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La nonviolenza e' in cammino. 510



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 510 del 17 febbraio 2003

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, "Los mineros salieron de la mina"
2. L'intervento unitario conclusivo della manifestazione del 15 febbraio a
Roma
3. Amelia Alberti, fuori la guerra dalla storia
4. Per la pace da Palermo
5. Simon Levis Sullam, l'archivio antiebraico
6. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "Conocimiento
linguistico y proceso de adquisicion de la lengua escrita", 1975
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: "LOS MINEROS SALIERON DE LA MINA"

"E' fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo"
(Rocco Scotellaro)

La bella giornata di sabato (le centinaia e piu' probabilmente migliaia di
iniziative in tante citta' del mondo, da New York a Vetralla) non deve
essere immiserita ne' nelle polemiche di piccolo cabotaggio, ne' in un
trionfalismo fuori luogo, ne' in un malinconico ritorno a casa, ne' in
occasione di sognante nostalgia.
Molti lo hanno detto, e lo hanno detto perche' lo hanno sentito col cuore:
uno spicchio grande di umanita' presente ha detto no alla guerra, e lo ha
detto chiaro a quei potenti che una nuova guerra preparando mettono in
pericolo, nel piu' grave pericolo, l'umanita' intera.
E questo no alla guerra uno spicchio grande di umanita' presente lo ha detto
a nome dell'umanita' intera, di quella presente la cui enorme maggioranza
non ha voce poiche' strozzata dal doppio raffio della fame e delle armi, di
quella futura che dipendera' da noi se potra' esistere o no e se vivra' in
un mondo vivibile o avra' una vita infera di sofferenze tra macerie e
cancrena, e in nome di quella passata il senso del cui travaglio sarebbe
cancellato dalla cancellazione della civilta' umana, e la cui esistenza
sarebbe per la seconda volta e per sempre uccisa, annichilita infine.
Questo ci pare sia il messaggio chiaro delle manifestazioni di sabato: no
alla guerra, si' all'umanita'.
*
Sabato era il giorno dei cortei. Una parola e' stata detta, andava detta,
deve essere ascoltata. E' importante, non basta.
Oggi e' lunedi': e la lotta continua. Poiche' fermare la guerra, costruire
la pace, difendere l'umanita', richiede un impegno di lotta, e questo
impegno di lotta solo puo' alimentarsi di una scelta intellettuale e morale
limpida e intransigente: la scelta della nonviolenza.
Occorre dar seguito, risposta, inveramento a quella domanda, a
quell'invocazione, a quell'appello che sabato milioni di esseri umani hanno
lanciato al mondo: fermare la guerra. E per farlo occorre agire. Con la
forza del diritto, con la forza della verita', con la forza della
nonviolenza.
Ed occorre quindi predisporci:
- a contrastare la macchina bellica con l'azione diretta nonviolenta: si
tratta di paralizzare gli apparati militari che verranno impiegati e
coinvolti nella guerra. E' possibile farlo: ad esempio con l'azione diretta
nonviolenta delle mongolfiere della pace possiamo impedire i decolli dei
bombardieri dalle basi militari.
- a inceppare la catena di comando e le strutture logistiche ed
amministrative dei poteri golpisti e stragisti che la guerra promuovessero o
avallassero in violazione della Carta delle Nazioni Unite e della
Costituzione della Repubblica Italiana. Possiamo con una campagna
nonviolenta di disobbedienza civile di massa bloccare nodi strategici e
mettere in condizione di non nuocere quei poteri che la guerra scatenassero
ed avallassero (e con cio' stesso si rendessero ipso facto fuorilegge,
criminali promotori, esecutori e complici di crimini di guerra e crimini
contro l'umanita', e per quanto specificamente concerne il nostro paese
colpevoli altresi' del reato di violazione della Costituzione cui pure hanno
giurato fedelta').
- a preparare lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra, fino alla
completa cessazione di ogni coinvolgimento in essa, e fino alle dimissioni
del governo, del parlamento e del capo dello stato che la guerra illegale e
criminale avallassero (con cio' infrangendo la legalita' ed attentando alla
Costituzione, alla democrazia, alla Repubblica: a questa azione golpista
deve opporsi la piu' nitida ed energica azione delle istituzioni, dei
pubblici ufficiali e dei cittadini fedeli alla legalita' costituzionale,
alla democrazia, al nostro paese in quanto stato di diritto, ordinamento
giuridico, spazio di liberta' e di civile convivenza).
- a denunciare i golpisti e stragisti all'autorita' giudiziaria: chiedendo
alle forze dell'ordine di metterli in condizione di non nuocere, chiedendo
al potere giudiziario di procedere contro i violatori della legalita'
costituzionale, chiamando tutte le autorita' a tal fine preposte alla difesa
della repubblica dall'eversione golpista e stragista.
*
Ma per far tutto cio' occorre la scelta della nonviolenza; occorre uscire
dalle ambiguita' e dalla subalternita', farla finita con le ipocrisie.
Ipocrisie, subalternita' e ambiguita' ancora fortemente presenti in ampi
settori del cosiddetto movimento per la pace, settori dai quali dobbiamo
separarci nel modo piu' netto nel momento delle scelte e dell'azione: e il
momento e' adesso.
Cosicche' ai tanti ciarlataneschi appelli all'unita' noi opponiamo l'appello
alla nonviolenza. E quindi a rompere ogni complicita' con la violenza, chi
la utilizza e chi la adora.
Agli osceni equilibrismi di chi e' contro una guerra e a favore di un'altra,
noi opponiamo la scelta della nonviolenza, che e' opposizione a tutte le
guerre, tutti gli eserciti, tutti gli armamenti (e va da se': tutte le
dittature, tutti i terrorismi, tutti i poteri criminali; e tutte le offese
all'incolumita' ed alla dignita' di ogni persona).
Alle ignobili furberie di chi chiede ad altri il rispetto delle regole e poi
vuol lasciare mano libera a se stesso e ai suoi amici, noi opponiamo la
discriminante della nonviolenza, che e' l'impegno alla nonmenzogna, ed alla
noncollaborazione con chiunque voglia opprimere o umiliare altri esseri
umani.
Allo strabismo di chi dice di provare dolore per alcune vittime e se ne
infischia di altre, noi opponiamo la nonviolenza come sentimento di
fraternita' e sororita' con l'umanita' intera.
Alle retoriche e alle ideologie totalitarie, autoritarie, militariste,
razziste e sessiste degli scocchi e dei mascalzoni che pensano di potersi
opporre alla guerra e all'ingiustizia ed insieme nel loro meditare e parlare
ed agire ed atteggiarsi riproducono la stessa logica  e cultura della
violenza, noi opponiamo la nonviolenza come lotta esplicita e senza equivoci
anche a quelle ideologie e retoriche, e condotte e prassi.
Al fascismo maschilista e classista, ed al privilegio, al trasformismo ed
all'irresponsabilita' di tanta parte della sedicente leadership del
movimento per la pace, noi opponiamo il ripudio di ogni leaderismo, di ogni
carrierismo, di ogni privilegio e oppressione di classe e di genere; noi
opponiamo la scelta della nonviolenza come progetto e pratica di
solidarieta' e di liberazione di un'umanita' sessuata di donne e uomini
uguali in dignita' e diritti nel rispetto della originalita' irriducibile di
ogni persona.
Alle amnesie di chi dimentica il suo stesso passato di ancor pochi anni fa
noi opponiamo la memoria, in dolore e speranza: affinche' non si dimentichi
di dove veniamo, quali siano le responsabilita' di ciascuno, cio' a cui
occorre porre rimedio in noi e tra noi, quali i lutti da elaborare, quali i
segreti e bugie da portare alla luce e affrontare e superare. Non per
algidamente condannare, non per ergersi e calcare, non per offendere ancora,
ma perche' si possa procedere ad una riconciliazione fondata su una comune
lotta alla violenza e alla menzogna, sul riconoscimento di responsabilita',
sulla verita' come presupposto della giustizia, su un cambiamento che deve
cominciare da noi stessi nel nostro riconoscimento reciproco, nel nostro
agire quotidiano, nella personale e quindi comune assunzione di
responsabilita'.
La nonviolenza e' un cammino faticoso, ed e' anche un lavoro analitico, un
reciproco dirsi e ascoltarsi, un viaggio che si fa insieme facendosi carico
l'una e l'uno dell'altro e dell'altra, la percezione della relazione, il tu
e i tutti.
Ma certo queste cose occorrerebbe dire in modo assai meno raccorciato, e con
ben diversa scansione, e con piu' visibile tenerezza. Lo so. E mi spiace di
scriver cosi'.
*
"Los mineros salieron de la mina" e' un verso di Cesar Vallejo. E' cosi'
bello che non l'ho tradotto.

2. DOCUMENTAZIONE. L'INTERVENTO UNITARIO CONCLUSIVO DELLA MANIFESTAZIONE DEL
15 FEBBRAIO A ROMA
[Riportiamo il testo dell'intervento unitario conclusivo della
manifestazione contro la guerra svoltasi a Roma il 15 febbraio 2003]
C'e' chi pensa che solo ai potenti sia dato di scrivere la storia.
Oggi in tutto il mondo stiamo dimostrando il contrario.
In tutto il mondo, oggi, stiamo dimostrando che gli uomini e le donne, i
popoli, i cittadini e le cittadine possono riprendere in mano il proprio
destino e decidere insieme il proprio comune futuro.
Fermiamo la guerra. Milioni di persone, movimenti sociali, organizzazioni
grandi e piccole in tutto il pianeta hanno risposto all'appello promosso dal
Forum Sociale Europeo e rilanciato nel Forum Sociale Mondiale.
Dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia all'Islanda, da Manila al Cairo
abbiamo marciato insieme. Insieme, palestinesi a Ramallah e israeliani a Tel
Aviv. Gli osservatori di pace di tutto il mondo a Baghdad. Oggi, siamo parte
della piu' grande manifestazione mondiale della storia dell'umanita'. Per
dire no alla guerra all'Iraq. No, senza se e senza ma.
Non siamo qui a fare testimonianza. Siamo qui perche' questa guerra vogliamo
fermarla. E possiamo fermarla.
Sappiamo bene che il governo degli Stati Uniti vuole questa guerra. Sappiamo
che Bush e i suoi alleati sono disposti a fare la guerra anche contro la
volonta' della maggioranza dei popoli del pianeta. Ma sappiamo anche che
l'opinione pubblica ha un peso. Che i presidenti devono essere eletti. Che i
governi hanno bisogno di voti. Lo sanno anche loro.
Abbiamo un potere immenso, nelle nostre mani, se siamo capaci di presentarci
uniti. Se siamo capaci di convincere gli indecisi. Se non ci rassegniamo. Se
non torniamo a casa. Se non ci diamo per vinti. Se nei prossimi giorni
continueremo ad estendere la resistenza popolare e permanente alla guerra.
Fermiamo la guerra.
*
Siamo tanti e diversi. Veniamo da storie, culture, pratiche e percorsi
diversi e differenti. Oggi hanno marciato insieme i movimenti che si battono
contro la globalizzazione neoliberista, i movimenti per la pace, i movimenti
per la democrazia, partiti politici, l'associazionismo sociale, sindacati
confederali e di base, associazionismo religioso, i social forum, le
strutture dell'autorganizzazione, le aree antagoniste e della disobbedienza,
le ong, intellettuali, operatori della comunicazione, le organizzazioni
degli studenti, delle donne, dei migranti, e migliaia di cittadini e di
cittadine.
Siamo orgogliosi di tanta diversita'. E' la nostra forza, perche' la nostra
convergenza e' costruita sulla chiarezza. Senza ambiguita', senza
opportunismi, siamo tutti schierati contro questa guerra, in ogni caso,
qualsiasi istituzione la promuova o la autorizzi.
Siamo qui, a dispetto delle scelte della dirigenza della Rai, il servizio
pubblico pagato da tutti i cittadini, che ha deciso di oscurare questa
grande manifestazione rifiutandosi di dare la diretta televisiva.
*
Siamo qui per difendere l'articolo 11 della nostra Costituzione "L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Non erano
sognatori, quelli che scrissero la Costituzione. Avevano visto gli orrori
del nazifascismo, erano stati protagonisti della Resistenza, avevano visto
le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non si illudevano di poter vivere
in un mondo senza conflitti. Di fronte ai conflitti, hanno fatto una scelta:
non usare la guerra, usare la politica. A questa scelta di civilta', noi ci
sentiamo vincolati.
Siamo qui per difendere il diritto internazionale. E il diritto
internazionale dice che nessuno puo' farsi giustizia da se'. La giusta
risposta al terrorismo non puo' essere la vendetta, ne' tantomeno la guerra
preventiva. Non puo' essere la risposta di Bush dopo le Twin Towers, e
neppure quella di Sharon. La guerra preventiva e' la morte del diritto
internazionale. La guerra preventiva e' l'affermazione del dominio del piu'
forte. Il governo degli Stati Uniti ha esplicitato fino in fondo il suo
progetto di egemonia mondiale, senza regole e senza vincoli, nel documento
sulla sicurezza nazionale nel quale si arroga il potere di muovere guerra "a
chiunque costituisca una minaccia per i propri interessi nazionali". A
vivere in un futuro di barbarie, noi ci rifiutiamo.
Siamo qui perche' siamo convinti che la guerra non sconfigge il terrorismo.
Il terrorismo non ha mai ragione, neanche quando si nasconde dietro le
ragioni dell'ingiustizia sociale. Il terrorismo uccide la partecipazione,
che e' la forza dei movimenti sociali. A delegare la lotta per il
cambiamento, non ci rassegneremo mai.
Siamo qui per difendere la giustizia. Uno degli obiettivi della guerra e' il
controllo del petrolio che alimenta le economie occidentali. Non e'
benessere quello che si crea a costo della vita di milioni di persone in
tutto il mondo.
Il mondo e' pieno di armi nucleari, batteriologiche, chimiche, di
distruzione di massa. Le spese militari aumentano in tutti i paesi del
mondo, e alimentano il commercio illegale e criminale. Lo stato piu' armato
del pianeta vuole fare la guerra all'Iraq in nome del disarmo. Gli Usa hanno
speso quest'anno 500 miliardi di dollari per le armi. Ne basterebbero 13 per
salvare dalla morte per fame milioni di persone. A un mondo cosi'
tremendamente ingiusto, noi ci opponiamo.
*
Siamo qui anche contro la guerra economica, sociale e culturale che affligge
il pianeta, contro la globalizzazione neoliberista che produce ogni giorno
piu' disoccupazione, precarieta', miseria e ingiustizia sociale.
Siamo qui per difendere la pace. La guerra sara' vista, nei tanti sud del
mondo, come un'altra prova dell'arroganza e della politica di potenza
dell'occidente. Aumentera' la spirale dell'insicurezza e della repressione,
dell'odio etnico e religioso. Produrra' altra violenza, altra guerra. A
questo circolo vizioso, noi ci impegniamo a resistere.
Siamo qui per difendere la democrazia e i diritti umani. Ci battiamo perche'
democrazia e diritti umani siano affermati in tutto il mondo contro ogni
dittatura e tirannia. Anche in Iraq. Ma la democrazia non si puo' affermare
con l'arbitrio. Il popolo iracheno ha sofferto abbastanza.
Il regime di Saddam e' stato sostenuto e armato per anni dagli Stati Uniti.
Dodici anni di embargo hanno fatto il resto. All'orrore di tremila bombe
lanciate su un popolo stremato, noi ci rivoltiamo. Cosi' come ci rivoltiamo
all'uso delle bombe atomiche gia' minacciato nei piani del Pentagono, e
siamo particolarmente allarmati per la presenza di ordigni nucleari tattici
ad alta penetrazione nelle basi militari in Italia.
Siamo qui perche' la Carta dell'Onu esclude e condanna la guerra come
flagello dell'umanita'. Nessun Consiglio di Sicurezza puo' legittimare
questa guerra. La Carta delle Nazioni Unite non lo permette. Autorizzare la
guerra vuol dire uccidere definitivamente l'Onu, gia' da anni debole,
succube dei poteri forti, tollerante di troppe ingiustizie in tutto il
mondo. Basta con le complicita', basta con le doppie misure, basta con la
sudditanza agli Stati Uniti. All'ipocrisia della comunita' internazionale,
noi ci ribelliamo.
*
Siamo qui, infine e soprattutto, per difendere il diritto alla vita dei
nostri fratelli e sorelle irachene minacciate di morte dopo dodici anni di
stenti. Vogliamo ricordarci sempre, e vogliamo ricordare a tutti, che
saranno loro a pagare il prezzo piu' alto. La guerra la decidono i potenti,
ma sono i deboli che la fanno e la subiscono.
Noi la guerra la vediamo dall'alto, con le immagini dei traccianti e la scia
dei missili. Loro la vedono dal basso, ed e' tutta un'altra cosa. Un
razzismo strisciante, per il quale le vite non sono tutte uguali, impedisce
di vedere la guerra con i loro occhi, di pensare ai loro volti e ai loro
sorrisi quando parliamo di guerra.
A loro, e alle vittime mai viste di tutte le guerre dichiarate e non
dichiarate, vi chiediamo di dedicare ora un minuto di silenzio.
*
Siamo cittadini e cittadine d'Europa. Una Europa che ancora puo' fermare
questa guerra.
Facciamo appello, insieme a tutti i movimenti europei, ai paesi che fanno
parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu affinche' si esprimano contro la
guerra e a quelli che hanno potere di veto facciamo appello affinche'
esercitino questo potere, bloccando qualsiasi risoluzione che autorizzi
l'attacco all'Iraq.
Facciamo appello, come stanno facendo i movimenti europei in tutti i loro
paesi, alle forze politiche e ai parlamentari perche' in tutti i parlamenti
nazionali si arrivi al voto prima possibile, prima che la guerra cominci.
Facciamo appello, insieme ai movimenti europei, perche' partiti e
parlamentari si impegnino a votare contro la guerra, anche in caso di
autorizzazione delle Nazioni Unite, e contro l'utilizzo delle basi militari,
contro il sorvolo degli spazi aerei nazionali e contro qualsiasi supporto
logistico diretto o indiretto alla guerra.
Facciamo appello perche' le porte del negoziato siano tenute caparbiamente
aperte, per arrivare a una soluzione politica e non militare della crisi.
In molti paesi europei, come in Italia, la grandissima maggioranza della
popolazione e' contro la guerra. Chiediamo che i Parlamenti rispettino
questo orientamento e lo traducano in scelte coerenti.
Facciamo un appello alle forze politiche e ai singoli parlamentari: a quelli
che sono qui oggi e a quelli della maggioranza che per diversi motivi -
politici, religiosi, di coscienza - sono contro questa guerra. Ci sentiamo
di chiedervi un atto di coraggio e di coerenza.
Chiediamo un vincolo di coerenza in particolare alle forze politiche che
hanno aderito a questa manifestazione. Ognuno si assuma le proprie
responsabilita', nella liberta' che a ciascuno compete. Ciascuno rispondera'
delle proprie azioni di fronte ai cittadini e alle cittadine di questo
paese. Il tempo del politicismo e' finito. E' tempo di chiarezza.
Votate contro questa guerra. Fate vincere in Parlamento le ragioni della
pace e della democrazia che nel paese hanno gia' vinto. Assumete la
responsabilita' di rappresentare la volonta' della maggioranza dei cittadini
italiani. Restituite al nostro paese un ruolo positivo e una dignita'.
*
A noi, movimenti sociali, associazioni, partiti politici, organizzazioni
sindacali, esperienze religiose, strutture autorganizzate, societa' civile
organizzata e diffusa, cittadini e cittadine che abbiamo condiviso la
piattaforma di questa manifestazione, da qui rilanciamo un appello e un
impegno comune. Mettiamo in campo tutte le nostre energie, le nostre forze,
le nostre intelligenze e i nostri corpi, le nostre relazioni, la nostra
fantasia e la nostra determinazione per fermare la guerra.
Costruiamo la piu' grande esperienza di resistenza permanente alla guerra e
alla macchina della guerra che sia mai stata messa in campo, nel caso
sciagurato che la guerra inizi.
Facciamo appello perche' andiamo avanti insieme, nel rispetto delle
differenze, trovando il massimo possibile di unita' e di convergenza,
coordinando laddove possibile le nostre iniziative, comunicando,
riconoscendo le pratiche diverse in un patto di solidarieta'.
Ciascuno con i propri strumenti, ciascuno con le proprie forme, ciascuno con
le proprie pratiche, costruiamo una rete gigantesca di iniziative e di
azioni che provino a fermare, a intralciare, a boicottare, a mettere
ostacoli alla guerra.
Facciamo appello perche' prosegua la mobilitazione di massa in ogni citta',
in ogni quartiere, in ogni piazza del paese. Prepariamoci a rispondere
all'appello dei pacifisti americani perche' in caso di attacco tutti
scendano in strada. Prepariamoci a rispondere all'appello europeo per
manifestazioni di massa in ogni paese il primo sabato dopo l'attacco.
Facciamo appello agli studenti perche' le scuole e le universita' siano
ancora una volta al centro della mobilitazione contro la guerra.
Facciamo appello alle associazioni dei consumatori e dei cittadini
consapevoli perche' promuovano campagne, coinvolgendo il maggior numero di
persone in azioni quotidiane contro la guerra.
Facciamo appello alle organizzazioni sindacali, molte delle quali sono oggi
in piazza qui e in tutto il mondo, affinche' rafforzino ed estendano la
mobilitazione dei lavoratori utilizzando tutti gli strumenti possibili,
inclusi gli scioperi.
Facciamo appello agli operatori dell'informazione affinche' rifiutino di
essere arruolati in una guerra fatta innanzitutto di menzogne. Disobbedite
anche voi agli ordini ingiusti, impedite che le redazioni si trasformino in
caserme.
Facciamo appello perche' aumenti la mobilitazione capillare per coinvolgere
tutti e tutte. Riempiamo le finestre delle nostre citta' di bandiere della
pace. In ogni casa, in ogni scuola, nei luoghi di lavoro, nelle sedi
istituzionali, tappezziamo l'Italia di bandiere pacifiste.
Facciamo appello affinche' ciascuno trovi il suo modo per non obbedire
all'ordine ingiusto di sostenere la guerra.
Le pratiche della nonviolenza attiva, della testimonianza, del digiuno,
della preghiera, della disobbedienza civile e sociale, della resistenza e
dell'antagonismo sociale hanno grandi radici e tradizioni nel nostro paese.
Costruiamo una fitta rete di resistenza popolare che sappia essere efficace,
allargare il consenso e la partecipazione attiva per fermare la guerra in
tutti i suoi aspetti.
*
Facciamo appello perche' aumenti la solidarieta' concreta a fianco delle
vittime della guerra. A fianco della popolazione civile irachena, che si
prepara alla guerra in mezzo a mille sofferenze. A fianco del popolo
palestinese, del popolo kurdo, del popolo afgano, dei popoli che soffrono le
guerre dimenticate.
Noi non siamo quelli che vendono le armi ai dittatori. Noi siamo quelli che
da anni, nel silenzio colpevole dei governi, siamo a fianco giorno dopo
giorno ai popoli del mondo che patiscono la guerra, la poverta',
l'oppressione.
Rilanciamo tutte le iniziative di solidarieta' concreta e di cooperazione
internazionale che la societa' civile mette in campo. E avvisiamo sin d'oggi
il governo che non parteciperemo ad iniziative umanitarie promosse da chi
butta le bombe. I nostri soldi, li spenderemo bene. Salutiamo da qui i
cooperanti e i volontari impegnati all'estero che oggi hanno fatto lo
sciopero bianco contro la guerra in tutto il mondo.
Facciamo appello perche' si rilanci l'iniziativa politica in Medio Oriente,
per la fine dell'occupazione in Palestina, per due popoli e due stati, per
Gerusalemme capitale condivisa, per la pace e la democrazia in tutto il
Kurdistan, per la vita e la liberta' del presidente Ocalan e di tutti i
leader politici, sociali, sindacali, di minoranze etniche detenuti e
perseguitati. Noi non usiamo due pesi e due misure.
Facciamo appello perche' il sostegno alle forze democratiche dei popoliche
vivono oppressi da regimi e dittature in tutta la regione diventi priorita'
politica per tutti, istituzioni e movimenti. Dall'Iraq all'Arabia Saudita, i
diritti umani, civili e politici sono negati per milioni di persone. C'e'
bisogno di solidarieta' e di impegno politico quotidiano.
Facciamo appello perche' si rafforzino i movimenti europei e mondiali che
con noi sono impegnati contro la guerra, perche' si realizzi la massima
solidarieta' e sostegno al movimento pacifista negli Stati Uniti che
rappresenta una grande speranza di cambiamento per il proprio paese e per
tutto il mondo.
Facciamo appello per una politica di disarmo globale sul piano militare,
economico e sociale, per politiche di riduzione delle spese militari, per
una riconversione dell'economia di guerra verso usi civili.
Facciamo appello perche' l'impegno assunto da tanti movimenti sociali nel
Forum Sociale Europeo di Firenze affinche' l'articolo 1 della Costituzione
Europea contenga il ripudio della guerra come mezzo per la risoluzione delle
controversie internazionali divenga una grande campagna nazionale ed
europea.
Possiamo dare alla storia un altro segno. Un segno di civilta'. Un mondo
senza guerra e' possibile. Un mondo di pace, di giustizia, di diritti e'
possibile. Un altro mondo e' possibile. E oggi qui lo stiamo costruendo.
Fermiamo la guerra.

3. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: FUORI LA GUERRA DALLA STORIA
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di
Legambiente e collaboratrice di questo foglio]
Per la prima volta nella storia delle nazioni il popolo ha preso in mano il
suo destino, e la gente, cosi' come si trovava, e' scesa in piazza a
milioni, in tante citta' del globo, a dire che non vuole ne' questa guerra,
ne' altre guerre: a dire che la guerra e' uscita fuori dalla storia.
Fantastico, forse non ci rendiamo neppure conto di cio'. Alla mia nipotina,
che in quinta elementare e' costretta ad arrancare tra guerre napoleoniche,
risorgimentali, coloniali e mondiali, posso finalmente dire che la storia
puo', anzi deve essere un'altra cosa: racconto delle vicende dei popoli,
della loro difficolta' a liberarsi da analfabetismo, fame, superstizione,
per raggiungere tutti quanti un livello di dignitosa parita', che lasci
spazio a tutti gli esseri viventi di oggi e di domani.
Questa e' la globalizzazione che ci piace, per questa siamo disposti a
impegnare tutto il nostro tempo e le nostre energie.

4. INIZIATIVE. PER LA PACE DA PALERMO
[Dagli amici della "Tenda della pace" di Palermo, promossa dal "Seminario
nonviolenza" e dal "Gruppo di pratica nonviolenta" dell'Universita' di
Palermo (per contatti: acozzo@unipa.it), riceviamo e diffondiamo]
La "tenda della pace", piantata da martedi' 11 febbraio in viale delle
Scienze (tra la facolta' di economia e commercio e quella di lettere), ha
raccolto e spedito al Prefetto di Palermo ogni giorno un numero sempre
crescente di lettere di protesta contro la partecipazione dell'Italia alla
guerra in Iraq e per il  rispetto dell'art. 11 della Costituzione, con
invito ad informare il governo della volonta' popolare. In totale, questa
prima settimana, sono state inviate 305 lettere. Altre 600 sono state
raccolte al sit-in contro la guerra tenutosi a Palermo in Piazza Politeama
sabato 15.
Naturalmente, non abbiamo ancora finito: aumenteremo ogni giorno il numero
di lettere e la settimana prossima chiederemo al Prefetto un incontro per
conoscere la sua volonta' e concordare, possibilmente, un piano comune di
lotta per la pace.
Inoltre,  in risposta all'appello fatto da un gruppo di nonviolenti (da J.
B. Libouban, ad A. Drago, a M. Gonzales ad A. Reid ed altri) che ha deciso
di osservare un digiuno a sola acqua dal 15 al 22 febbraio a New York
davanti al Palazzo dell'Onu, digiuneremo anche noi solo ad acqua da lunedi'
16 febbraio fino a venerdi' 21: alcuni tutti e cinque i giorni, altri meno,
per arrivare al punto piu' profondo di noi stessi, per offrire la
testimonianza estrema della nostra umanita', per richiamare ognuno al senso
di responsabilita' e alla ricerca di cio' che possa contribuire a rendere
gli esseri umani reciprocamente piu' vicini.

5. RIFLESSIONE. SIMON LEVIS SULLAM: L'ARCHIVIO ANTIEBRAICO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 febbraio 2003. Simon Levis Sullam,
docente all'Universita' di Venezia, e' un prestigioso storico ed acuto
saggista]
"Tutto sarebbe apparso impossibile, oppure terribilmente difficile senza
l'avvento dell'antisemitismo. Grazie a esso, tutto si arrangia, si appiana,
si semplifica". Questa riflessione di Charles Maurras, uno dei padri del
fascismo francese, vale senz'altro per gli antisemiti del secolo scorso e
naturalmente anche di questo. Per lo stesso Maurras - capofila tra questi -
era, del resto, una sorta di constatazione-confessione.
Paradossalmente, pero', essa potrebbe valere, da un punto di vista diverso,
anche per il mondo ebraico, che pure dell'antisemitismo ha sofferto e
talvolta ancora soffre. Sia per l'antisemita che per l'ebreo comunque -
volendo ragionare in modo un po' schematico - l'antisemitismo costituisce
una differente ma in ogni caso utile semplificazione: per l'uno, come facile
spiegazione del mondo, approccio stereotipo, falso ragionamento; per
l'altro, come eterno lamento, alibi, persino falsa coscienza. E' vero:
esiste una ideologia ebraica dell'antisemitismo e ne sta forse nascendo oggi
una del cosiddetto "nuovo antisemitismo". Esiste anche da parte ebraica un
uso politico o ideologico dell'accusa di antisemitismo, soprattutto di
fronte alle critiche verso lo stato di Israele. Si registrano d'altra parte
nel mondo - questo e' altrettanto vero - rinnovati fenomeni di
antisemitismo: soprattutto in Francia, ma anche in Germania, e
occasionalmente in Italia. Non solo, e non piu' soltanto, scritte sui muri,
striscioni, slogan, ma anche bombe incendiarie nelle sinangoghe, insulti e
aggressioni personali come e' avvenuto di recente in Francia.
*
Soprattutto - e qui il fenomeno non e' nuovo ma, appunto, rinnovato - luoghi
comuni antisemiti: vecchie accuse; vieti stereotipi, che attraversano il
discorso pubblico. Per quest'ultimo caso l'Italia sembra anzi distinguersi
particolarmente negli ultimi tempi: abbiamo avuto, infatti, di recente
notevoli "casi", diversi ma per certi aspetti assimilabili, come quelli di
Sergio Romano colla sua Lettera a un amico ebreo e di Alberto Asor Rosa
colle sue pagine su ebrei ed Israele ne La guerra.
Ormai da vent'anni a questa parte, con alterne vicende, per una serie di
passaggi e trasformazioni dei quadri politici e culturali e di quelli della
memoria collettiva, l'antisemitismo non e' piu' un tabu'.
Se ne pubblica in Italia in importanti giornali nazionali e presso
autorevoli case editrici. Una situazione analoga (sebbene i fenomeni siano a
mio avviso diversi) riguarda del resto, piu' in generale, il razzismo:
com'e' evidente per un altro caso recente: quello di Oriana Fallaci. La
rabbia e l'orgoglio, per di piu', non ha suscitato in Italia la stessa
giusta indignazione sollevata in Francia, ma ha anzi venduto e continuato a
vendere centinaia di migliaia di copie, distribuite oggi dal suo prestigioso
editore assieme ad un saggio razzista - anti-arabo - della stessa Fallaci,
proprio sul tema dell'antisemitismo.
*
Vale dunque la pena riflettere, ancora una volta, sull'antisemitismo, magari
in una prospettiva diversa da quella consueta: in particolare dal punto di
vista specifico delle retoriche, delle regole del discorso, dei meccanismi
verbali e linguistici (ma anche, allo stesso tempo, dei meccanismi
concettuali, poiche' ad ogni discorso corrisponde un ragionamento). Di
questo, in fondo, si e' alla fin fine soprattutto parlato in questi giorni -
e anche in queste pagine - a proposito di Asor Rosa. Di questo si parla, in
queste settimane, per fare un altro esempio, nello sconcertante dibattitto
su Medio Oriente, ebrei, antisemitismo, di una lista di discussione in
internet di storici italiani professionisti, in cui i toni, il vocabolario e
la superficialita' degli approcci e' quella tipica del peggior discorso
pubblico di questo periodo, nonostante l'ambito accademico e l'abito
professionale dei partecipanti.
E' possibile chiedersi percio' non tanto, come di solito avviene, perche'
esiste l'antisemitismo, ma che cosa esso sia in sostanza, e soprattutto come
esso generalmente si manifesti: studiare quindi le sue forme e i suoi
funzionamenti. Anche per superare l'immagine consueta - davvero ideologica -
dell'antisemitismo eterno, sempre identico a se stesso dall'antichita' ai
giorni nostri (immagine che si trova ad esempio, per certi versi, anche in
uno storico autorevole e influente come Poliakov); o dell'antisemitismo
bestia nera invincibile che si risveglia periodicamente in Europa; oppure
malattia morale, mai davvero sconfitta, dell'individuo e della societa'.
Sulle tracce di Foucault e della sua analisi della storia della cultura
nell'Archeologia del sapere, e pur consapevole che questa prospettiva non
esaurisce l'interpretazione storica del fenomeno ma puo' forse utilmente
integrarla, propongo di considerare l'antisemitismo come una pratica
discorsiva e ideologica che si avvale di un archivio antiebraico,
costituitosi attraverso determinate tappe e passaggi della storia politica e
culturale eruropea, in via di costruzione e trasformazione nel tempo, ma
comunque disponibile ad essere ri-mobilitato, in contesti e talora con scopi
diversi.
Propongo quindi di considerare l'antisemitismo - anche quello storico (e da
questo punto di vista preferisco il termine generale e meno abusato di
antiebraismo) - non come una vera e propria ideologia o un coerente sistema
concettuale o di pensiero, e nemmeno come un semplice discorso; ma appunto
come una "pratica", in cui si puo' entrare, scivolare, permanere (e da cui
si puo' anche uscire) in momenti diversi. Questa pratica e' stata fatta
propria nel corso della storia - e ancora oggi puo' venire e viene fatta
propria - per motivi e con scopi e conseguenze molto diversi, da parte di
individui, di gruppi, di movimenti culturali e politici, di stati. Essa e'
divenuta nei movimenti e regimi fascisti (ma in generale nei totalitarismi)
ideologia di partito e di stato, e programma e azione politica concreta,
fino allo sterminio di massa e al genocidio.
*
L'"archivio antiebraico" che questa pratica ideologica e discorsiva mobilita
(e che anche come azione politica ha mobilitato, contribuendo allo stesso
tempo alla sua continua formazione) e' un repertorio di immagini, discorsi,
concetti, ragionamenti che si sono costituiti e depositati, a partire
dall'antigiudaismo cristiano, attraverso l'antiebraismo di origine laica e
illuminista, attraverso il razzismo, fino al moderno antisemitismo politico
propriamente detto. Questo archivio o questa biblioteca si sono formati
grazie ad un insieme di autori, di opere e di testi, anonimi, collettivi,
individuali: tra cui parti dei Vangeli; la leggenda dell'"ebreo errante";
gli scritti di Lutero, Voltaire, Wilhelm Marr, Drumont; i "Protocolli dei
Savi Anziani di Sion"; il Mein Kampf di Hitler; alcuni scritti di Mussolini,
di Preziosi, di padre Gemelli ecc.; e attraverso una serie di eventi, legati
talora solo indirettamente alla storia degli ebrei: come la nascita del
cristianesimo, la rivoluzione francese, ma anche - piu' specificamente - il
sorgere dell'antisemitismo politico, l'affare Dreyfus, il sionismo; oppure
la prima guerra mondiale, la rivoluzione bolscevica, e piu' in particolare:
la shoa', la nascita dello stato d'Israele ecc. Passaggi ed eventi che,
anche quando riguardano piu' in generale la storia del mondo, hanno segnato
l'archivio antiebraico e le pratiche ideologiche e discorsive che lo
mobilitano. Se non altro perche' gli "ebrei" e l'"antisemitismo" hanno fatto
spesso e continueranno a fare per molti versi da cartina di tornasole della
coscienza occidentale, fungendo da - potremmo dire - parte per il tutto:
sineddoche, metafora, simbolo, che l'Europa utilizza (certo anche assieme ad
altri simboli o ad altre metafore, che si rendono o sono divenute
disponibili nel tempo) per pensare se stessa nei suoi principali vizi e
nelle sue maggiori virtu'. Un modo per semplificare le cose, come
riconosceva Maurras.
*
Che centra tutto questo con Asor Rosa (o, ad esempio, con Sergio Romano)?
Personalmente non mi interessa stabilire se un importante intellettuale
della sinistra italiana e' o meno un antisemita: non mi interessano e non mi
appartengono scomuniche, etichette, marchi infamanti e nemmeno condanne
moralistiche (magari, com'e' avvenuto di recente a Milano, con evidenti
scopi di strumentalizzazione politica, che nulla hanno a che vedere con i
temi specifici in questione e, piu' in generale, con un serio dibattito
intellettuale e politico).
Mi interessa invece capire, mostrare e discutere se e in che modo Asor Rosa,
o Sergio Romano, o altri come loro (spesso con intenzioni, responsabilita' e
risultati certamente ben piu' gravi), abbiano mobilitato con i loro scritti
e discorsi - con procedure, scopi e motivi diversi - un "archivio
antiebraico", e siano quindi entrati in questa "pratica ideologica e
discorsiva" che va sotto il nome comune di antisemitismo.
Nel caso specifico di Asor Rosa - che Rossanda ed altri hanno difeso su
queste pagine e altrove - cio' a mio avviso e' avvenuto in particolare con
l'utilizzo ripetuto e inequivocabile del termine "razza" e "razziale"
(magari, nel caso di Asor, di lontana origine letteraria, e non biologista e
razzista, ma inevitabilmente scivolando in questa prospettiva), includendovi
l'"ebreo" e l'"ariano", o semplicemente la "razza 'decisamente diversa'" -
mobilitando quindi l'archivio dell'antisemitismo razzista; con il
riferimento al "deicidio", cioe' alla famigerata e secolare supposta colpa
"ebraica" di aver ucciso Gesu' - utilizzando quindi l'archivio
dell'antigiudaismo cristiano; con l'orientalizzazione dell'ebraismo,
descritto da Asor come "puro Oriente", in pagine che rientrano appieno
nell'analisi di Edward Said sull'Orientalismo (e lo stesso Said ha
sottolineato gia' venticinque anni fa, con una certa vena ironica, i
rapporti tra "orientalismo" e "antisemitismo": due archivi e due pratiche
affini); con il richiamo - tipico, di nuovo, dell'archivio antigiudaico -
all'"occhio per occhio, dente per dente"; col riferimento, infine -
antisemita e razzista (anche se, di nuovo, possiamo pure concedere
all'autore il credito dell'evocazione letteraria) - alla "piaga ebraico
palestinese, che continuera' ad infettare il mondo".
A questo va aggiunto, sempre sul piano di un'analisi retorica e linguistica
(nonostante che in un'intervista a "Repubblica" Asor Rosa invochi, in modo -
nella migliore delle ipotesi - un po' oscuro, il "metalinguaggio"...), il
passaggio in un punto del suo ragionamento alla lingua tedesca ("Israele
[...] ha ripreso e praticato fino in fondo la caparbia ostinazione a mettere
il proprio principio (Ordnungsprinzip), purificato da ogni contaminazione
esterna, al centro del mondo"), che potrebbe contenere a mio avviso, per
questo termine Ordnungsprinzip (che si incontra anche nel pensiero politico
tedesco conservatore) e per la formula che lo segue: "purificato da ogni
contaminazione esterna", un parallelo ambiguamente allusivo, tra stato di
Israele e nazismo. Su questo, poi, e' in errore anche Rossanda: l'esecrabile
ed atroce politica israeliana nei confronti dei palestinesi non puo' essere
paragonata all'Olocausto, come in sostanza si fa accostando la terribile
deportazione dei palestinesi o anche le inaccettabili violenze contro di
loro, e la deportazione e la violenza nazista contro gli ebrei: magari
dimenticandosi che questi venivano non solo "trasferiti" o "deportati", ma
avviati alle camere a gas, sulla base di un progetto genocida che non esiste
oggi e non e' mai esistito in Israele-Palestina.
Analogamente va ricordato il pretenzioso passaggio di Asor Rosa alla lingua
latina: un latino che a mio avviso e' - da un punto di vista ideologico -
ecclesiastico e pre-Concilio Vaticano II, e quindi precedente tra l'altro
alla condanna da parte della Chiesa dell'antigiudaismo cattolico e alla
cancellazione dell'accusa agli ebrei di deicidio. Dico il latino della molto
infelice frase conclusiva di Asor Rosa: "Olocaustus produxit exodum et
exodus produxit olocaustum. Il cerchio infernale della storia umana ha
compiuto un altro giro". Dove evidentemente il "giro" e' piu' che altro
quello linguistico, pseudo-concettuale e idoeologico dell'autore, che
collega qui, piu' o meno esplicitamente, nazismo, sionismo, e politica
israeliana in modo piuttosto capzioso.
*
Questa riflessione sulle pratiche e tradizioni retoriche, sulla
mobilitazione e ri-mobilitazione di "archivi", "biblioteche", e - come nel
nostro caso - "parole", vale per un Sergio Romano e una Oriana Fallaci, ma
vale anche e forse a maggior ragione (nonostante le differenze tra questi
autori) per uno studioso della letteratura, del linguaggio e, appunto, delle
retoriche, come Asor Rosa, che per di piu' scrive in apertura ai suoi saggi
su La guerra: "I 'modi della guerra' impongono certi 'modi del discorso'", e
sottolinea quindi il proprio sforzo di "delineare una retorica del 'discorso
pubblico' in questa fase e di proporne una nuova etica, o meglio, un nuovo
principio di responsabilita'".
Se l'antisemitismo e' oggi in Italia soprattutto una pratica discorsiva, un
repertorio di tradizioni retoriche - com'e' effettivamente nel caso di Asor,
che si ricollega e mobilita nuovamente il peggio di queste tradizioni:
tradizioni che pero', e' bene ricordarlo, non sono rimaste soltanto discorsi
ma sono divenuti nella storia, e possono con una certa facilita' divenire,
tragici ed incancellabili fatti (dalle persecuzioni allo sterminio) - dove
sono finite, di questi ultimi tempi, a destra come a sinistra, sui giornali
e nelle casi editrici, l'etica e la responsabilita' del discorso, appunto, e
con esse gli ideali e i principi della tolleranza, del rispetto della
diversita', ma anche della riflessione e della conoscenza e coscienza
storica che vi sono o dovrebbero esservi necessariamente collegati?

6. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO,
"CONOCIMIENTO LINGUISTICO Y PROCESO DE ADQUISICION DE LA LENGUA ESCRITA",
1975
[Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate
da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia
Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in
Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del
processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo
contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da
parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo
l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione
della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985]
Data di edizione: 1975. Tipo di documento: Atti di convegno, dattiloscritto.
Titolo: Conocimiento linguistico y proceso de adquisicion de la lengua
escrita. Luogo di edizione: Montevideo, Uruguay. Pagine 22. Fonte:
Conferenza pronunciata a Montevideo, nella X Giornadas Uruguayanas de
Psicologia, novembre 1975. Lingua: Spagnolo.
*
Abstract
Il testo si colloca all'interno della prospettiva aperta dalla prima ricerca
sull'apprendimento della letto-scrittura e precede la pubblicazione del
testo del 1979 con Ana Teberosky.
Vi si ritrovano le coordinate teoriche di riferimento, con specifico
riferimento alla psicolinguistica contemporanea e alla psicologia genetica.
Caratteristica che accompagnera' il successivo lavoro dell'autrice e' il
muovere da un duplice problema di natura teorica e pratica. Da una parte la
ridefinizione dei processi di apprendimento della letto-scrittura e
dall'altra l'insuccesso scolastico e l'espulsione dal sistema educativo,
subita soprattutto dai figli delle classi povere.
La disponibilita' di conoscenze di tipo linguistico e' invece patrimonio
comune ai bambini di entrambe le classi sociali, per quanto possano parlare
diverse varianti dialettali della stessa lingua.
Tali conoscenze sono anche comprese nell'atto di lettura e nel relativo
processo di apprendimento: conoscenza delle regole sintattiche e
morfo-sintattiche; processi di inferenza e di prova di ipotesi; conoscenza
delle regole di combinazione dei fonemi; ricerca sistematica del significato
di una emissione.
In questo complesso sfondo di analisi, viene colta la contraddizione in cui
finiscono col trovarsi molti insegnanti che, mentre nell'insegnamento
matematico si muovono in una prospettiva piagettiana, in cui il bambino e'
considerato attivo costruttore della sua conoscenza, sono ancorati ad una
teoria dell'apprendimento di tipo associazionistico per quanto riguarda
l'ambito della scrittura.
Infine l'autrice analizza le pratiche didattiche che causano difficolta' di
apprendimento: presentare una lettera per volta; supporre una corrispondenza
biunivoca tra grafema e fonema; la memorizzazione di regole di combinazione
senza senso; non lasciar commettere errori; la mancanza di significato.
Il saggio si chiude con la rivendicazione polemica del ruolo protagonista
del bambino nel processo di apprendimento, asserendo che "prendere in
considerazione il suo sapere linguistico e' uno dei molteplici modi di
apprendere a rispettarlo intellettualmente" (pag. 22).
*
Sintesi
Il testo si colloca all'interno della prospettiva aperta dalla prima ricerca
sullíapprendimento della letto-scrittura e precede la pubblicazione del
testo del 1979 con Ana Teberosky.
Vi si ritrovano le coordinate teoriche di riferimento, con specifico
riferimento alla psicolinguistica contemporanea e alla psicologia genetica.
Caratteristica che accompagnera' il successivo lavoro dell'autrice e' il
muovere da un duplice problema di natura teorica e pratica. Da una parte la
ridefinizione dei processi di apprendimento della letto-scrittura e
dall'altra l'insuccesso scolastico e l'espulsione dal sistema educativo,
subita soprattutto dai figli delle classi povere.
I bambini di classe media e di classe bassa fanno il loro ingresso a scuola
con un bagaglio di esperienze e di conoscenze molto diverso, mentre la
scuola propone un percorso formativo indifferenziato che ignora
completamente il sapere pregresso, compreso il sapere linguistico, che tanta
parte ha nella costruzione delle competenze del lettore.
La disponibilita' di conoscenze di tipo linguistico e' invece patrimonio
comune ai bambini di entrambe le classi sociali, per quanto possano parlare
diverse varianti dialettali della stessa lingua.
Tali conoscenze sono anche comprese nell'atto di lettura e nel relativo
processo di apprendimento:
a) "conoscenza delle regole sintattiche e morfo-sintattiche" (pag. 5).
Qui si realizza un riferimento implicito al contributo di Chomsky e di
Bruner, quando si evidenzia che "ne' l'imitazione ne' il rinforzo selettivo
permettono di dar ragione dell'acquisizione delle regole sintattiche (e
senza regole sintattiche non c'e' linguaggio" (pag. 6). Questa competenza,
che consente ad "un bambino di 3 anni [... di costruire] forme verbali che
non ha ascoltato dagli adulti" (pag. 6), fa si' che l'atto di lettura sia
sottoposto a giudizio di grammaticalita', comportando la non plausibilita'
delle frasi che non si presentino grammaticalmente accettabili.
b) "processi di inferenza e di prova di ipotesi" (pag. 7).
A questo riguardo viene sottolineato che i bambini attuano processi di
inferenza molto prima di imparare a leggere, nella comprensione delle cose e
degli eventi, cosi' come nella comprensione della comunicazione linguistica.
Malgrado cio' non e' stata facile la ricerca di autori di psicolinguistica
che ne riconoscessero il ruolo nel dominio della lettura, come fa Frank
Smith sostenendo che "la lettura e' impossibile senza predizione [...].
L'opportunita' di sviluppare e impiegare la predizione deve essere una parte
essenziale dell'apprendimento della lettura" (pag. 8).
Senza i processi di previsione possono darsi atti di decifrazione in cui non
e' presente l'integrazione e la comprensione del testo talvolta
faticosamente sillabato.
"Le inferenze in funzione del significato sembrano essere state escluse dal
rituale della lettura meccanica. Ciononostante, e malgrado la maestra, i
bambini fanno inferenze. Nel caso delle trasformazioni di parole queste
inferenze sembrano essere funzione del livello operatorio del bambino o, per
essere piu' precisi, di una non-evoluzione nel livello operatorio" (pag. 9).
I bambini che permangono per l'intero anno al livello pre-operatorio, danno
questo tipo di possibili risposte alternative:
- utilizzano le lettere iniziali "in qualita' di indice che conferisce
significato al resto degli elementi costitutivi" (pag. 9);
- la presenza di due lettere-chiave determina il significato, prescindendo
totalmente dall'ordine;
- conta la quantita' di lettere di ciascun tipo, prescindendo completamente
dall'ordine;
- la simmetria puo' costituire l'attributo-criterio "('sos' e "oso" sono
equivalenti)" (pag. 10).
I bambini che realizzano un avanzamento anche parziale nel livello
operatorio, danno risposte differenti:
- un cambiamento grafico minimo comporta un cambiamento semantico minimo;
- un cambiamento grafico minimo comporta un cambiamento sonoro minimo, senza
alterare il significato;
- un cambiamento grafico minimo comporta un cambiamento sonoro minimo non
"integrato nella parola anteriore, ma che si mantiene da parte, come per non
assumere la perturbazione" (pag. 10);
- "oscillazione tra il cambiamento minimo interpretato come modificazione
sonora o come modificazione significativa: il conflitto tra trascurare il
cambiamento minimo per conservare identico il significato, o integrarlo, ma
alterando totalmente il significato" (pag.10).
"In sintesi, per potere comprendere la realta' mutevole della combinazione
dei grafismi il bambino costruira' ipotesi, e queste ipotesi dipenderanno
dalla sua possibilita' operatoria di ragionare e non dagli sforzi del
docente in un senso o in un altro. Sappiamo che un bambino pre-operatorio
non puo' lavorare al tempo stesso con dissociazioni e riassociazioni di
elementi. Cosa c'e' di strano, allora, nel fatto che smetta di tenere in
conto cognitivamente la forma d'insieme quando gli elementi sono stati
dissociati (passaggio da mama' a m-a-m-a), che si occupi della
ricomposizione con la perdita dell'ordine della forma dell'insieme? Per la
maestra da m-a-m-a deriva che vuol dire "mama'", nello stesso ordine e non
in qualunque altro, ma per il bambino si tratta di dissociare e riunire, di
classificare gli elementi e di conservare l'ordine. Fara' alcune cose, pero'
sara' incapace di farle tutte in una volta" (pag.11).
c) "conoscenza delle regole di combinazione dei fonemi" (pag. 11).
Quando i bambini inventano neologismi per analogia con parole esistenti,
"queste parole inventate sono perfettamente 'possibili' e rivelano la
conoscenza di certe regole di costruzione di sostantivi proprie della nostra
lingua" (pag. 13). Ebbene, la pratica semplificata che propone
l'apprendimento iniziale di "consonante piu' vocale", basato sulla
decifrazione di "sezioni arbitrarie di suoni fuori dalle combinazioni
naturali della lingua" (pag. 12) rende impronunciabili sequenze di suoni
piu' complesse (quali i gruppi consonantici) che vengono normalmente
pronunciate all'interno di un contesto significativo.
d) "ricerca sistematica del significato di una emissione" (pag. 13).
La conoscenza della struttura della lingua consente di organizzare i
significati. "Il significato di una frase non risulta dalla somma lineare
dei significati delle parole che lo compongono. [...] In termini
linguistici, e' la struttura profonda quella che mi permette di accedere
alla significazione, e non la struttura superficiale. Io utilizzo
regolarmente la struttura superficiale per fare inferenze sul significato,
ma non estraggo il significato direttamente ne' unicamente dalla struttura
superficiale" (pag. 13-14).
La distinzione tra soggetto e predicato, ad esempio, consente di
differenziare il soggetto dal complemento oggetto in una frase transitiva,
in modo non dipendente dalla semplice giustapposizione dei significati che
si susseguono quanto dalla conoscenza della struttura profonda della lingua
(cfr pag. 13).
"Inoltre, in un contesto comunicativo interpersonale utilizziamo indici
situazionali per inferire significati differenti di emissioni
superficialmente identiche.
Esattamente lo stesso fa un lettore esperto: non decifra lettera per lettera
ma utilizza indici del testo scritto per fare inferenze e corroborare
ipotesi sul significato. Utilizza ugualmente indici contestuali" (pag. 14)
relativi alla conoscenza delle funzioni dei diversi tipi di testo.
Citando Frank Smith: "Malgrado la credenza molto diffusa in senso contrario,
e' possibile sostenere che il linguaggio scritto non rappresenta
primariamente i suoni della lingua, ma che provvede indici sul significato.
[...] La trascrizione dello scritto in lingua e' possibile solamente
mediante l'intermediazione del significato" (pag. 14).
Appare evidente l'assurdita' della tradizionale sequenza didattica che mette
in progressione la lettura meccanica, la lettura comprensiva e la lettura
espressiva, come se l'espressivita', nell'intenzione comunicativa, non fosse
padroneggiata ancor prima della completa struttura linguistica; come se una
lettura non comprensiva fosse possibile.
In questo complesso sfondo di analisi, viene colta la contraddizione in cui
finiscono col trovarsi molti insegnanti che, mentre nell'insegnamento
matematico si muovono in una prospettiva piagettiana, in cui il bambino e'
considerato attivo costruttore della sua conoscenza, sono ancorati ad una
teoria dell'apprendimento di tipo associazionistico per quanto riguarda
l'ambito della scrittura.
Infine l'autrice analizza le pratiche didattiche che causano difficolta' di
apprendimento:
1) "presentare una lettera per volta, giacche' questo impedisce di sapere
quali siano gli attributi criteriali per permetteranno di differenziare una
lettera dall'altra" (pag. 15).
"Una lettera, cosi' come un fonema, non e' una forma sempre identica a se
stessa, quanto piuttosto una categoria di variazioni possibili all'interno
di certi limiti. I tratti distintivi da tenere in considerazione sono quelli
che differenziano una lettera dalle altre lettere.
'Un fonema e' quello che gli altri non sono', segnalava F. de Saussure. I
tratti fisici di un fonema emesso varieranno secondo l'eta', il sesso, la
regione di origine, etc., del parlante, cosi' come secondo il contesto dato
dagli altri fonemi [...].
Allo stesso modo, [in riferimento ai grafemi ...], senza contrasto sono
obbligato a ritenere troppa informazione non necessaria, giacche' non so a
priori qual e' il tratto distintivo. [...]
L'idea di introdurre una lettera per volta, e 'fissarla' bene prima di
introdurne un'altra, cosi' come l'idea che le lettere simili che possano dar
luogo a confusione debbano essere introdotte il piu' 'separatamente'
possibile nel tempo l'una dall'altra, sono due idee basate su una concezione
associazionista dell'apprendimento" (pp. 15-16).
Quindi, conclude la Ferreiro, "Cio' che non posso fare a meno di constatare
e' che un bambino piccolo sta ricevendo simultaneamente tutti i fonemi della
sua lingua, in un disordine perfetto, e che questo non gli impedisce in
alcun modo di discriminarli, imitarli selettivamente, scoprire le
combinazioni possibili all'interno del sistema, e arrivare a dominarlo molto
prima di entrare nella scuola primaria" (pag. 16).
2) supporre "una corrispondenza biunivoca tra grafema e fonema" (pag. 16).
"Questa supposizione e' falsa: la scrittura non costituisce una trascrizione
fonetica della lingua orale. La scrittura omette elementi essenziali come
l'intonazione [...]; omette differenze regolari e sistematiche
nell'emissione [...]; introduce differenze che non esistono a livello di
parola [...]; introduce segni che non rappresentano suoni [...]; duplica
segni per un unico suono [...]; presenta uno stesso segno per suoni distinti
[...]" (pp. 16-17).
Tuttavia, "l'omogeneita' della scrittura, nel caso dello spagnolo, a fronte
delle marcate differenze nella lingua parlata, compie una funzione sociale
molto importante: permette la comunicazione per iscritto tra parlanti di
differenti varianti dialettali di uno stesso linguaggio" (pag. 17).
Viene qui puntualizzata la funzione ideologica della scuola che decide ed
impone un'unica pronuncia "corretta", come condizione per poter imparare a
scrivere.
3) "la memorizzazione di regole di combinazione senza senso" (pag. 18).
4) non lasciar commettere errori, cosi' come correggere immediatamente
qualunque errore, senza dar tempo per l'autocorrezione" (pag. 20).
Innanzi tutto e' importante "identificare quali sono gli 'errori' che
permettono di far avanzare l'apprendimento e quali sono quelli che indicano
interruzione dell'apprendimento. Sappiamo in altri ambiti che ci sono
'errori necessari'" (pag. 19), come accade ad esempio prima che sia stata
acquisito il concetto di invarianza numerica, o quando si regolarizzano i
verbi irregolari. Infatti, spesso si tratta di successive approssimazioni
nella costruzione di una teoria interpretativa, all'interno di un processo
di apprendimento "che procede per scoperta di nuove relazioni e
interconnessioni" in cui e' possibile comprenderne la logica e la
necessita'.
Viene infine sottolineato come i dati consentano di sostenere che alcuni
errori non soggetti ad autocorrezione compaiano ripetutamente nel campione
osservato a fronte di una metodologia tendente a prevenire l'errore.
Personalmente riteniamo che, nella linea di ragionamento che si sta seguendo
si possa soltanto affermare che molti presunti errori in realta' siano
diverse fasi di sviluppo rispetto alle quali i docenti mostrano di non avere
la padronanza di adeguate categorie interpretative al punto che la strategia
di prevenzione degli errori risulta essere assolutamente fuori contesto e
incapace di dialogare con gli effettivi problemi cognitivi posti dai
bambini. La sua efficacia o inefficacia rispetto a questi "mal chiamati
errori" risulta incongrua e priva di senso.
5) "la mancanza di significato" (pag. 20).
Questo deriva dall'uso della decifrazione come strategia di lettura, in
quanto "e' impossibile ritenere nella memoria immediata una larga sequenza
arbitraria di sillabe senza senso" (pag. 20), dalla lettura di parole
isolate, dalla proposta di frasi irrealistiche con numero limitato di
grafemi, di combinazioni consonanti-vocali, di verbi. Con tutto questo si
finisce col proporre frasi, spesso al limite dell'assurdo, che "stanno fuori
da ogni contesto comunicativo e da ogni intenzione di comunicazione" (pag.
20) e, cio' che e' peggio, si ignorano sistematicamente le conoscenze
linguistiche dei bambini.
Il saggio si chiude con la rivendicazione polemica del ruolo protagonista
del bambino nel processo di apprendimento, asserendo che "prendere in
considerazione il suo sapere linguistico e' uno dei molteplici modi di
apprendere a rispettarlo intellettualmente" (pag. 22).

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 510 del 17 febbraio 2003