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Nulla di nuovo sotto il sole
Nulla di nuovo sotto il sole
Di LIvio Mascellari
"[...] l'America, dal momento in cui le sue stesse dimensioni l'hanno
obbligata ad abbandonare il precedente isolazionismo, non ha mai rinunciato
ad una impostazione sostanzialmente "unilaterale": sia nel bene, come
quando, alla fine della prima guerra mondiale cerco' di imporre ai propri
alleati una pace ispirata al principio dell'autodeterminazione dei popoli;
sia nel male, quando ha preteso un immediato allineamento europeo a tutte
le sue iniziative, anche le meno riflesse e le piu' discutibili:
dall'intervento armato in Vietnam alla "destabilizzazione" del governo di
Salvador Allende.
Nei confronti del terrorismo internazionale, tale "unilateralismo"
americano si e' manifestato in maniera particolarmente evidente.
Nell'affrontare questo fenomeno, il governo di Washington ha infatti sempre
rivendicato il valore assoluto sia delle proprie valutazioni che dei propri
sistemi di lotta. Anche se non sempre i risultati hanno convalidato tali
scelte. Come, per fare un solo esempio, nel caso della spedizione in Libano
del 1982, cominciata con la convinzione di potervi trovare e distruggere la
"centrale" dell'eversione globale e terminata bruscamente un anno piu'
tardi, dopo avere lasciato sul terreno 250 marines.
In realta', chi cerca di osservare il terrorismo internazionale (che
indubbiamente rappresenta la piu' grave e, se si vuole dare un giudizio
etico, la piu' esecrabile sfida ad un'ordinata convivenza mondiale) si
rende facilmente conto che esso ha radici troppo complesse e varie per
potere essere, non diciamo eliminato, ma anche solo validamente
contrastato, sulla base di una sola ricetta e di un unico centro operativo.
Legato esso stesso alla globalizzazione, vale a dire ad un modo di vivere
in cui tutto si comunica e si trasferisce (anche le armi di ogni tipo), e
al cui interno anche i gruppi un tempo emarginati trovano legami
trasversali per esprimere nel modo piu' cruento i loro risentimenti, tale
fenomeno puo' essere affrontato con successo solo attraverso un
coordinamento costante - non solo tecnico ma anche politico - tra i Paesi
interessati, in cui tutti abbiano il diritto di far valere,
pariteticamente, le proprie valutazioni ed i propri punti di vista".
Questo estratto da un editoriale di Antonio Gambino intitolato "Se le armi
non bastano", scritto per il quotidiano Il Messaggero, non ha bisogno di
ulteriori commenti. Con molta chiarezza il giornalista tratteggia la
politica estera statunitense attuale, collocandola pero' in una prospettiva
storica. Dunque nessun commento alle argomentazioni di Gambino, tanto
stringenti e condivisibili, ma qualche precisazione. L'articolo "Se le armi
non bastano", di cui ho riportato un breve estratto, e' uscito per Il
Messaggero del 22 agosto 1998 (!), all'indomani dei "bombardamenti
americani contro le pretese basi terroristiche in Sudan ed in Afghanistan"
a seguito degli attentati del 7 agosto contro le ambasciate Usa di Nairobi
e Dar Es Salaam. Il Presidente degli Stati Uniti d'America si chiamava Bill
Clinton (un democratico, non un repubblicano) ed in quel periodo era alle
prese con l'affaire Lewinsky.
A fronte di tutto cio', possiamo affermare con certezza che se oggi
avessimo un democratico come Presidente degli Stati Uniti d'America la
politica estera degli USA sarebbe diversa?
Livio Mascellari