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Pierluigi Sullo e la fondazione D'Alema-Amato



Fonte: http://www.carta.org/editoriali/index.htm

25 febbraio 2003
Cosa ci facevo li'?
Pierluigi Sullo
Sono andato all'incontro tra la Fondazione Italianieuropei e il 
coordinamento del Forum sociale europeo. E mi sono chiesto, dopo quattro 
ore di discussione, a cosa, esattamente, avevo partecipato. Ero con i 
compagni con i quali, noi di Carta, condividiamo l'esperienza che dal primo 
Porto Alegre ci ha portati a Genova, e via via a Firenze e al 15 febbraio. 
Preciso questo particolare, perche', nelle grandi differenze che ci sono 
tra noi, solidarieta' e onesta' sono i tratti fondanti dei nostri rapporti, 
grazie a questa ormai lunga esperienza. Ed e' questo, al di la' di quel che 
ciascuno pensa del "movimento dei movimenti", a tenere insieme il 
coordinamento.
Il dibattito con Massimo D'Alema e altri antichi e nuovi dirigenti del 
centrosinistra, tra i quali il segretario dei Ds, Fassino, e Letta, della 
Margherita, mi ha invece precipitato nella sensazione, inquietante, di non 
saper bene perche' noi fossimo li' e dove si volesse andare a parare.
Ci sono andato perche' penso, pensiamo, che una delle grandi qualita' del 
"movimento di Porto Alegre" sia il non chiudere mai la porta al dialogo. 
Ancora, perche' penso che il fatto che quel gruppo di pressione o centro di 
potere (tale e', oltre i ruoli politici e di partito, la Fondazione di 
D'Alema e Amato) chiedesse una interlocuzione con il coordinamento del Fse 
fosse, e rimanga, l'ammissione della inevitabilita' di una interlocuzione 
con un movimento cresciuto a dismisura e ormai, anche in Italia, una 
"superpotenza" (per usare l'espressione non felicissima del New York Times) 
nell'opinione del paese: anche se questo riguarda piu' la grande quantita' 
di persone che si mobilitano, con le loro reti democratiche, che non i 
"rappresentanti", i presunti "capi" o "leader" di cui i media e la politica 
sono sempre alla ricerca, per riportare tutto, sempre, alla loro angusta 
visione delle cose. E ci sono andato, infine, per curiosita' autentica: per 
sapere come quelle persone si spiegano il fallimento fragoroso della 
ipotesi di "governance" (dicono loro) della globalizzazione, chiamata anche 
"terza via", attorno a cui si sono industriati nell'ultimo decennio e 
trovandosi, alla fine, Fassino a Seattle dalla parte della Wto, in qualita' 
di ministro del commercio con l'estero, e D'Alema, sul Kosovo, dalla parte 
della "guerra umanitaria", in qualita' di presidente del consiglio.
Insomma, la domanda, molto semplice, che mi ponevo era: si tratta di un 
incontro autentico, mosso da genuine intenzioni di interlocuzione, 
traduzione di linguaggi a loro ignoti, sforzo di comprendere dove stia la 
ragione di tanta capacita' di resistere a prove come Genova (parola che 
suona come un rimprovero, per i dirigenti politici che lasciarono soli un 
intero popolo e i loro stessi militanti) per diventare poi l'evento globale 
del 15 febbraio? Oppure si tratta della solita manovra tattica, di quelle 
che durano poche ore, e che sono, da molti anni ormai, il solo contenuto 
delle politiche di quella sinistra? Ad esempio, una brillante mossa per 
spiazzare Sergio Cofferati, rivale di D'Alema e Fassino, sottraendogli una 
esclusiva presunta nel rapporto con "i movimenti", e per di piu' invitando 
tutto il coordinamento del Fse: evitando cioe' di scegliersi gli 
interlocutori piu' "affidabili", come Cofferati sembra prediligere?
L'invito diceva: precisiamo che si tratta di un incontro riservato, senza 
la presenza di giornalisti. Si voleva dire: vogliamo fare una discussione 
seria, non una sceneggiata per i media. Arriviamo alla sede della 
Fondazione, nel pomeriggio, e giornalisti e telecamere sono gia' piazzati, 
anche perche' il Corriere della Sera e l'Ansa avevano pubblicato ora e 
luogo e natura dell'incontro. Si comincia a discutere, ed entrano due 
fotografi, che riprendono il tavolo degno di un incontro al vertice tra 
Russia e Cina. Ne usciamo dopo quattro ore, e una folla di giornalisti e' 
gia' dentro la sede della Fondazione, a microfoni e obiettivi protesi. Che 
male c'e'? Anch'io faccio il giornalista, in effetti, e lo posso capire. Ma 
proprio per questo capisco anche che, nell'epoca della politica 
mediatizzata, un seminario riservato e', in se', una cosa assai diversa da 
un'occasione pubblica con tanto di conferenza stampa finale. Qualcuno, di 
qui o di la', aveva deciso di farne un uso per quella via, e trovarsene 
ostaggi inconsapevoli non e' un gran che.
Poi, finalmente, si comincia. E D'Alema dice alcune cose davvero 
interessanti, per uno come lui. In particolare, che la "guerra preventiva", 
l'"uso della forza" con cui gli Usa cercano di tenere insieme una 
globalizzazione "neoliberale" che aumenta le disuguaglianze ecc., e' "un 
salto di qualita'", cambia completamente la situazione. E aggiunge che 
movimenti e politica, insieme, in una dialettica, preservando le proprie 
differenze, possono contribuire a trovare altre risposte, anche a scala 
internazionale, prima di tutto europea. Percio' propone altri incontri 
"seminariali", magari a tema, che possano portare a "un grande evento" 
pubblico, in un futuro prossimo. Letta aggiunge che su alcuni punti, come 
l'incontro di Cancun della Wto, o la Politica agricola comunitaria o altri, 
politica e movimenti possono trovare punti di convergenza, interessi comuni.
Gli si replica, da parte nostra, rivendicando tutta l'autonomia del 
movimento, il suo essere "competente", il fatto che esso e' gia' 
"politica", e che il problema di un governo democratico mondiale non si 
risolve, dall'alto, riformando le istituzioni internazionali (Wto, Fmi, 
Onu, ecc.), ma, dal basso, costruendo conflitto sociale, democrazia locale, 
e una societa' civile globale, di cui lo stesso D'Alema riconosce di aver 
visto l'esordio il 15 febbraio.
Il discorso sembra farsi interessante. Fassino stona, come non avesse visto 
e sentito niente, ricomincia con la riforma della Wto, ci spiega come e 
cosa debba essere il movimento, e dopo un po' se ne va (mentre D'Alema, con 
un tratto di stile comunista serio, resta seduto ininterrottamente per 
tutto l'incontro, ascoltando tutti). Noi, con vari accenti, approfondiamo: 
ma "democrazia" significa elezioni? E "sviluppo" significa Prodotto 
nazionale lordo? Solo che, nel frattempo, si e' chiesta anche una parola di 
solidarieta' con coloro che si sdraiano sui binari per fermare i treni di 
guerra. E D'Alema si lancia in una lunga dissertazione, racconta come egli 
stesso, nel '68, sia stato arrestato, "non sono gli atti illegali, che mi 
spaventano - dice - solo che devono essere efficaci, non restringere il 
consenso". E noi, seduti li', non sappiamo che D'Alema e Letta, poco prima, 
avevano "dichiarato" alle agenzie di stampa che sono contrari a ogni atto 
illegale, e basta.
Mi prendera' poi la sensazione sconfortante di aver abboccato a un'esca, di 
aver fatto dell'accademia sulla democrazia, la rete globale, ecc., mentre, 
forse per qualche residuo di "doppiezza" (quella che si attribuiva ai 
comunisti di tanti anni fa), D'Alema dice a noi cose diverse da quel che 
dice in pubblico.
In ogni modo, l'incontro si conclude con il padrone di casa che ripropone i 
seminari, il "grande evento"…
Allora, cosa significa tutto questo? E ha qualche significato? La nostra 
regola, di noi di Carta, dacche' abbiamo deciso di ricominciare da zero, un 
anno prima di Seattle e del primo Porto Alegre, e': nessun rapporto con la 
politica, con i media, con la grande economia e finanza, che non sia alla 
portata di quel che le reti sociali possono fare, intendere, governare. Non 
ci interessa la politica in se', e nemmeno il circolo vizioso dei media che 
si parlano addosso, o le macroeconomie che nascondono i miliardi di 
micro-iniquita'. Quando, e se, vi sara' un movimento tanto grande e 
ambizioso da poter fare i conti anche con quegli ambiti, allora ci saremo. 
Ed e' successo: prima di Genova con il governo, prima e durante Firenze e 
poi a Porto Alegre con la Cgil, in varie occasioni con parti dei Ds, e 
cosi' via (Rifondazione e' un caso a parte: e' un partito che sta nel 
movimento, con serieta' e senza pretese). Ma con D'Alema, che in tutti 
questi anni ha rappresentato l'anima d'acciaio di una concezione 
dirigistica della politica, da liberismo corretto con un (illusorio) 
comando della politica, magari nella forma del presidenzialismo, chi usa 
chi? O, meglio, e' davvero possibile non usare e non essere usati?