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[MEDIA] - Giornalisti nel mirino



Fonte: il manifesto - 04 Marzo 2003

USA-GUERRA

Giornalisti nel mirino

TOMMASO DI FRANCESCO

Un po' sotto silenzio per il precipitare di tanti altri avvenimenti, e' 
passata la notizia che l'Amministrazione Usa sta invitando i giornalisti 
americani - e, naturalmente, non solo americani - a non rimanere a Baghdad. 
Fonti del Pentagono ripetono che l'attacco militare americano contro l'Iraq 
sara' molto piu' pericoloso per i giornalisti rimasti a Baghdad, rispetto 
alla prima guerra del Golfo, nel 1991: la guerra sara' per l'occupazione 
del paese, «casa per casa», i bombardamenti saranno a tappeto - hanno 
spiegato ai giornalisti di agenzie, giornali e network radiotelevisivi - 
quindi «nessuno potra' garantire l'incolumita' ai giornalisti»; inoltre, 
manda a dire il Pentagono, per ragioni strategiche non ci sara' nemmeno la 
possibilita' di avvertrirli i giornalisti che - e qui rincara la dose - a 
quel punto, dopo i bombardamenti e l'attacco, diventeranno bersaglio di 
attentati, uccisioni e sequestri da parte del regime di Baghdad. «Se ci 
sara' un attacco militare - ha detto la portavoce del segretario alla 
difesa Donald Rumsfeld, Victoria Clarke - Baghdad sara' decisamente uno dei 
posti peggiori in cui trovarsi in quel momento». A parte il disprezzo per i 
civili e per chiunque non sia giornalista, a parte il fatto che ora a 
Baghdad ci sono circa 250 giornalisti americani accreditati (nonostante che 
Bush abbia deciso di espellere dagli Usa l'unico giornalista iracheno 
peraltro accreditato all'Onu) -, a parte tutto questo, come definireste la 
pressione degli Stati uniti verso la liberta' di stampa se non terrorista? 
Non solo. L'Amministrazione Usa ha intruppato i giornalisti in brigate, li 
ha fatti marciare, ha fatto loro pagare una tassa per essere accreditati 
presso l'esercito, li ha addestrati quasi al combattimento con tute 
mimetiche e passaggi obbligati da marine: in poche parole li ha 
militarizzati come fossero salmerie, per portarseli dietro, magari in 
Kuwait o in Turchia, pronti a obbedire e a filmare e decantare - come fu in 
Somalia - lo «sbarco». E poi basta. Ecco che la «democrazia piu' grande del 
mondo» infatti non solo detta le norme militari di comportamento sul campo 
per il giornalismo internazionale ma, di fronte all'imminenza del «suo» 
attacco a tutti i costi, consapevole dell'isolamento della guerra rispetto 
all'opinione pubblica mondiale, adesso minaccia senza mezzi termini proprio 
chi dovrebbero testimoniare, magari sui bombardamenti intelligenti e le 
tante, troppe vittime civili che si annunciano. Insomma, volete raccontare 
la guerra? No, «andate via, senno' potremmo ammazzarvi...». E - sembra 
aggiungere il Pentagono - nessuno parli di eccidi e nemmeno di effetti 
collaterali: noi ve l'avevamo detto. Giornalista avvertito mezzo salvato!? 
E' terrore puro contro la liberta' d'informare.