giuristidemocratici.it. Per informazioni, suggerimenti e contatti:
giuristidemocratici@yahoogroups.com]
"E' certamente realistico pensare che le moderne tecniche belliche non
consentano decisioni democratiche riguardo alla guerra. Ma allora la guerra
diventa incompatibile con un ordinamento democratico e pluralistico; e
allora o la democrazia impedira' la guerra o la guerra distruggera' la
democrazia" (Pietro Pinna [primo obiettore di coscienza al servizio militare
in Italia]).
*
- Art. 11 della della Costituzione della Repubblica Italiana: "L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in
condizioni di parita' con gli altri stati, alle limitazioni di sovranita'
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo".
- Art. 1, comma I, dello Statuto delle Nazioni Unite: "I fini delle Nazioni
Unite sono:
1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine:
prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce
alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni
della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformita' ai principi
della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione
delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare
ad una violazione della pace".
- Art. 2, comma IV, dello Statuto delle Nazioni Unite: "I membri devono
astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso
della forza, sia contro l'integrita' territoriale o l'indipendenza politica
di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini
delle Nazioni Unite".
- Art. 1 del Trattato Nato: "Le parti si impegnano, in ottemperanza alla
Carta delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi
controversia internazionale nella quale possano essere implicate, in modo da
non mettere in pericolo la pace, la sicurezza e la giustizia internazionali,
e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia
o all'impiego della forza in modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni
Unite".
La guerra come tale, e con esclusione della guerra di difesa, non e'
consentita ne' dai principi del diritto internazionale, ne' dalla Carta
dell'Onu, ne' dal Trattato Nato, ne', infine, dalla Costituzione italiana
che, come e' noto, all'art. 11 ripudia espressamente la guerra come
strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali.
*
Il valore della memoria
"Noi, popoli delle nazioni unite,
decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per
due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni
all'umanita', a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo,
nella dignita' e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei
diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a
creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi
derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale
possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un piu'
elevato tenore di vita in una piu' ampia liberta', e per tali fini a
praticare la tolleranza ed a vivere in pace l'uno con l'altro in rapporti di
buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza
internazionale, ad assicurare, mediante l'accettazione di principi e
l'istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sara' usata, salvo che
nell'interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere
il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di
unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini.
Di conseguenza, i nostri rispettivi governi, per mezzo dei loro
rappresentanti riuniti nella citta' di San Francisco e muniti di pieni
poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno concordato il presente
Statuto delle Nazioni Unite ed istituiscono con cio' un'organizzazione
internazionale che sara' denominata le Nazioni Unite" (Preambolo delle
Nazioni Unite).
*
All'indomani della fine dei conflitti mondiali, che hanno insanguinato la
nostra epoca, emerge chiaramente la volonta' di non considerare mai piu' la
guerra come strumento per la risoluzione delle controversie tra Stati.
Tutti gli articoli citati hanno il comune denominatore di stabilire che
qualora dovessero nascere contrasti che possano pregiudicare la pace e la
sicurezza internazionale, e' dovere di tutti ricorrere a soluzioni tramite
l'uso di strumenti pacifici concordemente scelti dagli Stati; lo stesso art.
33.1 della Carta delle Nazioni Unite prevede che le parti di una
controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo
il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono,
anzitutto, perseguire una soluzione mediante negoziati, inchieste,
mediazioni, conciliazioni, arbitrati, regolamenti giudiziali, ricorsi ad
organizzazioni o accordi regionali, o altri mezzi pacifici di loro scelta.
*
No alla guerra come difesa preventiva
Sentiamo molto parlare di guerra in funzione preventiva, e subito
ricolleghiamo questo concetto alle giustificazioni addotte per legittimare
un attacco all'Iraq. Analizzando la questione si nota come, in realta', per
una tale affermazione non sia riscontrabile alcun genere di fondamento
giuridico in nessuna norma del diritto internazionale.
Infatti, l'art. 2 comma 4 dello Statuto delle Nazioni Unite, che sancisce,
come visto, il divieto di minaccia o di uso della forza, e' norma
consuetudinaria: cio' significa che le sue disposizioni vincolano
universalmente non solo gli Stati membri dell'Onu, ma anche tutti gli altri
Stati poiche' imposte dalla coscienza comune e generalizzata.
Non e' limitante in tal senso la definizione in senso stretto di Stato, in
quanto e' pacifico che questo articolo si riferisca alle vicende che possano
interessare qualsiasi soggetto internazionale, indipendentemente dalla sua
qualificazione propria come Stato.
E' importante osservare come il divieto di ricorrere alla forza quale
strumento di risoluzione delle controversie internazionali, si estenda non
solo all'uso della forza, ma anche alla semplice minaccia.
Anche in questo caso, delimitare in modo chiaro cosa si intenda per minaccia
dell'uso della forza non e' compito agevole.
Si ritiene che possa costituire minaccia, l'ultimatum dato da uno Stato ad
un altro sulla possibilita' di ricorrere all'utilizzazione di armamenti:
pertanto, nell'attuale crisi irachena, e' la stessa condotta degli Stati
Uniti, laddove prevede la minaccia di ricorrere all'uso delle armi, che
contravviene al divieto imposto dall'art. 2.
La stessa coercizione economica e politica (ad esempio l'embargo adottato
nei confronti di Cuba e dell'Iraq) e' stata spesso interpretata da molti
Stati membri delle Nazioni Unite come rientrante all'interno della nozione
di forza.
In sintesi l'ordinamento internazionale non prevede l'uso della forza in via
preventiva ne' da parte di singoli Stati, ne' da parte della stessa
Comunita' internazionale.
*
La guerra come legittima difesa
Al fine di giustificare la guerra, viene invocato il ricorso all'art. 51
dello Statuto delle Nazioni Unite, relativo al diritto di legittima difesa.
L'eccezione principale al divieto di uso della forza in questo articolo, e'
quella che detta: "Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il
diritto naturale di legittima difesa individuale o collettiva", purche' essa
sia a fondamento di un'aggressione armata di terzi e fino a quando il
Consiglio non abbia preso le opportune misure per preservare la pace e la
sicurezza collettive.
Questo rappresenterebbe la garanzia di poter intervenire in ogni momento a
difesa di un diritto che e' indissolubile e di cui i soggetti non possono
essere spogliati. Il diritto di legittima difesa e' cosi' radicato nel
sentire internazionale da doverlo considerare addirittura immanente, "fuso"
con la condizione stessa di Stato.
La legittima difesa si presenta pero' come una misura di carattere
eccezionale, la quale deve essere necessaria, proporzionale all'aggressione
subita ed immediata.
Il requisito della necessita' non compare nel testo dello Statuto, ma e'
direttamente ricavabile laddove si dice che lo Stato puo' intervenire
fintantoche' il Consiglio di Sicurezza non adottera' le misure necessarie al
ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale.
E' allora chiaro che l'azione dei singoli Stati e, in seguito, del Consiglio
di Sicurezza e' resa necessaria dalla situazione di pericolo; in nessun caso
pero' si puo' parlare di diritto di legittima difesa, in presenza di una
semplice minaccia di uso della forza, ne' quando ci si trovi di fronte ad
un'aggressione indiretta che non implica il ricorso alle armi.
La difesa risulta poi essere legittima solo fino a quando sia proporzionale
ed in questo senso deve concretizzarsi in una risposta volta ad evitare
danni ulteriori e proporzionata al danno inizialmente subito. Una volta che
non sussistano dubbi sulla legittimita' di poter intervenire, va compiuta
un'analisi sulle misure che effettivamente vanno adottate nel caso concreto.
Perche' la risposta possa rientrare nella legittimita', e' allora
indispensabile che la difesa condotta dallo Stato non ecceda l'offesa da
quello stesso subita.
L'obiettivo e' che si raggiunga una simmetria di effetti tra l'attacco
subito e quello adottato come contromisura.
Questo non significa che lo Stato debba impiegare lo stesso tipo di forza e
nemmeno che la difesa debba essere esattamente equivalente al danno subito.
Per considerare se una risposta e' stata proporzionata o meno all'attacco
subito, si deve fare un confronto fra i mezzi difensivi a disposizione
dell'aggredito e quelli effettivamente usati.
L'immediatezza della risposta dello Stato sta ad indicare che la difesa deve
avvenire quando l'attacco armato sia gia' stato sferrato, o come reazione
immediata, ma non puo' mai sfociare in rappresaglia, ad un attacco appena
terminato. Cio' che, infatti, distingue la legittima difesa e la
rappresaglia e' il carattere dell'immediatezza.
La legittima difesa per natura, prevede che il tempo intercorrente tra
l'attacco subito e la risposta sferrata sia minimo. La rappresaglia invece,
e' caratterizzata da uno scopo puramente punitivo, che conduce all'adozione
di misure studiate e preparate, con la volonta' di ridurre l'avversario in
una situazione di non pericolosita'. L'esempio della guerra del 2001 contro
l'Afghanistan, e' tipico della volonta' di compiere una rappresaglia ai
danni di uno Stato per il quale non vi e' mai stata la certezza del
coinvolgimento.
E' dunque responsabile lo Stato che abbia, per primo, fatto ricorso ad uno
degli atti che l'Unione stessa prevede come da inserire nell'elenco degli
atti di aggressione. L'illecito, inoltre, deve essere caratterizzato
dall'uso della forza. Non ogni tipo di illecito quindi giustifica il ricorso
alla forza per legittima difesa. Ai sensi dell'articolo 51, infatti, per
poter reagire, lo Stato deve essere vittima di un attacco armato, ossia di
un atto d'offesa militare diretto contro uno qualsiasi dei territori da esso
controllati.
*
Decisioni del Consiglio di Sicurezza
Il Consiglio di Sicurezza e' formato da 5 membri permanenti che sono: la
Repubblica di Cina, la Federazione Russa, Francia, Gran Bretagna e Stati
Uniti. A questi vanno aggiunti i membri non permanenti che, a rotazione e
per un periodo di due anni, entrano a fare parte di tale organo. A tale
proposito si pone il problema della riforma dello stesso nella sua
composizione permanente: e' necessario trovare nuove forme che ne
garantiscano il recupero della credibilita', efficienza, rappresentativita'
e democraticita'. L'attuale composizione, infatti, che e' scaturita a
seguito della seconda guerra mondiale, risulta portatrice di specifici
interessi economici e di istanze di superati equilibri politici.
Le decisioni sulle questioni importanti, come appunto il mantenimento della
pace e della sicurezza internazionale, oltre ad essere di esclusiva
competenza del Consiglio, devono essere prese a maggioranza di due terzi dei
membri presenti e votanti, compresi tutti i membri permanenti. Questo
significa che a questi ultimi spetta un diritto di veto che impedisce
l'adozione di qualsivoglia risoluzione in caso di loro dissenso.
Il centro intorno al quale ruota il fondamento giuridico e' dato dal Cap.
VII della Carta, che prevede le azioni che possono essere prese dalle
Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale.
Il Consiglio deve anzitutto accertare, come sua competenza esclusiva,
l'esistenza di una minaccia alla pace o di una violazione della pace, o di
un atto di aggressione. Di conseguenza esso puo', ai sensi dell'art.39 della
Carta, non solo fare raccomandazioni o decidere misure non implicanti l'uso
della forza (art. 41) ma intraprendere, se le misure previste dall'art. 41
risultino inadeguate, con forze aeree, navali, o terrestri "ogni azione che
sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale..." (art. 42). Inoltre, l'applicazione dell'art. 41 da parte
del Consiglio non e' obbligatoria, sebbene abbia riscontrato l'esistenza
delle condizioni previste dall'art. 39.
D'altro canto, anche se e' stata presa la decisione di applicare delle
sanzioni, il Consiglio ha poteri discrezionali nel determinarne l'estensione
in conformita' con l'art. 41: spetta, infatti, al Consiglio valutare
l'imminenza e la gravita' della minaccia alla pace mondiale, cosi' come la
natura e l'estensione della violazione commessa dallo Stato.
*
L'alternativa nelle misure non implicanti l'uso della forza
Chiarito che l'eventualita' di una minaccia alla pace deve essere accertata
dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in base all'art. 39, rimane
da analizzare cosa accade nel caso in cui l'accertamento dia esito positivo;
in questa ipotesi, il Consiglio puo' scegliere se assumere i relativi
provvedimenti tramite l'invito alle parti ad ottemperare alle misure
provvisorie ovvero adottare raccomandazioni o direttive implicanti o meno
l'uso della forza armata.
Le misure provvisorie, che vengono adottate dal Consiglio di Sicurezza sulla
base dell'art. 40, sono quelle ritenute utili ai fini di evitare
aggravamenti di situazioni che possano poi compromettere la pace o
comportare una turbativa dell'ordine mondiale.
In questa stessa ottica sono emesse le raccomandazioni, ossia inviti privi
di conseguenze sanzionatorie, con i quali si richiede allo Stato in
questione di uniformarsi alla volonta' espressa dal Consiglio di Sicurezza
al fine appunto di non pregiudicare la pace mondiale. Vari sono gli esempi
di questo tipo:
- il "cessate il fuoco";
- le richieste di non appoggio a parti in lotta in una guerra (sia civile
sia internazionale);
- gli appelli alla tregua, all'armistizio, al rilascio di prigionieri di
guerra, al ritiro delle truppe regolari;
- gli appelli alla conclusione di convenzioni militari.
Per l'attuazione delle misure provvisorie possono essere istituiti organi di
controllo, quali missioni o gruppi di osservatori, che vigilino sul rispetto
delle decisioni Onu.
L'art. 41 prevede invece la possibilita', per il Consiglio di Sicurezza, di
adottare misure non implicanti l'uso della forza bellica; queste, che
possono assumere le vesti di decisioni e risultare cosi' obbligatorie,
ovvero di raccomandazioni ed essere quindi meri inviti, possono consistere
in:
- sanzioni economiche;
- non riconoscimento di situazioni illegittime (per esempio l'annessione del
Kuwait da parte dell'Iraq nel 1991);
- condanna morale della Comunita' Internazionale.
*
L'uso legittimo della forza nel diritto internazionale
Azioni militari possono essere intraprese se le misure non implicanti l'uso
della forza bellica siano, o siano risultate, inadeguate al mantenimento o
ristabilimento della pace o della sicurezza internazionale.
E' pero' prevista un'ampia discrezionalita' nel valutare l'inadeguatezza
delle misure previste dall'art. 41; infatti, il Consiglio non e' tenuto
all'obbligo formale del previo esaurimento delle misure non implicanti l'uso
della forza.
Le azioni esercitabili possono o essere dirette verso uno Stato che abbia
violato la sovranita' territoriale di un altro Stato, ovvero direttamente
all'interno di uno Stato, se ci si trovi di fronte ad una guerra civile la
cui gravita' minacci la sicurezza internazionale.
In teoria le azioni militari avrebbero dovuto essere condotte da una forza
armata internazionale messa a disposizione del Consiglio, ma questa, per le
resistenze di vari Stati, non si e' mai costituita. L'azione di tutela della
pace e della sicurezza e' pero' stata esercitata con l'invio dei cosiddetti
Caschi Blu, i quali sono forze armate che pero' non possono svolgere azioni
belliche, ma limitarsi all'uso della forza solo nel caso di legittima
difesa.
*
La posizione dell'Unione Europea
Sembra rilevante evidenziare, all'interno del panorama europeo, la mancanza
di presa di posizione univoca da parte dell'Unione Europea e degli Stati che
ne fanno parte sulla questione irachena; al contrario, la spaccatura, che
sempre piu' profondamente si viene aprendo, sottolinea una breccia
manchevolmente lasciata aperta dal legislatore europeo proprio all'indomani
dell'approvazione della Carta Europea dei Diritti.
Manca in essa, infatti, qualsiasi riferimento alla priorita' della pace nei
Trattati Costitutivi.
Questa indeterminatezza lascia pertanto aperta a contrasti e decisioni non
univoche la scelta dei vari Stati membri, e contribuisce in maniera
allarmante all'impotenza europea nel panorama internazionale, proprio quando
la stessa potrebbe acquisire un peso di fondamentale importanza nei
meccanismi di pace.
Le differenze di posizioni si delineano cosi': Francia e Germania ritengono
che il mandato agli ispettori, come previsto nella Risoluzione Onu n. 1441
del 2002 non sia ancora stato eseguito e che vada pertanto proseguita la
strada delle ispezioni rafforzate fino ad ottenere il disarmo dell'Iraq.
Dall'altra, Gran Bretagna e Spagna, in appoggio alle decisioni assunte dagli
Stati Uniti, sono determinate a ripristinare la pace internazionale e la
sicurezza dell'area, agendo sulla base del Capitolo VII della Carta delle
Nazioni Unite, ossia tramite l'uso della forza.

5. APPELLI. SINODO DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE: VI SCONGIURIAMO DI
ABBANDONARE QUESTA STRADA
[Dal pastore valdese Arrigo Bonnes (per contatti:
arrigo.bonnes@fastwebnet.it) riceviamo e diffondamo questo appello del
sinodo delle chiese valdesi e metodiste]
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito in sessione
straordinaria a Torre Pellice il 22-23 marzo 2003, ha approvato il seguente
documento:
Mai si era verificata una cosi' vasta opposizione ad una guerra in ogni
parte del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva raccolto un consenso cosi'
unanime in chiese di ogni confessione e di ogni paese. Eppure la guerra e'
stata scatenata da chi ha voluto imporre una soluzione di forza umiliando le
Nazioni Unite e calpestando il diritto internazionale. Di fronte a questa
decisione, foriera di ulteriore isolamento per chi, avendola presa, per
primo la subisce, noi riaffermiamo la nostra solidarieta' con il popolo
degli Stati Uniti d'America.
Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda ferita
inferta a tutto l'Occidente. Cosi' come non abbiamo dimenticato il 6 giugno
1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle spiagge del
nostro continente per la comune liberta'. E non abbiamo dimenticato le
radici culturali, religiose, politiche che legano indissolubilmente i nostri
due continenti. Ma proprio in base a questa solidarieta' che riaffermiamo
nel momento della lacerazione, vogliamo rivolgere un appello al popolo
statunitense e ai suoi governanti, anzitutto a quanti fra loro accostano
troppo facilmente il nome di Dio alla guerra.
Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesu' chiama beati i
mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si adoperano per
la pace (Mt 5, 5-6.9); insegna ad anteporre al culto la riconciliazione con
l'avversario (5, 23-26); indica nell'amore per i nemici lo straordinario del
comportamento cristiano (5, 43-47). Guardatevi dunque, nel passare
dall'etica individuale ad un programma politico, dal contraddire e
stravolgere del tutto questo insegnamento, inventando una missione di
repressione del male con l'uso della violenza preventiva, catturando dalla
vostra parte un "Dio che non e' neutrale", accorciando indebitamente la
distanza incommensurabile che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is
55, 9).
E al di la' di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di
abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il capitale
di solidarieta' accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in un vicolo
cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei popoli l'egemonia
di una potenza che decide cio' che e' bene e cio' che e' male, in un
pericoloso miscuglio di ideali religiosi e di interessi politici, e impone
le sue decisioni con la forza.
E' una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non puo' che produrre una
crescente instabilita' e non puo' non avvitarsi in una spirale di guerre
continue. Il dittatore iracheno e' certo uno dei piu' sanguinari e odiosi
tra quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia. Ma ce ne sono
altri ugualmente odiosi e forse piu' pericolosi. Andrete avanti per questa
strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi, di dare ascolto alla
voce delle vostre chiese che con tanta forza si oppongono a questo
indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso delle nazioni
ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per contribuire a
rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e globale di una
governabilita' nella giustizia e percio' nella stabilita'.
Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della nostra
non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel perseguire la pace
e tutti, da questa parte dell'Atlantico come dall'altra, abbiamo contribuito
a seminare nei due terzi del mondo semi di risentimento e di odio con
politiche coloniali vecchie e nuove di rapina e di sfruttamento.
Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a Dio
nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre chiese, in
un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei combattimenti, per
l'accoglienza delle vittime, per la ricostruzione futura quando poi le armi
taceranno.

6. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: CONTINUIAMO A FARCI DOMANDE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Sono sicura che e' capitato anche a voi: un amico vi ha chiesto un consiglio
su un argomento qualsiasi, e voi vi siete trovate/i a dire cose che vi hanno
sorpreso. Avete esposto soluzioni ed idee in maniera chiara, coerente e
profonda, con una saggezza che non sospettavate di avere. E' molto probabile
che il vostro amico, senza saperlo, vi abbia posto una "domanda chiave", e
che voi abbiate fatto affermazioni del tipo: "Potro' non essere d'accordo
con l'opzione che sceglierai, e tuttavia continuero' ad amarti e a
rispettare le tue scelte".
Nel lavoro per il cambiamento sociale potete allo stesso modo dire: "Io vedo
questo, ma sicuramente non vedo la situazione attraverso i tuoi occhi.
Pensiamo ad un'alternativa che possa incontrare entrambi i nostri bisogni.
Anche se le nostre opinioni differiscono, io ti rispetto e lavorero' con te
per trovare il modo migliore di gestire la cosa". Fate attenzione: questo
non significa che voi vi dimenticherete delle vostre preferenze od opinioni
e le metterete da parte. Cio' sarebbe assai poco rispettoso verso voi
stessi. Significa invece che porrete le vostre opinioni in modo che esse non
blocchino il dialogo e che esplorerete le alternative rispetto a cio' che
desiderate ottenere.
*
Cosa serve
- Creare il rispetto.
Il procedere per "domande chiave" e' un modo di parlare con le altre
persone, le quali sono sicuramente differenti da voi, cercando un terreno
comune. Cio' richiede un senso base di rispetto in chi pone le domande, che
tende ad indurlo in chi risponde. In ogni cuore umano c'e' dell'ambiguita',
in ogni sistema di valori ci sono parti che non funzionano, percio' il
vostro lavoro non e' quello di giudicare le risposte, ma di far scaturire
dalle persone il potenziale per il cambiamento. Il procedere per "domande
chiave" assume che sia io sia il mio "avversario" vogliamo fare meglio cio'
che stiamo facendo, e che sia possibile trovare un terreno comune attraverso
il dialogo.
- Ascoltare il dolore.
Saper ascoltare la sofferenza e' una delle cose piu' importanti che gli
attivisti per il cambiamento sociale possono fare. Significa sentirla con il
cuore, e non negare la sua realta'. Questo richiede coraggio, perche'
potreste dovervi confrontare con il vostro stesso senso di impotenza, con il
vostro stesso dolore, con la tentazione di usare qualsiasi mezzo perche' la
sofferenza cessi.
Quando siete di fronte al dolore altrui, e' essenziale che diate ad esso la
vostra piena attenzione, come se la vita di qualcuno dipendesse da cio'. Non
commettete l'errore di considerarla una faccenda "personale" di chi lo
esprime, e quindi non legata al collettivo, ne' quello di sprofondare nella
vertigine della sofferenza per empatia. Siate pazienti con voi stessi e con
chi sta soffrendo: ascoltare e' avere cura. Avere cura e' un passo verso la
guarigione. Cercate strade attraverso le quali ci si possa muovere oltre il
dolore, senza dimenticarlo, ma senza essere diretti da esso.
- Tradurre i sogni in azione.
Il sistema politico e sociale dal quale proveniamo e' caratterizzato da una
sorta di "pensiero cinico" da mostrare in pubblico, per essere considerati
maturi, capaci, pragmatici, ecc. Questo non solo maschera a stento terrori e
desideri, ma non e' stato neanche efficace nel renderci apatici. Ad esempio,
io non vedo apatia nei miei concittadini e nelle mie concittadine, vedo la
profonda paura di essere "troppo" coinvolti/e, ed il timore di essere
delusi/e. Vedo gente che riceve informazioni sul mondo in modo passivo ed
isolato, e che ha paura di perdere cio' che ha se si muove oltre la
passivita' e l'isolamento. Vedo persone che hanno perso il contatto con le
abitudini relative alla loro liberta'. Vedo persone che vorrebbero avere
relazioni migliori con se stessi, con i loro familiari, e con la societa' in
cui vivono. E so che il cambiamento sociale, anche quello piu' desiderato,
e' sempre uno shock, poiche' ne implica altri a lungo termine, ed in diversi
settori della vita, e nelle istituzioni, ecc.
*
Ci sono veramente pochi modi in cui possiamo mostrare di aver cura del mondo
senza rischiare di essere repressi o manipolati in una campagna a favore
dell'ego straripante di un "leader" o di qualche specifico settore politico.
Abbiamo imparato a sospettare, perche' ci e' gia' successo di entrare nei
gruppi e di non essere ascoltate/i, di ricevere assicurazioni dai politici
che non si sono realizzate, e cosi' via. Ma possiamo e dobbiamo continuare
ad agire. Dobbiamo accettare la responsabilita' per quello che facciamo, o
che non facciamo, e che ha comunque impatto sul pianeta che tutte/i
condividiamo. Siamo coinvolte/i anche quando scegliamo di sedere ai margini
della scena, perche' consumiamo risorse, abbiamo relazioni, desideriamo
conseguire degli scopi.
Non c'e' modo per evitare il coinvolgimento. Allora la domanda da farsi e':
"Come possiamo essere coinvolte/i in maniera migliore di questa?". Possiamo
cominciare a porre "domande chiave" e a praticare un ascolto profondo e
dinamico ove le soluzioni al problema abbiano limiti solo nella nostra
immaginazione. I nostri vicini di casa, i nostri colleghi di lavoro, i
nostri amici hanno informazioni importanti da darci. Quando ascoltiamo con
il cuore, dove la nostra intelligenza ed il nostro coraggio risplendono,
possiamo liberare i nostri sogni, e tradurli in azione.
*
Ma ha gia' funzionato?
Si'. Gli attivisti e le attiviste hanno cominciato a ripulire il Gange in
questo modo, facendosi delle domande: "Cosa vedi quando guardi il fiume?",
"Come spieghi ai tuoi bambini le condizioni del fiume?", "Come ti senti
rispetto a questa situazione?". La questione non era nei termini "il fiume
e' inquinato", ma nei termini "noi, le persone, non abbiamo abbastanza cura
del fiume". Poiche' il Gange e' un corso d'acqua sacro, dire alla gente del
luogo "e' inquinato" sarebbe equivalso a dire ad un occidentale "figlio di
puttana", ovvero avrebbe creato reazione e resistenza. Inoltre,
l'inquinamento e' un concetto astratto, che facilmente rimuove la
responsabilita' delle persone (infatti, biasimiamo simbolicamente il fiume:
santo cielo, e' pieno di spazzatura! Ma mica se l'e' buttata dentro da
solo...).
Si e' detto a questi attivisti che la missione era impossibile. Essi hanno
risposto che era solo questione di tempo: sapevano che ce ne sarebbe voluto
molto, percio' hanno cominciato a preparare il lavoro per la prossima
generazione, ponendo la domanda: "Come stai educando i tuoi bambini rispetto
alla pulizia del fiume?". E 800 bimbi e bimbe sedettero sulle rive del
Gange, disegnando cio' che vedevano per renderne edotti altri. Ogni anno,
questo "concorso di disegno" si ripete. Il seme e' piantato, altre risposte
nasceranno.
In Australia, un gruppo di attivisti preoccupato per il piano idroelettrico
di Ravenshoe, nel Queensland, comincio' il proprio lavoro con l'ascoltare le
preoccupazioni, le opinioni e le idee degli abitanti del luogo mediante 30
"domande chiave". Come ricorda Bryan Law, membro del gruppo organizzatore:
"All'inizio, chiunque aveva risposto al nostro appello e si era seduto
attorno al tavolo chiese da che parte stavamo. Il dibattito mediatico aveva
gia' deciso che si trattava di una questione o/o. Noi avevamo concordato
che, sebbene ciascuno nel gruppo avesse le proprie opinioni al proposito,
come gruppo saremmo stati imparziali. Volevamo ascoltare tutte le parti in
causa. Quando spiegammo questo, le persone si aprirono, e condivisero con
noi cosa pensavano e provavano".
L'ultimo esempio che vi faccio e' storia di questi giorni. Non menzionero'
il nome dell'attivista coinvolta, poiche' lei non lo desidera, ma sono
autorizzata a raccontare l'episodio di cui e' stata protagonista. Convinta
che l'ascolto attivo e le "domande chiave" siano dei potenti attrezzi per il
cambiamento, questa signora di mezza eta' si e' munita di penna e taccuino
ed ha cominciato a suonare i campanelli delle case, chiedendo: "Quale e' il
problema piu' grande che il mondo affronta in questi giorni, secondo lei?",
"Quali potrebbero essere secondo lei le conseguenze di una guerra
all'Iraq?", "Che cosa puo' rendere il mondo sicuro per tutti?". Non si
tratta, come vedete, di domande particolarmente dinamiche, ma sono "aperte"
e invitano ad approfondire la riflessione.
Messi nel conto i "non ho tempo" e le porte sbattute, cio' che lascio' senza
parole la nostra amica fu la reazione molto rude di un uomo che si mise ad
urlare: "No, no, no! Se ne vada, sono domande ridicole!". Pochi minuti dopo,
mentre usciva da un'altra casa che l'aveva accolta, si trovo' di fronte lo
stesso individuo, che la aspettava a braccia conserte. "Che cosa si
aspettava da me? - le domando' - Sono spiacente di averla trattata cosi', ma
io non posso farci niente, cosa posso fare contro una guerra, io?". La donna
si rese conto di aver toccato un punto sensibile, una sorta di "pulsante
emotivo", che era in relazione al senso di impotenza ed alla paura di
lasciarsi "coinvolgere troppo" dalla questione. "Ha tempo per parlarne?",
gli rispose, e cosi' cominciarono a camminare per la strada, discutendo di
istanze che non avevano neppure a che fare con la guerra, ma che partivano
del senso di solitudine e isolamento, dal bisogno di ridefinire il
significato dell'essere comunita', e cosi' via. Si sono lasciati commossi,
stringendosi le mani. Si sono rivisti durante azioni dirette nonviolente
contro la guerra. Ora lei conosce un valore in piu' del suo lavoro di
attivista, e lui sa che agire insieme e' possibile. Di questi tempi, non mi
pare poco: continuiamo a farci domande.

7. RIFLESSIONE. JUDITH BUTLER: NOI, GLI "ANTIPATRIOTI"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003]
Dove vivo io, a Berkeley in California, sembra che nessuno sia a favore di
questa guerra. Al contrario, aleggia un profondo senso di mortificazione per
l'agire violento e illegale degli Stati Uniti. I miei amici europei mi
chiedono, con qualche trepidazione, se e' proprio vero che tutti gli
americani appoggiano questo sforzo bellico. E' importante percio' far sapere
che ce ne sono milioni contrari, inequivocabilmente contrari. Le
manifestazioni di protesta di San Francisco, New York e Washington, per
citarne solo alcune, non trovano nei media quell'attenzione che pure
avrebbero ricevuto durante la prima guerra del Golfo, per non parlare di
quella del Vietnam, quando si poteva ancora contare su una certa simpatia
per il movimento antibellico. Dopo l'11 settembre, la paura di passare per
"antipatrioti" o di essere identificati per le proprie opinioni con i
"terroristi" che hanno attaccato il World Trade Center, non solo ha
soffocato il dissenso, ma ha prodotto il blackout dei media sulle
manifestazioni e le mobilitazioni pacifiste.
I media temono talmente tanto di essere accusati di pregiudizio "liberal", e
che il concetto stesso di "liberalismo" possa essere fatto passare per un
concetto tacitamente simpatizzante con il terrorismo, che e' venuto fuori
una sorta di contro-discorso compensatorio, per cui chiunque abbia qualcosa
di critico da dire si sente obbligato a premettere "amo il mio paese e
quello che sto per dire non e' antipatriottico...".
Dunque, chi si oppone all'attuale regime degli Stati Uniti con le sue
violazioni dei precedenti e delle leggi internazionali e la sua
auto-legittimazione nell'infliggere violenza, ha grandi difficolta' a
trovare nei media lo spazio per esprimere opinioni contrarie alla guerra che
non siano intrise di devozione patriottica. E cosi' i dissenzienti devono
parlare a voce piu' alta per sopravanzare giornali e televisioni e
infrangere la presunzione di un generale sentimento favorevole alla guerra.
E' quello che ha cominciato a verificarsi con le mobilitazioni di massa per
le strade, le azioni di disobbedienza civile, i concentramenti in punti
cruciali di transito nel centro di San Francisco per interrompere il normale
tran tran degli affari e costringere la polizia a scendere per le strade, in
modo che siano i poliziotti stessi a sabotarlo bloccando il traffico.
Ci sono stati tempi, nella storia della cultura politica americana, in cui
il dissenso veniva valutato come uno dei fondamenti chiave della democrazia.
Ma dopo l'11 settembre, il dissenso e' stato avvolto da un nuovo
scetticismo, si' che e' diventato difficile per le voci di forte opposizione
trovare modo di esprimersi pubblicamente. O vengono bollate come nostalgiche
o anacronistiche, o vengono liquidate come strategicamente e politicamente
ingenue. Eppure milioni di persone sono scese in piazza, molte dichiarando
di non avere mai partecipato a una dimostrazione in passato. Le mobilitano
la paura e l'ansia, la sensazione di essere sopraffatte dall'unilateralismo
americano, l'opposizione alla bruta aggressione e all'assassinio da parte
dell'amministrazione, la soppressione della liberta' di parola all'interno
del paese, il monitoraggio e la regolamentazione delle comunita' arabe negli
Stati Uniti che sono tali da sfidare le leggi anti-discriminazione e quelle
sul rispetto della privacy.
Il governo Bush e' arrivato al potere con mezzi che molti considerano al di
fuori della legalita', impedendo il conteggio completo dei voti in Florida.
E da quel momento l'uso di tattiche illegali ha contrassegnato questa
amministrazione, determinata a seguire la propria strada con o senza
imprimatur legale, indifferente ai divieti costituzionali e ai precedenti
della legislazione internazionale. Alla denuncia del trattato sui missili
antibalistici, apripista di una serie di azioni che avrebbero infranto le
relazioni internazionali multilaterali, e' seguita la sospensione non
dichiarata della convenzione di Ginevra, con il trasferimento nella Baia di
Guantanamo di presunti membri di Al-Qaeda privi di qualsiasi difesa legale e
al di fuori di qualsiasi giurisdizione; il disprezzo per l'Onu e
l'elaborazione di un sistema legale parallelo - definito da molti un sistema
giudiziario "canguro" - delineato nell'US Patriot Act, che nega le liberta'
fondamentali ad individui fermati e incarcerati e privati di adeguata tutela
legale.
Secondo un recente sondaggio Gallup, almeno il 46% degli americani e'
contrario all'attuale guerra in Iraq. Non so chi siano quelli della Gullup
ne' chi intervistino, dal momento che non hanno mai chiamato ne' me ne'
nessuno fra i miei amici. E bisogna fare molta attenzione al modo in cui
sono formulate le domande, e chiedersi che genere di persone siano quelle
che accettano di parlare con loro. Bene, io non posso dire ne' di amare ne'
di odiare il mio paese in se' e per se', ne' capisco esattamente che cosa
voglia dire. Ma mi oppongo a questo governo e alla sua guerra, insieme a
milioni di altre persone, non solo perche' viola vergognosamente la
sovranita' di un altro paese per infierire sulla sua gente e minarne le gia'
precarie infrastrutture, ma anche perche' si autolegittima nell'infliggere
questa violenza e nel propagandare la propria distruttivita' come un segno
della potenza degli Stati Uniti.
Il governo Bush, nella preparazione di questa guerra, ha propagandato i suoi
fasti militari come un fenomeno visuale decisivo. Il fatto che il governo e
l'apparato militare Usa abbiano battezzato la propria strategia "colpisci e
terrorizza" indica che stanno mettendo in atto uno spettacolo visuale che
ottunde i sensi e, come il sublime, mette fuori gioco la capacita' stessa di
pensare. E' una messa in scena a uso non solo della popolazione irachena, i
cui sensi si suppone saranno vinti sul campo da questo spettacolo, ma anche
dei consumatori della guerra che si affidano alla Cnn. La Cnn infarcisce
sistematicamente i suoi servizi con didascalie in cui rivendica di essere la
"piu' affidabile" fonte di notizie sulla guerra. La strategia "colpisci e
terrorizza" mira non solo a costruire una dimensione estetica della guerra,
ma a sfruttare e strumentalizzare l'estetica visuale come parte della stessa
strategia di guerra. La Cnn fornisce l'estetica visuale, il "New York
Times", sebbene tardivamente dichiaratosi anti-guerra, sforna
quotidianamente immagini romantiche di ordinanza militare nella luce del
tramonto iracheno oppure "bombe che scoppiano in aria" al di sopra delle
strade e delle case di Baghdad (naturalmente escluse dalla vista).
Ovviamente e' stata la distruzione del World Trade Center che per prima ha
imposto l'effetto "colpisci e terrorizza", e gli Stati Uniti ora mostrano,
affinche' tutto il mondo lo veda, che possono essere altrettanto
distruttivi. I media sono rapiti dall'aspetto "sublime" della distruzione, e
le voci di dissenso ed opposizione devono trovare un modo di intervenire su
questa macchina onirica desensibilizzante che produce la distruzione
massiccia di vite e case, centrali d'acqua, elettricita' e calore come segno
delirante di un potere militare Usa resuscitato. Abbiamo bisogno di immagini
differenti, che mostrino gli effetti sulle persone in carne e ossa di questa
distruttivita', e abbiamo bisogno di voci differenti che affermino le
proprie convinzioni e le proprie verita' senza temere di essere oggetto di
false accuse. Ma non possiamo farlo individualmente: bisogna che i media si
risveglino dal loro sogno e vincano le loro paure. Altrimenti torneremo al
maccartismo, quando la paura, la paralisi e la complicita' con un governo
illegale furono superate solo ricordando all'opinione pubblica che non puo'
esserci esercizio di liberta' senza dissenso.
I media che mettono in atto la strategia del "colpisci e terrorizza"
informano sulla violenza producendo e capitalizzando la sua presunta
irrealta'. Non c'e' compito piu' urgente che rompere le costrizioni che oggi
obnubilano l'analisi critica: che si tratti di una presunta infallibilita'
morale che si droga da sola, o del delirio del "colpisci e terrorizza". Il
compito di restituire il carattere reale di questa violenza in tutta la sua
poverta' morale e distruttivita' umana, per poterla, infine, fermare.

8. MAESTRE. IDA DOMINIJANNI PRESENTA JUDITH BUTLER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003]
Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel panorama
internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica
all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il suo
primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo
tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle
categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that
matter (Corpi che contano , Feltrinelli '95), del '97 The Psychic Life of
Power.
Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a
quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia
politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a
quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e
tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla
frammentazione dell'identita' che ne consegue.
Decostruzione dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e
linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di
inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere
sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in
una strategia di radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo
shifting delle identita'.
Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione
antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali
americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. "La rivista del
manifesto" ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello
Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli Stati
Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine della
divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla
soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative
conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie
processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e
convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la
soppressioone delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione
dei "corpi che non contano", per le strade di Baghdad e nelle gabbie di
Guantanamo.

9. LETTERE. GIOVANNI MANDORINO: UNA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
SULL'ESPULSIONE DI CITTADINI E DIPLOMATICI IRACHENI
[Ringraziamo Giovanni Mandorino (per contatti: g.mandorino@tiscali.it) per
averci inviato copia di questa lettera indirizzata giorni fa al capo dello
Stato. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive persone
impegnate per la nonviolenza]
- Alla cortese attenzione del Presidente della Repubblica
- all'Unita' di crisi presso il Ministero degli Affari Esteri
Signor Presidente, Egregi signori,
ho appreso da notizie di stampa, che il nostro Paese sta adottando
provvedimenti di espulsione nei confronti di personale diplomatico ed altri
cittadini iracheni presenti nel nostro Paese con regolare permesso di
soggiorno, in risposta ad una richiesta in tal senso proveniente dagli Stati
Uniti.
Nella guerra che gli Stati Uniti ed alcuni altri Paesi loro alleati stanno
conducendo contro l'Iraq, al di fuori delle disposizioni della Carta delle
Nazioni Unite, il nostro Paese ha assunto una posizione di non belligeranza,
confermata anche da un voto parlamentare in tal senso.
Inoltre, la nostra Carta Costituzionale, nel suo articolo 11, oltre a
ripudiare la guerra promuove la formazione di un ordine internazionale che
assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Non posso allora non chiedervi (se la notizia di stampa non e` priva di
qualunque fondamento) in che modo lo status di non belligeranza del nostro
Paese si accordi con l'espulsione di cittadini e diplomatici iracheni.
E, con riferimento al nostro dettato costituzionale, come sia possibile
concorrere alla pace ed alla giustizia tra le Nazioni espellendo dal nostro
territorio i rappresentanti diplomatici del governo legittimo di un Paese
riconosciuto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Sperando che le notizie ricevute si rivelino frutto di cattiva informazione
giornalistica, resto in rispettosa attesa di una vostra gentile risposta.
Sinceramente,
Giovanni Mandorino

10. DIRITTI UMANI. TRE INTERVENTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
[Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti:
press@amnesty.it) riceviamo e diffondiamo questi tre interventi diffusi il
26 marzo 2003. Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:
ufficio stampa di Amnesty International, tel. 064490224, cell. 3486974361,
e-mail: press@amnesty.it, sito: www.amnesty.it/primopiano/iraq]
Dichiarazione di Amnesty International sul bombardamento della sede della tv
di stato irachena
Amnesty International ha dichiarato oggi che il bombardamento contro la sede
della televisione di stato irachena potrebbe costituire una violazione delle
Convenzioni di Ginevra.
"Il bombardamento di una stazione televisiva, semplicemente perche' e' usata
a scopi di propaganda, non puo' essere tollerato. E' un obiettivo civile e
pertanto e' protetto dal diritto internazionale umanitario" - ha affermato
l'organizzazione per i diritti umani.
Secondo l'Articolo 52 (2) del I Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di
Ginevra, "gli attacchi dovranno essere strettamente limitati a obiettivi
militari (...) Gli obiettivi militari sono circoscritti a quelli che per la
loro natura o locazione, il loro scopo o uso possono dare un effettivo
contributo all'azione militare e la cui distruzione - totale o parziale -
cattura o neutralizzazione, nelle circostanze del momento, offre un chiaro
vantaggio militare".
*
Amnesty International rinnova l'appello per proteggere la popolazione civile
"Ora che i combattimenti interessano sempre di piu' le aree urbane, e'
fondamentale che le autorita' militari raddoppino i loro sforzi per
proteggere la popolazione civile", ha chiesto oggi Amnesty International.
"L'esempio di Bassora dimostra quale puo' essere l'impatto della guerra
urbana sui civili. Chiediamo esplicitamente ai comandi militari di sapere
quali misure sono state adottate per proteggere la popolazione civile", ha
aggiunto l'organizzazione per i diritti umani.
Tutte le parti coinvolte nel conflitto in Iraq devono garantire il rigoroso
rispetto delle leggi di guerra sulla protezione della popolazione civile e
degli obiettivi civili. Gli attacchi non devono causare perdite
sproporzionate di vite umane. In particolare, Amnesty International ricorda
il divieto di:
- attacchi contro la popolazione civile od obiettivi civili;
- attacchi contro infrastrutture, anche se usate a scopi militari, se le
conseguenze a breve e lungo termine per la popolazione civile sono
sproporzionate rispetto al concreto e diretto vantaggio militare che si
vuole conseguire con tali attacchi;
- attacchi contro strumenti e strutture di comunicazione solo perche'
vengono utilizzati a scopo di propaganda;
- attacchi su altri obiettivi civili, anche se chi li colpisce ritiene che
in tal modo verra' fiaccata la volonta' di combattere del nemico.
Amnesty International ha sollecitato tutte le parti in guerra "a prendere
tutte le precauzioni necessarie per risparmiare la popolazione civile,
diffondendo avvertimenti ogni volta che cio' sia possibile e non ricorrendo
all'uso di scudi umani".
*
Dichiarazione di Amnesty International: "Ogni attacco diretto nei confronti
dei civili costituisce un crimine di guerra"
"Temiamo che da entrambe le parti in conflitto siano commessi crimini di
guerra", ha dichiarato oggi Amnesty International. "Ogni attacco diretto nei
confronti dei civili costituisce un crimine di guerra. Coloro che negano la
distinzione tra combattenti e civili compiono un attacco contro le stesse
basi del diritto umanitario".
L'organizzazione per i diritti umani ha sottolineato che compiere attacchi
contro obiettivi civili e attacchi contro obiettivi militari che provocano
danni sproporzionati alla popolazione civile rappresenta un crimine di
guerra.

11. LUTTI. LA SCOMPARSA DI LUCIANO DELLA MEA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 marzo 2003]
E' morto ieri in una clinica di Firenze Luciano Della Mea, figura di spicco
nella storia della politica italiana e del movimento operaio del nostro
paese. Aveva 79 anni ed era ricoverato da alcuni giorni in clinica. Nato a
Lucca nel 1924, partecipo' alla Resistenza e dopo la Liberazione si e'
impegnato alacremente per un socialismo di "estrema sinistra", sganciato dai
partiti. Giornalista a "L'Avanti!" di Milano, poi collaboratore e direttore
di varie riviste di sinistra ("Il grande vetro" ma ha anche ispirato
"Inoltre", poi diretta dal fratello Ivan), consulente editoriale al Touring
Club Italiano, Feltrinelli, Jaca Book (dove ha creato la collana "I
senzastoria"), Mazzotta, Della Mea sull'onda della sua militanza fondo' con
Sofri nel '67 "Il potere operaio" pisano, rivista che poi diresse e intorno
a cui nacque in seguito Lotta continua... Negli ultimi trent'anni Della Mea
ha rappresentato una sorta di coscienza critica all'interno della vita
politica, da Lotta continua al Psiup fino al movimento sindacale. Nel 1996
Luciano Della Mea pubblico' la sua autobiografia Una vita schedata (Jaca
Book) e tra le sue opere piu' importanti figura l'epistolario che oltre ad
essere una ragnatela di corrispondenze e' anche un pezzo di storia sociale
italiana, per il dibattito culturale che suscita. Tra i titoli da ricordare,
Eppur si muove e La notte e' dolce. Della Mea ha lasciato in dono la propria
biblioteca, corrispondenze e carte alla Fondazione di studi storici di
Firenze.
I suoi funerali si svolgeranno giovedi' alle 15.30 al cimitero di Torre
Alta, Ponte del Giglio (Lucca).

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 548 del 27 marzo 2003