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Si combatte per un dio su misura
In un recente saggio, "Il Dio della guerra - Viaggio nei falsi conflitti di
religione - (Guerini e Associati), i giornalisti Paolo Affatato ed Emanuele
Giordana, membri di Lettera 32, affrontano il tema delle tante guerre in
corso, combattute in nome della religione, ma che nella realtà nulla hanno
a che fare con essa.
Il nome di Dio viene utilizzato solo per dare una giustificazione agli
interessi di pochi, siano essi dittatori o governanti regolarmente eletti o
grandi associazioni di potere che li sostengono.
Basta provocare una scintilla ed il resto viene da se. Persone di diverso
credo, che hanno convissuto in pace da tempo, si trovano ad odiarsi e ad
uccidersi in nome del loro dio. E’ quello che è accaduto nei Balcani, in
Irlanda, in Cecenia, nelle Molucche, in Sudan, India, Filippine, Nigeria,
Algeria, Kashmir, Sri Lanka. E non dimentichiamo la Palestina.
Dove non si può fare affidamento diretto su motivi di fede, si ricorre al
concetto di terrorismo. Basta accusare un Paese di stare dalla parte di
coloro che noi consideriamo terroristi, per farlo diventare un nemico.
Nasce così il nuovo modello di guerra: la guerra preventiva. Meglio
uccidere prima chi, in futuro, potrebbe diventare nostro nemico.
Tornando ai conflitti di religione, il saggio citato all’inizio non fa che
confermare quello che il buon senso ci suggerisce: nessuna guerra può
essere sostenuta dalla fede in un Dio.
Questo, volendo parlare in modo chiaro, significa che chi combatte in nome
di Dio in realtà non crede nel Dio della propria fede, ma in un dio
personale, creato per proprio uso. Ma vorrei aggiungere di più: non solo
chi combatte in nome di dio in realtà non crede in lui, ma anche chi in
nome di una giustizia superiore, quasi divina, si ritiene in dovere di
uccidere, di essere il giustiziere del mondo, non crede. Così chi guida le
nostre Nazioni dichiara pubblicamente di essere ateo, mentre invoca sul
Paese la benedizione di Dio.
Il pensiero non può non andare a quello che sta accadendo sotto i nostri
occhi: la guerra contro l’Iraq. Siamo pronti ad uccidere, in una guerra di
prevenzione, perché il nostro concetto di giustizia sia salvo, senza
occuparci del prezzo che qualcuno dovrà pagare. Se poi dietro la parola
giustizia si cela qualche altro interesse, allora la cosa diventa ancora
più seria. Però ogni eventuale secondo fine deve restare celato.
Combatteremo solo in nome della giustizia, di cui solo noi siamo i
depositari. Anche dio è dalla nostra parte per cui vinceremo, in ogni modo.