[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
LA RABBIA E L'ORGOGLIO DEI CURDI SBARCANO SUL "FOGLIO": I RETROSCENA DI UN CASO GIORNALISTICO
- To: news@peacelink.it
- Subject: LA RABBIA E L'ORGOGLIO DEI CURDI SBARCANO SUL "FOGLIO": I RETROSCENA DI UN CASO GIORNALISTICO
- From: Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>
- Date: Fri, 28 Feb 2003 03:08:17 +0100
Un nuovo attacco ai pacifisti dal quotidiano di Ferrara
LA RABBIA E L'ORGOGLIO DEI CURDI SBARCANO SUL "FOGLIO": I RETROSCENA DI UN
CASO GIORNALISTICO
Mentre il mondo manifesta per la Pace, i curdi dell'Iraq e le associazioni
italiane che li difendono gridano la loro impotenza contro il regime di
Saddam, chiedendo con toni fermi una maggiore attenzione da parte del
movimento pacifista. E i media con l'elmetto sguazzano nella polemica.
di Carlo Gubitosa - Associazione PeaceLink <c.gubitosa@peacelink.it>
Il 13 febbraio scorso un gruppo di organizzazioni dell'area pacifista ha
lanciato alla vigilia della grande manifestazione di Roma una esplicita
richiesta al movimento antiguerra: "noi non crediamo che il movimento
contro la guerra, a cui noi apparteniamo, sia indifferente alle terribili
sofferenze inflitte dal dittatore di Baghdad: ma allora bisogna dirlo forte
e chiaro. Vorremmo che alla manifestazione del 15 febbraio, e a quelle che
seguiranno, al nostro no senza condizioni alla guerra si aggiungesse
finalmente il no senza condizioni anche a Saddam Hussein".
Questa lettera, indirizzata "alle donne e agli uomini, alle ragazze e ai
ragazzi del movimento contro la guerra, ai loro leader, ai parlamentari, ai
partiti e alle amministrazioni locali contro la guerra" e' stata firmata da
Davide Issamadin (Comunita' kurdo-irachena in Italia), Abulilla Sahlan
(Comunita' araba irachena), Sami Chachan (Comunita' assirobabilonese e
cristiana), Graziella Bronzini (associazioni di solidarieta' con il popolo
kurdo).
Le quattro organizzazioni firmatarie si chiedono "perche' il movimento
contro la guerra non abbia ancora detto una parola di condanna dei crimini
orrendi del regime iracheno, non ne abbia preso le distanze, non gli chieda
conto delle terribili sofferenze inflitte al popolo kurdo e iracheno. Noi
non riusciamo a spiegarci perche' un movimento pacifista e nonviolento
rimanga in silenzio di fronte a una delle violenze piu' terribili della
nostra storia. Se il carnefice diventa vittima, le vittime svaniscono nel
nulla. e noi abbiamo di fronte una grandissima responsabilita', perche' non
si puo' essere solidali con il popolo kurdo e il popolo iracheno senza
chiedere che Saddam Hussein se ne vada".
Nel testo di questo messaggio e' contenuto un forte grido di denuncia
contro i crimini commessi da "quel Saddam Hussein che, per sterminare il
popolo kurdo, non ha esitato a massacrare migliaia di civili con le armi
chimiche ad Halabja e nel Badinan, a radere al suolo 4.500 centri abitati,
a imbottire con 20 milioni di mine antiuomo il territorio kurdo, a
deportare piu' di 500.000 bambini, donne, uomini, di cui 182.000
desaparecidos, a continuare indisturbato fino ad oggi l'arabizzazione
forzata e la pulizia etnica della regione petrolifera kurda di Kirkuk. Quel
Saddam Hussein, responsabile di una catastrofe umana e ambientale con il
prosciugamento delle paludi nel sud abitato dagli sciiti, la loro
deportazione a centinaia di migliaia e l'assassinio di decine di migliaia
di essi".
Il messaggio polemico lanciato a nome delle vittime del regime iracheno non
e' sfuggito a Cristina Giudici, collaboratrice del "Foglio", di "Vita",
"Anna" e altri giornali, una giornalista che molti anni fa ha mollato tutto
per raggiungere il Nicaragua, dove era in corso la rivoluzione sandinista.
Dopo aver lavorato per tre anni in Nicaragua, lavorando per "Radio
Insurrection", Cristina ritorna in Italia, e firma su "Vita" molti bei
pezzi di scrittura "alla Gino Strada", che oggi farebbero inorridire il
direttore del quotidiano per cui scrive. Un esempio tra i tanti possibili
e' un duro servizio dell'ottobre 1997 sulla mancata conversione in legge
della convenzione internazionale contro la Tortura, tuttora oggetto di una
campagna lanciata da Amnesty International. "Un reato atroce come la
tortura non e' neppure perseguibile -scriveva Cristina- Se i para' italiani
[coinvolti nello scandalo della Somalia, Ndr] fossero colpevoli potrebbero
quindi cavarsela con poco".
Tuttavia di qualcosa bisogna pur vivere, e se uno di mestiere fa il
falegname accetta di costruire un tavolo su commissione, anche se questo
tavolo e' brutto, scomodo e inutile. E' cosi' che molti giornalisti in
gamba, dopo aver investito le loro passioni giovanili nella stampa sociale
(che e' molto interessante ma poco redditizia) si ritrovano a lavorare su
commissione creando pezzi brutti, scomodi e inutili per giornali che
chiedono ai loro collaboratori solamente tre ingredienti fondamentali:
polemica, sensazionalismo e denigrazione dei "nemici" politici.
Cristina mi telefona il pomeriggio del 20 febbraio, e dopo essersi
presentata rompiamo il ghiaccio con un po' di chiacchiere, da cui mi sembra
di scorgere una leggera insofferenza per la "linea politica" dell'ambiente
in cui e' costretta a lavorare. Poi si arriva al sodo: "hai letto il
comunicato dei curdi iracheni? Perche' i pacifisti non hanno risposto?"
Gia' dalle prime domande capisco in che direzione si muove la sua
intervista. Nel quadro di Cristina mancano solo le "tinte" e il "colore" da
dare con qualche "virgolettato", ma il soggetto da dipingere e' gia'
pronto: un movimento pacifista "a senso unico", incoerente e fazioso, che
si nasconde dietro motivazioni etiche per combattere Bush e Berlusconi
mentre i curdi vengono abbandonati al loro destino. Cio' nonostante,
accetto di buon grado il mio ruolo di "scudo umano" mediatico, e per
evitare che questa trappola dialettica venga rivolta a qualcuno piu'
sprovveduto e strumentalizzabile di me, mi invischio in una conversazione
di quaranta minuti spiegando che oltre alle realta' piu' "mediatiche" e
"antagoniste" del pacifismo, che si occupano principalmente della critica
strutturale al neoliberismo, all'"impero" americano e alle guerre provocate
in nome dell'economia, esistono tantissimi gruppi e associazioni che si
muovono in silenzio e senza proclami ufficiali accanto alle vittime di
tutte le guerre e dittature; spiego che la proposta politica dei pacifisti
non si limita ad una critica sterile ma comprende anche quel progetto di
"Corpo Civile di Pace Europeo" sognato dall'Europarlamentare nonviolento
Alex Langer e diventato nel 1999 una raccomandazione inascoltata del
Parlamento Europeo rivolta agli stati membri dell'Unione; cerco di far
capire che anche i media culturalmente avversi ai "movimenti" avrebbero
tutto l'interesse a valorizzare la parte piu' seria, costruttiva e
nonviolenta dei movimenti italiani, senza aggrapparsi agli inevitabili
contrasti interni per screditare il pacifismo nel suo complesso; faccio
presente che la questione curda, cosi' come quella cecena, tibetana e
colombiana, sono da tempo oggetto di attenzione da parte delle associazioni
di solidarieta' internazionale, consiglio la lettura del documento finale
letto dal palco di piazza San Giovanni e nel quale si fa esplicita menzione
della "dittatura e tirannia" che affliggono l'Iraq, segnalo i numerosi
progetti di solidarieta' con la popolazione irachena (curda e non)
realizzati a partire dal 1991 dall'associazione "Un Ponte per...".
Ma di tutto questo non rimane traccia, e il distillato di questi quaranta
minuti di "radiografia del pacifismo" sono quattro righe che gettano
benzina sul fuoco della polemica: "il movimento pacifista e' una galassia
molto vasta. Ci sono quelli che hanno come unico obiettivo Bush e l'impero
e quelli piu' seri, che da anni si battono contro ogni forma di violenza. I
primi sono succubi dell'agenda politica di chi vuole dare la spallata alla
maggioranza; i secondi stanno dalla parte di curdi, ceceni, tibetani, ma
non trovano molto spazio sui media. Comunque io credo che la lettera di
protesta degli iracheni sia un campanello di allarme che va ascoltato,
perche' mette in evidenza le contraddizioni del movimento".
A questo si aggiungono alcune ingenuita', inesattezze e veri e propri
"colpi bassi" giornalistici. Sembra un po' scorretto affermare che davanti
alla lettera aperta dei curdi "nessuno di quelli che quotidianamente
scrivono su PeaceLink, un sito informativo dedicato alla non violenza, si
e' sentito chiamato in causa", perche' e' proprio sulle pagine web di
PeaceLink che la giornalista del "Foglio", per sua stessa ammissione, ha
ritrovato il comunicato rivolto alle organizzazioni pacifiste.
Inoltre da una persona che ha scritto per un settimanale autorevole come
"Vita" ci si aspetta che abbia almeno imparato a scrivere "nonviolenza" al
posto di "non violenza", avendo compreso la differenza tra la semplice
negazione della violenza e la parola unica usata in ambito pacifista per
esprimere con un solo vocabolo la proposta di vita e di lotta formulata da
Gandhi e Capitini.
Il vero e proprio sgambetto, pero' arriva con una maliziosa citazione che
la Giudici definisce "un giudizio severo sui pacifisti".
Nel comunicato dei curdi si legge effettivamente che "ci viene da credere
che i valori di democrazia e di liberta' che cosi' strenuamente difendete
vi siano cari solo quando riguardano voi", ma quel testo aggiuntivo
allegato al comunicato non si rivolge ai pacifisti, ma e' espressamente
indirizzato "a chi ha stretto la mano a Tarek Aziz", quindi al Papa e ai
politici nostrani che hanno incontrato il numero due di Saddam: Violante,
Castagnetti, Boato, Rizzo, Intini, Pisicchio, Pecoraro Scanio e poi ancora
Frattini, Mancino, Scalfaro, Dini, Cossutta, Buttiglione, Cossiga,
Formigoni, e l'elenco potrebbe continuare. Come mai "Il Foglio" non ha
chiesto conto anche a questi personaggi del loro silenzio colpevole sulla
questione curda? Che dire... di fronte alle impietose regole
dell'informazione "a tinte forti" la realta' piu' inquietante non e' un
articolo che spaccia per verita' oggettiva una visione della realta'
plasmata in base alle intenzioni del cronista, ma l'esistenza di un sistema
dell'informazione ormai malato nel suo complesso, un "moloch" giornalistico
che e' capace di fagocitare giornaliste giovani, dotate, avventurose e
socialmente impegnate per trasformarle in mature artiste del gossip
politico, capaci di confezionare dal nulla polemiche inesistenti con un
cocktail di cellulari, posta elettronica, siti web e tanto, tanto mestiere.
Cara Cristina, se fossi ricco e miliardario ti assumerei alle mie
dipendenze per darti carta bianca e farti scrivere ancora di tortura e
sudamerica, di miserie umane e battaglie civili. Purtroppo tutto quello che
posso fare per te e' augurarti di riuscire a conservare (se ancora non le
hai perse) quelle motivazioni pulite che ti hanno spinto al giornalismo,
nell'attesa che il tuo percorso professionale incroci quello di un
direttore piu' incline alle inchieste e meno alle risse verbali.
----------------------
ALLEGATO 1
IL COMUNICATO
Date: Tue, 18 Feb 2003 16:04:37 +0100
To: pace@peacelink.it
Subject: Kurdi irakeni in It.: Lett.aperta al movim. No War
Lettera aperta al movimento contro la guerra.
Da parte di :
p. La Comunita' kurdo-irachena in Italia - Davide Issamadin
p. La Comunita' araba irachena - Abulilla Sahlan
p. Le Comunita' assirobabilonese e cristiana - Sami Chachan
p. Le Associazioni di solidarieta' con il popolo kurdo - Graziella Bronzini
13 febbraio 2003
LETTERA APERTA
Alle donne e agli uomini, alle ragazze e ai ragazzi del movimento contro la
guerra
Ai loro leader
Ai parlamentari, ai partiti,alle Amministrazioni locali contro la guerra
Siamo contro la guerra senza se e senza ma. E siamo contro Saddam Hussein
senza se e senza ma. Vorremmo che alla manifestazione del 15 febbraio, e a
quelle che seguiranno, al nostro no senza condizioni alla guerra si
aggiungesse finalmente il no senza condizioni anche a Saddam Hussein. La
pace che invochiamo e che sta scritta sull'arcobaleno delle nostre bandiere
in Iraq ora non c'e', perche' Saddam Hussein da trent'anni opprime il
popolo iracheno con il terrore e la corruzione, il sangue e l'inganno, il
carcere, la tortura e la morte per i suoi oppositori. Quel Saddam Hussein
che, per sterminare il popolo kurdo, non ha esitato a massacrare migliaia
di civili con le armi chimiche ad Halabja e nel Badinan, a radere al suolo
4.500 centri abitati, a imbottire con 20 milioni di mine antiuomo il
territorio kurdo, a deportare piu' di 500.000 bambini, donne, uomini, di
cui 182.000 desaparecidos, a continuare indisturbato fino ad oggi
l'arabizzazione forzata e la pulizia etnica della regione petrolifera kurda
di Kirkuk. Quel Saddam Hussein, responsabile di una catastrofe umana e
ambientale con il prosciugamento delle paludi nel sud abitato dagli sciiti,
la loro deportazione a centinaia di migliaia e l'assassinio di decine di
migliaia di essi.
Certo, il dittatore iracheno e' stato armato e sostenuto fino a ieri dai
paesi occidentali e non solo. E allora? La loro complicita' con i criminali
di Baghdad ne diminuisce forse le colpe? Ne fa forse degli innocenti? Noi
non riusciamo a spiegarci perche' il movimento contro la guerra non abbia
ancora detto una parola di condanna dei crimini orrendi del regime
iracheno, non ne abbia preso le distanze, non gli chieda conto delle
terribili sofferenze inflitte al popolo kurdo e iracheno. Noi non riusciamo
a spiegarci perche' un movimento pacifista e nonviolento rimanga in
silenzio di fronte a una delle violenze piu' terribili della nostra storia.
Se il carnefice diventa vittima, le vittime svaniscono nel nulla. e noi
abbiamo di fronte una grandissima responsabilita', perche' non si puo'
essere solidali con il popolo kurdo e il popolo iracheno senza chiedere che
Saddam Hussein se ne vada.
Noi non crediamo che il movimento contro la guerra, a cui noi apparteniamo,
sia indifferente alle terribili sofferenze inflitte dal dittatore di
Baghdad: ma allora bisogna dirlo forte e chiaro. E bisogna dire forte e
chiaro che fintanto il clan di Tikrit rimarra' al potere non vi saranno ne'
diritti, ne' pace, ne' liberta' per i due popoli.
Se oggi c'e' ancora una possibilita' che la guerra non divampi, con tutto
il suo strascico di orrore e di morte, e' quella che Saddam Hussein e i
suoi complici chiedano perdono al popolo kurdo e iracheno di fronte a un
tribunale internazionale che li giudichi per crimini contro l'umanita'.
Questa richiesta non sarebbe un cedimento alla nostra opposizione alla
guerra, anzi, perche' toglierebbe agli Stati Uniti e ai suoi alleati il
maggiore pretesto per cercare di sconfiggere il terrorismo con le armi.
L'amore per la pace che tutti condividiamo non puo' essere barattato con
l'amore per la giustizia e la liberta'.
p. La Comunita' kurdo-irachena in Italia - Davide Issamadin
p. La Comunita' araba irachena - Abulilla Sahlan
p. Le Comunita' assirobabilonese e cristiana - Sami Chachan
p. Le Associazioni di solidarieta' con il popolo kurdo - Graziella Bronzini
ALLEGATO
A chi ha stretto la mano a Tarik Aziz
Mentre le nostre comunita' erano riunite per ultimare la lettera aperta al
movimento contro la guerra, abbiamo visto scorrere alla televisione le
immagini disgustose dell'accoglienza a Tarik Aziz, uno dei maggiori
criminali responsabili degli eccidi del popolo iracheno, citati nella
lettera suddetta. Quelle immagini ci hanno mortificato profondamente e
riempito di sdegno, perche' le mani che hanno stretto le mani di Tarik Aziz
sono quelle che meglio conoscono il dramma del popolo iracheno, a cui in
piu' occasioni hanno espresso solidarieta'. Noi, che siamo le vere vittime
di quelle mani grondanti di sangue innocente, facciamo fatica a pensare,
pur essendo contrari alla guerra sia per una scelta di principio, che per
amore della vita e della liberta', che un criminale come Tarik Aziz sia
accolto ad ascoltato come messaggero di una pace possibile in Iraq , che
lasci al suo posto il regime terrorista di Saddam Hussein. E scusateci se
ci viene da credere che i valori di democrazia e di liberta' che cosi'
strenuamente difendete Vi siano cari solo quando riguardano Voi.
I firmatari della lettera aperta
--------------
ALLEGATO 2
L'ARTICOLO
Fonte: Il foglio - 22 febbraio 2003
Senza se e senza ma? Ma se ne andassero a quel paese, i pacifisti a senso
unico. Firmato: i curdi iracheni
La protesta "senza se e senza ma" dei pacifisti nostrani ha fatto infuriare
i curdi e gli arabi iracheni che vivono in Italia. I rappresentanti
dell'opposizione irachena, qualche giorno fa, hanno scritto una lettera
aperta, dai toni piuttosto duri, al movimento No War. "Non riusciamo a
spiegarci perche' il movimento contro la guerra non abbia ancora detto una
parola di condanna dei crimini orrendi del regime iracheno", hanno scritto,
"e rimanga in silenzio di fronte a una delle violenze piu' terribili della
nostra storia. Se il carnefice diventa vittima, le vittime spariscono nel
nulla: non si puo' essere solidali con il popolo curdo e iracheno senza
chiedere che Saddam Hussein se ne vada". La lettera manifesta anche sdegno
nei confronti di chi ha stretto la mano di Tareq Aziz "uno dei maggiori
responsabili degli eccidi del nostro popolo" e conclude con un giudizio
severo sui pacifisti: "E scusateci se ci viene da credere che i valori
della democrazia e della liberta' che difendete cosi' strenuamente vi siano
cari solo quando riguardano voi". L'accusa, inviata per posta elettronica
ai siti web del movimento, non ha avuto pero' nessuna eco. Nessuna delle 30
associazioni che comprendono la rete Lilliput si e' sentita interpellata;
nessuno di quelli che quotidianamente scrivono su Peacelink, un sito
informativo dedicato alla non violenza, si e' sentito chiamato in causa.
Non si trova traccia della lettera irachena sul sito www. disobbedienti.
org, ne' nella mailing list dell'associazione "Un Ponte per Baghdad", da
sempre in prima fila sia contro l'embargo iracheno sia contro la
repressione nel Kurdistan turco. Insomma la missiva e' stata completamente
ignorata. Interpellati dal Foglio, i militanti della pace negano che
l'indignazione curda abbia potuto provocare una sorta di silenzio
imbarazzato. Dice Riccardo Troisi della rete Lilliput, l'ala moderata del
movimento: "Siamo tutti d'accordo sul fatto che Saddam sia un dittatore e
che vada disarmato in modo pacifico. Forse non c'e' stata alcuna risposta
alla lettera perche' ne e' mancato il tempo. Lilliput e' una rete di
associazioni che deve condividere ogni presa di posizione. Se arriva un
documento, dobbiamo discuterlo prima di rispondere. Comunque alla
manifestazione di Roma c'e' stata una condanna molto netta del regime di
Saddam". Ma nel documento letto sabato scorso dagli organizzatori i
riferimenti alla tirannia di Saddam sono stati molto vaghi. Citiamo: "Ci
battiamo perche' democrazia e diritti umani siano affermati in tutto il
mondo contro ogni dittatura e tirannia. Anche in Iraq". Secondo Carlo
Gubitosa di Peacelink, la mancata risposta ai curdi iracheni e' dovuta al
fatto che nessuno si e' sentito chiamato in causa. "Il movimento pacifista
e' una galassia molto vasta. Ci sono quelli che hanno come unico obiettivo
Bush e l'impero e quelli piu' seri, che da anni si battono contro ogni
forma di violenza. I primi sono succubi dell'agenda politica di chi vuole
dare la spallata alla maggioranza; i secondi stanno dalla parte di curdi,
ceceni, tibetani, ma non trovano molto spazio sui media. Comunque io credo
che la lettera di protesta degli iracheni sia un campanello di allarme che
va ascoltato, perche' mette in evidenza le contraddizioni del movimento".
L'autore della missiva e' Davide Issamadin, che si e' rifiutato di andare
alla manifestazione di Roma. "Mi hanno invitato", dice, "ma quando ho
chiesto di aggiungere al loro slogan contro la guerra anche un 'senza
Saddam', mi hanno ignorato. Cosi' ho deciso di scrivere la lettera".
Risposte? "Individuali tantissime, pubbliche nessuna. Molti mi hanno
chiamato per dire che ho ragione, ma che ora la priorita' e' fermare la
guerra e che devo aspettare. Ma sono trent'anni che aspettiamo... La
verita' e' che la nostra critica ha creato imbarazzo e ora veniamo
considerati degli appestati. I pacifisti ci hanno deluso. Qualche giorno fa
ho sentito dire a uno dei loro leader che Saddam e' l'ultimo baluardo
contro l'imperialismo. E' inaccettabile".
Cristina Giudici