[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

LA "RIVELAZIONE" DEL SOCIAL FORUM DI FIRENZE (di Massimo Toschi)



IL FATTO E IL COMMENTO     

LA "RIVELAZIONE"
DEL SOCIAL FORUM DI FIRENZE
MASSIMO TOSCHI



Massimo Toschi, in qualità di consigliere del presidente della Regione
Toscana, ha seguito l'evento di Firenze. Lo definisce: "Uno spartiacque che
ha segnato un prima e un dopo".


La vera diversità, la novità di Firenze sta nel fatto che per la prima
volta, negli ultimi tempi, è nato un movimento per la pace che fa della
nonviolenza il suo punto di forza strategico.

Rutelli e Fassino non sono venuti a Firenze, perché non possiedono la
cultura della nonviolenza. E questo è un dramma.

Se avessimo detto di no avremmo in un attimo, con una decisione
burocratica, cancellato la storia e l'identità di Firenze, quale grande
città della pace in Europa e nel mondo.

Questo governo ha bisogno di cancellare Firenze. Paradossalmente, ha
bisogno di ridare legittimità come capi del movimento a coloro che a
Firenze erano stati ignorati.


Un movimento di massa nonviolento per la pace è qualcosa di non manovrabile
da chi in Italia ha oggi responsabilità politiche.

 Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento di Massimo Toschi al 1°
seminario di "Vasti, scuola di ricerca e critica delle antropologie", per
l'anno 2002-2003. Si è tenuto a Roma, lo scorso 17 novembre.  Ecco
l'introduzione di Raniero La Valle: "Le 'ultime notizie' sarebbero tante in
questi giorni, quando tra l'altro si sta preparando la nuova guerra, che
poi è sempre la stessa che continua, contro l'Iraq. Ma su questo panorama
abbastanza fosco si è inserito un momento di forte speranza: la grande
pacifica manifestazione di Firenze, un grande popolo che si è riunito, ha
dibattuto, ha camminato per la pace, per la giustizia, per l'eguaglianza. E
a noi è sembrato che questo evento di Firenze, anche per il modo con cui
era andato maturando, per i contrasti che ha incontrato, per il tentativo
di impedirlo, di delegittimarlo e poi per la sua straordinaria riuscita,
avesse significati che andavano al di là della cronaca immediata.
Questa sensazione è stata confermata da Massimo Toschi, che ha seguito
l'evento. Egli ha molti meriti, ha una vita molto intensa e ricca, ma il
titolo specifico per cui ha avuto un ruolo in questo evento di Firenze, è
stato quello relativo alla funzione istituzionale che svolge quale
consigliere per la pace del presidente della Regione Toscana; incarico
interessante e significativo, ma anche molto raro nel panorama delle
regioni italiane".

UN LUNGO PROCESSO
Penso davvero che ciò che è avvenuto a Firenze, rappresenti uno spartiacque
significativo. La tesi è questa: non si è trattato solo di una grande
manifestazione contro la guerra (ce ne erano state altre ed altre ce ne
saranno, e in questo senso si situava all'interno di una lunga serie di
manifestazioni, basti pensare all'ultima marcia Perugia-Assisi). La vera
diversità di Firenze sta nel fatto che per la prima volta, negli ultimi
tempi, è nato un movimento per la pace che fa della nonviolenza il suo
punto di forza strategico. Questa piattaforma nonviolenta non era presente
ad Assisi, tanto che in quella marcia c'erano molte persone che a Firenze
non sono venute, e non perché hanno avuto paura di "mettere il cappello" su
quella manifestazione, come hanno detto e scritto, ma perché la cultura era
diversa, perché queste persone legittimamente non condividono il baricentro
culturale di Firenze.
Ma vediamo come si è arrivati a questo, perché non si è trattato di un
fatto casuale; è stato un lungo processo, per il quale qualche merito il
presidente della Regione Toscana e quanti hanno lavorato con lui,
giustamente rivendicano. Per spiegarne il senso, vale la pena di tornare ad
un anno e mezzo fa, tra l'aprile e il maggio, quando si preparava la
manifestazione di Genova, con tutti i problemi e le discussioni che c'erano
state sull'andare o non andare a Genova. Il presidente della Regione
Toscana ha fatto una scelta, che si è rivelata lungimirante, di avviare
innanzitutto un dialogo e un confronto critico con una parte assai
rilevante del "movimento", che chiameremo "no global", attraverso due
grandi seminari: San Rossore 1, nel 2001 prima di Genova, e San Rossore 2
quest'anno.
Quando tutti prendevano le distanze da Genova, il presidente della Regione,
con un lavoro intensissimo, inventò, in un mese, un incontro che raccolse
personaggi tra i più autorevoli, da Vadana Shiva a Ivan Illich, di questo
variegato mondo, per aprire un confronto fra istituzioni e movimenti, tra
associazioni, società civile e governi locali, in modo che l'esperienza di
Genova non venisse abbandonata a se stessa. Eravamo preoccupati, ma
capivamo che a Genova sarebbe avvenuto qualcosa di straordinariamente
importante, soprattutto sarebbe stata posta da una generazione di giovani
una domanda politica che non poteva essere elusa, al di là delle cose che
poi sono avvenute e sulle quali ognuno può avere il suo punto di vista.
Il presidente della Regione Martini andò a Genova, mentre altri non
andarono (pensiamo alla posizione dei Ds, e non solo). Egli era convinto (e
dopo Genova apparve sempre più chiaro per la quantità dei giovani che vi
erano arrivati pur in una situazione difficile, addirittura drammatica) che
il dialogo iniziato non poteva essere interrotto. Anzi, non solo volevamo
essere una sede di dialogo, ma volevamo andare nei luoghi del dialogo, per
cui molti toscani sono andati a Porto Alegre nel gennaio del 2002, con il
presidente della Regione e tanti sindaci.
A Porto Alegre è nata la proposta di fare diversi Social Forum continentali
e un Social Forum europeo con la scelta dell'Italia, e le tre candidature
possibili erano Firenze, Napoli e Venezia. La scelta nostra allora, sapendo
che ci saremmo accorciati un po' la vita, fu di offrire la disponibilità di
Firenze; ovviamente non stava solo a noi decidere (ci furono, tra l'altro,
pressioni da parte di Rifondazione comunista perché non si tenesse il
Social Forum a Firenze, in quanto essa temeva che i Ds l'avrebbero
catturato e condotto).
Si dette comunque la disponibilità di Firenze, non per una forma di
opportunismo politico (anzi questo spingeva esattamente in senso contrario,
perché immaginare di organizzare a Firenze una manifestazione collettiva
con varie decine di migliaia di giovani faceva tremare i polsi), ma in
quanto capimmo subito che se avessimo detto di no avremmo in un attimo, con
una decisione burocratica, cancellato la storia e l'identità di Firenze,
quale grande città della pace in Europa e nel mondo: avremmo cancellato la
sua vocazione legata a grandi personaggi che tutti conosciamo. Se avessimo,
per una scelta di opportunità, detto di no avremmo perso l'anima, nel senso
che sarebbero rimasti i mattoni, le pietre, ma Firenze sarebbe restata come
un corpo morto, un cadavere e come tutti i cadaveri, si sarebbe potuta
continuare a vedere e anche imbalsamare, ma non sarebbe stata più Firenze.

LA NONVIOLENZA COME SOLA CONDIZIONE
Questo è stato il motivo di fondo che ci ha spinto: quando, infatti, ci è
stato confermato che sarebbero venuti a Firenze, si aprì una questione
abbastanza drammatica, perché per noi era chiaro che venire a Firenze
significava costruire una grande occasione, in cui la nonviolenza fosse un
punto di forza. Già a marzo, il presidente della Regione organizzò un
convegno per porre questo problema al "movimento"; eravamo, e siamo,
convinti che a Genova - non entro nei dettagli dato che ciò che là ha fatto
la polizia, lo sappiamo tutti - c'erano state parti non piccole del
movimento che seguivano il principio secondo cui se la nonviolenza
funzionava andava bene, altrimenti si faceva funzionare qualcos'altro.
Quindi non solo offrivamo ospitalità, ma ponevamo una condizione.
Lo abbiamo fatto con molta lealtà e chiarezza fin dall'inizio, non
solamente per crescere noi insieme al movimento che veniva a Firenze, ma
per essere coerenti con la nostra storia. Scommettevamo sul magistero di
"Firenze città della pace": era una scommessa difficile, ma strategica.
Questo avrebbe permesso a noi di capire ancora meglio il lavoro che
dovevamo fare, ma avrebbe permesso al movimento di crescere attorno ad un
problema non risolto. Ricordiamo tutta la discussione interna, la posizione
di Lilliput, l'intervento di Zanotelli, le risposte di Casarini, di
Agnoletto.
 Parte così la costituzione di una cabina di regia della vicenda fiorentina
che ha messo insieme le istituzioni, il presidente della Regione, il
sindaco di Firenze, poi i sindaci dei Comuni dell'hinterland fiorentino,
alla periferia di Firenze (Scandicci, Bagni, Ripoli, Prato), il prefetto,
il questore e il Social Forum fiorentino che faceva da collegamento con il
Social Forum europeo. Cominciò un lavoro all'inizio molto difficile, anche
perché cominciò subito una campagna durissima de Il Giornale e de La
Nazione, che ha inventato e prodotto quell'allarmismo esploso soprattutto
negli ultimi giorni.
 Si è trattato di una campagna lanciata proprio nel momento in cui Firenze
diventava la sede del Social Forum europeo, a maggio, quando la decisione
era stata assunta in termini definitivi. Una campagna che aveva come
bersaglio, essenzialmente, il presidente della Regione e indirettamente il
sindaco. Su questo vale la pena di ritornare, in quanto c'era anche una
certa parte dei Ds che non avevano digerito Genova, o lo avevano fatto con
molta fatica, e quindi erano molto preoccupati che a Firenze potesse
accadere qualcosa di analogo.
In quest'orizzonte, arriva il secondo convegno di San Rossore: di nuovo un
convegno con mille persone come il precedente, ma di due giorni, e quindi
di durata doppia, che raccoglie personalità da tutto il mondo e non solo
sulla frontiera dei "no global", ma anche con posizioni capaci di
valorizzare la globalizzazione. Lo scopo era di fare di Firenze e della
Toscana una sede di discussione franca, libera e spregiudicata su questi
problemi. Ancora con scelte importanti: per dirne una che si concretizzerà
a dicembre, a San Rossore è stata lanciata la proposta di "un centesimo di
Euro per ogni metro cubo di acqua consumata dai toscani per progetti di
pozzi nel Sud del mondo"; un progetto che, per quanto ne so, è unico in
Europa.
Si è iniziata poi la fase ultima della preparazione del Forum, post estiva,
e la preoccupazione è salita per vari motivi. Innanzitutto all'interno del
Social Forum erano presenti varie anime e non tutte condividevano ancora la
scelta nonviolenta; penso ad alcune interviste di Casarini e di Agnoletto
che uscivano - guarda caso in continuazione - su La Nazione e su Il
Giornale.
C'era poi il problema dei Ds che tendevano sempre più ad isolare il
presidente della Regione; il sindaco ha assunto una posizione cauta. È
stato il momento di maggior rischio per Martini perché era chiaro che, se
si fosse arrivati alla manifestazione con l'isolamento del presidente della
Regione e con tutti i giornali che cominciavano a chiedere esplicitamente
la sua testa, il rischio di incidenti sarebbe stato altissimo. È noto come
vanno le cose: se una persona è isolata, è il momento che la si colpisce, e
il modo migliore per colpirla era attraverso gli incidenti.
In questo contesto, ha funzionato molto la cabina di regia: il prefetto e
il questore di Firenze si sono mossi con grande lealtà. E hanno lavorato
perché tutto concorresse alla soluzione positiva dell'evento, quando il
Social Forum si è aperto.

VECCHIA LEADERSHIP ADDIO
La cosa interessante, apparsa subito chiara, è stata che erano spariti i
gruppi dirigenti di Genova: Agnoletto, Casarini e tutti quelli che là era
stati gli "interlocutori mediatici", non c'erano più; la gente aveva
selezionato i temi con intelligenza rispetto ad un programma infinito; una
generazione di giovani poneva in modo fortissimo il tema della pace e della
nonviolenza. Quest'analisi ha trovato conferma nella marcia di sabato
pomeriggio che, rispetto alle tante altre manifestazioni contro la guerra,
non presentava nulla di violento nel linguaggio, nei comportamenti, nelle
parole d'ordine. È stata una festa, una manifestazione molto pacifica anche
nello stile; c'era, è vero, qualche slogan dei greci ed altri, ma sapeva di
qualcosa di retrò, lontana dall'anima di questo corteo.
Dico questo perché si pone un problema. Questa generazione di giovani ha
bisogno di trovare propri leader, persone capaci di dare al movimento un
volto, di riflettere su ciò che avviene. Direi che l'unico intervento
straordinario è stato quello di Pietro Ingrao, accolto da un'autentica
ovazione. Egli ha posto la questione del "potere, del potere nella pace".
Da questo punto di vista, Firenze rappresenta una svolta; ciò non vuol dire
che da ora in poi andrà tutto bene, che tutti saranno nonviolenti.
Significa piuttosto una grande responsabilità per tutti, perché questo
patrimonio non venga disperso. Significa anche che tutta una cultura
vetero-marxista non regge più, così come certe parole d'ordine di un
politichese un po' estremista sono inadeguate ad esprimere i sogni di
questi ragazzi.
Firenze è quindi, al tempo stesso, un evento straordinario e fragilissimo;
si capisce, come attorno al grande tema della pace e della nonviolenza,
Rutelli e Fassino non siano venuti, perché non possiedono questa cultura;
ed è un dramma. Altri sono venuti in maniera più opportunistica: anche
Bertinotti ne è estraneo, però cavalca queste cose.
Si apre così una fase nuova nell'iniziativa politica, perché Firenze segna
uno spartiacque.

RESPONSABILITÀ DI TUTTI
Ne deriva quindi una grande responsabilità per la Regione Toscana, lo
sappiamo bene: Firenze non può fermarsi, non può conservare il ricordo di
un evento straordinario e poi riprendere come se nulla fosse accaduto. Qui
è nato qualcosa di nuovo che è però affidato alla responsabilità di tutti,
non soltanto della nostra Regione. È affidato all'Europa.
Mi ha molto colpito l'intervista di Romano Prodi a La Stampa del 9
novembre, perché ha capito che se l'Europa "vuole" svolgere il ruolo che
"deve" svolgere - un ruolo di pace e non di "sudditanza all'Impero del
bene", di cui ci parla Bush - ha bisogno della spinta di questa generazione
di giovani; al tempo stesso, essi hanno bisogno di trovare degli
interlocutori nelle istituzioni per non perdersi, per approfondire il senso
di quella giornata che ci ha sorpreso tutti. Io che sono ottimista per
natura, non lo avrei immaginato. Sono andato alla manifestazione in
carrozzina; ci sono andato per lealtà al mio presidente che rischiava
moltissimo, quindi bisognava esserci. Ma nel vedere ciò che ho visto e nel
vivere il clima di quella manifestazione, ho avuto netta l'impressione di
un notevole salto culturale. Ciò non significa che non si possa tornare
indietro, significa però che almeno per un giorno questo è stato fatto e se
per un giorno è stato possibile, su questo occorre lavorare.
L'impegno sulla frontiera della pace e il tema della pace come asse
strategico della nostra Regione non nasce comunque dalla giornata di
Firenze, ma è precedente. Potremmo dire che a Firenze c'è stato un incontro
tra questa generazione di giovani che chiede pace, che esige il rifiuto
della guerra a partire dalla nonviolenza e tutta una serie di forme di
cooperazione con tanti paesi del mondo come l'Algeria, l'Iraq, la Libia, il
Sudafrica, Israele, la Palestina, ecc., dove portiamo le nostre
convinzioni, che poi abbiamo riscontrato in quel corteo: l'idea che la
pace, la si costruisce solo con mezzi pacifici, non con l'uso delle armi, e
questo vale per tutti. Questo è quanto ho detto, su mandato del mio
presidente, a Yasser Arafat e ai miei amici palestinesi; questo è quello
che abbiamo detto alle autorità israeliane, a tutti i livelli. Si è così
creato una straordinario incrocio.

E ADESSO?
La sera del 9 e la mattina del 10 novembre ero particolarmente contento
perché tutto era andato benissimo, al di là della migliore delle
previsioni. Ma mi è venuta anche una grande angoscia per la responsabilità
pesante che ne derivava, perché si può far rifluire questa generazione su
posizioni sbagliate o ancor peggio su posizioni che negano il senso della
giornata di Firenze se non faremo scelte adeguate, se non cresceremo nella
cultura della pace che, in questi anni, si è largamente assopita.
Il caso più classico sono le marce della pace Perugia-Assisi, dove sono
andati tutti coloro che erano per la pace, ma alcuni erano per la pace con
la guerra e non si possono mettere insieme "coloro che sono per la pace con
la pace" e "coloro che sono per la pace con la guerra". Andare ad una
manifestazione dove sono presenti D'Alema e Rutelli non può che creare
confusione, perché tutti sono per la pace, anche George Bush è per la pace.
Il documento su La Strategia della Sicurezza Nazionale degli Usa dello
scorso 17 settembre è tutta un'argomentazione in funzione della pace, o
meglio della pace americana, in vista della quale si elabora la teoria
della guerra preventiva e infinita.
Per questo dico che Firenze ha rappresentato un evento rivelativo, nel
senso che ha rivelato una generazione con una grande potenzialità di
futuro: la scelta della nonviolenza, che rappresenta il punto di partenza,
il crinale delicato per ogni impegno per la pace, a Firenze è diventata
l'esperienza di una generazione.
Ritengo ciò un fatto assolutamente straordinario che ci carica di
responsabilità, per la quale noi forse né abbiamo le forze, né siamo
all'altezza, in quanto è richiede una grande cultura e una capacità
politica. Noi toscani siamo in genere presuntuosi e arroganti, ma di fronte
a tale compito ci vengono i brividi, anche perché non può essere solamente
una Regione a fare questo. Deve progressivamente diventare patrimonio di
molti e trovare un confronto a livello delle istituzioni europee. Questa è
la grande scommessa per l'Europa che, se non vuole accodarsi ad una
politica unilaterale americana, deve trovare linfa in questa generazione; e
così è per questi giovani che, se non vogliono pensare di aver sprecato
qualche giorno a Firenze, devono trovare un rapporto con le istituzioni.
Tutto questo è la "rivelazione" di Firenze, che a me pare molto interessante.

MASSIMO TOSCHI




LA PACE COME TEMA ASSOLUTO



Sono rimasto fortemente impressionato da queste assemblee sconfinate di
cinque, sei, settemila persone che si svolgevano in un ordine assoluto, con
un comportamento esemplare di questi ragazzi che prendevano appunti sui
loro quaderni di qualunque cosa veniva detta, in un atteggiamento di
cortesia verso tutti, cosicché un applauso non veniva negato a nessuno,
anche quando si trattava di persone simpatiche e divertenti, ma un po'
"retrò". 
Si è parlato di acqua e di ogni ben di Dio, ma alla fine le assemblee più
grandi vertevano tutte sulla questione della pace. Certo, ha costituto la
forza della manifestazione di Firenze, l'aver trovato il suo tema di fondo.
Chi ha visto il programma del Social Forum, sa che erano previsti 50/60
gruppi di lavoro sulle più svariate questioni, si discuteva di tutto e del
contrario di tutto; in realtà, poi, la selezione è avvenuta naturalmente.

M.T.
 DIDASCALIE DELLE FOTO

FOTO N° 1: SENZA DIDA

Credit: Ap/Fabrizio Giovannozzi

FOTO N° 2
Genova, 20 luglio 2002. "Lì sarebbe stata posta una domanda da parte di una
generazione di giovani, che non avrebbe potuto poi essere elusa".

Credit: Ap/Darko Bandic

FOTO N° 3
Firenze, 9 novembre 2002. Decine di migliaia di persone provenienti da
tutta Europa hanno partecipato alla marcia contro la guerra in Iraq.

Credit: Ap/ Pier Paolo Cito

FOTO N° 4
Studenti dell'Università di Bir Zeit, assieme ad attivisti dei diritti
umani, manifestano vicino ad un carro armato israeliano, il 6 novembre
2001, a Ramallah (West Bank).

Credit: Ap/Nasser Nasser

FOTO N° 5
Un'anziana israeliana alla manifestazione organizzata da un gruppo delle
"Donne in nero", l'8 febbraio 2002, a Gerusalemme.


Credit: Ap/Lefteris Pitarakis