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La nonviolenza e' in cammino. 516



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 516 del 23 febbraio 2003

Sommario di questo numero:
1. Un'istigazione a non delinquere
2. Lidia Menapace, fermare il treno della guerra
3. Michele Nardelli, dal Trentino pratiche di pace
4. Sheila Rowbotham, il paternalismo conosce molte forme
5. Joyce Lussu, nascita dello squadrismo
6. Germaine Greer, oggi la guerra
7. Nanni Salio, i criteri della lotta satyagraha
8. Ileana Montini, la paura dell'altro
9. Massimo Raffaeli presenta "Le due guerre" di Nuto Revelli
10. Norberto Bobbio, saremo i piu' forti
11. Alberto D'Onofrio intervista Joyce Ryley sulla "sindrome del Golfo"
12. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "El descubrimiento
del sistema de escritura por parte del nino", 1979
13. Franco Fortini, La lampadina fulminata
14. Riletture: Etel Adnan, Sitt Marie-Rose
15. Riletture: Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia
16. Riletture: Shulamith Firestone, La dialettica dei sessi
17. Riletture: Elsa Morante, "Piccolo manifesto" e altri scritti
18. Riletture: Anna Puglisi, Sole contro la mafia
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. APPELLI. UN'ISTIGAZIONE A NON DELINQUERE
[Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha diffuso ieri questo
intervento]
Del dovere morale e civile di fermare i treni che recano armi per la guerra
che si va preparando.
Un'istigazione a non delinquere: ovvero a rispettare la Costituzione, a
salvare vite umane, a fermare la macchina bellica con l'azione diretta
nonviolenta.
*
E' la Costituzione della Repubblica Italiana che dice ai cittadini italiani:
"ripudia la guerra".
E' uno dei suoi principi fondamentali; e' il valore supremo che afferma
nell'ambito delle relazioni internazionali: "ripudia la guerra".
Se ad essa Costituzione il governo, il parlamento, il capo dello Stato
fossero restati fedeli, se non avessero infranto un solenne giuramento in
forza del quale sono legittimati ad esercitare il potere loro attribuito, se
non avessero violato la legalita' nella forma piu' flagrante e gravida di
sciagurate conseguenze, gli attuali trasporti di materiale bellico in
territorio italiano da parte di chi una guerra illegale e criminale
scelleratamente prepara ed ha gia' reiteratamente proditoriamente
annunciato, ebbene, non avrebbero potuto aver luogo, sarebbero stati
proibiti dalle pubbliche autorita' in nome della legge.
*
Quei materiali bellici - se non li si fermera' - di qui a poco saranno
utilizzati per commettere crimini di guerra e crimini contro l'umanita'.
Il loro uso - se non lo si impedira' - provochera' la morte di innumerevoli
innocenti.
Il loro transito nel nostro territorio rende l'Italia favoreggiatrice degli
stragisti.
Permettere che giungano a destinazione vuol dire rendersi complici della
guerra onnicida, vuol dire violare il comando supremo della nostra
Costituzione: "ripudia la guerra".
E dunque e' giusto e necessario bloccare con l'azione diretta nonviolenta i
treni che recano gli strumenti della morte, le armi delle stragi annunciate.
E dunque e' un atto di fedelta', di rispetto e di inveramento della legge
fondamentale del nostro ordinamento giuridico impedire che le armi
efficienti alla guerra illegale e criminale possano giungere a destinazione,
possano essere usate, possano colpire i loro viventi umani bersagli.
*
Su quei binari a fermare quei treni che trasportano armi ci dovrebbe essere
il capo dello Stato della Costituzione supremo garante, ci dovrebbe essere
ogni pubblico ufficiale che alla Costituzione ha giurato fedelta'.
Se loro non ci sono, cio' va a loro infamia.
Ci sono invece dei cittadini italiani che con questa azione diretta
nonviolenta si stanno impegnando per salvare delle vite umane, stanno
difendendo la dignita' del nostro popolo e la legge fondamentale del nostro
paese, stanno obbedendo alla Costituzione, stanno adempiendo a un dovere di
legalita' e di umanita'.
Si renda loro onore e li si aiuti.
*
Con queste righe, non potendo oggi essere li' fisicamente, vogliamo
dichiarare la nostra persuasa condivisione dell'azione diretta nonviolenta
per fermare i carichi di armi destinati alla guerra illegale e criminale. E
vogliamo dichiarare che intendiamo condividere le conseguenze che per aver
realizzato una rigorosa e doverosa azione diretta nonviolenta ai
protagonisti di essa, in quanto si atterranno scrupolosamente ai principi
della nonviolenza, deriveranno.
E vogliamo invitare ancora una volta tutti a sostenere ogni azione diretta
nonviolenta che nel rigoroso rispetto della incolumita' e della dignita' di
ogni essere umano si opponga concretamente, limpidamente e
intransigentemente alla macchina bellica, e con cio' sia di adempimento al
dovere di salvare delle vite umane in pericolo, sia di adempimento al dovere
sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana: "ripudia la guerra".

2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: FERMARE IL TRENO DELLA GUERRA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
D'accordo con l'"istigazione a non delinquere" [l'appello riportato sopra],
sia personalmente, sia come portavoce della Convenzione permanente di donne
contro le guerre.
Sottolineo anche l'iniziativa della Cgil che chiede al governo di essere
informata del trasporto di mezzi bellici, anche per tutelare la salute di
chi lavora sui treni, di chi viaggia, ecc.
A mio parere sarebbe bene trovare molteplici forme di azione diretta
nonviolenta anche perche' questo obbliga il governo ad attrezzarsi su
molteplici terreni e forse lo sorprende.
Tra l'altro mentre le azioni volte a fermare i treni possono essere
facilmente presentate all'opinione pubblica come opera di "facinorosi", le
civili raccolte di proteste di ferrovieri, viaggiatori e abitanti lungo
ferrovie, strade e autostrade avrebbero l'effetto della manifestazione del
15 febbraio: tutto un popolo protesta in vario modo, colpito nei suoi
diritti e interessi fondamentali (salute e diritto di muoversi liberamente
sul territorio nazionale) e non solo appunto i "facinorosi".
Inoltre bisogna sempre ricordare che i blocchi dei treni sono stati tipici
da parte di non interventisti/e, antimilitaristi/e, neutralisti/e fin dalla
prima guerra mondiale e che molte donne si sono sdraiate sui binari per non
lasciar passare i treni piombati con i e le perseguitate politiche sessuali
e razziali verso i campi di prigionia e sterminio nazifascisti: rincalzare
la memoria serve, e' giusto, e' forte.
Inoltre non bisogna mancare di sottolineare che un governo irresponsabile
non solo viola la Costituzione ma viene anche meno al piu' elementare dovere
di tutela della popolazione (altro che sicurezza!) esposta nella sua
interezza a possibili risposte dagli aggrediti.
Sento che molti e molte biasimano la Turchia: viva la faccia, almeno si
fanno pagare e non danno via gratis la disponibilita' del loro territorio.
Sara' bene far sapere alla Turchia che il suo atteggiamento sara'
considerato, quando chiedera' formalmente di entare in Europa.
Sembra che l'Europa stia avendo un soprassalto di vitalita', fosse mai vero.

3. RIFLESSIONE. MICHELE NARDELLI: DAL TRENTINO PRATICHE DI PACE
[Ringraziamo Michele Nardelli (per contatti: sol.tn@tin.it) per averci messo
a disposizione questo suo articolo. Michele Nardelli da molti anni e'
impegnato per la pace e i diritti e la costruzione di un'alternativa
solidale; e' tra gi animatori dell'esperienza di "Solidarieta'" a Trento e
dell'"Osservatorio sui Balcani"]
Una moltitudine mai vista di persone che riempiono le piazze di mezzo mondo,
gli appelli di donne e uomini che fanno il giro del pianeta, innumerevoli
forme di testimonianza individuale e collettiva per dire che la guerra non
porta a nient'altro che alla barbarie... eppure la corsa alla guerra non
sembra fermarsi.
Ecco dunque che si richiedono pratiche attive di pace e forme diffuse di
disobbedienza civile, a cominciare dall'indisponibilita' a condividere
responsabilita' verso questo nuovo crimine contro l'umanita', ma anche
affermando il diritto alla vita di una popolazione come quella irachena gia'
sottoposta da piu' di un decennio alla disumanita' di un embargo che ha gia'
prodotto una strage silenziosa nella quasi completa indifferenza
dell'opinione pubblica mondiale.
Questo e' il significato dell'impegno della comunita' trentina  che in
questi giorni ha deciso di investire sulla pace e sul futuro dell'Iraq, con
un segnale forte che interpreti e faccia propria l'inquietudine e la
contrarieta' verso la guerra espressa attraverso le decine di migliaia di
bandiere della pace che colorano ogni angolo del Trentino.
Un investimento di pace, in continuita' con l'impegno che in questi anni di
embargo ha visto la comunita' trentina fra le regioni che piu' hanno
sviluppato azioni umanitarie verso l'Iraq, rappresentato dalla
realizzazione - in collaborazione con "Un ponte per..." - di un nuovo
impianto di potabilizzazione e di distribuzione di acqua nell'area di Abu
Kassib, nella regione di Bassora. Uno stanziamento da parte della Provincia
Autonoma di Trento di 100 mila euro al quale si vanno aggiungendo in queste
ore quello dei principali Comuni trentini e di tutti i cittadini che
vorranno far corrispondere alle loro bandiere di pace un impegno concreto
per il diritto alla vita di migliaia di persone. Per dire che il diritto
all'acqua e alla vita vale anche per i bambini e la gente irachena.
Mentre il governo italiano decide di mettere a disposizione le
infrastrutture logistiche del proprio territorio per l'intervento armato
degli Usa, un'intera comunita' locale intende lanciare un segnale diverso,
che crediamo possa essere fatto proprio da altre comunita' locali e dalle
loro istituzioni per dire in modo concreto "non nel mio nome". Con questo o
altri analoghi progetti. Cosi' che dalle Regioni e dai Comuni italiani possa
prendere corpo una diplomazia parallela contraria alla guerra.
Una delegazione in rappresentanza della Provincia Autonoma di Trento, degli
enti locali, della societa' civile, accompagnati da "Un ponte per..." e dai
rappresentanti del Contratto mondiale per il diritto all'acqua si rechera'
nei prossimi giorni in Iraq per dare il via a questo progetto di speranza
verso il futuro.

4. MAESTRE. SHEILA ROWBOTHAM: IL PATERNALISMO CONOSCE MOLTE FORME
[Da Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976,
1977, p. 251. Sheila Rowbotham e' una prestigiosa intellettuale, nata a
Leeds nel 1943, insegnante alla Workers' Education Association, impegnata
nel Women's Liberation Workshop. Opere di Sheila Rowbotham: Donne,
resistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1976; Esclusa dalla storia,
Editori Riuniti, Roma 1977. Opere su Sheila Rowbotham: cfr. il fascicolo n.
14/1980 di "Nuova  dwf", monografico sul tema Femminismo/socialismo
partiti/movimento, che contiene ampi brani di un saggio della Rowbotham, tre
interventi su di esso di Margherita Repetto, Giovanna Fiume, Mariella
Gramaglia, ed altri materiali]
Il paternalismo conosce molte forme, ma la linea di condotta e'
essenzialmente la stessa. Lo schiavista e' un padre affettuoso finche' gli
schiavi non si ribellano. Alla vittima della colonizzazione e' concesso di
evolversi, ma secondo un certo modello di sottosviluppo. Il padrone predica
l'eguaglianza ma poi si rimangia le proprie parole agitando la frusta.

5. MAESTRE. JOYCE LUSSU: NASCITA DELLO SQUADRISMO
[Da Silvia Ballestra, Joyce L., Baldini & Castoldi, Milano 1996, p. 104. Il
libro consiste di diciannove conversazioni con Joyce Lussu. Joyce Lussu,
nata da una famiglia di intellettuali antifascisti, esule fin dall'infanzia,
compagna di Emilio Lussu, impegnata nella lotta contro il fascismo, per i
diritti dei popoli, nel movimento femminista ed in quello ambientalista;
scrittrice, traduttrice; una straordinaria figura di militante e di
intellettuale; e' scomparsa nel 1998. Tra le opere di Joyce Lussu segnaliamo
particolarmente Fronti e Frontiere, Laterza, Bari 1967. Opere su Joyce
Lussu: Silvia Ballestra, Joyce L., Baldini & Castoldi, Milano 1996]
Erano reduci andati in guerra a diciott'anni, gli avevano insegnato solo ad
ammazzare. C'erano teppisti terribili, fra loro, come quell'Amerigo Dubini
che poi avrebbe ucciso Matteotti, che quando si presentava diceva: "Amerigo
Dubini, otto omicidi".

6. MAESTRE. GERMAINE GREER: OGGI LA GUERRA
[Da Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, p. 182.
Germaine Greer e' una prestigiosa intellettuale femminista, nata a
Melbourne, in Australia, nel 1939; docente di letteratura inglese e
comparata all'Universita' di Warwick in Inghilterra. Opere di Germaine
Greer: L'eunuco femmina, Bompiani, Milano 1972; Viaggio intorno al padre,
Mondadori, Milano 1990; La seconda meta' della vita, Mondadori, Milano 1995;
La donna intera, Mondadori, Milano 2000]
La guerra non puo' essere equiparata a un'azione di difesa o di protezione
del debole dall'assalto di un elemento criminale. Perdipiu', oggi la guerra
viene combattuta da professionisti praticamente invulnerabili contro
popolazioni civili estremamente vulnerabili; le donne e i bambini a terra
sono esposti a molti piu' pericoli dei professionisti della guerra; questi
li storpiano e li uccidono da lontano senza correre alcun rischio, e
ricevono le migliori cure mediche nel caso vengano feriti in seguito a
qualche infortunio dovuto all'infausta tendenza degli eserciti tecnocratici
a scatenare la loro tecnologia omicida contro se stessi e contro gli
alleati.

7. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: I CRITERI DELLA LOTTA SATYAGRAHA
[Da Nanni Salio, Elementi di economia nonviolenta, Edizioni del Movimento
Nonviolento, Verona 2001, pp. 10-11. Nanni Salio, torinese, segretario
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da diversi anni di
ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli
della nonviolenza in Italia. Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa
popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, Perugia; Scienza e guerra (con
Antonino Drago), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1982; Ipri, Se vuoi la pace
educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; Le centrali nucleari e
la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Ipri, I movimenti per la pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Progetto di educazione alla pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Le guerre del Golfo, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1991; Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento,
Verona 2001. Per contatti: Centro Studi "Domenico Sereno Regis", via
Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824, fax: 0115158000, e-mail:
regis@arpnet.it, sito: www.arpnet.it/regis]
Gandhi giunse sperimentalmente a elaborare i criteri ai quali deve ispirarsi
la lotta satyagraha, che possono essere riassunti in vari punti, o principi:
- occorre lottare per una causa (fine) giusta;
- la lotta deve escludere la violenza in ogni forma;
- occorre distinguere tra leggi giuste e ingiuste (ruolo della coscienza);
- lottare senza odiare l'oppositore, distinguendo tra ruolo e persona;
- essere capaci e disponibili ad accettare il sacrificio e le sofferenze
imposti dalla lotta. La sofferenza assume un significato importante dal
punto di vista empirico, perche' consente di mobilitare le coscienze di
coloro che inizialmente sono indifferenti alla causa per la quale lotta il
gruppo nonviolento;
- impegno concomitante in un lavoro o programma costruttivo, capace di
prefigurare una soluzione positiva per tutte le parti in conflitto;
- atteggiamento di grande umilta' da parte di chi si impegna in questo tipo
di lotta;
- atteggiamento di ricerca della verita' e della sincerita' e accettazione
della disciplina durante le fasi di lotta.

8. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: LA PAURA DELL'ALTRO
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
In questi giorni mi sto chiedendo se finiro' per sentirmi un po' straniera
in terra di Lombardia. Non e' una domanda peregrina se confrontata con il
titolo, di prima pagina, apparso su "La Repubblica" del giorno 22 febbraio:
"A lezione di grammatica padana" e, in occhiello: "Ecco la scuola della
devolution leghista: corsi di dialetto, ricette tipiche e storia celtica". A
p. 22 il quotidiano spiega cosa sta accadendo in terra lumbard per fare
crescere lo studente nativo.
Ebbene, gia' due anni fa e' partita la scuola del carroccio secondo il
progetto didattico del prof. Ettore Albertoni, assessore regionale alle
culture, identita' e autonomie. Leggiamo insieme cosa ha scritto in
proposito l'articolista Pierangelo Fiorani: l'assessore, "leghista doc, ha
dettato la linea per insegnare ai piu' piccoli che cosa significa essere
parte integrante del proprio territorio, anzi addirittura una emanazione
della propria terra". Cioe' l'assessore, con il via libera della giunta, ha
provveduto a dare l'ordine di distribuzione in tutte le classi della scuola
dell'obbligo di un vocabolario e una grammatica della lingua lombarda. Il
centrosinistra ha cercato di sollevare il problema e l'assessore ha risposto
con una nutrita relazione, per spiegare che il territorio va difeso poiche'
"con il suo patrimonio culturale rappresenta prima di tutto un valore morale
in una comunita' nazionale che sta subendo l'alienante quanto pericolosa
sfida alla globalizzazione". Inutile dire che la cultura lombarda deve far
riferimento a una sola fonte, quella celtica.
Appunto, finiro' per sentirmi straniera come se andassi in Francia o in
Inghilterra.
Non so bene cosa significhi e quanto sia serio il massiccio e basilare
riferimento alla radice celtica per i lombardi, ma so di certo che potrei
voler rivendicare altre radici, per cosi' dire quelle bizantine ed etrusche
della tradizione romagnola. E' questa la devolution? Sara' bene chiarirlo
per trarne le dovute conseguenze.
*
Intanto pero' cerchiamo di interpretare, per non buttarla subito in
politichese, questo fenomeno di rivendicazione identitaria che percorre,
ansimando ma con decisione progressiva, il nostro paese.
Anche in Veneto si va avanti con queste scoperte e improvvisazioni
addirittura sulle "razze", come la presunta "razza Piave" del sindaco di
Treviso.
L'assessore leghista lombardo, con il riferimento agli effetti negativi
della globalizzazione, ha pero' messo il dito sulla piaga.
La piaga sarebbe la paura che prende coloro che avvertono oscuramente il
rischio della perdita della coesione di gruppo. La coesione di gruppo fa e
regge la gruppalita'. La coesione si nutre di tradizione e la tradizione e'
composta di riti, valori, comportamenti collettivi e ruoli consolidati e
stratificati. In una parola la gruppalita' ha bisogno di forme identitarie
sociali riconosciute, cioe' legittimate.
Lo straniero e' colui che si fa portatore di altri valori, qualunque essi
siano, di altri comportamenti e ruoli e, pertanto, se da solo non
costituisce una minaccia (il singolo non scatena eccessivi timori, anche se
va "tenuto a bada"), la costituisce quando e' un  gruppo. Il gruppo e'
sempre una forza, quanto dire un'altra coesione che puo' farsi elemento di
contrasto, di conflitto e di lotta. Cio' genera paura a livello inconscio e
repulsione  insieme a curiosita' a livello conscio.
A questo punto comincia la voglia di scatenare la difesa, ad oltranza e in
forme anche eccessive, della propria vera o presunta identita' collettiva e
difesa del territorio reale.
*
Quelli che oggi in Veneto sono in massa dei leghisti o razzisti scatenati
contro gli emigrati, negli anni sessanta e settanta erano ostili ai
comunisti identificando come tali, per esempio, i romagnoli.
In quegli anni insegnavo appunto nella provincia di Treviso e potei fare la
non gradevolissima esperienza di una minaccia di trasferimento d'ufficio
perche', secondo i genitori dei miei alunni, essendo una romagnola dovevo
essere una comunista che "faceva politica in classe", comunque e sempre.
La minaccia si consolido' quando un giorno un alunno, costruendo un banale
collage con frammenti di giornale,  delineo' l'immagine di un volto
strozzato da due mani. Il volto, per mia sfortuna, era quello dell'allora
segretario del Partito Liberale. In un'altra occasione si scateno' l'ira
dell'insegnante di religione perche' alcuni alunni avevano disegnato, in
nome delle pari opportunita', alcune signore prete in confessionale.
*
Questo per dire che la paura dobbiamo comprenderla perche' e' un'ombra che
ci riguarda tutti; ed e' solo comprendendola che eviteremo di demonizzare
gli altri.
Perche' abbiamo la necessita' di fare posto ad altre culture, per cambiare
la nostra dove e' necessario, per confermarla dove e' giusto.

9. LIBRI. MASSIMO RAFFAELI PRESENTA "LE DUE GUERRE" DI NUTO REVELLI
[Dal quotiiano "Il manifesto" del 22 febbraio 2003. Nuto Revelli e' nato a
Cuneo nel 1919, ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di
Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle
sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono
letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e
limpida guida morale. Opere di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada
del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte,
Il disperso di Marburg, Il prete giusto, Le due guerre, tutti pubblicati
presso Einaudi]
Fosse stato a Roma sabato 15 febbraio, c'e' da giurare che Nuto Revelli
sarebbe entrato nel corteo dal margine, attratto dai ventenni meno colorati,
i ragazzi che danno l'idea d'essere appena usciti da un ufficio, da una
caserma o da un oratorio di periferia, quelli che fanno un po' fatica a
focalizzare, come svegliandosi dal sonno adolescente per ritrovarsi
all'improvviso sul ciglio di un baratro, quelli che stentano ad aprire gli
occhi ma poi lo fanno in via definitiva e divengono determinati,
implacabili. Sessant'anni fa, sul principio della seconda guerra mondiale,
Nuto Revelli era uno di loro e a loro oggi dedica il libro piu' suo, Le due
guerre. Guerra fascista e guerra partigiana (a cura di Michele Calandri,
prefazione di Giorgio Rochat, Einaudi, pp. 191, euro 12,50) dove in
copertina, autografata a pennarello rosso, spicca una dedica esemplare:
"Vorrei dare un'idea di che cosa sia stato il fascismo per i giovani del
ventennio...".
Sulla traccia di corsi universitari tenuti a Torino alla meta' degli  anni
Ottanta, Le due guerre sono tanto un testamento etico-politico quanto una
sintesi della produzione revelliana (in intersezione con almeno due
capolavori: La guerra dei poveri, 1962, il libro che rivelo' la sua nuda
voce di testimone della campagna di Russia, e Il mondo dei vinti, 1977,
l'opera della pietas rerum, sui cicli secolari di una civilta' contadina
ormai prossima all'annientamento e all'oblio). La falsariga e' la medesima
del memoriale e di un asciutto romanzo di formazione.
Decisiva vi e' infatti la zona di trapasso che discrimina incubazione e
maturazione, stato costrittivo e libera scelta, cecita' e consapevolezza. A
vent'anni Revelli e' un borghese che frequenta l'accademia militare di
Modena; la famiglia lo ha educato al senso della responsabilita' e al culto
del dovere, il regime, sequestrandone gli impulsi, lo ha inglobato nelle sue
istituzioni. A vent'anni Revelli crede in cio' che, alla lettera, non e';
nell'automatismo delle parole d'ordine, pari a milioni di altri ragazzi,
crede percio' di credere. Ma l'eco della guerra e il grottesco di una
retorica sempre piu' bugiarda prima lo impietriscono e poi ne sbendano
l'ingessatura; presto infatti si accorge di avere smarrito la strada, di
avere fallito in una scelta (o non-scelta) che gli era parsa inderogabile.
Refrattario, e lo sara' sempre, alle astrazioni ideologiche, a Modena
Revelli impara a osservare, ad ascoltare, a chiedersi cosa sul serio ne e'
di lui e di quanti spartiscono con lui la branda, le poche ore libere,
l'ignoranza completa delle cose del mondo (in poco d'ora, lo spadino di una
divisa anacronistica vale gia' virtualmente lo Sten del futuro capo
partigiano, scrupoloso dei dettagli, nient'affatto verboso, anzi umbratile
nel suo pragmatismo: "Cosi' i primi messaggi di un antifascismo, sia pure di
un antifascismo di casta, li ho avuti a Modena, all'Accademia Militare. Non
nella mia famiglia, non nella scuola. Forse perche' la guerra andava male:
Ma non solo per questo motivo").
Fatto sta che l'antifascismo, la rinuncia alla carriera militare, sono il
solo esito possibile alla disfatta della Armir: neanche una "scelta", ma uno
strappo sanguinoso e in seguito una piaga che niente riuscirebbe a
cauterizzare: "Immaginate 40.000 uomini nella conca di Podgornoe, 40.000
disperati che si dibattono tra le isbe in fiamme, come un formicaio
impazzito. Molti gli sbandati, i disarmati, i congelati. Tutti con la stessa
angoscia nel cuore, tutti con il terrore dei carri armati". Il bianco
illimitato e abbacinante, torme di ex uomini ridotti a stalattiti semivive,
scarpe di cartone e inutili carri Fiat di lamierino, un'immane sacca di
gelo, il sacrificio, altrove deliberato, di un'intera generazione: tutto
questo, alla maniera di un male inespiabile e di un giuramento da cui non e'
lecito sciogliersi, torna a incombere nelle pagine centrali del libro, in
ideale presa diretta, fedeli e ossessive quali possono esserlo i segni di un
palinsesto a futura memoria.
Pagine sue e di ognuno, scritte a muscoli ancora tesi, rese anonime (cioe'
universali, partecipabili qui-e-ora) dalla limpidezza dello sguardo e da uno
spassionato amore di verita' (non ce ne sono molte altre che reggano il
confronto. Per crudo paradosso, gli occhi dei reduci sono spesso occhi
invetriati, ma non gli occhi di Rigoni Stern, Il sergente nella neve, di
Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, o di Egisto Corradi, La
ritirata di Russia, cioe' dei pochi che saprebbero spiegare a un ventenne
perche' mai centinaia di migliaia di coetanei venissero allora mandati
nell'inferno russo a nome di una civilta' presunta superiore e alla caccia
di nemici ritenuti untermenschen, sottouomini, in quanto slavi, ebrei e
comunisti).
Sia pure dentro un'occasione postdatata e marcata in senso pedagogico e
divulgativo, il tratto dello scrittore si conferma nella sua interezza.
Revelli non dice "io" per narcisismo e neanche per convenzione
autobiografica, perche' il suo "io" e' parte viva di un "noi" che non prende
la parola dall'alto ma la lascia scaturire dal basso, rispettandola, mentre
la protegge e ne dilaziona la durata.
In secondo luogo, e d'accordo con Primo Levi, non avalla una semplice
letteratura di memoria ma avvalora, semmai, il bene del ricordo: perche' la
memoria e' flusso, alone, persino puo' essere alibi ed autosuggestione;
viceversa il ricordo, nella sua parzialita', ha spessore, durezza minerale,
ben conficcato all'origine (infatti la memoria, che riassorbe ogni cosa, ha
due sole dimensioni, il ricordo ne ha tre, quasi si trattasse di sostanza
meteoritica. Percio' la memoria appaga, esalta, mentre il ricordo assilla e
rimorde. E infine: la memoria, per sua natura, e' ideologica, subisce
ridisposizione e sistemazione, quando il ricordo sta la', disponibile e in
attesa di giudizio, allo stadio di reperto e di prova).
Circa la Resistenza in Piemonte, tra le file di "Giustizia e Liberta'", i
ricordi sono di un allievo d'accademia costretto, dal contatto con una
etimologica empieta', a mutare in gesti responsabili ed estremi i doveri
metafisici che il fronte russo gli ha per sempre sterilizzato. Chi decide di
salire in montagna e' un giovane ignaro della tradizione antifascista,
impermeabile all'ottimismo di chi canta, nei bivacchi, rosse primavere e il
sol dell'avvenire. Per la seconda volta, ha bisogno di guardarsi dentro e
intorno, di ponderare i pensieri e le azioni, se all'inizio diffida persino
di Dante Livio Bianco, l'erede di Duccio Galimberti, che pure diverra' per
lui un compagno d'armi, e un maestro nella battaglia politica del
dopoguerra; ne scrive commosso, introducendo il libro postumo di Guerra
partigiana: "La mia scelta partigiana l'avevo maturata sul fronte russo: la'
avevo imparato a odiare i tedeschi, a disprezzare i fascisti" (non e' un
caso che proprio su suggerimento di Livio Bianco abbia composto in montagna
La Badoglieide, una canzone ispirata da sarcasmo e collera politica ma
pervasa, nel gioco linguistico, dal presentimento della liberazione).
Cosi' oggi si sorprende a ricordare la solitudine, la paura, un'idea di
futuro che allora coincideva col possesso e il buon funzionamento di un
parabellum e di due machinepistol: "Avevo scelto d'istinto la guerra
partigiana e avevo dovuto superare momenti difficili, momenti pieni di
incertezze, di contraddizioni, di ripensamenti. La mia scelta partigiana mi
era stata facile, istintiva, ma l'inserimento nella guerra partigiana mi era
riuscito difficile".
Basterebbero le note disadorne sulla liberazione di Cuneo a restituire un
uomo e uno scrittore cui sono fraterni solo i sentimenti elementari,
essenziali. Nuto Revelli non li ha mai vissuti e scritti come fossero eterni
ma li ha testimoniati nella pienezza etica, dunque nell'azione che,
manifestandosi, vieta a se stessa qualunque abuso di parola (e non e' un
caso, nemmeno, che il classico studio di Claudio Pavone, Una guerra civile.
Saggio storico sulla moralita' nella Resistenza, Bollati Boringhieri 1991,
lo menzioni decine di volte). Perche' anche la parola e' un'azione, anzi
un'arma, e Revelli, come ha detto una volta, l'ha puntata sempre da una
parte sola, contro l'Italia dei benpensanti, dei furbi, e dei servi: per
questo i ragazzi di sabato scorso (tra di essi i piu' schivi e mutamente
indignati) sono i suoi lettori naturali.

10. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: SAREMO I PIU' FORTI
[Da Norberto Bobbio, Il terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, p. 182.
Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909, antifascista, filosofo della
politica e del diritto, e' autore di opere fondamentali sui temi della
democrazia, dei diritti umani, della pace. E' uno dei piu' prestigiosi
intellettuali italiani viventi. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia
(che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia
italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De
Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997;
tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure
piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr.
almeno Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia,
tutti presso l'editore Passigli. Per la sua riflessione sulla democrazia
cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e
liberta'; tutti presso Einaudi. Sui diritti umani si veda L'eta' dei
diritti, Einaudi. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della
pace, Il Mulino, varie ristampe; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una
guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra,
Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica
e cultura, Einaudi; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Teoria
generale del diritto, Giappichelli. Di Bobbio recentemente e' stato
pubblicato il volume-conversazione con Maurizio Viroli, Dialogo intorno alla
repubblica, Laterza, Roma-Bari 2001. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo
almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino
1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni
cultura della pace S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto
Bobbio, Donzelli, Roma 2000]
Saremo i piu' forti se riusciremo ad ubbidire alla voce che nasce dal
profondo del nostro animo e che ci suggerisce questo nuovo comandamento:
"Disarmati di tutto il mondo, uniamoci".

11. TESTIMONIANZE. ALBERTO D'ONOFRIO INTERVISTA JOYCE RYLEY SULLA "SINDROME
DEL GOLFO"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 febbraio 2003. Joyce Ryley e'
portavoce dell'Associazione dei veterani americani della guerra del Golfo]
- Alberto D'Onofrio: Cosa e' successo al generale Blanck, accusato da molti
veterani di essere il vero responsabile della "Sindrome del Golfo", avendo
approvato nel 1991 l'uso dei vaccini incriminati?
- Joyce Ryley: Il generale Blanck si e' ritirato dall'esercito. Vive in
Texas e insegna in una scuola. Molti veterani malati vorrebbero sedersi
intorno ad un tavolo con lui, e magari anche Schwarzkopf, per spiegare come
la vita di tanti militari e civili americani sia stata sconvolta per sempre,
grazie alle loro scelte.
- A. D'O.: Signora Ryley, quanti veterani sono affetti dalla "Sindrome del
Golfo", e quanti sono morti?
- J. R.: Come sapete il contingente americano nella guerra del Golfo era
composto da circa 700.000 soldati. Secondo le nostre stime gli ammalati ora
sono circa 400.000 e sono gia' morti tra i 30 ed i 40.000 veterani. Rispetto
al 1995-96, quando lei giro' il suo documentario, le cifre sono
quadriplicate. Questi dati sono confermati dalle ricerche del dott. Garth
Nicholson, che da anni studia l'evoluzione della "Sindrome del Golfo". Il
Dipartimento della difesa ha ammesso che solo 230.000 soldati sono ammalati.
Ma le loro cifre non tengono conto dei riservisti. E in ogni caso c'e'
ancora la tendenza, da parte del Dipartimento, ad interpretare la sindrome
soprattutto come malattia mentale, una specie di esaurimento nervoso che ha
colpito i reduci del Golfo. Quando una malattia colpisce il 5-10% della
popolazione si parla di epidemia: nel caso della Sindrome del Golfo ormai
piu' del 50% dei veterani e' coinvolto. Ma per l'esercito questo non e' un
problema, perche' il 98% dei 700.000 soldati spediti nel Golfo nel '91 e'
ormai fuori servizio. Sono malati e non servono piu'. Adesso ci sono le
nuove leve, ragazzi di vent'anni pronti di nuovo a combattere.
- A. D'O.: Quali sono secondo lei le vere cause della "Sindrome del Golfo"?
- J. R.: Oltre che dalle armi di Saddam, le nostre truppe sono state
contaminate dalle nostre bombe e pallottole all'uranio impoverito e dalla
miscela di vaccini che avrebbe dovuto proteggerci dagli agenti chimici e
batteriologici. I vaccini, oltre a non proteggerci, hanno contribuito ad
abbassare le nostre difese immunitarie, interagendo tra di loro in maniera
inaspettata. I vaccini che ci sono stati somministrati erano sperimentali, e
continuano ad esserlo anche ora. Non hanno mai avuto un regolare test da
parte della "Drug and food administration", l'organismo incaricato di
verificarne la nocivita' per l'organismo umano. E poi, si parla sempre di
antrace ma ce ne sono centinaia di varianti: come e' possibile che il
Pentagono sappia in anticipo quale tipo verra' usato? Come fanno ad essere
sicuri che quella certa miscela di vaccini puo' effettivamente proteggere?
Lo sa perche' sono cosi' sicuri?
- A. D'O.: Perche'?
- J. R.: Perche' gli Usa nel 1984, durante l'amministrazione Reagan, hanno
venduto a Saddam i componenti per l'antrace ed altri batteri, e poi Saddam
ha usato queste armi contro l'Iran. Quando andammo nel Golfo ci
somministrarono una certa miscela di vaccini idonea a proteggerci da quello
stesso tipo di antrace che avevamo dato a Saddam. Ma evidentemente le armi
biochimiche nel frattempo avevano avuto un'evoluzione.
- A. D'O.: Il Pentagono vi ha mai comunicato l'esatta composizione di questa
misteriosa miscela di vaccini? O era considerato segreto militare?
- J. R.: Ci venivano date informazioni sui vaccini che eravamo obbligati a
prendere, ma noi non sapevamo di rischiare una contaminazione chimica o
batteriologica.
- A. D'O.: Lei ha detto giorni fa alla Bbc che anche i soldati americani e
inglesi vaccinati di recente si stanno ammalando.
- J. R.: Il 35% circa dei militari ha accusato gravi reazioni dopo la
somministrazione dei vaccini. Di solito dopo la terza iniezione si avvertono
i primi sintomi, soprattutto problemi neurologici. C'e' il caso del soldato
Joseph Johnnet, di 21 anni, che dopo avere accusato gravi malori e' stato
buttato fuori dall'esercito, essendogli stato riconosciuto il 30% di
invalidita' e un assegno di 300 dollari al mese. Sua madre e' inferocita con
l'esercito ed ha aperto un sito web per rendere pubblica questa scomoda
verita'. Joseph ora e' molto malato.
- A. D'O.: Riuscite a comunicare all'opinione pubblica questa drammatica
situazione? Cercate di mettervi in contatto con i nuovi arruolati?
- J. R.: Nel 1995 eravamo riuniti in centinaia di associazioni di reduci.
Ora siamo rimasti in pochi a lottare, perche' la malattia debilita, le forze
diminuiscono, e molti nostri compagni sono morti. Ma sono aumentati i
civili, in America, che credono alla nostra versione dei fatti e sono contro
questa nuova guerra. Dobbiamo fare capire ai civili di tutto il mondo che la
"Sindrome del Golfo" non e' una malattia che attacca solo i militari, ma una
minaccia per l'intera umanita'. I veterani ammalati infettano
inconsapevolmente, durante il periodo di incubazione, mogli, fidanzate e
parenti, persone che vivono a stretto contatto con loro. E poi deve essere
chiaro che i civili di qualsiasi paese, in caso di un attacco terroristico
biochimico, sarebbero costretti dal proprio governo a prendere gli stessi
vaccini che hanno fatto ammalare i soldati americani. Costretti: quando si
scatena un'epidemia non ci si puo' rifiutare, all'interno di una comunita',
di farsi immunizzare.

12. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO, "EL
DESCUBRIMIENTO DEL SISTEMA DE ESCRITURA POR PARTE DEL NINO", 1979
[Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate
da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia
Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in
Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del
processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo
contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da
parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo
l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione
della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985]
Data di edizione: 1979. Tipo di documento. Relazione presentata al convegno
"Aprendizaje y practica de la lectura en la escuela", organizzato dal
Ministero dell'educazione francese (dattiloscritto). Titolo: El
descubrimiento del sistema de escritura por parte del nino. Luogo di
edizione: Paris. Casa editrice: Ministere de l'Education, Centre National de
Documentation Pedagogique. Pagine 5. Fonte: Convegno "Apprentissage et
Pratique de la lecture a' l'ecole", organizzato dal Ministero
dell'educazione francese a Parigi dal 13 al 14 giugno 1979. La stessa
relazione e' stata presentata, con minime varianti, anche alla conferenza
"La adquisicion de la lecto-escritura como problema conceptual", organizzato
dall'11 al 13 febbraio dal Sistema Universidad Abierta della Facultad de
Filosofia y Letras de la UNAM, Mexico. Lingua: Spagnolo. Altre versioni: In
francese: "La decouverte du systeme de l'ecriture par l'enfant" en
Apprentissage et Pratique de la lecture a' l'ecole. Actes du Colloque de
Paris.1979, Ministere de l'Education, Centre National de Documentation
Pedagogique, Paris, pp. 215-220. Pubblicato con minime varianti con il
titolo spagnolo "El descubrimiento del sistema de escritura por parte del
nino" nel Nuevo Boletin de la Facultad de Filosofia y Letras de la UNAM,
Mexico, ano 1, mayo de 1980, n. 1 [traduz. Di Leticia Moreno].
*
Abstract
E' una prima presentazione dei risultati della ricerca del '74-'76 in cui si
mette a fuoco che la lingua scritta, cosi' come la lingua orale, e' un
oggetto di conoscenza socialmente costituito, su cui il bambino elabora
ipotesi di comprensione e costruisce idee molto diverse da quelle degli
adulti.
Viene evidenziata la regolarita' con cui i bambini si pongono alcuni
problemi e le ipotesi di soluzione da loro individuate, tenendo conto
dell'appartenenza a diverse classi sociali e della diversa provenienza
geografica. Cio' che cambia in dipendenza di variabili di classe sociale e'
piuttosto il ritmo con cui si realizza questo percorso di conoscenza.
I problemi incontrati dai bambini sono soprattutto relativi alla
comprensione del ruolo simbolico della scrittura, che passa attraverso una
prima differenziazione dal disegno, per poi essere collegata ai nomi delle
cose, di cui condividono alcune proprieta'. Solo dopo un lungo processo in
cui i bambini e le bambine elaborano ipotesi relative a cio' che si
aspettano che sia scritto, arrivano a considerare la scrittura come una
rappresentazione del linguaggio. All'interno di questo percorso stabiliscono
una corrispondenza sillabica, individuano la regola della quantita' minima,
e arrivano infine a stabilire una corrispondenza alfabetica.
Tutto questo realizzando una riflessione dalle caratteristiche squisitamente
cognitive su problemi logici e metalinguistici.

13. POESIA E VERITA'. FRANCO FORTINI: LA LAMPADINA FULMINATA
[Da Franco Fortini, Poesie inedite, Einaudi, Torino 1995, 1997, p. 12. Poeta
e saggista tra i maggiori del Novecento, Franco Lattes (Fortini e' il
cognome della madre) e' nato a Firenze nel 1917, antifascista, partecipa
all'esperienza della repubblica partigiana in Val d'Ossola. Nel dopoguerra
e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in seguito ha collaborato a
varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da "Officina" ai "Quaderni
rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora. Ha lavorato
nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come insegnante. E' stato
una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per questo piu' isolate)
della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed intellettuale
pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco Fortini: per
l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte complessive Poesie
scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre. Poesie 1938-1973,
Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si aggiungano l'ultima
raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la serie di Poesie
inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia di Natale (poi
riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in Valdossola,
Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali sono: Asia
Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre testi per
film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi Garzanti,
poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione assai
ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso Marietti; I
cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Il
Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del Novecento, Laterza;
Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi italiani, Garzanti (che
riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi precedentemente presso De
Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso Pasolini, Einaudi. Si veda
anche l'antologia fortiniana curata da Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori
Riuniti. Opere su Franco Fortini: in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di
pianto in ragione, Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini,
La Nuova Italia, Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori
Riuniti, Roma 1986; Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su
Fortini hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno
civile; fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo]

Qualcosa tintinna
nel vuoto, qualcosa
si e' rotto.

Il filo rovente
che spento ora oscilla
non vedi

ma senti e un ronzio
si ostina se scuoto
nel buio

quel filo che piu'
non brilla e che fu
tuo, mio.

14. RILETTURE. ETEL ADNAN: SITT MARIE-ROSE
Etel Adnan, Sitt Marie-Rose, Edizioni delle donne, Milano 1979, pp. 94.
Nella tragedia libanese, la vita, la lotta, la morte di Marie-Rose Boulos,
educatrice, militante, "in nome della giustizia e della dignita'".

15. RILETTURE. FELICIA BARTOLOTTA IMPASTATO: LA MAFIA IN CASA MIA
Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo 1987,
pp. 72, lire 10.000. La testimonianza nitida e struggente della madre di
Peppino Impastato, in colloquio con Anna Puglisi e Umberto Santino.

16. RILETTURE. SHULAMITH FIRESTONE: LA DIALETTICA DEI SESSI
Shulamith Firestone, La dialettica dei sessi, Guaraldi, Firenze-Rimini 1971,
1976, pp. 250. E' ancora una delle analisi piu' profonde e appassionanti su
"autoritarismo maschile e societa' tardo-capitalistica".

17. RILETTURE. ELSA MORANTE: "PICCOLO MANIFESTO" E ALTRI SCRITTI
Elsa Morante, "Piccolo manifesto" e altri scritti, Linea d'ombra, Milano
1988, pp. 40. Un piccolo prezioso opuscolo che raccoglie scritti, lettere e
fotografie di Elsa Morante, per le cure di Goffredo Fofi.

18. RILETTURE. ANNA PUGLISI: SOLE CONTRO LA MAFIA
Anna Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990, pp. 124, lire
13.000. A cura di Anna Puglisi, socia fondatrice del Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", due dialoghi con Michela Buscemi e con
Piera Lo Verso, con un'introduzione di Umberto Santino. Rileggendolo oggi,
passati non pochi anni, questo libro e' ancora una lettura necessaria.

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 516 del 23 febbraio 2003