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da il manifesto del 19 marzo 2003
PALESTINA
«Vi racconto l'inferno di Rafah»
La testimonianza della pacifista dell'Ism uccisa da un bulldozer
israeliano a Gaza
RACHEL COREY *
Sono in Palestina da due settimane e un giorno e ho ancora poche parole
per descrivere ciò che vedo. È più difficile per me pensare a ciò che sta
succedendo qui quando mi siedo a scrivere negli Stati uniti, qualcosa
come il portale virtuale del lusso. Io non so se molti dei bambini qui
abbiano mai vissuto senza i buchi dei carri armati alle pareti e senza le
torri di un esercito di occupazione che li sorveglia costantemente da un
orizzonte vicino. Io penso, sebbene non sia del tutto sicura, che anche
il più piccolo di questi bambini capisce che la vita non è così ovunque.
Un bambino di otto anni è stato ucciso da un tank israeliano due giorni
prima del mio arrivo e molti bimbi mi sussurrano il suo nome, Alì, oppure
mi indicano i suoi poster sui muri. Ai bambini piace farmi usare l'arabo
che conosco chiedendomi «Kaif Sharon?», «Kaif Bush?» e ridono quando io
dico «Bush Majnoon», «Sharon Majnoon» rispondendo nel mio arabo limitato
(Come sta Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo, Sharon è pazzo). Questo
non è proprio ciò che credo, e qualche adulto che conosce l'inglese mi
corregge: Bush mish Majnoon... Bush è un uomo d'affari. (...) Ad ogni
modo ci sono qui più bambini di otto anni consapevoli della struttura del
potere globale, di quanto lo fossi io qualche anno fa, almeno riguardo a
Israele. Nonostante ciò, penso che nessun libro, conferenza,
documentario, parola mi avrebbe potuto preparare alla realtà di qui. Non
si può immaginare se non si vede, e anche allora sei ben consapevole che
la tua esperienza non è tutta la realtà: cosa dire della difficoltà che
l'esercito israeliano dovrebbe affrontare se sparasse ad un cittadino
statunitense disarmato, del fatto che io ho il denaro per comprare
l'acqua mentre l'esercito distrugge i pozzi, e, ovviamente, che io ho la
possibilità di partire. Nessuno della mia famiglia è stato mai colpito,
guidando la macchina, dal lancio di un razzo da una torre alla fine della
strada principale della mia città. Io posso andare a vedere l'oceano.
Apparentemente è piuttosto difficile per me essere trattenuta in prigione
per mesi o anni senza processo (questo perché sono una cittadina
americana bianca, come opposta a molti altri). Quando vado a scuola o al
lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato armato
pesantemente ad aspettare a mezza strada tra Mud Bay ed il centro di
Olimpya a un posto di blocco; un soldato con il potere di decidere se
posso andare per la mia strada e se posso tornare a casa quando ho fatto.
Così, se percepisco violenza arrivando ed entrando brevemente ed in modo
incompleto nel mondo in cui esistono questi bambini, per contro mi chiedo
cosa succederebbe a loro arrivando nel mio mondo. Essi sanno che i
bambini negli Stati Uniti, di solito non hanno i genitori uccisi e che
qualche volta vanno a vedere l'oceano. Ma quando tu hai visto l'oceano,
vissuto in un posto tranquillo dove l'acqua è un bene scontato e non
rubata di notte dai bulldozer, e quando hai passato una notte in cui non
ti sei meravigliato che le pareti della tua casa non siano crollate
svegliandoti dal sonno, e quando hai incontrato gente che non ha perso
nessuno, quando hai sperimentato la realtà di un mondo che non è
circondato da torri di morte, carri armati, insediamenti armati e ora da
una gigantesca parete metallica, mi chiedo se puoi perdonare il mondo per
tutti gli anni della tua infanzia spesa esistendo--solo esistendo--in
resistenza al costante strangolamento della quarta più grande potenza
mondiale--sostenuta dall'unica superpotenza mondiale - nel suo sforzo di
cancellarti dalla tua casa. Come retropensiero a tutto questo
vagabondaggio, mi trovo a Rafah, una città di circa 140.000 persone di
cui circa il 60 per cento sono rifugiati-molti dei quali per la seconda o
la terza volta. Rafah esisteva prima del 1948, ma molte delle persone qui
sono essi stessi o discendenti di persone dislocate qui dalle loro case
della Palestina storica--ora Israele. Rafah venne divisa in due quando il
Sinai tornò all'Egitto. Al momento l'esercito israeliano sta costruendo
un muro alto quattordici metri tra Rafah in Palestina ed il confine,
tracciando una terra di nessuno dalle case lungo il confine.
Seicentodue case sono state completamente abbattute dai bulldozers
secondo la Commissione Popolare dei Rifugiati di Rafah. Il numero di
abitazioni parzialmente abbattute è maggiore. (...) Oltre alla costante
presenza dei carri armati lungo il confine e nella regione occidentale
tra Rafah e gli insediamenti lungo la costa, ci sono più torri IDF qui di
quante ne possa contare lungo l'orizzonte, alla fine delle strade. Alcune
sono grigioverde militare. Altre come strane scale camuffate alla maniera
dei capanni di cacciatore per rendere anonima l'attività all'interno.
Alcune nascoste , proprio sotto l'orizzonte degli edifici. Una nuova è
stata costruita l'altro giorno mentre ci lavavamo la biancheria e abbiamo
attraversato la strada due volte per innalzare striscioni. A parte il
fatto che alcune tra le zone più vicine al confine sono originali della
vecchia Rafah con famiglie che hanno vissuto in questa terra per almeno
un secolo, solo il campo del 1948 al centro della città è controllato da
Oslo. Ma, per quanto io possa dire, ce ne sono davvero pochi che non
siano sotto il controllo visivo di una torre o l'altra. Certamente non
esistono luoghi invulnerabili agli elicotteri apaches o alle telecamere
di invisibili fannullaoni che ronzano sulla città per ore ed ore.Ho dei
problemi all'accesso di notizie dall'estero, ma sento che un crescendo
verso il conflitto in Iraq sembra inevitabile. C'è molta preoccupazione
qui per la «rioccupazione di Gaza». Gaza viene rioccupata ogni giorno in
varia misura, ma io penso che la paura sia che i carri occupino tutte le
strade e restino lì, invece di entrare solo in alcune strade e quando si
ritirano dopo alcune ore o giorni osservano e sparano dalla cima delle
comunità. Se la gente non è già pronta a pensare alle conseguenze di
questa guerra per le persone dell'intera regione, allora spero che
comincino. (...) Io continuo a credere che casa mia, Olympia, possa
guadagnare tanto per poter fare un gemellaggio con Rafah. Alcuni gruppi
di insegnanti e di bambini, hanno manifestato il desiderio di
corrispondere in e-mail, ma questa è solo la punta dell'iceberg del
lavoro di solidarietà che potrebbe essere fatto. Molta gente vuole che le
loro voci siano udite, e penso che abbiamo bisogno di usare i nostri
privilegi come internazionali per farle udire direttamente negli Stati
uniti, piuttosto che attraverso altri filtri come me. Io sto iniziando a
imparare, da ciò che mi aspetto diventi una tutela intensa, sulla
capacità della gente di organizzarsi contro tutte le stranezze, e di
resistere a tutte le stranezze.
* Il testo che proponiamo è una lettera inviata dalla pacifista uccisa
domenica scorsa, il 7 febbraio alla famiglia. (a cura di M. T. -
Infopalestina)