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La nonviolenza e' in cammino. 503
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 503 del 10 febbraio 2003
Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini e Tomas Stockmann, noi grandi elettori di Sharon
2. Giobbe Santabarbara: tre trappole per il movimento per la pace
3. Angelo Mastrandrea intervista Gino Strada
4. Ileana Montini, una testimonianza
5. Enrico Peyretti, Dio d'Europa?
6. Amelia Alberti, una lettera da suor Evelina
7. Augusto Cavadi, felicita' coniugale ed esegesi biblica
8. Ida Dominijanni, sulo stato dello Stato
9. I vescovi della Toscana contro la guerra
10. Comitato "Per la scuola della Repubblica", un appello al mondo della
scuola
11. Aggiornamento del sito di "Donne in viaggio"
12. Letture: Paolo Francesco Pieri, Introduzione a Jung
13. Riletture: Umberto Galimberti, La terra senza il male
14. Riletture: Henri F. Ellenberger, La scoperta dell'inconscio
15. Riletture: Paul Roazen, Freud e i suoi seguaci
16. Riletture: Silvia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI E TOMAS STOCKMANN: NOI GRANDI ELETTORI DI SHARON
La vittoria elettorale di Sharon (il corresponsabile delle stragi di Sabra e
Chatila, e uno dei principali responsabili dell'escalation di violenze e
orrori degli ultimi anni nei territori palestinesi occupati e in Israele) e'
frutto anche degli errori e degli orrori nostri: e' conseguenza anche
dell'infame e insensato atteggiamento strabico ed effettualmente ancora una
volta oscenamente antisemita che inquina e pervade e corrompe larghissima
parte del movimento pacifista europeo ed internazionale, e sulla decisiva
vicenda israelo-palestinese lo rende non credibile, e quindi inascoltabile e
quindi inascoltato.
E la nostra giusta e necessaria solidarieta' con il popolo palestinese sara'
inefficace finche' non diventera' anche, limpida ed intransigente, la nostra
solidarieta' con il popolo israeliano, e verra' percepita come tale. E
finche' non diventera' anche opposizione ad ogni forma di totalitarismo e di
razzismo, a cominciare da quello che risuona negli slogan hitleriani ancora
scelleratamente tollerati nelle assise e nei cortei sedicenti pacifisti.
La lotta per la pace e il diritto e la liberazione dei popoli sara' inane
finche' non fara', persuasa e fondante, la scelta della nonviolenza, la
scelta della nonmenzogna, la scelta capitiniana dell'omnicrazia, il potere
di tutti. Ovvero l'affermazione, ed il riconoscimento, del diritto ad
esistere di tutti gli esseri umani.
2. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: TRE TRAPPOLE PER IL MOVIMENTO PER LA
PACE
La prima e' quella dell'unanimismo: non si puo' essere tutti insieme
appassionatamente.
I signori che sono pacifisti quando la guerra e' a distanza di qualche
continente e che quando scendono in piazza qui brandiscono le spranghe o
peggio, non sono nostri compagni.
I signori che sono contro la guerra quando sono all'opposizione in
parlamento e sono a favore quando sono al governo, non sono nostri compagni.
Non sono nostri compagni i razzisti. E non sono nostri compagni i padroni di
un ordine mondiale assassino e coloro che vivono dei privilegi che i padroni
concedono loro.
Oso' dire un tal Vladimiro: meglio meno, ma meglio. Oseremmo dire noi oggi:
meglio pochi, ma buoni.
Se non si fa la scelta della nonviolenza, della lotta nonviolenta,
dell'azione diretta nonviolenta, non si e' ne' costruttori di pace, ne'
oppositori della guerra, ne' niente di buono e giovevole in questo tragico
frangente.
*
La seconda trappola e' quella della subalternita': ai potenti, ai loro
apparati ideologici, alla violenza che - ha spiegato una volta per tutte
Jean Marie Muller - e' sempre l'arma dei ricchi.
Ai potenti: imitandoli nella loro protervia, malizia, solipsismo, nel loro
disprezzo per le ragioni altrui e dell'altrui capacita' di capire, proporre
e dialogare. Ai mass-media del dominio: calibrando a loro uso e consumo il
nostro agire e quindi facendocene insignorire, impagliacciare, alienare,
annientare. Alla violenza: su cui non si puo' essere ambigui; chi non
sceglie la nonviolenza e' un complice della guerra poiche' ne condivide la
logica, dei suoi dividendi beneficia, se ne e' fatto in radice suddito e
idolatra.
*
La terza e' quella della frivolezza. Piantiamola con le puerilita' e le
carnevalate se vogliamo esser presi sul serio; piantiamola con le
esagerazioni propagandistiche che ci rendono ridicoli; piantiamola di far la
figura dei fessi prendendo per buone le stoltezze piu' appariscenti (ancora
in questi giorni pressoche' tutti i media pacifisti continuano a riprodurre
compuntamente e sciaguratamente propalare documenti e proclami che
basterebbe leggerli con un briciolo di intelligenza per accorgersi che sono
dei falsi, degli imbrogli e delle idiozie); piantiamola di usare un
linguaggio, un repertorio simbolico, atteggiamenti e modalita' relazionali
da ragazzini viziati, furbetti e goliardi e da vecchi ammuffiti marpioni che
fanno il verso alla pubblicita', che e' la lingua e l'ideologia (la
neolingua e il bispensiero) che della guerra - e dell'inquinamento, dello
sfruttamento, dell'oppressione globale - e' veicolo e riflesso, portato ed
innesco.
*
La maturita', che e' un altro nome della responsabilita', e' tutto.
3. TESTIMONIANZE. ANGELO MASTRANDREA INTERVISTA GINO STRADA
[Dal quotidiano "Il manifesto dell'8 febbraio 2003. Gino Strada e' medico
chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore dell'associazione umanitaria
"Emergency". Opere di Gino Strada: Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano;
Buskashi', Feltrinelli, Milano]
"Il 15 febbraio dovremo essere in milioni, per dire che vogliamo vedere
sparire la guerra dalla faccia della terra".
Gino Strada, fondatore di Emergency, osserva l'escalation prebellica da un
punto d'osservazione molto particolare: l'ospedale di Kabul in cui continua
a svolgere il lavoro di chirurgo di guerra. Ma e' in attesa di poter partire
per Bagdad, a portare soccorso alle prossime vittime dei bombardamenti.
"Abbiamo due ospedali, tre centri di riabilitazione e venti tra cliniche e
centri di pronto soccorso, tutti nel nord dell'Iraq, ma dovremmo mettere in
piedi qualcosa anche a Bagdad", dice al telefonino satellitare dalla
capitale afgana.
- Angelo Mastrandrea: Strada, il presidente Bush ha detto che "i giochi sono
finiti" e che gli Stati Uniti potrebbero agire unilateralmente se l'Onu non
prendera' la decisione che la Casa Bianca si attende. Quali pensa possano
essere le conseguenze di questo ultimatum?
- Gino Strada: Gli Stati Uniti agiscono "multilateralmente quando possono e
unilateralmente quando debbono". Nessun atto di accusa, sono le parole usate
da un ex Segretario di stato Usa. Loro la pensano cosi', e lo dicono. Che i
loro discorsi, e le loro decisioni, facciano a pezzi il diritto
internazionale e che si chiuda l'era delle Nazioni Unite, questo non li
interessa affatto, non e' nei loro piani. "Colpiremo chiunque possa
costituire una minaccia agli interessi nazionali americani". Questa di per
se' e' una dichiarazione di guerra, a tutti noi. Ci colpiranno se un giorno
intralceremo, anche inconsapevolmente, la loro strada. Stiamo perdendo il
conto di quante guerre sono state istigate, quanti colpi di stato
finanziati, quanti tentativi di genocidi sono stati armati e combattuti
dagli Stati Uniti dal '45 in poi. Indonesia, El Salvador, Corea, Congo,
Cile, Peru', Nicaragua, Vietnam, Cambogia, Guatemala. I primi dieci che mi
vengono in mente, si potrebbe andare a raffica. Di fronte a dichiarazioni
come quelle di Powell, credo dovremmo tutti avere il coraggio di dire ad
alta voce quello che e' nella testa di tutti, anche se di parti politiche
diverse: che, ancora una volta, sono gli Stati Uniti a volere la guerra. Se
molti, governanti di ogni colore politico, avessero il coraggio morale di
accettare questa verita', che c'e' davanti agli occhi ed e' nella memoria e
nelle cicatrici di molti, avremmo fatto un grande passo avanti. Una delle
piu' celebrate riviste Usa ha rivelato dopo un sondaggio che la maggioranza
dei cittadini statunitensi considera il proprio paese il maggior pericolo
per la pace mondiale.
- A. M.: Pensa che la guerra, come continua a ripetere Kofi Annan, sia
ancora evitabile? E come?
- G. S.: Gli Stati Uniti in realta' non si sentono dentro l'Onu, certo non
sembra spirito da Nazioni Unite quello dove le prove, mediaticamente
preparate, sentenze gia' scritte, le fornisce l'accusatore. Kofi Annan fa
bene a sperare, ma sono convinto che l'"arma" piu' efficace per la pace in
questo momento sia la presa di coscienza dei cittadini. Sta ai cittadini dei
paesi europei di mobilitarsi per costringere i propri governanti a non
entrare in guerra. Se non altro per rispettare un principio spesso
sbandierato a vanvera: quello della volonta' popolare. La vogliamo chiamare
opinione pubblica? E' lo stesso. La grande maggioranza degli italiani e'
contro la guerra, due italiani su tre pensano che non ci si debba entrare
neanche se autorizzata dall'Onu. Non sorprende, da persone intelligenti non
si fidano di quel che succede nel palazzo dell'Onu, dove l'aria sa un po' di
petrolio. Solo un forte movimento di cittadini in tutti i paesi, e in
particolare negli Stati Uniti, puo' fermare questa follia.
- A. M.: Dopo la visita di Berlusconi a Bush e la lettera di sostegno di
otto paesi europei, il governo italiano viene considerato il maggiore
alleato degli Usa dopo la Gran Bretagna di Tony Blair. In parlamento
l'opposizione non riesce a trovare l'accordo nemmeno su una mozione comune
di contrarieta' al conflitto. Come valuta il comportamento del governo e dei
parlamentari del centrosinistra?
- G. S.: Non seguo le vicende italiane da vicino, ho visto solo qualche
minuto del discorso del presidente del consiglio, prima che il satellite ci
lasciasse. Mi raggela, dei politici, quando incitano ad agire "per la nostra
sicurezza": di solito e' il via libera perche' si massacrino un po' di
"effetti collaterali" da qualche parte del mondo. Saranno invece in tanti ad
essere uccisi, anche se poi ci penseranno le televisioni a ridurne il
numero, a fare i distinguo, a spacciare per covi terroristici villaggi
bombardati. A proposito, ce ne hanno mai fatto vedere uno di quelli
polverizzati in Afghanistan? Governo e centrosinistra? Non so, io non credo
che la pace sia un valore di sinistra o di destra. Io credo che la pace sia
un valore di tutti, che come tale vada riconosciuto, e quindi fatto
crescere, rispettato. Non so interpretare comportamenti. Solo mi sembra di
capire che il governo ha intenzione di portarci in guerra, e che
l'opposizione non vota compatta contro la guerra. Mi domando: ma allora sono
governo e opposizione di che cosa? Se la pensano diversamente tra di loro,
di questo sono certo, ma poi nessuno dei due sta ad ascoltare - e ad
esprimere - quello che pensa la maggioranza di noi, io credo sia il caso che
ci preoccupiamo tutti e alla svelta. "Non un soldo ne' un uomo, non una base
ne' un permesso di sorvolo". Tutto qui, fuori dalla guerra, non la vogliamo,
la ripudiamo. Non sarebbe stato un gesto eroico. Anche la nostra
Costituzione ripudia la guerra.
- A. M.: All'interno dell'Ulivo c'e' chi sarebbe favorevole all'intervento
se "legittimato" dall'Onu. Cosa pensa in proposito?
- G. S.: Puo' risultare quasi impietoso parlare dell'Onu in questo momento.
In Iraq ho conosciuto Hans von Sponeck, alcuni anni fa. Era a capo dell'Onu
e si e' dimesso per non essere complice di un "genocidio", quello dei
bambini iracheni. Servono le Nazioni Unite, non questa Onu. Affidabilita'
zero in termini di sicurezza, quando i cinque membri permanenti del
Consiglio di sicurezza sono i venditori di quattro quinti delle armi in
circolazione. Guerra con l'Onu o senza l'Onu? Ma ammazzano meno bambini, le
bombe, se pitturate di azzurro? Si deve capire che mettere al bando la
guerra come strumento e' la priorita' di noi tutti. Non c'e' alternativa
possibile. La pace non puo' essere in saldo, e sulla guerra non si fanno
sconti.
- A. M.: Il 15 febbraio ci sara' una giornata di mobilitazione mondiale
contro la guerra. Come e quanto pensi riuscira' a incidere sulle decisioni
dei governi, e da quali altre iniziative potrebbe essere accompagnata?
- G. S.: Spero molto. Dovremo essere milioni di cittadini, per dire che non
vogliamo guerra, non vogliamo piu' guerre, vogliamo vederle sparire dalla
faccia della terra. Vorrei che il 15 febbraio fossero in tanti a impegnarsi
per la pace, uniti solo dall'obiettivo di fermare la guerra, e in ogni caso
di tenerne fuori il proprio paese. Avremmo fatto un passo avanti ben piu'
importante dell'euro, nella costruzione dell'Europa.
4. MEMORIA. ILEANA MONTINI: UNA TESTIMONIANZA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per averci
inviato questo documento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale
femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a
Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino,
presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia;
giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte
impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di,
varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del
Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa
Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques
Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista
"Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole
sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
Ormai la maggioranza degli italiani non ha nessun ricordo della seconda
guerra mondiale e questo forse influisce sulla percezione degli attuali
venti di guerra.
Ne' si ha la conoscenza di come le generazioni passate si preparavano al
conflitto bellico e poco si sa sui sentimenti che circolavano, per esempio,
nella mente di un militare di carriera.
Si puo' pensare che i soldati di quei tempi fossero tutti e comunque
guerrafondai, comunque fascisti incalliti, perche' cosi' ci fa comodo per le
nostre esemplificazioni e riduzioni arbitrarie nonche' sommarie.
A leggere le paginette di un diario scritto fitto fitto, in una minuscola
agenda da un sottufficiale della Regia Guardia di Finanza di stanza al confi
ne italo-jugoslavo, c'e' materia per una riflessione antropologica e umana.
Siamo nel 1941, mio babbo (classe 1898) comincia a scrivere sull'agenda
militare dell'anno che porta, nella prima paginetta la foto di "S. E. Benito
Mussolini Duce d'Italia" e la scritta "Nec recisa recedit":
"Domenica 23 marzo - alle ore 18 prendo il comando della Brigata. Grande
lavoro; ma c'e' ancora calma in giro.
Lunedi' 24 marzo - continua il lavoro.
Martedi' 25 marzo - come ieri".
Mercoledi' 26 marzo l'agenda porta la scritta: "La XX Compagnia, VII
Battaglione, partecipa al combattimento di Val Sugana (1916)". E il diario
annota "come ieri".
"Giovedi' 27 marzo - sappiamo del colpo di stato jugoslavo. Gli animi non
sono piu' tranquilli. Si pensa di mandare via le famiglie.
Venerdi' 28 marzo - Si attende una schiarita. Nervosismo. La radio comincia
a notificare soprusi alla frontiera contro ufficiali tedeschi e italiani.
Sabato 29 marzo - come ieri e di piu'. Si accentua il pensiero di far
partire le famiglie. Ma si attende ancora una schiarita.
Domenica 30 marzo - sempre piu' nubi. Alle 16 N. porta via la famiglia. Mi
strappa un permesso che potrebbe avere conseguenze per me e per lui.
Lunedi' 31 marzo - mia moglie fa le valigie. Sono a Fiume. Il Console
italiano a Sussek fa le valigie. Telefono a a mia moglie che si prepara a
partire subito. La sera parte. Dolore. La situazione e' oscura. Bibina in
treno invoca bobo, bobo, bobo. Maria piange, mentre un colonnello in treno
nel vedermi accompagnare mia moglie esclama: 'vigliacco antitaliano... come
tanti di loro...'.
Martedi' 1 aprile - mia moglie fa un viaggio disastroso fino a Trieste.
Situazione oscurissima, ci prepariamo alla guerra. Molto lavoro d'ufficio.
Penso dove sono mia moglie e la Bibina.
Mercoledi' 2 aprile - come ieri. Attendo invano un telegramma da mia moglie,
All'orecchio mi risuona il Ba Bo Ba di Bibina e le parole di quel colonnello
mascalzone.
Giovedi' 3 aprile - situazione sempre piu' oscura: odore di guerra,
desolazione dappertutto. Riordino alla meglio la casa desolata.
Venerdi' 4 aprile - preparazione di guerra.
Sabato 5 aprile - un telegramma del Duce: 'Il territorio di Fiume deve
essere difeso ad altranza, Morire sul posto'. Se il nemico ci attacca siamo
perduti; che siamo qui in pochi.
Domenica 6 aprile - dichiarazione di guerra alla Jugoslavia e teatro
d'operazione lungo il confine jugoslavo. Siamo ognuno al nostro posto di
combattimento.
Lunedi' 7 aprile - al varco continuano i lavori con i finanzieri
d'oltreconfine. Le truppe germaniche avanzano.
Martedi' 8 aprile - Come ieri. Alle 13 partono le ultime famiglie di
italiani d'oltre confine per l'Italia. Alle 10 e venti si attende un attacco
nemico del cippo 56 a 250 metri da me. Ho una mitragliatrice e 8 uomini.
Siamo a venti metri gli uni contro gli altri.
Mercoledi' 9 aprile - Ho il cambio a quota 313. L'attacco non si e' avuto.
Ci comunicano che Belgrado e' stata occupata dai tedeschi. Si respira. I
nostri superiori ci hanno abbandonato. Non abbiamo nulla da mangiare. Sono
notti che non dormo. Ho la barba di otto giorni. Le sirene a Fiume e a
Sussek fischiano ogni tanto. Alle 15.30 fuoco intenso di artiglieria. Ci
mettiamo in posizione, nevica e tira la bora".
Giovedi' 10 aprile, stampato sull'agendina di legge: "L'apostolo S. Matteo
e' prescelto a celeste patrono del Corpo (1934)". "La giornata e' cominciata
molto calma. Da oggi mangiamo in sussistenza. Alle ore 15.30 aerei ci
sorvolano; non sembrano italiani. Si odono colpi di moschetto. Sono le 16.30
allarme a Sussek. Oggi molti sono rimasti feriti. Piu' tardi si dice che
siano morti".
Il 13 aprile e' Pasqua e l'agenda riporta la commemorazione: "La Compagnia
Libica combatte a Bu-Kamez (1912)". Ma e' una notte e una giornata di
guerra: "Nella notte ancora qualche colpo di fucile e cannone. Grandi
passaggi di truppe, migliaia e migliaia. Il Re oggi e' a Fiume. Con gli
ufficiali oggi sono stato oltre confine per un chilometro. Buona giornata".
L'agenda si riempie via via che trascorrono i giorni di annotazioni minute,
fitte, a tratti indecifrabili, scritte a penna o a matita.
Il 17 aprile scrive: "alle 17 e' passato dal varco il Principe".
E il giorno dopo annota: "ieri sera alle 21 la Jugoslavia ha deposto le
armi".
Il dramma e' pero' dentro l'anima e se il 19 aprile puo' scrivere: "Hanno
fatto ritorno molti civili. Si dorme ancora in caserma"; nei giorni
seguenti si lascia andare a uno sfogo amaro: "Oggi sembra domenica. Le
campane suonano tutte. Otto giorni fa non fu cosi'. Pero' per me da tanto
tempo i giorni sono tutti uguali. Siamo delle cose in continua lotta".
E il mese seguente di nuovo si addensano le nubi di guerra e nell'agenda si
legge: "Si avventurano nella pineta a sinistra. Sono parecchi e hanno
davanti un cane. Alle 11.30 si odono i primi spari. Ci appostiamo. Vedo col
binocolo in fondo alla valle tre giannizzeri che dietro un muro si
appartano. Siamo di fronte. Subito 5/6 colpi vengono sparati nella nostra
direzione. Numerosi sassi vengono sgretolati e lanciati in aria, a terra.
Continuano al di la' della frontiera le sparatorie, di fucili, di mitraglia
e di cannoni. Avanziamo: nevica forte e tira la bora".
Dopo la guerra, quando venne mandato a comandare la stazione delle saline di
Cervia, un giorno mi fece vedere la fondina vuota. La Beretta d'ordinanza
la lasciava in caserma e dentro la fondina la riempiva di pezzetti di ferro.
5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: DIO D'EUROPA?
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente]
Menzionare Dio nella Costituzione europea? Dopo l'apparizione della prima
bozza, irritazione vaticana (insieme agli ortodossi, pare, e magari ai
leghisti il cui cristianesimo e' soltanto antiislamismo) perche' non c'e' un
riferimento alla religione cristiana e a Dio.
Mentre il papa battaglia gandhianamente con l'impero di Bush per salvare la
pace, ecco che clericalmente esige di tirare in ballo l'Altissimo in cose
degnissime ma non altissime.
Anche in Europa e persino in Vaticano dovrebbe vigere, non abrogato, il
secondo comandamento dato sul monte a Mose': "Non nominare invano il nome di
Dio".
Dovrebbe anche aver valore la lezione storica: tutte le volte che Dio e'
stato scritto su labari, proclami, sentenze, cinturoni e monete, non ne e'
venuta alla povera gente benedizione, ma sciagure, violenze sacralizzate,
ben piu' che religiosa mitezza.
"Vivens homo gloria Dei" diceva sant'Ireneo di Lione, francese ante
litteram, e cioe': la gloria di Dio e' l'uomo vivente. Affermare i diritti
inviolabili e la dignita' della persona, cosicche' ognuno possa vivere vita
umana, che rende gloria a Dio anche in chi non lo conosce: questo e' il modo
proprio ad una costituzione democratica di nominare Dio senza nominarlo,
senza violare il comandamento e senza ridurre il pluralismo.
Nominare Dio nella legge fondamentale dividerebbe i cittadini, che non tutti
credono in lui, e la divisione non e' pace, non piace a Dio.
La nostra Costituzione italiana non nomina Dio, ma afferma chiaramente i
diritti della persona umana, sua immagine, e ripudia la guerra, e impegna
alla giustizia. E' questa la "vera religione" (grande tema biblico,
culminante nei criteri del giudizio finale, in Matteo 25), in una societa'
di piu' culture e religioni.
Radici cristiane dell'Europa, si dice. Va bene, ma anche radici criminali,
aggiungeva Garaudy. Anche se poi si e' fatto musulmano, ha ragione. "Non
siamo innocenti, come europei", ha ricordato Monticone presentando Scalfaro
e Ingrao sull'art. 11 della Costituzione italiana, a Roma il 15 gennaio. La
stessa cosa ha ripetuto Alberto Melloni, in un convegno internazionale sui
valori comuni per costruire l'Europa, a Roma negli stessi giorni: piu' che
vantarsi di Dio, l'Europa confessi la shoah, le guerre, le conquiste, le
discriminazioni, le diseguaglianze che ha compiuto, per andare verso un
futuro piu' giusto.
"Non chi dice Signore, Signore...". Dio respinge il culto formale, il suo
nome sul frontone della citta': il culto che gradisce e' che noi viviamo
vita giusta.
Radici cristiane, e' pur vero, ma non solo. L'Europa moderna ha radici
laiche, illuministe, e non meno marxiste. Vogliamo parlare delle radici?
Allora diciamole tutte, nei loro intrecci e tensioni e opposizioni. O non e'
forse meglio, in una costituzione, parlare dei valori-programma, che da
tutte quelle radici derivano, e sono impegno di oggi e di domani, piu' che
impegolarsi in interpretazioni controverse del passato?
Infine, quali che siano le radici, ricordava Melloni, oggi i rami che
crescono in Europa sono anche rami non religiosi e di varie altre religioni.
Allora diciamo con quali criteri di pace e giustizia vogliamo convivere,
come europei, entro l'intera famiglia umana, piu' che litigare sulle
particolari ascendenze nobili.
6. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: UNA LETTERA DA SUOR EVELINA
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di
Legambiente e collaboratrice di questo foglio. Per contattare suor Evelina,
cara amica, persona buona, e per prender visione e aderire all'appello di
cui di seguito si parla, l'indirizzo di posta elettronica e':
evelinasavini@virgilio.it]
Che bello, per noi laici e per noi atei, ricevere dal mondo religioso
contemplativo femminile un messaggio come quello di suor Evelina di Jesi,
che comincia cosi': "Mi chiamo suor Evelina e sono una religiosa
contemplativa di Jesi. Assieme ad altre persone, religiosi/e e non, credenti
e non, vorremmo lanciare una petizione al Santo Padre, pregandolo di
invitare uomini e donne di buona volonta' a porre obiezione di coscienza nei
confronti di un eventuale guerra all'Iraq".
Segue la descrizione dell'iniziativa e il testo della petizione, che sono
invitata a sottoscrivere e che immediatamente ho sottoscritto, con
gratitudine per aver pensato a me, e perfettamente a mio agio in quel
crogiuolo di nomi noti e non noti, tutte persone accumunate in questi giorni
tremendi nello sforzo di isolare i portatori di violenza e di sopraffazione.
Che Dio, gli dei, la buona volonta' delle donne e degli uomini di buona
volonta' siano con tutti noi e mettano le ali alle nostre parole.
7. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: FELICITA' CONIUGALE ED ESEGESI BIBLICA
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo intervento gia' apparso nell'edizione
palermitana del quotidiano "La repubblica" del 4 febbraio 2003. Augusto
Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica, impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
La notizia di cronaca sulla fragilita' crescente dei matrimoni cattolici in
Sicilia - attestata dalle statistiche fornite dal Tribunale Ecclesiastico di
Palermo - ha suggerito a Rosario Giue' delle considerazioni intelligenti
sulla necessita' di invertire la prospettiva teologica tradizionale: dal Dio
moralista che impone comandamenti e punisce le trasgressioni al Dio
salvatore che libera dall'angoscia e, per questo, facilita la realizzazione
di se'.
Puo' essere di qualche interesse per il lettore apprendere che non si tratta
solo di auspicare cio' che potrebbe diventare in futuro l'esperienza
religiosa (se finalmente, come tenta da anni Eugen Drewermann, teologia e
psicanalisi smettessero di litigare e iniziassero a collaborare), ma anche
di riscoprire la lezione della storia.
Nell'immaginario collettivo, infatti, alimentato da una lettura ingenua e
immediata della Bibbia, le cose sarebbero andate grsoso modo cosi': Dio
stabilisce all'atto della creazione l'indissolubilita' del matrimonio; Mose'
esonera gli ebrei da un obbligo cosi' impegnativo; Gesu' corregge Mose' e,
fondando il sacramento del matrimonio, ripristina il volere originario del
Padre. In realta', pero', questa visione (condivisa con consenso dalla
stragrande maggioranza dei cattolici e con dissenso dalla stragrande
maggioranza dei laici) e' sommaria e difettosa.
Secondo l'esegesi biblica scientificamente piu' accreditata, nei dieci
secoli antecedenti la nascita di Gesu' Cristo il popolo ebraico ha
attraversato diversi modelli di matrimonio (dal poligamico al monogamico) e
diversi modi di interpretare e vivere lo stesso modello. Per esempio, ai
tempi dei genitori di Gesu', era comune una sorta di matrimonio a due tempi:
dopo una sorta di fidanzamento, i due futuri sposi si frequentavano molto
liberamente, talora anche convivendo, per poi suggellare dopo qualche tempo
il vincolo coniugale vero e proprio. Maria e' rimasta incinta di Gesu'
proprio in questo periodo di frequentazione pre-matrimoniale e, siccome il
vangelo non specifica che sia avvenuto il vero e proprio matrimonio
istituzionale, e' possibile ipotizzare che il Messia sia nato - senza
scandalo particolare - da una "coppia di fatto" (cfr. il titolo del commento
al vangelo di domenica della teologa Maria Caterina Jacobelli sull'agenzia
di stampa cattolica "Adista" del 25 gennaio 2003).
Quando Gesu' ha attivato la sua predicazione, convinto dell'ormai imminente
fine del mondo, non ha certo progettato di fondare una chiesa ne' tantomeno
di istituire dei sacramenti.
Se su questo punto la discussione e' aperta, non si puo' in ogni caso negare
un dato storico tanto stupefacente quanto poco noto: per piu' di mille anni
la chiesa non conosce un sacramento del matrimonio. I cristiani, in tutti
quei secoli, si sposano secondo i riti delle diverse etnie di appartenza:
alcuni secondo il rito in uso presso i greci, altri secondo il rito in uso
presso i romani e cosi' via.
E' solo dopo l'anno mille che la teologia cattolica elabora la dottrina dei
sette sacramenti e include nel numero altamente simbolico anche il
matrimonio monogamico e indissolubile (anche il lettore non specializzato
potra' leggere utilmente le pp. 215-346 del volume, tradotto in italiano
dalle Edizioni Paoline, Il matrimonio, del padre domenicano Edward
Schillebeeckx, uno dei massimi teologi del nostro tempo). La decisione e'
apparsa cosi' opinabile che, di fatto, le chiese cristiane anche su questo
punto hanno maturato convinzioni e prassi diverse: luterani e calvinisti, ad
esempio, non considerano il matrimonio un sacramento; ortodossi (greci e
russi) lo considerano un sacramento ma non indissolubile.
Che ricavare da questi troppo rapidi cenni storici? Forse che la sequela del
Maestro di Nazareth e' allora irrilevante nella quotidianita'
dell'esperienza umana, dunque anche della vita coniugale? Niente affatto.
Gesu' il Cristo ha manifestato, in parole ed opere, il senso dell'esistenza:
ognuno di noi e' destinatario dell'amore infinito del Creatore e deve
tradurre e articolare questo amore nelle relazioni con uomini, animali e
cose. Nei confronti degli emarginati, cio' significa solidarieta' fattiva;
nei confronti dei nemici, capacita' di perdono; nei confronti del partner,
fedelta' instancabile.
Ma, come ha chiarito fra gli altri l'esegeta cattolico Gerhard Lofhink (cfr.
le pp. 132-141 dello stupendo Ora capisco la Bibbia, Edizioni Dehoniane,
Bologna) in questi e in altri ambiti Gesu' non ha inteso dare prescrizioni
giuridiche, bensi' indicare mete profetiche cui avvicinarsi per grazia di
Dio. Perche' mai "dare la vita per i fratelli" o "porgere líaltra guancia"
sono stati concepiti dalla chiesa cattolica sempre come modelli di
comportamento ideali cui tendere liberamente e gradualmente, mentre "vivere
come una carne sola" e' diventato un precetto legale? Qualcosa, nella storia
dell'interpretazione biblica, evidentemente non ha funzionato.
Forse per sessuofobia, si e' trasformato l'invito del Signore a condividere
sino alla morte un progetto di comunione interpersonale nell'arido
imperativo - impersonale! - di mantenere in piedi un vincolo istituzionale
anche a costo dei propri sentimenti reali. Ma cosi' la "buona novella" di
amarsi in modo nuovo e creativo e' stata trasformata in una nuova morale, un
po' piu' rigida e meccanica di tutte quelle conosciute in passato.
L"esperienza ci testimonia che questo stravolgimento non giova alla
serenita' dei coniugi in situazioni di crisi ne' alla stessa immagine della
chiesa che, mentre va perdendo i lineamenti di comunita' in cammino, assume
i tratti duri di un'istituzione severamente conservatrice.
8. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: SULLO STATO DELLO STATO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2003. Ida Dominijanni (per
contatti: idomini@ilmanifesto.it) e' una prestigiosa intellettuale
femminista]
Fra le difficolta' di interpretazione di un presente in tumultuoso mutamento
come il nostro, c'e' la discrasia fra l'accadere imprevisto di fatti che ci
sorprendono e ci spiazzano, e la coazione a leggerli secondo schemi
concettuali previsti e prevedibili che ci rassicurano.
Il pensiero resiste al mutamento e, quel ch'e' peggio, talvolta lo
imbriglia, riportando forzosamente nell'ordine del discorso consolidato il
disordine dei fatti. Diagnosi, immaginazione e azione politica ne risentono
inevitabilmente, restando impigliate in paradigmi di rappresentazione della
realta' che sulla realta' non hanno piu' presa: come si trattasse di un
binario morto, da cui tuttavia non si riesce a deragliare perche' mantiene
un privilegio monopolista e impedisce di sperimentare altri percorsi.
Con queste premesse un seminario ("Lo stato dello Stato. Esercizi di
riflessione politica fra storia e immaginazione") convocato all'universita'
di Verona da Adriana Cavarero e da due giovani ricercatori, Olivia Guaraldo
e Leonida Tedoldi, ha rimesso a fuoco la questione della crisi dello Stato e
quella, connessa, di quale politica sia pensabile dentro e oltre questa
crisi. Questioni oggi massimamente controverse, nella teoria e nella
pratica. Nella teoria, perche' il paradigma del Leviatano resiste alle
ripetute diagnosi sul suo spegnimento e pretende di riconfermarsi come unico
orizzonte e unico metro della politica. Nella pratica, perche' perfino a un
evento eminentemente extrastatuale e globale come l'11 settembre si pretende
di rispondere con le mosse leviataniche del ripristino dei confini, della
certificazione del nemico, della dichiarazione di guerra. Eppure, la crisi
dello Stato - spazialita', funzioni, sovranita' -, in un mondo globale che
mescola i confini e riscrive i poteri, c'e' ed e' sotto gli occhi di tutti.
Come collocarsi, come valutare le persistenze e i mutamenti, come fare
politica in questa contraddizione dei fatti e del pensiero?
Il bello del seminario di Verona e' stato di poterne discutere in liberta',
con un occhio sulle categorie teoriche e uno sulla cronaca, uno sul presente
e uno (di Marco Meriggi e altri storici) sulla storia lunga della
modernita', nel confronto diretto fra due opposte diagnosi dello "stato
dello Stato", di Pier Paolo Portinaro e di Giacomo Marramao, interrogate a
loro volta dalla critica della politica elaborata dal pensiero della
differenza sessuale. Uno scambio a tre - e piu' di tre, considerando tutto
l'arco delle posizioni emerse - che ha reso visibile come l'impatto della
differenza sul discorso della politica non sia affatto una questione di
inclusione delle escluse nell'ordine dato, bensi' possa funzionare come un
"vertice ottico" (Marramao) che illumina diversamente l'intero quadro dei
fatti e dei concetti, lo scombina e lo ricombina secondo altre prospettive,
bilanci, intenzioni.
Dicevo delle due opposte diagnosi di Portinaro e Marramao.
L'uno convinto che le diagnosi di fine dello Stato siano false e generiche e
che oltre lo Stato non c'e' politica pensabile, perche' se e' vero che lo
Stato moderno in tutte le sue determinazioni - nazionale, sociale,
costituzionale - perde o muta funzioni, resta altresi' vero che la
sovranita' statuale si riconferma oggi in tutta la sua forza proprio attorno
alle funzioni originarie della guerra all'esterno e della promessa di
sicurezza all'interno.
L'altro convinto che la sovranita', malgrado tutti i suoi rigurgiti, sia
ormai alle nostre spalle, che lo Stato moderno si stia decostruendo pezzo
per pezzo come in un film che ce ne restituisce in feed-back la costruzione,
che la sua crisi non sia piu' riconducibile solo a una crisi di
rappresentanza bensi' di potesta'.
Due diagnosi dello Stato che corrispondono, nota Cavarero, a due diverse
antropologie politiche, l'una classicamente basata sulla coppia
ordine/disordine, l'altra ridisegnata sulla coppia identita'/differenza e
sui conflitti che attorno ad essa oggi si dispiegano nel mondo glocale. Due
diagnosi che aprono due diverse prospettive per la politica: l'una misurata
sull'efficacia della macchina statuale, l'altra aperta a cio' che fuori da
quella macchina (o piu' precisamente dentro-fuori, secondo Chiara Zamboni e
Maria Luisa Boccia) opera, intreccia scambi e relazioni, mobilita
soggettivita', disegna orizzonti di senso.
Del resto, se e' vero che lo Stato non e' solo una macchina ma un insieme di
relazioni, la sua crisi e' visibile nell'emorragia di identificazione di cui
ovunque, basta guardare la disaffezione dalla politica tradizionale, soffre.
Del resto, se lo Stato mutato, ibridato, deformato che oggi abbiamo di
fronte assomiglia sempre piu' davvero a uno stato-canaglia, osserva Sandro
Mezzadra, ci troviamo "nella necessita'" di inventare un'altra politica. O
forse solo di saperla vedere e riconoscere, dove gia' c'e': cioe' non solo
fra quanti allo Stato si oppongono, ma in primo luogo fra quante nel
discorso totalizzante dello Stato non si identificano storicamente,
essendone state storicamente tenute sul bordo. E che oggi, sul bordo dello
sfinimento del Leviatano, si rivelano un'imprevista risorsa della
risignificazione della politica.
9. DOCUMENTI. I VESCOVI DELLA TOSCANA CONTRO LA GUERRA
[Da vari amici abbiamo ricevuto il seguente documento diffuso dai vescovi
cattolici della Toscana il 28 gennaio 2003]
Nella nostra precedente assemblea (primo ottobre 2002) prendemmo ferma
posizione in favore della pace di fronte alla diffusione dei conflitti e
violenze in varie parti del mondo.
Adesso noi vescovi della Toscana per fedelta' al Vangelo della pace, in
comunione con il magistero del Papa e condividendo il desiderio di pace del
nostro popolo, costatando che gli organismi deputati all'esercizio del
diritto internazionale si trovano di fatto esautorati e in particolare come
l'Onu non sia posta in grado di intervenire con pari efficacia nei confronti
di tutte le violazioni dei diritti umani, della liberta', della sicurezza e
della democrazia, dovunque e da chiunque vengano perpetrate,
esprimiamo
un chiaro, preoccupato e deciso no alla guerra, di fronte agli avanzanti
preparativi e al dispiegamento di forze in atto, con la prospettiva di
azioni militari che potrebbero svilupparsi anche ignorando o forzando le
norme del diritto internazionale;
chiediamo
al Parlamento e al Governo italiani, chiamati a prendere importanti e gravi
decisioni di politica estera, di confrontarsi con responsabilita' e coraggio
con gli accorati appelli alla pace del Santo Padre Giovanni Paolo II - in
particolare il messaggio per la Giornata della pace 2003 e il discorso al
corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - volti a promuovere il
dialogo, la mediazione e la riconciliazione tra le parti in conflitto e
quindi a scongiurare guerre sempre inutili e con dannosissimi effetti in
primo luogo sulle popolazioni inermi;
invitiamo
tutte le comunita' ecclesiali e ogni cristiano, insieme con tutti gli uomini
e le donne di buona volonta', a convertirsi alla pace, a coltivare e
diffondere pensieri e gesti di pace, a celebrare momenti comunitari di
riflessione e preghiera, a digiunare per la pace, a manifestare con
franchezza ai membri del Parlamento e del Governo il profondo desiderio di
pace, di giustizia e di democrazia del nostro popolo e di tutti i popoli del
mondo dicendo un fermo e chiaro no all'ipotesi di partecipazione o sostegno
alla guerra all'Iraq da parte dell'Italia e chiedendo invece di adoperarsi
con ogni mezzo nonviolento perche' in quel paese si affermino i diritti
umani e la democrazia; come pure di moltiplicare le attenzioni e gli sforzi
per la pace in Terra Santa e in tutte le altre situazioni di guerre e
conflitti dimenticati;
riaffermiamo
l'esigenza di maggiore giustizia distributiva su base planetaria, come fonte
di vita e di sviluppo per tutte le aree del mondo da liberare dalla fame e
dalla miseria. Raccomandiamo a tutti i sacerdoti che questo messaggio sia
letto in tutte le chiese della Toscana, come pure a tutti i laici e alle
associazioni e movimenti cattolici di darne la massima diffusione in tutti
gli ambienti e realta' civili e sociali della nostra regione.
10. APPELLI. COMITATO "PER LA SCUOLA DELLA REPUBBLICA": UN APPELLO AL MONDO
DELLA SCUOLA
[Dal Comitato "Per la scuola della Repubblica" (per contatti:
scuolarep@tin.it) riceviamo e diffondiamo]
L'articolo 11 della nostra Costituzione afferma: "L'Italia ripudia la guerra
come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali".
La Costituzione e' la legge fondamentale del nostro Paese e deve essere
osservata da tutti; in questi giorni invece sembra che da parte dei nostri
governanti sia dimenticata.
La scuola che ha il compito di educare le nuove generazioni ai valori della
Costituzione ed in primo luogo della pace si mobiliti in questi giorni per
ricordare ai giovani che l'Italia ripudia la guerra; sarebbe auspicabile
che,in vista della giornata europea per la pace del 15 febbraio, in ogni
classe delle scuole italiane si dedicasse almeno una lezione al valore della
pace ed al solenne impegno assunto dall'Italia a ripudiare in ogni caso la
guerra.
11. INFORMAZIONE. AGGIORNAMENTO DEL SITO DI "DONNE IN VIAGGIO"
[Dalla redazione di "Donneinviaggio" (per contatti: e-mail:
donneinviaggio@tiscali.it; sito: www.donneinviaggio.com) riceviamo e
diffondiamo]
Rivista "DonneInViaggio", anno secondo, n.27, febbraio 2003: gli
aggiornamenti del 5 febbraio 2003, a cura di Mary Nicotra e Elena Vaccarino:
- La storia delle donne e' scritta sulle pagine del novecento: esistenze,
segni e storie femminili a confronto per rileggere la storia del novecento;
- 5-15 febbraio 2003: giornata europea contro la guerra;
- Fuori la guerra dalla storia: il ripudio della guerra nella Costituzione
europea;
- "Immaginaria": undicesima edizione del Festival internazionale del cinema
lesbico;
- Corso di formazione "Contro la tortura", costruzione delle reti
territoriali in supporto delle vittime di tortura;
- Bologna: progetto di fattibilita' per un Istituto per le strategie di
genere;
- Immigrazione: "Migra", prima agenzia di stampa, utile per prevenire
comportamenti discriminatori;
- Prato: il primo concorso fotografico nazionale "Con gli occhi delle
donne";
- Giovani Donne, diverse culture, stessi diritti, di Cecilia Cortesi;
- Seminario di formazione "La violenza contro le donne": sei incontri di
riflessione;
- Una vita, molti mestieri, di Oriana Pecchio;
- L'astice, di Federica Fabretti;
- Storia di una donna che divenne teatro: la Nautanki dell'India, di Sara
Andreis;
- Il Pico de Aneto, la cima piu' alta dei Pirenei, di Cecilia Bechstein;
- Farmaci o aghi? Uno studio su 160 donne per trovare la cura piu' efficace
contro l'emicrania, di Alessandra Scagliola;
In Percorsi di lettura, a cura di Mary Nicotra:
- Streghe madonne e sante postmoderne. Eccedenze femminili tra cronaca e
fiction, a cura di Monica Baroni;
- Powerbook, di Janette Winterson, recensione di Nancy Avigliano;
- Le radici della prostituzione di Tamara di Davide, prefazione a cura
dell'on. Laura Cima.
12. LETTURE. PAOLO FRANCESCO PIERI: INTRODUZIONE A JUNG
Paolo Francesco Pieri, Introduzione a Jung, Laterza, Roma-Bari 2003, pp.
200, euro 10. Una utile monografia.
13. RILETTURE. UMBERTO GALIMBERTI: LA TERRA SENZA IL MALE
Umberto Galimberti, La terra senza il male, Feltrinelli, Milano 1984, 2001,
pp. 272, euro 9,30. Una riflessione che e' anche un'acuta lettura e un
intenso confronto con Jung.
14. RILETTURE. HENRI F. ELLENBERGER: LA SCOPERTA DELL'INCONSCIO
Henri F. Ellenberger, La scoperta dell'inconscio, Boringhieri, Torino 1972,
pp. XVIII + 1.082. Un testo ormai classico.
15. RILETTURE. PAUL ROAZEN: FREUD E I SUOI SEGUACI
Paul Roazen, Freud e i suoi seguaci, Einaudi, Torino 1998, pp. XLVI + 658,
lire 54.000. Una delle piu' puntuali ed equanimi ricostruzioni.
16. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI: STORIA DELLA PSICOANALISI
Silvia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986,
1994, pp. XIV + 454. Agile ma sempre puntuale, una delle opere migliori in
questo ambito.
17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 503 del 10 febbraio 2003