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SUDAN: gli incontri della delegazione italiana




Da MISNA

SUDAN  12/2/2003 11:03
GUERRA E VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI, COSÌ SI CONTINUA AD ASPETTARE UNA 
PACE ‘VICINA’ /PARTE 2
         Peace/Justice, Standard


Ma il tono di ottimismo diffuso tra gli esponenti governativi non trova 
riscontro nelle parole della società civile (quella ‘non ufficiale’). 
Sindacalisti, avvocati, giornalisti, professori universitari gridano 
all’unisono che nel Paese c’è ancora un immenso vuoto di democrazia. 
“L’università è chiusa da mesi perché è ormai in mano, a tutti i livelli, 
dei Fratelli Musulmani – puntualizza Adlan Hardallo, docente di sociologia 
politica all’Università di Khartoum –, mentre gli studenti vogliono 
partecipazione e pluralismo". "Esiste un solo sindacato, e non più quella 
pluralità sindacale che fu vanto del Sudan democratico – gli fa eco Ahmed 
Humri, uno dei fondatori del sindacato degli insegnanti –. Ma la gente, 
anche se non può farlo apertamente, si organizza. Quando arriverà la pace, 
saremo pronti a ripartire. E questo governo, o accetterà una vera apertura 
democratica o non ci sarà più".
Ma i proclami degli uomini dell’esecutivo di Khartoum non bastano. “Questo 
‘governo’ rimane un regime”, tuona Ghazi Soleiman, l’avvocato dei diritti 
umani. E la polizia sembra dargli ragione: settimana scorsa gli agenti si 
sono recati nel suo ufficio per arrestare lui e altre quaranta persone che 
celebravano l’anniversario dell’esecuzione del leader non-violento Mahmoud 
Mohamed Taha. L’avvocato è stato subito rilasciato. Ma l’elenco dei passi 
da compiere verso standard democratici accettabili è ancora lungo: dalla 
severa censura nei confronti della stampa, al miglioramento solo 
"funzionale agli occhi occidentali" della situazione dei diritti umani e 
alla costituzione del Paese.
Anche la Chiesa cattolica - che proprio recentemente ha vinto una lunga 
causa col governo, il primo caso, di risarcimento per il centro e la scuola 
di Dorushab distrutte dalla polizia sei anni fa - è disponibile al dialogo 
e a fare la sua parte. Non solo per il rimpatrio degli sfollati nelle 
proprie terre e nella ricostruzione del Sud Sudan, ma soprattutto in un 
processo di riconciliazione necessario per impiantare la pace su basi 
solide. “Ma il governo non può dire che c’è libertà di religione – 
puntualizza l’arcivescovo di Khartoum Gabriel Zubeir Wako – e poi rifiutare 
il dialogo con noi. Dopo che dicemmo ‘no’ alla richiesta di registrarci 
come ong (organizzazione non governativa) e presentammo le nostre proposte 
come piattaforma di dialogo con il governo, nel 1995, stiamo ancora ad 
aspettare una risposta ed un progetto di legge sul quale dovremmo pure 
poter esprimerci. È davvero un ritardo ingiustificato". (a cura di Gino 
Barsella)