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un se e un ma
con preghiera di pubblicazione. Grazie
Azioni nonviolente:
con un "se" e con un "ma"
di Mao Valpiana *
Il termine "azione diretta nonviolenta" è entrato prepotentemente nel gergo
dell'attuale movimento pacifista e nel dibattito politico di questi giorni.
Bene. Anzi, benissimo. Per tanti anni gli amici della nonviolenza hanno
lavorato a questa prospettiva che "obbedisce" alla superiore legge morale
del "mai più guerra" e al dettato Costituzionale "l'Italia ripudia la guerra".
Chiarisco subito che dal punto di vista nonviolento le azioni di blocco dei
treni o di altri mezzi che trasportano armi o strumenti militari, sono
legittime purchè realizzate con metodi rigorosamente nonviolenti (cioè
escludendo in modo assoluto qualsiasi gesto di violenza e offese rivolte ad
altre persone); la disobbedienza civile nonviolenta, che vìola la legge
alla luce del sole e ne accetta serenamente le conseguenze, è una tecnica
nonviolenta che ci è stata insegnata da Gandhi, il quale l'ha applicata su
larga scala.
Bisogna però sapere bene di cosa si sta parlando.
L'azione diretta nonviolenta fa parte del patrimonio storico dei
nonviolenti italiani (si veda il libro "Nonviolenza in cammino" - Storia
del Movimento Nonviolento dal 1962 al 1992). Basti ricordare l'esemplare
blocco del treno che attuammo il 12 febbraio 1991 contro la guerra del
Golfo, e il conseguente processo conclusosi con l'assoluzione
(documentazione pubblicata in Azione nonviolenta di marzo 1991, gennaio
1997 e aprile 1997; ora nel sito: www.nonviolenti.org)
Ma affinché un'azione diretta nonviolenta possa definirsi tale, ci devono
essere un SE e un MA.
L'azione nonviolenta si può attuare SE si dispone di un gruppo di persone
"persuase", che abbiano già sperimentato su di sè altre forme di lotta
nonviolenta, che abbiano partecipato alla preparazione dell'azione,
disposte ad accettare le conseguenze del loro gesto, assolutamente
"obbedienti" alle regole che ci si è dati, legate da un rapporto di
conoscenza e fiducia reciproca; ogni azione deve avere un responsabile,
alle cui indicazioni gli altri partecipanti si adeguano; l'azione deve
essere ben preparata, quasi nulla lasciato all'improvvisazione; il tutto si
deve svolgere in un clima di serenità e tranquillità; se le forze di
polizia intervengono anche duramente, non si reagisce, si resta in silenzio
o si intona un canto; altri manifestanti devono essere pronti a sostituire
coloro che vengono allontanati con la forza;
Questo se va tutto bene, MA se le cose non vanno per il verso giusto, se la
situazione sfugge di mano, se c'è anche un minimo gesto violento da parte
di un manifestante, una reazione scomposta, paura o panico ingestibile,
l'azione deve venire immediatamente sospesa. Non ci si può permettere di
far degenerare l'azione senza aver raggiunto il fine che ci si è posti.
Qual è il fine di un'azione diretta nonviolenta che blocca un treno o un
mezzo militare? (nessuno è così ingenuo da pensare che il ritardo di
qualche minuto di un treno, contribuisca a fermare la guerra).
Sono due gli obiettivi di questo tipo di azioni:
1) drammatizzare la realtà: dimostrare all'opinione pubblica che la guerra
non è una cosa lontana, che avviene a migliaia di chilometri, e che in
fondo non ci riguarda; far vedere che la guerra passa anche da casa nostra,
sotto le nostre finestre imbandierate, nelle nostre strade. La guerra si
prepara anche qui, con il concorso di tanta gente (non solo i militari,
dunque, ma i ferrovieri, gli autisti, i portuali, i vigili, i contribuenti,
e così via... ciascuno di noi in qualche modo ha preparato questa guerra);
2) dare l'esempio che ognuno può fare qualcosa per opporsi alla
preparazione bellica e per denunciare la connivenza della autorità e delle
istituzioni; non tutti sono chiamati a fare i blocchi, ma tutti possono e
devono trovare il loro modo per fare un gesto di dissociazione. Il
movimento pacifista non ha bisogno di "eroi" o avventurieri, tanto meno di
professionisti della disobbedienza; bisogna invece dimostrare che ogni
singolo cittadino ha la possibilità concreta di non collaborare con la
macchina militare e che l'illegalità non è di chi si oppone, ma di chi sta
preparando il più grande crimine contro l'umanità.
Dunque sul piano pratico queste azioni possono sperare ben poco, ma molto
possono fare sul piano simbolico. E' per questo che le azioni devono essere
condotte in modo esemplare, limpido e sereno: perchè devono attirare la
simpatia dell'opinione pubblica verso i manifestanti. Se un'azione finisce
con scontri tra polizia e manifestanti, con tensione, grida, insulti,
spintoni, contusi, l'obiettivo è già vanificato. Se invece la scena finale
è la polizia che, pur bruscamente, e magari manganellando, porta via i
manifestanti che tuttavia rimangono sereni ed immobili, senza reagire,
nemmeno a parole, il successo dell'azione è sicuro. Per questo è
fondamentale agire alla presenza di testimoni, meglio ancora se
giornalisti, e documentare i fatti.
Un'ultima considerazione finale. Reagire alla guerra quando questa sta per
esplodere, è giusto e doveroso, ma bisogna anche avere coscienza dei propri
limiti. Le moltitudini di persone che si stanno mobilitando contro questa
guerra sono animate dalle migliori intenzioni, ma sono anche prive di
strumenti efficaci. Per un semplice motivo. Che la guerra la si ferma solo
impedendone la preparazione. La vera prevenzione alla guerra di domani sta
nel disarmo di oggi.
Questa guerra è annunciata da almeno dieci anni. E per dieci anni è stata
preparata nell'indifferenza generale. I bilanci sono stati votati, le armi
sono state progettate, le fabbriche hanno lavorato, i militari sono stati
pagati e addestrati. L'immensa macchina industriale e militare ha
funzionato a dovere. Bisognava fermarla prima questa guerra. Bisognava
impedire che il ciclo si sviluppasse.
Ma ora che gran parte dell'opinione pubblica ha aderito alla causa della
pace, è il momento per intraprendere la via giusta, che è quella del
disarmo. Il disarmo unilaterale. Ogni popolo deve premere sul proprio
governo per imporre la distruzione delle armi, l'abolizione dell'esercito,
l'azzeramento dei bilanci bellici, per realizzare il proprio disarmo. La
pace verrà solo con la diminuzione del potenziale di armi presenti nel
mondo. Dobbiamo chiedere il disarmo dell'Iraq, ma anche dell'America, della
Russia, della Francia, dell'Italia, della Corea, dell'Iran, della Germania,
della Cina. Ogni popolo deve innanzitutto rinunciare alle proprie armi e
popi sviluppare i metodi alternativi per la soluzione nonviolenta dei
conflitti.
In questo modo, se non riusciremo a bloccare questa guerra, riusciremo
almeno ad impedire la prossima.
*Direttore di Azione nonviolenta
la rivista mensile del Movimento Nonviolento
Verona, 28 febbraio 2003
La guerra è finita, se tu lo vuoi.
La guerra è finita, adesso.
John Lennon
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