[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
La nonviolenza e' in cammino. 525
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 525 del 4 marzo 2003
Sommario di questo numero:
1. Contro il terrorismo, contro la guerra
2. Mao Valpiana, "Azione nonviolenta" di marzo
3. Osvaldo Caffianchi, aderendo a un appello per la pace
4. Pasquale Pugliese, per recidere una delle radici della guerra
5. Anna Maffei, le chiese cristiane americane contro la guerra
6. Rossana Rossanda, trascinati in guerra
7. Luciano Antonetti ricorda Jiri Pelikan
8. Laura Boella, della poetica di Ingeborg Bachmann
9. David Maria Turoldo, cosi' eravamo amici con don Milani
10. Letture: Noam Chomsky, Il conflitto Israele-Palestina
11. Letture: Enzo Ciconte, Pierpaolo Romani, Le nuove schiavitu'
12. Riletture: Albe Steiner, Il manifesto politico
13. Riletture: Bruno Zevi, Editoriali di architettura
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. CONTRO IL TERRORISMO, CONTRO LA GUERRA
Ci sta a cuore la vita di ogni essere umano.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
2. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: "AZIONE NONVIOLENTA" DI MARZO
[Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org) ed una delle figure
piu' prestigiose della nonviolenza in Italia]
Cari amici,
e' uscito il numero di marzo 2003 di "Azione nonviolenta", la rivista
mensile del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, di
formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in
Italia e nel mondo.
L'abbonamento annuo costa 25 euro, da versare sul ccp n. 10250363 intestato
ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere
una copia-saggio inviando una e-mail a: azionenonviolenta@sis.it
In questo numero:
- Prendere l'uscita di sicurezza prima che sia troppo tardi (di Mao
Valpiana);
- In tre milioni, senza se e senza ma (appello finale della manifestazione
del 15 febbraio)
- Televisione con l'elmetto e giornalisti obiettori (di Beppe Muraro);
- Noi cittadini israeliani e palestinesi ci opponiamo alla guerra in Iraq (a
cura di Elena Buccoliero);
- L'obiezione di cosciena al servizio militare in Israele, un diritto umano
non riconosciuto (a cura della War Resisters' International);
- Le dieci parole della nonviolenza: "Giustizia" (di Graziano Zoni);
- Giustizia, diritto e nonviolenza. Amare la legge per migliorarla (di
Daniele Lugli);
- Difendere l'articolo 11. Ripudiare la guerra (testo della proposta di
legge per l'attuazione della Costituzione).
E poi le consiete rubriche: l'azione (Luca Giusti); Lilliput (Massimiliano
Pilati), alternative (Gianni Scotto); cinema (Flavia Rizzi); musica (Paolo
Predieri); economia (Paolo Macina); storia (Sergio Albesano); libri;
lettere.
In copertina: "Siamo tutti questi americani" (disegno di Mauro Biani).
La bandiera della nonviolenza e' la nostra "aggiunta" alla campagna "pace da
tutti i balconi": la bandiera con il fucile spezzato costa 6 euro e si puo'
richiedere alla nostra redazione.
3. EDITORIALE. OSVALDO CAFFIANCHI: ADERENDO A UN APPELLO PER LA PACE
[Ringraziamo Osvaldo Caffianchi, schivo e intermittente collaboratore del
"Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, per questo intervento]
Non dire che adesso non hai tempo:
perche' dopo non ci sara' piu' tempo.
E non dire che e' gia' troppo tardi:
anche un minuto prima non e' tardi.
E non dire che troppo e' difficile l'impegno:
poiche' tutto e' nel cominciare, e il resto
viene da se'.
E non dire, soprattutto non dire
che ti dispiace tanto ma che altri
se la vedano, non tu:
questo ragionamento uccide.
Non dire che il giorno e' finito, e le tenebre
e' giocoforza prevalgano ancora.
Accendi piuttosto il tuo lume.
4. RIFLESSIONE. PASQUALE PUGLIESE: PER RECIDERE UNA DELLE RADICI DELLA
GUERRA
[Ringraziamo Pasquale Pugliese (per contatti: puglipas@interfree.it) per
questo intervento. Pasquale Pugliese e' impegnato nel Movimento Nonviolento,
nella Rete di Lilliput e in numerose iniziative di pace, di solidarieta',
per la noviolenza]
1. Il progressivo aumento delle citta' nelle quali si sono svolte, si
svolgono o si stanno preparando biciclettate per la pace e contro la guerra
per il petrolio - l'ultimo elenco a noi noto comprende Caltanissetta, Lodi,
Lucca, Palermo, Pesaro, Prato, Rimini, Riccione, Reggio Emilia, Roma,
Torino, Trento, Treviso, Verona - e le riflessioni incrociate sviluppate
intorno ai presidi nelle stazioni ferroviarie dei giorni scorsi, m'inducono
ad approfondire e sviluppare il tema proposto nell'intervento
"auto-riduzione contro la guerra", svolgendo quest'altra serie di
riflessioni concatenate.
2. La guerra in preparazione non e' "una" guerra. Non e' "contro il
terrorismo". Non e' per "il disarmo" dell'Iraq. Essa e' un episodio, interno
a un ciclo di guerre di aggressione, della strategia imperiale degli Usa e
dei loro vassalli per l'appropriazione dei residui pozzi di petrolio attivi.
Questa strategia di guerra e' fondata principalmente su:
a) il fabbisogno interno crescente di carburante e, piu' in generale, di
energia per l'organizzazione economica, sociale, tecnologica e dei trasporti
delle societa' occidentali (la popolazione americana che e' il 5% di quella
mondiale consuma il 26% di petrolio);
b) il limite oggettivo dato dal prossimo raggiungimento del "picco
definitivo della produzione dei petrolio" e del suo previsto, conseguente,
rapido, declino;
c) la concorrenza della Cina, che si avvia ad essere la nuova superpotenza,
antagonista agli Usa, con una nuova enorme richiesta di energia e di greggio
per alimentare la propria crescita.
La prima guerra Golfo e l'intervento in Kossovo sono stati i prodromi di
questa strategia; Afghanistan e Iraq, oggi e, probabilmente, Iran e Cina,
domani, gli sviluppi.
3. Tutto cio' non e' contenuto in carte segrete, ma e' scritto nei rapporti
ufficiali e diffuso da giornalisti e analisti.
Scrive Ritt Goldstein: "Un rapporto dell'inizio del 2001, predisposto
congiuntamente dal potente Council on Foreign Relations e dal James A.
Baker Institute for Public Policy, metteva in luce il fatto che gli Usa
stanno per finire il petrolio, prospettando anche l'eventuale 'necessita'
dell'intervento militare' per garantire approvvigionamenti petroliferi.
Intitolato 'Strategic Energy Policy Challanges for the 21st Century', il
rapporto congiunto paventa la fine del greggio abbondante e a basso prezzo.
Il Council on Foreign Relations e' uno dei gruppi piu' potenti tra quelli
che influenzano la politica americana. Affermando che 'non c'e' alternativa.
E non c'e' tempo da perdere', il loro documento prospetta in futuro
l'esplosione dei prezzi dell'energia, la recessione economica e scontri
sociali negli Usa, a meno che non si trovino risposte".
Aggiunge Michael Klare: "Gli strateghi americani vogliono inoltre garantirsi
l'accesso alle ingenti riserve petrolifere irachene, e impedire che
finiscano sotto il controllo esclusivo delle compagnie petrolifere russe,
cinesi o europee. La priorita' dell'amministrazione, cioe' l'acquisizione di
nuove riserve di petrolio in territorio straniero, e' stata esplicitata per
la prima volta in un rapporto del National Energy Policy Developmant Group,
pubblicato il 17 maggio 2001. Questo documento, redatto dal vicepresidente
Richard Cheney, mette a punto una strategia destinata a far fronte al
previsto aumento dei consumi petroliferi americani nel prossimo
venticinquennio. (...) Primo obiettivo: aumentare le importazioni dai paesi
del Golfo Persico, dove si trovano circa i due terzi delle riserve
energetiche mondiali [...]. Il progetto Usa di garantirsi l'accesso alle
riserve petrolifere di regioni cronicamente instabili puo' essere realistico
soltanto a condizione di possedere la capacita' di "proiettare" in queste
aree la propria potenza miliare."
4. Di fronte a questo scenario di guerra "infinita" (gli aggettivi
dell'Impero non sono scelti a caso) la risposta dei movimenti per la pace,
pur ampia e variegata, fatica a posizionarsi allo stesso livello strategico
e, come spesso e' avvenuto anche in passato, si articola su iniziative
generose (come il tentativo di rallentamento dei treni) e anche imponenti
(la manifestazione internazionale del 15 febbraio), ma per lo piu' dettate
dalla contingenza e dall'emozione se non dall'emergenza.
5. Eppure, rispetto al passato anche recente, la contrarieta' alla guerra e'
un sentimento maggioritario in Italia e nel mondo. Cosi' come la
disponibilita' di molti cittadini e organizzazioni influenti sul piano
morale e sociale - per esempio le chiese e i sindacati - a schierarsi su
posizioni apertamente pacifiste, facendo passi concreti e scelte importanti.
6. Questo dato nuovo - se letto in connessione alle "ragioni" profonde della
guerra - puo' consentire l'apertura di spazi, nell'ambito dell'opposizione
diffusa, che favoriscano il passaggio dalla dimensione orizzontale della
quantita' della partecipazione alla dimensione verticale della profondita'
dell'impegno personale. Portando molti cittadini da un'opposizione alla
guerra solo testimoniata ad un'obiezione agita e capace d'incidere su almeno
uno dei pilastri fondamentali che sorreggono la piramide rovesciata del
ciclo di guerre attuali: il bisogno di carburante per un sistema
insostenibile di trasporto privato. Favorendo cosi' la formazione di una
strategia nonviolenta di lunga durata, praticabile da tutti, che si ponga al
livello della causa principale delle guerre per il petrolio.
7. Concentrare l'azione sul sistema dei trasporti, ed in particolare
sull'uso dell'automobile privata - il cui sviluppo ha rappresentato il
fattore centrale, concreto e simbolico, del modello di sviluppo occidentale
del '900, a partire dalla crescita del consumo energetico - puo' essere
quell'elemento chiave di una opposizione strutturale alla guerra, capace di
mettere insieme la causa con gli effetti, lo stile di vita con le sue
conseguenze, i convincimenti personali con i comportamenti. Un elemento alla
portata, anzi portato, da tutti, la cui riduzione puo' comportare
progressivamente un danno economico alle compagnie petrolifere, che
gestiscono "direttamente" l'affare della guerra e favorire
contemporaneamente modalita' e abitudini alternative di trasporto che
riducano sia l'impatto sull'ambiente che l'altra violenza diretta delle
stragi da incidenti stradali (9.000 morti in Italia ogni anno).
8. Questo e' il senso delle "biciclettate nonviolente", contro la guerra per
il petrolio. Esse non sono azioni simboliche, ma di concreta auto-riduzione
personale che invitano gli altri, tutti, a fare altrettanto. E' una
progett/azione che, pur fondata su un gesto semplice - rinunciare alla
macchina e salire in bicicletta - vuole porsi non tanto al livello degli
effetti quanto, strategicamente, a quello delle cause della guerra. Puo'
essere praticata da tutti e, man mano che si diffonde, potrebbe far maturare
le condizioni per un conflitto di livello crescente, fino a giungere - come
fase culminante - ad un auto-boicottaggio di massa contro questa e tutte le
guerre per il petrolio.
9. Il boicottaggio di un mezzo di trasporto e' un'azione gia' praticata con
successo nella storia della nonviolenza del '900, e proprio nel cuore
dell'Impero. Il 5 dicembre 1955, il movimento di Martin Luther King
proclamo' l'avvio del boicottaggio dell'uso degli autobus a Montgomery, in
Alabama, contro la segregazione razziale sui mezzi di trasporto. Duro' un
anno, fu praticato dal 99 % della popolazione di colore della citta' e il 20
dicembre 1956 quel tipo di segregazione fu abolito. Ma non era che l'inizio.
10. Naturalmente, il passaggio dalle biciclettate nonviolente
all'auto-riduzione significativa e poi all'auto-boicottaggio non e'
automatico, ma richiede una visione capace di leggere il contesto globale,
una strategia d'azione di lungo periodo, un investimento energetico che non
si disperda nel tempo su mille iniziative e su ogni emergenza. Ma alcune
cose, in quella direzione possono essere fatte fin da subito:
a. avviare biciclettate nonviolente in tutte le citta' e i paesi, che
esplicitino al massimo nei loro messaggi (con modalita' anche originali e
creative) il nesso guerra-petrolio-uso privato dell'automobile;
b. dare alle biciclettate una cadenza periodica fissa, in maniera da
ripetere il messaggio - contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le
automobili - con continuita' e insistenza;
c. saldare localmente e in maniera creativa l'azione delle biciclettate a
tutte le campagne in corso, ed in preparazione, di boicottaggio del petrolio
e dei suoi derivati (cominciando con girotondi in bicicletta intorno ai
distributori della Esso?);
d. realizzare un coordinamento nazionale delle biciclettate nonviolente, che
per le sue caratteristiche avrebbe sede naturale presso il gruppo di lavoro
tematico "nonviolenza e conflitti" di Rete Lilliput;
e. formare dovunque sia possibile gruppi di azione nonviolenta (gan) che, in
un primo tempo, mettano in atto azioni comunicative in grado di intervenire
sulla "grammatica culturale" dell'uso dell'automobile e del suo legame con
la guerra, proponendo l'auto-riduzione e, in un secondo tempo, preparino e
organizzino sui territori locali il passaggio dall'auto-riduzione ad un
primo esperimento di auto-boicottaggio limitato nel tempo.
f. investire tutte le risorse e le energie disponibili sull'efficacia di
questa progett/azione e sulla preparazione della campagna conseguente.
11. E' questo un programma di largo respiro e di lunga durata - ambizioso e
mai sperimentato - ma che non garantisce risultati immediati per "fermare"
la guerra (ma quale altra azione dal basso, effettivamente, oggi puo'
sicuramente farlo?). Eppure, io credo, necessario a reciderne una delle
radici piu' importanti e non di impossibile realizzazione. Ed i cui "effetti
collaterali" si possono allo stato soltanto immaginare.
12 . "Se non ora, quando?". Se non ora - che la sensibilita' per la causa
della pace e' alta e diffusa, le motivazioni della guerra evidenti e
prepotenti, il sistema energetico fondato sul fossile alla crisi definitiva
foriera di altre guerre, l'ecosistema al collasso, le citta' e noi tutti
prigionieri e vittime delle automobili - quale altro momento cogliere? E se
non noi, chi?
5. INCONTRI. ANNA MAFFEI: LE CHIESE CRISTIANE AMERICANE CONTRO LA GUERRA
[Ringraziamo Anna Maffei (per contatti: anna.maffei@ucebi.it) per averci
messo a disposizione in anteprima questo suo articolo che uscira' sul
prossimo numero di "Riforma", settimanale delle chiese battiste, metodiste e
valdesi italiane. Anna Maffei e' vicedirettrice per il centro-sud del
settimanale "Riforma" (sito: www.riforma.it) e vicepresidente dell'Unione
cristiana evangelica battista d'Italia; appartiene alla tradizione
nonviolenta espressa dal pastore battista e martire per la pace Martin
Luther King]
"La chiesa dove sono pastora si trova a sole quattro miglia dalle torri
gemelle e quell'11 aprile quattro membri della mia chiesa sono rimasti
uccisi nell'attentato. Fra questi un uomo, che per giorni e' stato dato per
disperso. La moglie non voleva proprio arrendersi e accettare la sua morte,
finche' un giorno l'ho accompagnata a 'ground zero' e le ho detto: 'Guarda,
non e' possibile che tuo marito sia ancora vivo'. Le ho poi detto che
avremmo dovuto fare un culto commemorativo. Lei ha capito, ha accettato la
realta' ma mi ha detto: 'Va bene, ma dovrai dirlo tu a mio figlio. Io non ce
la faccio'. Cosi' ho incontrato il bimbo di soli cinque anni e gli ho
detto: 'Sai, e' successo qualcosa di terribile al tuo papa''. Il bimbo ha
risposto: 'Si', gia' lo so. Anche se mamma diceva che papa' si era perso, io
sapevo che era morto'. 'Come facevi a saperlo?' 'Perche' papa' non si perde
mai'. Cosi' al culto di commemorazione ho citato le parole di quel bimbo:
'Il bimbo ha detto la cosa giusta. Noi non dobbiamo perderci'. Ed e' cosi'
anche oggi. Questa guerra non ha a che fare con chi sia o non sia Saddam
Hussein. In gioco e', piuttosto, che persone siamo noi. E noi non dobbiamo
perderci come discepoli di Gesu' Cristo".
*
Queste accorate parole di testimonianza della pastora presbiteriana
americana Eileen Lindner sono state rivolte ai rappresentanti delle chiese
evangeliche romane e non solo, nel corso dell'incontro organizzato dalla
Federazione delle chiese evangeliche in Italia con una delegazione di
cristiani americani in visita a Roma il 27 febbraio.
La delegazione, formata da cinque esponenti del Consiglio nazionale delle
chiese cristiane degli Usa e da un frate francescano, di Pax Christi, aveva
fra i suoi scopi quello di affermare la totale contrarieta' di milioni di
cristiani americani protestanti e cattolici alla guerra preventiva contro
l'Iraq considerata immorale, potenzialmente devastante per la popolazione
civile irachena, destabilizzante per tutta l'area mediorientale e foriera di
incontrollabili escalation di violenze e rappresaglie.
La delegazione aveva il giorno precedente incontrato il vicepresidente della
Camera, Mussi, e poi era stata ricevuta dal papa, cui aveva consegnato una
lettera con la richiesta di recarsi personalmente alle Nazioni Unite.
"Noi non crediamo - ha detto il rappresentante cattolico Joseph Nangle - a
quanto il presidente Bush ha dichiarato quando ha detto di non farsi
influenzare da quanto dice il papa. Egli sara' costretto ad ascoltare le sue
parole, specialmente se si rechera' all'Onu, perche' dovra' pur tener conto
che ci sono negli Usa 60 milioni di cattolici che votano".
"Finora - ha affermato William Grove, vescovo della chiesa metodista unita,
la chiesa cui appartiene Bush - i mass media americani non hanno dato alcun
risalto alle affermazioni papali contro la guerra e trascurano
l'informazione sui movimenti di opposizione alla guerra che pure sono attivi
e diffusi sul territorio americano. Il 15 febbraio scorso migliaia di
persone si sono mobilitate in piu' di 30 citta' statunitensi. E la
partecipazione non coinvolge solo studenti o l'area della sinistra liberale
ma cittadini un po' di tutte le estrazioni. Piu' del 50% degli americani
sono contrari a questa guerra in assenza di una risoluzione Onu e sta
scemando la percentuale dei consensi anche in presenza di tale risoluzione.
Ma l'amministrazione e' sorda. Lo stesso Bush, sollecitato per due volte ad
un incontro da ben 47 leader religiosi americani, non solo cristiani, fra
cui anche 20 vescovi della sua chiesa, ha rifiutato di incontrarci. Abbiamo
bisogno della stampa internazionale per superare i filtri posti da
un'informazione schierata e disattenta".
Nella delegazione anche Tyrone Pitts, pastore della Convenzione battista
progressista il quale ha detto che tutte le unioni battiste americane tranne
la Convenzione battista del sud hanno preso posizione contro questa guerra.
"Per comprendere quello che sta succedendo - ha detto Pitts - bisogna capire
che l'11 settembre la nazione e' letteralmente impazzita perche' e' stato il
primo atto di guerra diretto contro gli Usa dopo Pearl Harbour. Sono stati
attaccati due simboli nazionali e la gente ha risposto in modo anomalo. Di
questo shock quelli che vogliono la guerra hanno approfittato".
"L'11 settembre - ha affermato Gwynne Guibord, episcopaliana - ha creato
una crisi alla quale la maggioranza delle chiese ha risposto con una
rinnovata consapevolezza che e' necessario conoscersi fra cristiani e
islamici per disperdere le reciproche paure. Quello che viene fatto a
livello governativo e' invece capitalizzare queste paure per creare le
premesse della guerra".
*
L'intensa visita della delegazione si e' conclusa con un culto pubblico
tenutosi nella chiesa battista di via del Teatro Valle in Roma.
"Gesu' disse un giorno che se noi taceremo, le pietre parleranno. E in
questa chiesa parlano le mura", ha affermato il pastore Grove riferendosi
alle pareti della chiesa tappezzate da manifesti che riportavano la frase
evangelica: "Beati coloro che si adoperano per la pace". La chiesa era
piena, la partecipazione attenta e commossa. Qualcuno ha ricordato la
lettera che nel 1963 in periodo quaresimale Martin Luther King scriveva dal
carcere di Birmingham in Alabama a sei leaders religiosi che lo invitavano,
se pur gentilmente, ad andarsene: "Oggi sei leaders religiosi americani sono
qui per dire che ci saranno tempi duri di disobbedienza civile in cui ci si
deve anche preparare a soffrire e andare in prigione. Dunque 40 anni non
sono passati invano".
6. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: TRASCINATI IN GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 marzo 2003. Rossana Rossanda e' nata a
Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
Non basta che Bush dica da mesi che non crede agli ispettori, che o Saddam
se ne va o sara' sloggiato con la forza, e che accusi Francia, Russia, Cina
e Germania di perdere tempo: si continua a dire e fare come se la guerra
fosse ancora evitabile, come se ci fosse ancora un margine. Quale margine?
Soltanto gli ispettori delle Nazioni Unite hanno diritto di parlar di
margine perche' lo esigono anche se non saranno ascoltati. Il Dipartimento
di stato non gliene lascia nessuno. L'attacco doveva cominciare il 22
febbraio, e se Bush ha accettato un rinvio fino alla prossima audizione di
Blix, e' stato soltanto per cercare che il riottoso Consiglio di sicurezza
receda dai suoi no e si disponga a benedire la spedizione, o almeno a non
condannarla. Ma certo entro meta' marzo Bush e Blair partiranno. Dopo fa
troppo caldo.
Che le cose stiano cosi' hanno capito da tempo soltanto coloro che
manifestano in tutto il mondo e i ragazzi che in Italia fermano i treni o
assediano i porti con intelligenza e rapidita'. La stampa appena puo' si
occupa d'altro.
Certo non ci sono ancora migliaia di morti, e questo fa una differenza -
come ricordava l'altro giorno Derrida a Baudrillard, il quale continua a
parlare di guerra virtuale, tutto e' per lui virtuale fuorche' l'11
settembre, perche' senza rischi e sorpresa non ci sono eventi. Si', ma anche
senza rischio e sorpresa i morti non saranno virtuali - non si e' lasciato
decostruire oltre misura il nostro filosofo. Senonche' i morti iracheni
della prima guerra del Golfo non li ha contati nessuno, che siano stati
decine o centinaia di migliaia, spariti senza nomi, ne' faccia, ne'
memorials.
I morti calcolati, anzi messi nel preventivo, dal Dipartimento di stato sono
quelli americani e inglesi (non so se comprendono anche i turchi, che si
sono fatti pagare oltre trenta miliardi di dollari per far passare gli Usa
dal loro territorio). Washington prevede che saranno mille se l'attacco
sfondera' velocemente, diecimila se dovra' prolungarsi per alcune settimane.
Sono gia' duecentomila i militari schierati sul confine, i giornali li
registrano e le tv ce li mostrano. I reparti speciali, Force e Rangers per
gli americani e Sas e marina per gli inglesi, sono gia' infiltrati per
conoscere il terreno, individuare i bersagli e illuminarli al momento
giusto.
Ci si spiega con abbondanza che le truppe sono dotate di alta tecnologia:
missili di crociera, munizioni guidate via laser o via satellite, bombe
sperimentali a microonde; nella prima guerra del Golfo soltanto il 9 per
cento delle bombe erano guidate, stavolta lo sara' il 75 per cento: sono
gia' in loco settemila bombe guidate Gps e trecento a guida laser. A
distruggere gli introvabili mezzi di sterminio, gli Scud e le postazioni di
comando militare, nonche' a liberare da presenze irachene i pozzi di
petrolio, penseranno gli Apache e altri aerei, detti furtivi, o con nomi da
fumettaccio crudele come Predator, Globalwalk e Hunter.
Perche' la novita' e' questa: se nel 1991 c'erano state cento ore di
combattimento terrestre dopo i trentanove giorni di bombardamenti, la
seconda guerra dovrebbe cominciare con bombardamenti a tappeto di ottocento
aerei, fra i quali i fantasmi B1 e B2, che romperanno le ossa alla Guardia
repubblicana, prima che le forze blindate si precipitino su Bassora e
Baghdad, da prendere o a tenaglia da nord a sud o con un piu' moderno
attacco simultaneo di una ventina di obiettivi. Piu' semplice sarebbe
bombardare a tappeto Baghdad, ma ha quattro milioni e cinquecentomila
abitanti e gli effetti collaterali sarebbero difficili da presentare al
mondo.
A quanti morti iracheni si arrivera'? Dipendera' da Saddam, replicano
imperturbabili Bush e Blair. Da lui, del resto, dipende la guerra. Come se
l'assedio della piu' grande potenza armata del mondo fosse ancora un gesto
di diplomazia. Se si arrende incondizionatamente, guerra non ci sara'. In
verita' non ci sarebbe mai stata guerra se ogni volta che il piu' forte
diceva: bada che vi vengo addosso, gli si fosse risposto: ma prego.
E poi chi deve arrendersi? Bush non ha mai preso sul serio le buffonate
radicali che anche il nostro parlamento ha votato compatto: Saddam vada in
esilio ed e' fatta. Bush intende prendere quel paese e tenerlo quanto serve.
Non si tratta di acchiappare Al Qaeda, che con l'Iraq non c'entra e che,
forse perche' addestrata in passato dalla Cia, sa come non farsi
acchiappare. Si tratta di rimodellare il Medio oriente.
*
Rimodellare il Medio oriente cominciando dall'Iraq, come chiedevano fin dal
1998 i falchi in una lettera a Bill Clinton (Donald Rumsfeld, Paul
Wolfowitz, Richard Perle, Richard Armitage); oggi fanno parte
dell'amministrazione Bush e dopo l'11 settembre questa e' la linea vincente,
non solo per vendicare quell'attentato ma per le difficolta' in cui si e'
trovato il presidente con lo scandalo Enron.
Che si tratti di rimodellare il Medio oriente lo ha detto per la prima volta
al Senato Colin Powell ai primi di febbraio.
Cominciando dall'Iraq, che ha una posizione strategica e ha - non va
dimenticato - il secondo giacimento mondiale di petrolio. Il primo ce l'ha
l'adiacente Arabia Saudita, che dalla presa americana dell'Iraq - pensano a
Washington - vedra' ridimensionato il suo peso contrattuale e che potrebbe
mutare la sua monarchia, poco amata, con una forma di governo diversa ma non
meno amica degli Usa che, hanno fatto intendere, ritirerebbero in questo
caso le basi in territorio saudita, oggetto dichiarato del conflitto di Bin
Laden. Questo progetto non tiene conto che e' in Arabia Saudita la fonte dei
wahabiti e che la presenza degli Usa in Iraq sollevera' dovunque un'ondata
fondamentalista, ma non importa: e' un progetto destinato al resto del
mondo, che dovrebbe seguire con entusiasmo, perche' chi puo' difendere mai i
Saud, appena piu' presentabili del Rais? Questa guerra sara' una vera
igienizzazione del mondo.
E durera' a lungo perche' c'e' molto da rimettere in ordine; al confine
nord-occidentale dell'Iraq c'e' la poco affidabile e sempre ostile Siria, da
ridurre alla ragione. E dall'altra parte l'Iran, con il quale gli Usa hanno
un vecchio conto da saldare: preoccupato, Khatami e' andato a visitare il
papa. Il Dipartimento di stato, appena atterrato l'Iraq, imporra' anche una
micro Palestina concordata con Sharon e Netanyau, dalla quale sara' espulso
di colpo, ha detto giovedi' in modo ilare il presidente americano, Yasser
Arafat, e non sara' certo accettata al suo posto qualche figura che oggi con
Arafat e' critica ma che non e' disposta a venderlo sotto gli ordini
israeliani.
Insomma, gli Stati Uniti dichiarano che prendono in Medio oriente il posto
che hanno avuto dopo la prima guerra mondiale Francia e Inghilterra, ma con
piu' mezzi, armi e determinazione, se ne assicureranno i governi e i
giacimenti di petrolio, non lo lasceranno finche' tutto il settore non sara'
ridisegnato. Forse ci vorra' una guerra infinita, non importa.
Che la prima tappa, quella dell'Iraq, sia da considerare gia' vinta, non
c'e' dubbio, sara' solo questione di tempo, anche perche' in Iraq non c'e',
come in Afghanistan, un Karzaj cui lasciare le cose in mano; quel paese e'
diviso in modo tale tra curdi, sciiti e sunniti, nonche' il blocco di
borghesia attorno a Saddam, che rischia un'esplosione. Meglio tenerlo per
cinque anni, anzi qualcuno dice per dieci, lasciandovi duecentocinquantamila
soldati e una iniezione di dollari tale da far sognare i paesi vicini. Di
la', gli Stati Uniti stabiliranno delle teste di ponte solide sull'islam e
in direzione dell'Asia.
*
Questa e' la posta di Bush.
Eravamo davvero fuori tempo pensando che non si sarebbe piu' tornati
indietro sull'acquisizione delle Nazioni Unite che respingeva l'uso della
guerra come soluzione dei conflitti. La guerra e' tornata di scena per mano
della piu' grande potenza mondiale e non in presenza di un conflitto, non
certo per battere il terrorismo internazionale che in Iraq non ha sede:
torna la guerra di conquista per imporre il proprio ordine.
Credevamo che soltanto un nazista potesse sognare di far ballare il mondo
nelle sue mani come Chaplin, invece non occorre, basta un texano con la
certezza di avere dalla sua parte il Bene, nonche' il bisogno del petrolio,
e la potenza militare per imporvelo.
Ancora un anno fa discutevamo se si potesse adoperare la vetusta categoria
di imperialismo. Adesso siamo regrediti alla guerra giusta, alla crociata
per liberare dei popoli dalle dittature e imporre la democrazia del
dollaro - la sola che si possa imporre con le buone o con le cattive.
Questo e' l'esito reale del 1989.
Bisogna dire che salvo Blair, Berlusconi e Aznar, che sono pronti a tutto,
il resto del mondo e' sgomento. Forse l'amministrazione Bush e' sorpresa che
il Consiglio di sicurezza non la segua, certo gli ha dato un poco di tempo
nella speranza di ricondurlo alla propria ragione. Alla campagna
indispettita della stampa contro la Francia devono essere seguite minacce
piu' concrete, se un uomo come Badinter - il ministro guardasigilli di
Mitterrand che aboli' la pena di morte - si e' spaventato e suggerisce al
suo paese di non mettere il veto perche' e' un atto ostile e che ragione ha
mai la Francia di scontrarsi con gli Stati Uniti per via dell'Iraq? Non ha
in quella regione alcun interesse. Non so se non dica ma forse pensi, che se
mai tornerebbe ad averlo se potesse partecipare al dopo Saddam con Bush e
Blair. Ma e' difficile che Chirac, tirato per i capelli a un voto, possa non
mettere il veto. Come e' difficile che non lo mettano Putin e la Cina.
Le missioni di Colin Powell e il grande agitarsi delle cancellerie in questi
giorni dimostrano che, per quanto Bush dichiari con insolenza che lui in
Iraq ci va anche da solo, non gli giova procedere avendo il Consiglio di
sicurezza contro.
E' un precedente che forse gli costerebbe caro all'interno, e certo
costituirebbe una rottura di freni per chiunque domani volesse rimodellare
un pezzo di mondo attorno a se'. Per questo ha giocato tutte le carte,
comprese le molte armi di ricatto che ha con i paesi africani, che si
trovano al Consiglio di sicurezza senza esserne membri permanenti: sono
tutti fortemente indebitati e se venisse a mancare il poco che ricevono dal
Fondo Monetario, o addirittura questo chiedesse veloci restituzioni, nessuno
reggerebbe. Ma anche cedere e' difficile, ed essi sembrano tenere finche' i
grandi - Francia, Cina, Russia, nonche' la Germania - terranno. I nove voti
che gli servono, Bush con certezza non li ha. E' dunque assai probabile che
eviti di tornare a un voto alle Nazioni Unite, ascoltera' Blix e poi
partira' assieme a Blair, sostenendo che non occorre una seconda
risoluzione, Saddam avendo manifestamente violato la 1441. E' una scappatoia
anche per i paesi che non saranno costretti a votargli contro e, se non
vogliono la guerra, preferiscono pero' aspettare che in America ci sia un
governo piu' presentabile. In fondo Bush padre aveva vinto la guerra del
Golfo e poi ha perduto le elezioni. Che le Nazioni Unite votino addirittura
una sanzione agli Stati Uniti non e' prevedibile.
*
Il mondo e' tornato instabile, perche' nessuno puo' prevedere come andra' a
finire a medio termine la seconda impresa del Golfo - puo' venirne un sisma
per tutta la regione e non se ne vede uno sbocco, anche per la mancanza di
una bussola laica e progressista che diventi un riferimento ai molteplici
conflitti che vi covano e si scateneranno.
L'Onu ne uscira' per il rotto della cuffia, con la dignita' di non essersi
sconfessata dando il via alla guerra ma con una manifesta impotenza di
fronte al piu' forte.
Ogni carta, soprattutto quelle internazionali, esige un reciproco impegno
che gli Stati Uniti non hanno mai dato sul serio, non lo danno neppure per
la Corte penale internazionale, anche se agitano a ogni momento democrazia e
diritti umani.
Ne' il Vietnam gli ha insegnato qualcosa - almeno a quella parte che ha
votato Bush, ma neanche a quella meta' del paese che si e' astenuta dal
votare e lo ha lasciato passare.
I nodi che vengono al pettine delle Nazioni Unite sono quelli di una crisi
crescente della rappresentanza, che tocca in qualche misura tutti i paesi
occidentali che l'avevano conseguita e lasciano a se stessi quelli che quel
tragitto non l'avevano ancora fatto.
Anche qui il Novecento, lungi dall'essere uscito di scena, ci rimanda alla
domanda sulla necessita' di controllo sui poteri alla quale rispondono oggi
soltanto i grandi movimenti, privi di sponda nelle istituzioni di una
democrazia sempre piu' rachitica.
7. MEMORIA. LUCIANO ANTONETTI RICORDA JIRI PELIKAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 febbraio 2003. Jiri Pelikan e' stato
uno straordinario, indimenticabile militante per i diritti umani e per la
pace (io che scrivo queste righe ricordo ancora con viva commozione le
occasioni in cui partecipai a incontri di riflessione con lui; sono passati
non pochi anni, non ho dimenticato la sua persona, le sue parole, il suo
magistero)]
Cosa direbbe Jirka? Questa e' la domanda che venerdi' scorso mi veniva
spontanea in continuazione, mentre assistevo alla presentazione
dell'inventario del Fondo di Jiri Pelikan, costituito presso l'archivio
storico della Camera e fatta coincidere con l'ottantesimo anniversario della
sua nascita (Olomouc, 7 febbraio 1923 - Roma, 26 giugno 1999). La domanda
non era retorica. Lo conoscevo tanto da renderla legittima.
Lo avevo incontrato a Praga, prima del fatidico '68, lui direttore della
televisione ed io giornalista italiano, di tanto in tanto invitato a
commentare avvenimenti del nostro paese e perfino a partecipare a un
programma per il San Silvestro del 1967.
Lo avevo rincontrato a Roma, dopo il suo arrivo nel novembre 1968, quando
ero stato a casa sua per invitare i suoi ospiti cecoslovacchi, tra i quali
Radovan Richta, per una tavola rotonda che poi usci' su "Rinascita".
L'anno successivo, dopo che aveva deciso di restare a Roma e di chiedere
asilo politico, cominciava la nostra amicizia e collaborazione trentennale.
Lui mi forniva regolarmente le informazioni che riceveva dai suoi amici
rimasti in patria, che io traducevo o riassumevo per gli organismi dirigenti
del Pci e per diversi anni, avendo avuto di nuovo la possibilita' di
viaggiare tra Roma e Praga, fui io a fare da tramite con parecchi dei suoi
corrispondenti.
Di lui conservo ancora, tra molte cose, il biglietto che mi scrisse dal
letto di ospedale per incaricarmi di leggere alcuni passi di Io, esule
indigesto quale suo contributo a una manifestazione organizzata
dall'Ambasciata ceca a Roma per il trentesimo anniversario della primavera
di Praga.
*
Venerdi' me lo vedevo accanto, con quel sorriso che gli illuminava il viso
rotondo e sempre pronto a trasformarsi in riso aperto. Lo vedevo lieto per
la realizzazione di una sua aspirazione: lasciare una testimonianza che
evitasse alle nuove generazioni la ripetizione degli errori compiuti dalla
nostra. Ne avevamo parlato. Nell'estate 1966 gli era stato gia'
diagnosticato il male che lo avrebbe ucciso, ma nel suo ottimismo era
convinto di avere ancora sufficiente tempo per dare corpo a quel desiderio,
portato a compimento dalla vedova, Jitka Frantova, e dai due presidenti
della Camera, Luciano Violante prima e Casini poi. Lo vedevo sorridere
nell'ascoltare le lodi sperticate a Bettino Craxi, espresse dagli oratori
ufficiali Casini, Giorgio Napolitano, Enzo Bettizza per la solidarieta'
materiale e politica che gli aveva manifestato: gli aveva permesso di fare
uscire in Italia "Listy", bimestrale dell'opposizione socialista
cecoslovacca, che era diffuso clandestinamente in patria; lo aveva portato a
Strasburgo, deputato europeo eletto nelle liste del Psi nel 1979 e nel 1984.
Ricordavo, insieme, l'amarezza che aveva manifestato cinque anni dopo. Jirka
non avrebbe voluto ripresentarsi ma dedicare piu' tempo alla sua "vita". Lo
avevano convinto e alla fine aveva accettato ma non fu rieletto. Proprio nel
momento in cui si annunciavano cambiamenti in Cecoslovacchia e in Europa e
quella tribuna avrebbe fatto comodo al movimento della dissidenza.
*
Lo vedevo sorridere nell'ascoltare il presidente della commissione esteri
della Camera ceca rammaricarsi "perche' non abbiamo utilizzato la sua
esperienza. Ma non lo dimentichiamo". E ripensavo alla malinconia che Jirka
manifestava, quando ricordavamo che l'incarico di componente il gruppo dei
consiglieri di Vaclav Havel era niente di piu' di un titolo onorifico, o
quando notavamo che i nuovi dirigenti arrivati al governo dopo il 1989, in
Cecoslovacchia, in Polonia e altrove, facevano il possibile e l'impossibile
per screditare ed emarginare i rappresentanti di quella dissidenza che pure
aveva preparato il cambiamento. Lo stesso Pelikan aveva dovuto subire gli
assalti dei "nuovi" anti-comunisti, intentando un processo contro chi lo
spacciava per un confidente della polizia segreta nazista. Vinse la causa,
ma quanta fatica dovette fare, per superare la sordita' e l'inerzia di
quegli uffici che avrebbero potuto fornire le prove della sua innocenza e,
soprattutto, della falsita' dell'accusa. Perche' non ricordare la sua
battaglia contro la famigerata lustrace, una legge pensata e approvata per
colpire in particolari i riformatori del 1968? La legge che Alexander
Dubcek, all'epoca presidente del parlamento federale, aveva rifiutato di
sottoscrivere, ma che Havel aveva firmato, promettendo emendamenti mai
approvati o presentati?
*
Personaggio scomodo, "esule indigesto" Jiri Pelikan, certo, ma non solo per
il Pci, come vorrebbero far credere in tanti. La sua firma e' apparsa sotto
molti articoli e interviste pubblicati da "Il manifesto" e da "L'Unita'".
Della nostra collaborazione ho gia' detto, vorrei soltanto aggiungere un
altro particolare: fu io a organizzare l'incontro riservato, una sera del
novembre del 1988, tra Jirka e Alexander a Frattocchie, nella scuola di
partito del Pci. A molti critici dalla memoria corta, poi, devo ricordare la
sua amicizia con Rossana Rossanda, lo stretto rapporto di collaborazione con
Davide Lajolo, del comitato centrale del Pci e direttore di "Vie Nuove", che
pubblico', tra l'altro, le memorie di Josef Smrkovsky e la lettera di Dubcek
alla vedova dello stesso; la fruttuosa collaborazione con Lucio Lombardo
Radice, anche lui del comitato centrale del Pci e autore della prefazione al
suo Congresso alla macchia (1970, ristampato nel 1999). Dal canto suo,
Napolitano ricorda quanto gli e' cara la copia di Il fuoco di Praga (1978),
dedicata "A Giorgio Napolitano, con amicizia e riconoscimento per la sua
solidarieta'".
*
Non conosco il momento preciso o l'avvenimento o la serie di avvenimenti che
portarono Pelikan a smettere di credere nella riformabilita' dei sistemi
socialisti dell'Est europeo. Certo sarebbe strano che potesse conservare
quella fede senza prendere atto di quanto era accaduto e accadeva. So pero'
che non e' stato, come parecchi si affannano a far credere, "il giorno dopo
l'invasione della Cecoslovacchia". Nel gennaio 1969 scrisse un biglietto a
Giancarlo Pajetta, per ringraziarlo di un suo editoriale, che intendeva
portare a Praga, "come il miglior regalo per i nostri amici". Agli inizi del
1970 scrisse ad Enrico Berlinguer che anche nell'esilio rimaneva comunista
(passo espunto dalla lettera riprodotta in Io, esule indigesto).
Quindi solo in seguito. E cerco' di parlare di comunismo, per sostenere la
visione di una societa' di socialismo democratico; e solo quando trasferi'
la stampa di "Listy" da Roma a Praga cambio' il sottotitolo da "Giornale
dell'opposizione socialista cecoslovacco" a "Bimestrale di cultura politica
e dialogo civico".
Con Dubcek, oltre tutti i punti d'accordo elencati da Napolitano e Bettizza,
concordo' nella strenua difesa della federazione tra cechi e slovacchi.
Non cesso' mai, inoltre, di avversare il liberismo sfrenato dei conservatori
di stampo thacheriano come Vaclal Klaus e l'instaurazione di una economia di
mercato senza regole. Cosi' come non cesso' mai di esprimersi contro
l'esistenza di un "gendarme mondiale" (sulla base dell'esperienza fatta con
l'Urss sui paesi socialisti), che decidesse per tutti di cio' che e' bene e
di cio' che e' male, senza per questo scadere nell'antiamericanismo.
*
Come avrebbe reagito agli avvenimenti di questi mesi e di queste settimane?
Si sarebbe pronunciato con estrema risolutezza contro il terrorismo. Con
altrettanta decisione, pero', si sarebbe pronunciato contro la guerra, come
aveva gia' fatto a proposito del Kosovo.
L'ultima annotazione. Definita ottima l'iniziativa del fondo Pelikan, c'e'
da augurarsi che possa arricchirsi di altre acquisizioni, grazie alla
collaborazione con analoghi enti di Praga.
8. MAESTRE. LAURA BOELLA: DELLA POETICA DI INGEBORG BACHMANN
[Da Laura Boella, Le imperdonabili, Tre Lune, Mantova 2000, p. 88.
Laura Boella, docente di storia della filosofia morale all'Universita' di
Milano, e' tra le massime studiose di Gyorgy Lukacs, Agnes Heller, Ernst
Bloch, Hannah Arendt. E' impegnata nella ricostruzione del pensiero
femminile nel Novecento. Fa parte della redazione della rivista filosofica
"aut-aut". Opere di Laura Boella: Il giovane Lukacs, De Donato, Bari 1977;
Intellettuali e coscienza di classe, Feltrinelli, Milano 1977; Ernst Bloch.
Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987; Dietro il paesaggio. Saggio su
Simmel, Unicopli, Milano 1987; Parole chiave della politica, Mantova 1995;
Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Feltrinelli,
Milano 1995; Morale in atto, Cuem, 1997; Cuori pensanti. Hannah Arendt,
Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, Tre Lune, Mantova 1998; con
Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Cortina, Milano 2000; Le imperdonabili. Etty Hillesum, Cristina Campo,
Ingeborg Bachmann, Marina Cvetaeva, Tre Lune, Mantova 2000.
Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 - Roma
1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'.
Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione
all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il
lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia
esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto
e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e
poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne.
Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan.
Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo
eventuale. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4
voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und
Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. Opere su Ingeborg Bachmann: un'ampia
bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di
Invocazione all'Orsa Maggiore]
E' questo il senso di uno dei principi fondamentali della poetica di
Ingeborg Bachmann: la strenua lotta con le parole deve portare a dire la
verita'.
9. MAESTRI. DAVID MARIA TUROLDO: COSI' ERAVAMO AMICI CON DON MILANI
[Da David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte
(Bg) 1997, 1999, p. 54.
David Maria Turoldo, nato in Friuli nel 1916, ordinato sacerdote nel 1940,
partecipo' alla Resistenza; collaboratore di don Zeno Saltini a Nomadelfia,
fondatore con padre Camillo De Piaz della "Corsia dei Servi", poi direttore
del "Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII" a S. Egidio Sotto il Monte.
Ha pubblicato numerose opere di riflessione religiosa, di intervento civile,
di poesia. E' scomparso nel 1992. Opere di David Maria Turoldo: della sua
vastissima produzione segnaliamo particolarmente alcune raccolte di versi:
Il sesto angelo (poesie scelte - prima e dopo il 1968), Mondadori, Milano
1976; e O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990, 1993; Ultime
poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; ed almeno la raccolta di testi in
prosa La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996. Per una
bibliografia piu' ampia: a) poesia: Io non ho mani, Bompiani, Milano 1948;
Udii una voce, Mondadori, Milano 1952; Gli occhi miei li vedranno,
Mondadori, Milano 1955; Preghiere tra una guerra e l'altra, Corsia dei
Servi, Milano 1955; Se tu non riappari, Mondadori, Milano 1963; Poesie, Neri
Pozza, Vicenza 1971; Fine dell'uomo?, Scheiwiller, Milano 1976; Il sesto
angelo, Mondadori, Milano 1976; Laudario alla Vergine, Dehoniane, Bologna
1980; Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, Napoli
1978, poi Gei, Milano 1984; Impossibile amarti impunemente, Quaderni del
Monte, Rovato 1982; Ritorniamo ai giorni del rischio, Cens, Liscate 1985; O
gente terra disperata, Paoline, Roma 1987; Il grande Male, Mondadori, Milano
1987; Come possiamo cantarti, o Madre?, Diakonia della theotokos, Arezzo
1988; Nel segno del Tau, Scheiwiller, Milano 1988; Cosa pensare., La Rosa
Bianca, Trento 1989; Canti ultimi, Carpena, Sarzana 1989, poi Garzanti,
Milano 1991; (con G. Ravasi), Opere e giorni del Signore, Paoline, Cinisello
Balsamo 1989; O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990; Mie
notti con Qohelet, Garzanti, Milano 1992; Ultime poesie (1991-1992),
Garzanti, Milano 1999; Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002; b) teatro: La
terra non sara' distrutta, Garzanti, Milano 1951; Da una casa di fango
(Job), La Scuola, Brescia 1951; La passione di San Lorenzo, Morcelliana,
Brescia 1961, poi Citta' Armoniosa, Reggio Emilia 1978; Vigilia di
Pentecoste, Giac (pro manuscripto), Milano 1963; Oratorio in memoria di
frate Francesco, Messaggero, Padova 1981; Sul monte la paura, Cens, Liscate
1983; La morte ha paura, Cens, Liscate 1983; c) saggistica: Non hanno piu'
vino, Mondadori, Milano 1957, poi Queriniana, Brescia 1979; La parola di
Gesu', La Locusta, Vicenza 1959; Tempo dello Spirito, Gribaudi, Torino 1966;
Uno solo e' il Maestro, Signorelli, Milano 1972; Nell'anno del Signore,
Palazzi, Milano 1973; Alla porta del bene e del male, Mondadori, Milano
1978; Nuovo tempo dello Spirito, Queriniana, Brescia 1979; Mia terra addio,
La Locusta, Vicenza 1980; Povero Sant'Antonio, La Locusta, Vicenza 1980; (a
cura di), Testimonianze dal carcere, Paoline, Roma 1980; Amare, Paoline,
Roma 1982; Perche' a te, Antonio?, Messaggero, Padova 1983; Ave Maria, Gei,
Milano 1984; (con A. Levi, M .C. Bartolomei Derungs), Dialogo sulla
tenerezza, Cens, Liscate 1985; L'amore ci fa sovversivi, Joannes, Milano
1987; Come i primi trovadori, Cens, Liscate 1988; Il diavolo sul pinnacolo,
Paoline, Cinisello Balsamo 1988; Il Vangelo di Giovanni, Rusconi, Milano
1988; Per la morte (con due meditazioni di P. Mazzolari), La Locusta,
Vicenza 1989; Amar, traduzione portoghese, a cura di I. F. L. Ferreira,
Paulinas, Sao Paulo 1986; (con R. C. Moretti), Mani sulla vita, Emi, Bologna
1990; La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996; Il mio amico
don Milani, Servitium, Sotto il Monte 1997; Il dramma e' Dio, Rizzoli,
Milano 1992, 1996, 2002; d) traduzioni: I Salmi, Dehoniane, Bologna 1973;
Salterio Corale, Dehoniane, Bologna 1975; Chiesa che canta, volumi I-VII,
Dehoniane, Bologna 1981-1982; (con G. Ravasi), "Lungo i fiumi..." - I Salmi,
Paoline, Cinisello Balsamo 1987; Ernesto Cardenal, Quetzalcoatl, Mondadori,
Milano 1989; e) narrativa: ... E poi la morte dell'ultimo teologo, Gribaudi,
Torino 1969. Opere su David Maria Turoldo: un'utile bibliografia di avvio e'
in D. M. Turoldo, Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002.
Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della
borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato
a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di
estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi
trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza
della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la
gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive
la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti
sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga
malattia nel 1967: era appena uscita la Lettera a una professoressa della
scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di
classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia
della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui
la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e
della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una
virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria
Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla
mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica,
integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi
sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice
Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la
ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e
criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio
Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel
volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose;
fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte
dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era
costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don
Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci,
L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco
Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura
di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio
bibliografico sintetico e' in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla
pace, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998. Segnaliamo anche
l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno
1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta',
supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di
recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli
ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997;
David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg)
1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997,
poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani
a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione
don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il
maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre
dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris,
Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su
Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa
Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002]
Cosi' eravamo amici, fino a urlare insieme la' dove non eravamo d'accordo.
10. LETTURE. NOAM CHOMSKY: IL CONFLITTO ISRAELE-PALESTINA
Noam Chomsky, Il conflitto Israele-Palestina, Datanews, Roma 2002, pp. 176,
euro 9,30. Una raccolta di recenti interventi del grande pensatore e
militante nordamericano apparsi negli ultimi due anni nel sito di "Znet".
11. LETTURE. ENZO CICONTE, PIERPAOLO ROMANI: LE NUOVE SCHIAVITU'
Enzo Ciconte, Pierpaolo Romani, Le nuove schiavitu', Editori Riuniti, Roma
2002, pp. 200, euro 10. "Il traffico degli esseri umani nell'Italia del XXI
secolo" recita il sottotitolo di questo utile saggio che unisce
documentazione, analisi e denuncia.
12. RILETTURE. ALBE STEINER: IL MANIFESTO POLITICO
Albe Steiner, Il manifesto politico, Editori Riunti, Roma 1978, pp. 110 di
testo + pp. 152 di illustrazioni. La riflessione e il lavoro di Albe
Steiner, un libro da cui si impara di nuovo qualcosa ogni volta che si torna
ad aprirlo. Albe Steiner (1913-1974) "antifascista militante, partigiano in
Val d'Ossola, fondo' con Elio Vittorini il giornale 'Il Politecnico', centro
vivo di cultura democratica in senso moderno. Artista di alto livello nel
campo della grafica, fu maestro delle forme di comunicazione collettiva,
innovando la tradizione italiana con soluzioni ardite e personalissime"
(cosi' la motivazione della medaglia d'oro di benemerenza civica alla
memoria attribuitagli dal Comune di Milano).
13. RILETTURE. BRUNO ZEVI: EDITORIALI DI ARCHITETTURA
Bruno Zevi, Editoriali di architettura, Einaudi, Torino 1979, pp. 446. Una
raccolta di saggi che nati come editoriali della rivista "L'architettura -
cronache e storia" sono anche un monumento di cultura critica e di impegno
civile, ed una inesauribile miniera di stimoli alla riflessione e alla
discusssione; Bruno Zevi, combattente antifascista, docente e umanista,
militante liberalsocialista, e' stato una delle figure piu' vive della
cultura democratica e della vita civile dell'italia del Novecento.
14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 525 del 4 marzo 2003