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La nonviolenza e' in cammino. 480
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 480 del 18 gennaio 2003
Sommario di questo numero:
1. Lev Tolstoj, un'esecuzione capitale
2. Ida Dominijanni, Ingrao e Scalfaro contro la guerra
3. Filippo Ciardi, contro la guerra con la nonviolenza attiva
4. Renate Siebert, per fare carriera
5. Augusto Cavadi, un seminario a Palermo su induismo e buddismo
6. Carmela Baffioni, l'altrui decadenza
7. Francesco Comina, un film sulla violenza in America
8. Cristina Papa, la rete e la memoria
9. Cecilia Bello Minciacchi, la scomparsa di Emilio VIlla
10. Peppe Sini, guardando indietro e portando tutto a casa
11. Riletture: Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria
12. Riletture: Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. MAESTRI. LEV TOLSTOJ: UN'ESECUZIONE CAPITALE
[Da Lev Tolstoj, La confessione, SE, Milano 1995, pp. 21-22. Lev Tolstoj,
nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo scrittore, ma anche
educatore e riformatore religioso e sociale, propugnatore della nonviolenza.
Opere di Lev Tolstoj: tralasciando qui le opere letterarie (ma cfr. almeno
Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze; e alcuni dei piu' grandi racconti, come
La morte di Ivan Il'ic, e Padre Sergio), della gigantesca pubblicistica
tolstojana segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola, Mondadori,
Milano; La confessione, SE, Milano; Perche' la gente si droga? e altri
saggio su societa', politica, religione, Mondadori, Milano; Il regno di Dio
e' in voi, Bocca, Roma, poi Publiprint-Manca, Trento-Genova; La legge della
violenza e la legge dell'amore, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona;
La vera vita, Manca, Genova. Opere su Lev Tolstoj: dal nostro punto di vista
segnaliamo particolarmente Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj,
Il Mulino, Bologna; Pier Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace,
S. Domenico di Fiesole (Fi); Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino,
Bologna; Amici di Tolstoi (a cura di), Tolstoi il profeta, Il segno dei
Gabrielli, S. Pietro in Cariano (Vr). Indirizzi utili: "Amici di Tolstoi",
c/o Gloria Gazzeri, via Casole d'Elsa 13, 00139 Roma, tel. 068125697,
e-mail: amiciditolstoi@tiscalinet.it]
Durante il mio soggiorno a Parigi, la possibilita' di assistere a
un'esecuzione capitale mi svelo' tutta la fragilita' della mia superstiziosa
fede nel progresso. Quando vidi la testa dividersi dal tronco e l'uno e
l'altra piombare separati nella cassa, compresi - non con l'intelligenza, ma
con tutto il mio essere - che nessuna teoria della razionalita' del reale e
del progresso poteva giustificare un atto simile, e che se anche tutti gli
uomini dell'universo, dalla creazione stessa del mondo, fondandosi su una
qualsiasi teoria avessero sostenuto che era necessario, ebbene, io sapevo
che non lo era, che era male, e che dunque il giudizio su cio' che era buono
e necessario non poteva fondarsi su quello che gli uomini dicono o fanno, e
neppure sul progresso, ma soltanto su di me, sul mio cuore.
2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: INGRAO E SCALFARO CONTRO LA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio 2003. Ida Dominijanni e' una
prestigiosa intellettuale femminista. Pietro Ingrao e' stato presidente
della Camera dei Deputati. Oscar Luigi Scalfaro e' stato presidente della
Repubblica]
"Strano nel 2003, dopo tutto il cammino fatto dalla civilta', trovarsi a
dover tornare all'interrogativo guerra-non guerra", esordisce l'ex
presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, convenuto con Pietro
Ingrao ("il mio Presidente" lo chiama affettuosamente Scalfaro ricordandolo
presidente della Camera dei deputati) nella sala di palazzo Marini per
spronare i parlamentari a fare tutto cio' che possono e cio' che devono per
dire di no alla guerra sulla base dell'articolo 11 della Costituzione
italiana.
E' strano, ma e' tragicamente vero.
Tutto e' cambiato da quando quell'articolo, ricorda Scalfaro, fu votato
all'unanimita', il 24 marzo del '47, dai costituenti che avevano vissuto la
seconda guerra mondiale. Il mondo bipolare e' diventato globale, e con i
confini certi sembra aver perso la certezza delle Costituzioni nazionali e
del diritto internazionale. Ma e' cosi'?
I cambiamenti in corso ci autorizzano, come ogni giorno viene ventilato, a
considerare la Costituzione superata, e a metterle i poteri dell'Onu in
contrapposizione? Scalfaro e Ingrao sono li' per dire di no, e spiegare
perche' no alla sala gremita di parlamentari e di gente comune - in molti
non riescono a entrare, "segno dei tantissimi che nel paese non vogliono la
guerra, che vogliono pesare e che dovete riuscire a far pesare", dira'
Ingrao rivolto ai deputati e senatori, quasi tutti dell'ala pacifista del
centrosinistra, che ascoltano.
Famiano Crucianelli e Alberto Monticone, sul palco con Rosi Bindi, hanno
introdotto l'incontro, che si svolge la' a indicare che e' il parlamento a
doversi investire del ruolo di garante della Costituzione e della democrazia
rappresentativa. Contro la vulgata dominante, che con l'una considera
superata anche l'altra.
Dunque, la vulgata dice che i pericoli del mondo globale, il terrorismo al
primo posto, autorizzano l'Occidente a difendersi attaccando.
Preventivamente, precisa Bush. Ma la logica dice che se e' "preventiva", la
guerra e' d'attacco e non di difesa, tantomeno di legittima difesa. "L'idea
della guerra di difesa si rovescia nel suo contrario", sintetizza Ingrao.
Non e' il primo passaggio: c'erano gia' state, negli anni novanta, le guerre
"sante" e le guerre "giuste" a normalizzare la guerra che la Costituzione
ripudia. Ma la guerra preventiva e' un salto ulteriore: definitivo. C'e' chi
ne deduce che basta a dichiarare morta la Costituzione. "Ma se avanza la
guerra preventiva, anche la Carta dell'Onu va in polvere", spiega Ingrao, "o
almeno diventa arduo alzare la bandiera dell'Onu e tacere sulla guerra
preventiva". Che e' invece quello che la vulgata corrente fa. Dimenticando
che, come ricorda Scalfaro, "le istituzioni internazionali per loro natura
possono essere solo per la pace, non possono volere la guerra".
Dice di piu', l'ex presidente della Repubblica. Sostiene che, qualora l'Onu
desse la sua autorizzazione alla guerra preventiva contro l'Iraq, l'Italia
non potrebbe che attestarsi sulla difesa della sua Carta costituzionale e
dell'articolo 11.
"Se non siamo in grado di farlo, tanto vale dichiarare che siamo a favore
della guerra dichiarata dall'alleato piu' forte". Ecco, la questione
dell'alleanza: uno dei concetti di base da ritirare fuori, sostiene
Scalfaro. Perche' "un'alleanza e' tale solo a condizioni di parita'. Se
invece qualcuno sta in posizione di dominio, non si tratta di un'alleanza, e
se qualcuno accetta questa posizione di dominio altrui non e' alleato ma
suddito. Una sudditanza che, quando e' scelta, e' il massimo del degrado:
essere alleati comporta il diritto-dovere di far sentire la propria voce".
Suona feroce la critica a Berlusconi e al suo modo di declinare le sue
"amicizie personali", piovono applausi.
L'altro concetto di base da ripensare, per Scalfaro, e' il concetto stesso
di guerra.
"Siamo convinti che la guerra e' male assoluto, senza eccezioni? E riteniamo
o no che sia il raziocinio, e la capacita' di dialogo, a qualificare
l'uomo?".
Il dettato costituzionale del ripudio della guerra deriva da questa
convinzione. Quanto e' ancora viva, nella coscienza e nella memoria d'inizio
millennio? Dice Ingrao che e' viva, come l'affluenza a questa e ad altre
iniziative di pace dimostra.
Che, pero', bisogna saperle dare voce. A questo servivano e servono tuttora
i parlamenti. A questo servirebbe una democrazia che si voglia davvero
decentrata e federale, a dare, non a togliere voce. Percio' e' l'ora, "se
non ora quando", che il parlamento si riunisca e che discuta, e che sappia
dire no: "Su di voi - si rivolge ai parlamentari - pesa il compito di
appurare se regge ancora e se ha valore la legge fondamentale di questo
paese, e anche quanto la nazione italiana puo' incidere sulle decisioni
delicatissime che attendono il giovane parlamento europeo. Diciamoci la
verita': c'e' chi considera ormai un pesante ingombro queste assemblee,
questi luoghi della rappresentanza di fronte al nuovo potere dei capi. Non
qui, non noi". Dipende dal parlamento, anche dal parlamento, "chiarire se la
Costituzione in nome della quale giura il presidente della Repubblica e'
consumata, o ancora vive e ha un domani la sua grande domanda di pace".
No, non convince ne' Ingrao ne' Scalfaro il modo in cui il presidente Ciampi
sta risolvendo il dilemma, difendendone il dettato ma sub condicione delle
decisioni dell'Onu, e lasciando aperta la porta alla partecipazione
dell'Italia a operazioni antiterrorismo. "Il terrorismo non si combatte con
le cannonate", dice Scalfaro, anzi con le cannonate, dice Ingrao, non si fa
che lanciare ai kamikaze il messaggio che altro non resta da fare che
suicidarsi.
3. PROPOSTE. FILIPPO CIARDI: CONTRO LA GUERRA CON LA NONVIOLENZA ATTIVA
[Filippo Ciardi (per contatti: filciar@inwind.it) ha diffuso questa lettera,
che volentieri ridiffondiamo. Filippo Ciardi, gia' obiettore di coscienza,
e' un amico della nonviolenza impegnato nelle attivita' del movimento per la
pace a Prato]
Mi piacerebbe sapere da ognuno di voi cosa ne pensa delle seguenti proposte
di nonviolenza attiva contro la guerra, che non sono mie, ma che in gradi
diversi condivido. Se ne apprezzate qualcuna anche voi, vi invito a pensare
come possiamo renderle operative, compatibilmente con le capacita', la
competenza, il tempo e gli impegni di ognuno.
Lo spirito delle proposte che seguono potrebbe essere quello di un qualsiasi
cittadino italiano a cui la coscienza impone di essere contrario alla guerra
ma anche che ha voglia di fare qualcosa di efficace per contrastarla: e'
quindi l'atteggiamento che potrebbe essere di tanti altri cittadini con un
minimo di buon senso e di attenzione al rapporto tra i mezzi e i fini, che
almeno alcune di queste proposte potrebbero accogliere e praticare.
Sintetizzo qui le proposte, che vi invito comunque a leggere nella versione
originale degli autori.
1) "Scegliere la nonviolenza", in modo formale e sostanziale, il che si puo'
fare con la campagna omonima che prevede che ogni cittadino possa dichiarare
alle istituzioni l'obiezione di coscienza alla preparazione e collaborazione
alle guerre e la possa praticare con la scelta di alcune opzioni di
nonviolenza attiva. Il testo si trova qui:
www.retelilliput.org/scelgolanonviolenza.asp.
Per i pratesi, fiorentini e pistoiesi, io ed altri amici possiamo fornire
copia cartacea, che puo' anche essere richiesta direttamente alla segreteria
operativa della campagna di Torino, allo 011532824.
Per rendere operativa la campagna in riferimento alla guerra minacciata
contro l'Iraq, mi sembrano interessanti ed efficaci, se coordinate e rese
pubbliche, le seguenti azioni nonviolente (che sintetizzo dalle proposte
originali che trovate piu' sotto), sulle quali invito tutti, e in particolar
modo i conterranei pratesi, fiorentini e pistoiesi, a coordinarci sul
territorio per realizzarle, sulla base della campagna "scelgo la
nonviolenza".
2) Organizzare estesamente il non-acquisto da quelle pompe di benzina che
sono collegate con i governi che organizzano la guerra (vedi sotto la
proposta di "Bilanci di Giustizia").
Su questo punto vi informo che e' allo studio per il medio-lungo termine una
vera campagna di "riduzione della dipendenza dal petrolio": chi avesse
contributi o volesse informazioni puo' mettersi in contatto con
yukaris@tiscalinet.it.
3) Sperimentare delle forme diverse di opposizione alla guerra incombente
che si fondino sul potere di consumatori dei cittadini organizzati. In altri
termini delle azioni di noncollaborazione economica, interrompere cioe' ogni
rapporto economico con quei soggetti erogatori di beni e servizi che non
dichiarino la loro opposizione alla guerra e non si attivino per fermarla
(vedi sotto proposta di "Cittadinanzattiva").
4) Quattro proposte del Centro di ricerca per la pace di Viterbo:
a) bloccare, in caso di guerra, la macchina bellica con l'azione diretta
nonviolenta (di seguito e' presentata quella delle "mongolfiere della pace",
che gia' fu sperimentata efficacemente in passato);
b) bloccare, in caso di guerra, la catena di comando che decidesse la
partecipazione italiana alla guerra, attraverso una campagna di
disobbedienza civile di massa;
c) preparare e promuovere, in caso di guerra, lo sciopero generale ad
oltranza fino alle dimissioni degli organi istituzionali che avessero
portato l'Italia in guerra;
d) promuovere, in caso di guerra, una campagna di massa di presentazione di
denunce presso tutte le autorita' giudiziarie e di pubblica sicurezza contro
gli organi istituzionali che avallando la partecipazione italiana alla
guerra violerebbero la Costituzione della Repubblica Italiana cui pure hanno
giurato fedelta' e si renderebbero colpevoli di alto tradimento, di
eversione, di complicita' in crimini di guerra e contro l'umanita'.
*
Molto altro puo' essere fatto ovviamente, e tante altre proposte
probabilmente io non conosco neanche; chi ha da dire, lo faccia.
Personalmente non credo che cortei, marce, o appelli in cui semplicemente si
dice di essere contrari alla guerra e si chiede ad altri (istituzioni, ecc.)
di non farla, siano idonei allo scopo di fermarla.
Credo che si possa tentare di essere efficaci solo operando con la
nonviolenza attiva e assumendosi in prima persona le responsabilita' di
certi gesti, anche piccoli, ma che se praticati da tanti potrebbero
veramente mettere in difficolta' la "macchina bellica".
Alcune azioni richiedono una seria riflessione, preparazione, e capacita' di
assumere su di se' anche eventuali conseguenze legali, ma altre potrebbero
essere praticate veramente da tutti quelli che si dicono contrari alla
guerra (se ad esempio tutti quelli che erano presenti al corteo di Firenze
facessero qualcosa...).
A questo punto avrebbe senso coordinare la preparazione di queste azioni e
far sapere alle istituzioni, alle aziende e a tutti quanti fossero disposti
ad approvare o collaborare con le azioni militari, che se cosi' fosse, "noi"
saremmo pronti a mettere in campo almeno alcune di queste iniziative di
noncollaborazione, boicottaggio, disobbedienza civile, ecc.
Importante sarebbe secondo me anche stabilire contatti su proposte operative
con cittadini e organizzazioni pacifiste di altri paesi europei ed
americani. Chi ha conoscenze o contatti personali li potrebbe mettere in
campo.
Che ne dite?
E' possibile coordinarsi a livello locale e nazionale, sulla base e in
attuazione della campagna "scelgo la nonviolenza", o almeno ponendo la
nonviolenza come base dell'azione, ed in modo che ogni cittadino
potenzialmente possa fare almeno qualcosa?
4. MAESTRE. RENATE SIEBERT: PER FARE CARRIERA
[Da Renate Siebert (a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2000, p. 14. Renate Siebert, prestigiosa intellettuale, sociologa,
nata a Kassel nel 1942, allieva di Theodor W. Adorno, vive e lavora
nell'Italia meridionale, insegna Sociologia del mutamento presso
l'Universita' di Calabria. Opere di Renate Siebert: oltre a Frantz Fanon e
la teoria dei rapporti tra colonialismo e alienazione, Feltrinelli, Milano
1970, e ad Interferenze, Feltrinelli, Milano 1979 (in collaborazione con
Laura Balbo), tra le opere recenti segnaliamo: E' femmina pero' e' bella,
Rosenberg & Sellier, Torino 1991; Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano
1994 (poi Est, 1997); La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1995; Mafia e quotidianita', Il Saggiatore, Milano 1996; Andare
ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997 (intervista ad Assia
Djebar); Cenerentola non abita piu' qui, Rosenberg & Sellier, Torino 1999;
(a cura di), Relazioni pericolose, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000]
Assenza di senso di colpa, deumanizzazione delle relazioni, freddezza
emotiva, una struttura psichica del "come se", cioe', debole ed
inconsistente. Ecco gli ingredienti dei profili maggiormente richiesti per
fare carriera nei traffici criminali del futuro: il traffico di persone, le
nuove schiavitu'.
5. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: UN SEMINARIO A PALERMO SU INDUISMO E
BUDDISMO
[Ringraziamo Augusto Cavadi (acavadi@lycos.com) per averci messo a
disposizione questo suo intervento, una cui versione ridotta e' apparsa
nell'edizione palermitana de "La Repubblica" del 16 gennaio 2003. Augusto
Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione civica, impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
Di buone ragioni per organizzare a Palermo un seminario di introduzione alle
religioni orientali (in particolare induismo e buddismo) ce ne sono almeno
tre.
La prima e', per cosi' dire, di ordine esistenziale. Le domande sul senso
della vita e della morte, della gioia e del dolore, ricorrono nelle epoche.
Per noi mediterranei sono disponibili essenzialmente le risposte delle
religioni del Libro (ebraismo, cristianesimo, islamismo) e, per ristretti
gruppi piu' fortunati, della filosofia "occidentale". Puo' essere
interessante, dunque, allargare - almeno ogni tanto - gli orizzonti ed
esaminare se le sapienze "orientali" piu' diffuse sul pianeta non abbiano
indicazioni preziose da offrire a chi si pone in atteggiamento di ricerca
nei confronti dell'avventura terrena.
Una seconda ragione la vedrei sul piano socio-culturale. Le strade della
nostra isola si vanno popolando - con soddisfazione da parte di alcuni, con
apprensione da parte di molti - di uomini e donne provenienti dal continente
asiatico: e' sempre piu' facile assumere come collaboratrice domestica una
signora induista o scoprire che l'autista del taxi segue i dettami del
buddismo. Questo intreccio di culture puo' rivelarsi produttivo, fecondo,
solo se avviene all'interno di una logica di rispetto reciproco: ma e' ovvio
che non ci puo' essere rispetto profondo se non si conosce davvero
l'identita' dell'altro. Un breve corso su induismo e buddismo (un corso
"laico", di informazione, che non costringa nessuno preliminarmente a farsi
adepto di una comunita', a rasarsi il capo o a velarsi il volto) e' dunque
un'occasione per alimentare quello spirito di tolleranza e talora persino di
accoglienza che, in genere, distingue (questa volta in positivo!) le regioni
meridionali da altre regioni italiane.
La Scuola di formazione etico-politica "Giovanni Falcone", che organizza
quattro incontri con cadenza settimanale presso il Gruppo di studio per la
qualita' della vita (via Notarbartolo 41), ha affidato il compito di
presentare le due religioni orientali ad Andrea Cozzo, uno dei piu' stimati
docenti della Facolta' di Lettere e Filosofia.
Egli e' noto non solo come studioso di lingua e letteratura greca, ma anche
per aver chiesto e ottenuto dal Consiglio di Facolta' di attivare un vero e
proprio corso sulla teoria e pratica della nonviolenza (valido a tutti gli
effetti giuridici come corso universitario).
Gia', la nonviolenza: tocchiamo qui una terza ragione dell'iniziativa. La
nostra terra e' anche terra di violenza, spontanea e soprattutto sistemica,
individuale ma anche istituzionale: nei nostri costumi i tratti della
mitezza caratteriale s'intrecciano, inquietantemente, con atteggiamenti
strutturalmente violenti nei confronti di uomini e cose, della bellezza
naturale ed artistica. In questo contesto una conoscenza seria,
spregiudicata, aggiornata di che cosa sia la nonviolenza come metodo per
affrontare i conflitti non potrebbe valutarsi certo come superflua. Ma si
tratta di una tradizione di pensiero e di azione che, per quanto esportabile
in differenti aree del mondo (ancora questa estate il sociologo Enzo
Sanfilippo ha riproposto le sue idee circa la possibile applicazione dei
criteri gandhiani alla lotta contro il sistema di potere mafioso), ha avuto
come culla l'India, la patria di Gandhi. Dunque per conoscere sin dalle
radici le linee portanti della nonviolenza non si puo' fare a meno di una
ricognizione, almeno sommaria, di che cosa abbiano proposto l'induismo (la
religione "con molti dei") ed il buddismo (la religione "con poco dio").
Magari alla fine ognuno restera' delle proprie convinzioni, ma si sara'
affacciato per qualche tempo fuori dalle finestre di casa: e avra' respirato
un'aria diversa. Avra' sperimentato, ancora una volta, che l'ascolto
dell'altro e' un esercizio che ci rende piu' consapevoli della nostra stessa
anima, delle nostre risorse e dei nostri condizionamenti storici: in ogni
caso, un po' migliori di come ci ha trovato.
6. RIFLESSIONE. CARMELA BAFFIONI: L'ALTRUI DECADENZA
[Da Carmela Baffioni, Storia della filosofia islamica, Mondadori, Milano
1991, p. 381. Carmela Baffioni e' docente universitaria di storia della
filosofia islamica, ha lavorato soprattutto sulla trasmissione dell'eredita'
classica nel mondo arabo-islamico]
Cio' che all'europeo potrebbe apparire segno di decadenza puo' essere
considerato dal musulmano segno di vitalita' spirituale; come pure viene
talora obiettato che l'ideale di vita musulmano non consiste in una
ipertrofica civilta' industriale, ma in una vita piu' semplice; donde
proprio l'adozione dei modelli occidentali verrebbe dai musulmani
considerata fattore di "declino".
D'altra parte, i rapporti fra colonizzatori e colonizzati non sono stati
certo teneri.
7. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: UN FILM SULLA VIOLENZA IN AMERICA
[Ringraziamo Franceco Comina (per contatti: f.comina@ilmattinobz.it) per
questo intervento. Francesco Comina e' giornalista e saggista, amico della
nonviolenza, impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel
1967, laureatosi con una tesi su Raimundo Panikkar, collabora a varie
testate. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi) 2000; ha contribuito al libro di AA. VV., Le
periferie della memoria; e ad AA. VV., Giubileo purificato]
Ci voleva un grande documentario come "Bowling for Colombine" (premio della
giuria a Cannes) per rivelare i motivi profondi dell'ancestrale spirito di
violenza che pervade gli Stati Uniti d'America, timone della democrazia
internazionale e bulldozer della pace sociale. E una domanda multipla
percorre in lungo e in largo tutto lo spazio della pellicola: perche' non in
Canada? Perche' non in Germania, in Turchia, in Giappone, in Gran Bretagna?
Perche' solo negli States avvengono, in media, ogni anno oltre 11.000 morti
per arma da fuoco? Perche' sono solo 165 quelle del vicino Canada, paese che
ha piu' o meno lo stesso giro d'armi e la stessa anima culturale americana.
E perche' sono solo 381 in Germania?
Il capolavoro del regista Michael Moore, faccia da americano stile
cornflakes e viedogiochi, sta proprio nel dipingere l'affresco di una
societa' stritolata nella pressa della sua spasmodica ricerca di sicurezza e
dalla brutalita' delle misure adottate per mantenerla, una societa' che
cerca la vita con la morte, che vuole la liberta' incatenata, che nel
chiedere pace ordina la guerra e che nel predicare il bene lancia campagne
di male.
Il film e' il racconto senza fine dell'eterna contraddizione che brucia i
figli sulla bandiera a stelle e strisce del potere globale.
Come accadde in quel maledetto 27 aprile del 1999, leitmotiv del
documentario, quando due giovani collegiali uscirono dalla pista di boowling
per realizzare l'incubo della loro vita: massacrare i loro compagni di
classe con le armi che hanno comprato senza problemi al vicino supermercato.
La voce del presidente Clinton ha appena annunciato di aver ordinato ai
caccia americani di riversare sul Kosovo un inferno di missili e bombe: per
la liberta', per la vita. I due ragazzi della Columbine school a Littleton,
in Colorado, sono pronti per dare l'ordine di un altro inferno: quello delle
pallottole da riversare contro i loro compagni di istituto. Entrano - le
telecamere li inquadrano - e in poco tempo uccidono dodici ragazzi e un
insegnante. Ne feriscono decine. Sparano sessanta munizioni e alla fine
rivoltano le armi contro di loro, interrompendo la tempesta di spari, urla e
sangue.
L'America si paralizza. Il giorno dopo parlano le due lingue della
contraddizione americana. Il padre di un ragazzo ucciso davanti ad un
gruppetto di famiglie urla il suo sdegno: "Mai piu', mai piu' un'altra
strage". Il potente magnate della National Rifle Association (organo che si
occupa della diffusione delle armi per uso domestico) urla il suo motto:
"Dalle mie fredde mani, morte". L'assemblea applaude e urla impazzita. "Si',
giusto, siamo con te".
Michael Moore entra nelle spirali assurde della violenza americana. I grandi
volti del giornalismo tengono banco nei talk show prendendo di mira, di
volta in volta, le varie facce della degenerazione culturale giovanile.
Nascono i mostri: il bowling incita alla violenza; la musica rock ammala le
menti; i videogiochi insegnano a sparare. E poi: mancano i metal detector
davanti alle entrate delle scuole; i genitori non insegnano ai figli la
tolleranza e il dialogo; e infine c'e' l'hashish, ci sono le pasticche, c'e'
l'alcool, la depravazione, il bullismo.
Ma a nessuno viene in mente di analizzare le derive dell'informazione
televisiva, che continua a promuovere scene dal vivo di violenza urbana dove
i poliziotti pestano, massacrano e uccidono i poveri neri delle sudicie
periferie metropolitane. Moore consiglia ad un potente ideatore di questi
filmati di cambiare soggetti e di seguire, per esempio, l'arresto di un
grande finanziere, coinvolto in truffe ai danni della collettivita'. Ma non
fa notizia, non c'e' violenza, si usano i guanti di velluto...
E allora gira, il regista col cappellino da baseball sulla testa. Entra nel
quartiere dove ha progettato il suo folle disegno di morte Timothy Mac
Veigh, il giovane estremista che ce l'aveva coi neri e con lo stato federale
e che ha deciso di far saltare in aria un palazzo ad Oklahoma City. Moore
interroga gi amici, che hanno conosciuto il giovane appassionato di bombe e
di polvere da sparo. Tutti, nel circondario, se ne stanno con l'arma da
fuoco sotto il cuscino. Nessuno si azzarda a condannare l'attentato
dell'amico. Si, non era giusto che arrivasse fin la', pero'...
Intanto la telecamera passa in rassegna la frenesia della sicurezza. Molti
cittadini si preparano, ogni giorno, per assaltare un potenziale nemico. Non
si sa dove ma c'e', da qualche parte, il bruto, il folle, il terrorista, il
maniaco, il ladro, il cecchino pronto per uccidere. Si iscrivono nelle
milizie private per sparare, sparare, sparare. Una famosa banca lancia una
campagna promozionale: "Se fai il conto da noi ti regaliamo un fucile". Il
legame fra la finanza e le lobby delle armi impazza.
Gruppi di giovani tentano la strada del commercio illegale d'armi cosi' che
anche i ragazzini possono acquistarle. E i quartieri si trasformano in
poligono di tiro.
E le cronache continuano a segnalare casi di omicidi nelle scuole. Nel
Michigan un bambino di sette anni, figlio di una donna povera costretta a
turni di lavoro massacranti per sopravvivere, si impadronisce della pistola
di uno zio, entra a scuola e uccide una sua compagna di banco. E' il caso
del piu' piccolo omicida degli Stati Uniti.
Qualcuno chiede un processo uguale a quello degli adulti. La madre vessata
da una legge assurda viene additata come un mostro. Intanto gli arsenali
d'armi di sterminio di massa vengono potenziati per le guerre preventive
ancora tutte da costruire. I missili escono dall'industria di fabbricazione
di notte, scortati da decine di poliziotti, passano davanti alla Colombine
school mentre i ragazzi dormono, e si preparano al viaggio verso l'obiettivo
dichiarato dal capo di stato maggiore: per massacrare il popolo nemico di
turno.
E c'e' Manhattan con gli aerei terroristi che fanno polvere delle Twin
Towers. E c'e' l'America che piange e si dispera perche' nonostante tutta la
frenesia della sicurezza, alcuni taglierini sono filtrati negli aerei
facendo tremare il piu' grande Paese del mondo. E la voce di Heston ripete:
"Dalle mie fredde mani, morte" mentre due ragazzi sopravvissuti alla strage
del college (uno paralizzato sulla sedia a rotelle e l'altro percorso da
decine di fori) decidono di restituire all'azienda produttrice tutte le
munizioni acquistate in un negozio di armi.
Michael Moore a questo punto decide di incontrare lui, Charlton Heston, il
"testimonial" delle multinazionali delle armi domestiche. Suona alla
residenza con campo da tennis e piscina facendosi passare come un suo fan.
Heston lo riceve, ma subito capisce con chi ha a che fare. Non riesce piu' a
parlare, diventa pallido, tremolante, terrorizzato, prigioniero di se
stesso. Ad un certo punto interrompe la conversazione ritirandosi. Moore gli
mostra la foto della bambina uccisa nella scuola del Michigan. Non la prende
e sparisce in casa. Moore la lascia appoggiata ad una colonna nel cortile.
Heston e' l'icona malandata e spettrale della contraddizione terribile degli
Stati Uniti d'America, e' l'incubo del suo grande Paese. Ed e' anche la
risposta vivente alle domande iniziali del film: perche' 11.000 morti
all'anno per cause d'arma da fuoco negli States e non 165 come in Canada?
Bowling for Colombine dice tutto sull'America e sul suo spirito aggressivo.
Parla con le sue voci, racconta la sua storia, analizza le sue pulsioni e le
sue perversioni. E' un capolavoro d'autocritica, e' la storia della crisi di
un modello che ha finito per diventare lo spauracchio per tutti i popoli
della terra. Compreso il suo.
8. ESPERIENZE. CRISTINA PAPA: LA RETE E LA MEMORIA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento di Cristina Papa, che ne e' attivissima e sempre lucida
redattrice]
Nuova sede e nuove tecnologie per il "Centro documentazione donna" di
Modena, un interessante esempio di sinergia tra associazionismo femminile,
istituzioni locali e forze economiche della citta'.
Il 13 dicembre il Centro documentazione donna di Modena ha inaugurato la sua
nuova sede, 300 luminosi metri quadri nella palazzina dell'ex direzione del
Mercato Bestiame in via Canaletto 88 nel centro di Modena.
Presentata attraverso una conferenza stampa telematica, svoltasi
miracolosamente senza neanche un intoppo, la nuova sede ospitera' la
biblioteca (6.000 volumi catalogati e inventariati) e uno dei piu' grandi
archivi di materiali prodotti da donne singole o inserite all'interno di
associazioni femminili e femministe (oltre 2.000 raccoglitori di materiale
documentario, foto, manifesti, cassette audio e video, da tempo patrimonio
della citta', e ora finalmente fruibili con agio anche attraverso il
catalogo on line in fase di completamento).
Internet al servizio della memoria delle donne e la memoria delle donne al
servizio della citta' e delle nuove generazioni, insomma.
"E' proprio quello che intendevamo fare - dice Caterina Liotti presidente
del Centro documentazione donna - salvaguardare un patrimonio e farlo
conoscere. In questa nuova sede ristrutturata e messa a nostra disposizione,
con un notevole sforzo, dal Comune e grazie anche al contributo della
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e della Provincia, abbiamo spazi e
tecnologie avanzate. Necessita' che erano diventate urgenti per riuscire a
rispondere adeguatamente alla crescita dell'associazione, delle sue
attivita', dei servizi messi in campo e che la vecchia sede della "Casa
delle donne" di via del Gambero non riusciva piu' a contenere, anche se
andarcene non e' stato facile. Crediamo nell'importanza politica di un luogo
che possa accogliere e quindi essere anche spazio di incontro tra le
associazioni femminili del territorio".
Ed e' proprio il rapporto con il territorio l'aspetto piu' interessante di
quella che potremmo considerare una vera e propria scommessa, fatta insieme
dall'amministrazione comunale, le forze produttive e dalle donne della
citte' di Modena. La nuova sede rappresenta infatti un'avanguardia nel piu'
complessivo progetto di riqualificazione della zona dell'ex mercato del
bestiame, una riqualificazione non solo urbanistica ma anche sociale.
Una dimostrazione, secondo noi, di come una forte e radicata domanda
politica femminile possa riscrivere la geografia (sociale e urbanistica) di
una citta', sottraendosi al pericolo di perdere la propria radicalita' nella
mediazione isitituzionale.
Ma anche, ed e' questo forse il vero elemento di interesse dell'esperimento
modenese, un riconoscimento da parte delle istituzioni dell'importanza del
pensiero e della politica delle donne per il rinnovamento della citta', al
di la' di un immediato ritorno economico dell'attivita'.
Ritornando all'attivita' del Centro, merita di essere ricordato l'intenso
lavoro di ricerca storica che in questi anni ha dato vita alla collana
editoriale "Storie differenti", di cui dal '98 ad oggi sono gia' usciti sei
volumi dedicati a temi di storia locale dimenticati dalla storiografia
ufficiale.
La nuova sede ospitera' anche il Laboratorio Ph 7, il corso di politica per
donne, giunto ormai alla sua quinta edizione, decentrato negli anni passati
nelle sedi di quartiere.
Grazie ai significativi investimenti destinati all'innovazione tecnologica,
l'utenza potra' fruire di consulenza bibliografica ed archivistica, accedere
al prestito, nonche' ai corsi di formazione e informazione sui temi delle
pari opportunita' e della conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di
lavoro. Attivita' questa che si affianchera' allo Sportello InformaDonna,
attivo gia' da qualche anno (aperto tutti i giorni tranne il mercoledi'
pomeriggio, in Piazza Grande).
Ultimo in ordine di tempo l'innovativo laboratorio di ricerca sociale
PercorsoDonn@, nato nell'ambito di un progetto Equal, una vera e propria
"officina di sperimentazioni" che attraverso azioni culturali, formative e
di orientamento punta ad incidere sulla organizzazione del lavoro in
un'ottica di genere. Il laboratorio funzionera' anche come sensore per la
raccolta dei bisogni delle donne tramite un servizio di front office, ma
anche tramite l'impiego di sofisticate tecnologie di Contact center
multicanale capaci di garantire una comunicazione sincrona tra soggetti
posti in luoghi diversi con un livello di interattivita' che coinvolge voce,
chat, telefono, web, fax, sms, guidando un utente in difficolta' e
condividendo files, video, testi, filmati.
Il sito, http://www.comune.modena.it/associazioni/cddonna/, che conta circa
6.000 contatti al mese consentira' anche a chi vive in un'altra citta' di
seguire l'attivita' del Centro. Non scordate di segnarlo tra i vostri
preferiti.
9. LUTTI. CECILIA BELLO MINCIACCHI: LA SCOMPARSA DI EMILIO VILLA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 gennaio 2003]
Negli ultimi anni, ostinatamente, andava cancellando il suo nome da tutti i
suoi scritti, editi e inediti, che gli tornavano fra le mani, in un continuo
rileggere/riscrivere le sue tante lingue, vive e morte.
Cancellava i dati materiali, le gia' scarne e spesso volutamente depistanti
notizie in calce ai suoi testi. Nome - autoriale e non - e attendibilita'
biografica non lo avevano interessato mai. Esortava a fare e poi a
distruggere. Evento del transeunte.
Il nome di Emilio Villa corre, e' corso troppo spesso marginale o
sotterraneo negli anni lunghi della sua vita e della sua energica, scontrosa
e fiera attivita' di poeta, traduttore, artista e critico d'arte di sguardo
acuto quanto lungimirante. Lo stesso Calvesi riconobbe a Villa la scoperta,
tra i tanti, di Burri; di impatto straordinario fu Attributi dell'arte
odierna. 1947-1967 (Feltrinelli, 1970).
Un'attivita' poliedrica volutamente in ombra ma generosa di se'; fertile, a
volte affastellata come la sua scrittura ondivaga e onnivora che pullulava
su pagine e carte usate, d'occasione o di recupero, di cui fagocitava tutti
gli spazi bianchi. Sorta di esemplare ossimoro tra la necessita' imperiosa
della scrittura (a volte in irridente maschera di vaticinio) e l'assoluta
casualita' del mezzo. Si e' comportato un po' da clandestino, Villa, da
studioso affilatissimo quanto eslege, qual era. E dalla clandestinita' in
cui una critica ufficiale priva di membrana vibrante l'aveva lasciato,
malgrado una sperimentazione accanita che sbriciolava per davvero le
barriere fra le arti e i saperi e mescidava idiomi in concrezioni inaudite,
Villa non e' mai veramente emerso. Neppure quando Feltrinelli ha avuto il
coraggio (e il buon gusto) di riproporre la sua traduzione dell'Odissea
(oggi di nuovo quasi irreperibile), quando Aldo Tagliaferri - antico
conoscitore dell'opera di Villa nonche' di finissimi dettagli della sua
biografia - ha curato diversi volumi di poesie, tra tutti Opere poetiche
(Coliseum '89), poi una retrospettiva al Pecci di Prato ('96), un numero
monografico del "Verri" ('98).
Le notizie su Villa correvano per tradizione orale, spesso mitizzate o
distorte - da lui stesso per burla intorbidate o mai chiarite. Di
quest'autore detto morto anzitempo - gia' nel 1986 - si e' parlato spesso a
sproposito o, piu' spesso, si e' taciuto. Anche quando era per molti termine
fisso, ma coperto, di una sperimentazione esemplare: penso a 17 variazioni
su temi proposti per una pura ideologia fonetica (1955, in collaborazione
con Burri), Heurarium (1961), Villadrome (1964), Le monde Frotte' Foute
(1970, con 6 tavole di Claudio Parmiggiani), le mura di tebe (1981). Una
sperimentazione unica, quale la conoscenza dell'ugaritico,
dell'assiro-babilonese, oltre che di greco, latino, francese, inglese,
portoghese e dei linguaggi delle arti visive, gli permetteva. In latino
scriveva Sibyllae e Verboracula (quest'ultima ora in Zodiaco, 2000, forse
l'ultimo libro edito in vita), aggrediva il francese scrivendolo come "un
negro di Dakkar" ma giocando finemente con gli omofoni, in un delirio
grammatical-sintattico di inesauribile polisemia. L'italiano, dato lo stato
della nostra patria cultura, gli era nemico, "un segno di schavitu'".
Era fortemente protestatario: dietro l'enormita' del rapporto di Villa con
la propria lingua nazionale, esisteva un'insofferenza innata alle
coercizioni manifeste o sotterranee del mercato, oltre a una sempre
rinnovata vocazione antiaccademica. Vocazione che ha tenuto Villa, di
splendida cultura classica e di formazione seminariale, fuoriuscito dal
Pontificio Istituto Biblico, laicissimo traduttore della Bibbia restituita
al suo valore letterario prima che religioso - "bibbia", con desacralizzante
minuscola - lontanissimo dagli sclerotizzanti stilemi della critica
blasonata e dispotica, dai molti poco critici brusii effimeri e
dell'effimero.
10. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: GUARDANDO INDIETRO E PORTANDO TUTTO A CASA
Sono di quelli che pensano che sia possibile che il regime dittatoriale
iracheno abbia armi di sterminio di massa. Le uso' contro i kurdi quando era
l'amico dell'amico americano e l'Italia lo riforniva di armi. Non mi
stupirebbe ne avesse tuttora. Quel che contesto in radice e' che il possesso
di armi di sterminio di massa da parte di uno stato sia ragion sufficiente a
scatenare una guerra: con questa logica occorrerebbe bombardare innanzitutto
gli Stati Uniti d'America che tale tesi propugnano.
E sono di quelli che pensano che non possa essere ragion sufficiente a
scatenare una guerra neppure il fatto che il governo di uno stato sia o sia
stato complice di terroristi: perche' con questa logica occorrerebbe
bombardare l'Italia, al cui governo non e' mancato (e chissa' quando vi
sara' un governo in cui manchi) chi ha avuto rapporti con la mafia, e chi ha
promosso o coperto le stragi di stato; ed occorrerebbe bombardare ancora una
volta gli Usa il cui governo di tale tesi e' assertore, paese la cui
amministrazione volta a volta e' stata complice decisiva di crimini
inenarrabili ai quattro angoli del pianeta, dal golpe dell'11 settembre 1973
in Cile, al sostegno ai gruppi fondamentalisti islamici quando Bin Laden era
considerato "un combattente per la liberta'" che e' il titolo che si concede
senza esitazioni anche ai terroristi e ai malavitosi piu' feroci quando
lavorano per gli interessi statunitensi (cosi' per l'Uck, ed in infinite
altre vicende).
Sono di quelli che pensano che alla guerra occorre opporsi sempre, poiche'
sempre essa non altro e' che esecuzione di omicidi di massa, strage di
innocenti, crimine contro l'umanita'. Ed a maggior ragione occorre opporsi
alla guerra quando essa puo' provocare la distruzione della civilta' umana,
che e' la situazione precisa e angosciante in cui ci troviamo nell'epoca
aperta da Auschwitz e da Hiroshima, epoca che - ci spiego' Guenther Anders,
una volta per sempre - non finira' se non con la fine stessa della civilta'
umana.
Ma opporsi alla guerra sempre ha una implicazione necessaria: che occorre
opporsi altresi' agli eserciti e alle armi, che della guerra sono gli agenti
e gli strumenti, che con la loro stessa esistenza anche in tempo di presunta
pace sono gia' la guerra in potenza - e per molti versi in atto.
*
Ho la ventura di esser di quelli che si batterono contro le forniture di
armi italiane a Saddam Hussein quando quel dittatore era sostenuto dagli
americani e dal nostro paese; ero tra quelli che allora denunciavano i
crimini del regime iracheno, e la compliciita' italiana con esso. Sono stato
il principale organizzatore delle manifestazioni nonviolente che qualche
decennio fa si opposero alle mostre mercato di armi che avevano luogo nel
poligono militare di Monteromano (Vt) col Ministero della Difesa che faceva
da maitresse agli affari sporchi (e dagli esiti necessariamente assassini)
delle industrie armiere in combutta con regimi violatori dei diritti umani,
dittatoriali e fin genocidi.
Ed ho la ventura di esser di quelli che quando si scateno' la guerra del
Golfo cercarono di contrastarla contrastando la partecipazione italiana ad
essa; lo facemmo in nome della Costituzione della Repubblica Italiana, della
Carta dell'Onu, del diritto internazionale, e lo facemmo proponendo
l'impegno nonviolento contro la guerra.
*
Se ripenso alla guerra del Golfo di dodici anni fa la prima cosa che mi
viene in mente e' questa: eravamo cosi' sprovveduti. Nel senso di sprovvisti
di una preparazione e di una strumentazione adeguate a fronteggiare la
guerra: per quanto pessimisti potessimo essere, non avevamo mai pensato che
l'Italia potesse nuovamente trovarsi coinvolta in una guerra dopo la fine di
quell'immane carneficina che fu la seconda guerra mondiale, ed in presenza
di una legge fondamentale dello Stato che la guerra esplicitamente ripudia;
nei decenni precedenti ci eravamo battuti contro guerre che avevano luogo
altrove, e in casa nostra piuttosto contro il riarmo giacche' l'Italia in
guerra non credevamo possibile; ci eravamo illusi che nessun governo e
parlamento e capo dello stato sarebbero stati cosi' felloni e perversi da
farsi epigoni di Mussolini. Cosi' perdemmo tempo prezioso (i mesi che
andarono dall'invasione del Kuwait all'inizio dei bombardamenti sull'Iraq)
in iniziative inadeguate e inutili, e non sapemmo costruire un fronte ampio
che facendo perno sulla difesa dell'articolo 11 della Costituzione
smascherasse che la partecipazione italiana alla guerra configurava un
golpe, e chiarisse che una strage e' una strage, ed ottenesse il recedere
dell'Italia dal partecipare ai massacri venienti.
Ed eravamo cosi' sprovveduti anche nel senso che durante la guerra non
sapemmo spostare il sempre piu' assottigliantesi movimento pacifista
italiano dalle parate cittadine sempre piu' esigue e piu' risibili e dalle
ciance tanto roboanti quanto ininfluenti verso cio' che solo occorreva a
quel punto giunti: l'azione diretta nonviolenta contro la guerra, in difesa
della legalita' costituzionale e della vita e della dignita' degli esseri
umani, che venivano uccisi mentre le popolazioni rimbambite del ricco e
panottico occidente vedevano in tivu' null'altro che le riprese dereistiche
di puntini verdi e si bevevano che la guerra fosse solo un videogame.
Ricordo la fatica e l'angoscia di quei giorni e quelle notti: l'opposizione
alla guerra che all'inizio era impeto morale di molti scemava rapidamente;
quelli che cercammo di organizzare una resistenza in nome della legge e con
l'azione diretta nonviolenta ci trovammo, pochi del resto, sui banchi degli
imputati all'incirca un anno dopo con imputazioni a dir poco oltraggiose.
Per buona sorte - e grazie a una vasta solidarieta' da padre Balducci a
Danilo Dolci a innumerevoli altre e altri, e grazie anche alla difesa di
Alfredo Galasso - venni assolto.
*
Avevo ben chiaro tutto questo anche nel '99: neppure allora riuscii a
persuadere l'insieme del movimento pacifista italiano a fare quel che solo
occorreva, riuscii soltanto con pochi amici a darne l'esempio, ma non basto'
(ed anche allora aver proposto e realizzato un'azione diretta nonviolenta -
che per qualche ora fermo' ad Aviano i decolli dei bombardieri - mi frutto'
un procedimento penale, anch'esso per mia fortuna conclusosi senza danni).
*
La guerra del Golfo del '91 segno' in Italia anche la bancarotta del
pacifismo istituzionale e di quello parolaio, festaiolo e da corteo. Un
pacifismo inconcludente e carrierizio, ambiguo e ciarlatano, che e' stato
complice anche, con la sua insipienza e la sua corruzione, le sue ambiguita'
teoriche e pratiche, delle guerre successive, del '99 e del 2001.
Un pacifismo inconcludente e carrierizio, ambiguo e ciarlatano, che oggi
ancora una volta tiene banco, e rischia di corrompere tante persone generose
quanto ingenue. E distrarle da cio' che invece occorre scegliere, preparare
e fare.
E cio' che occorre scegliere, preparare e fare e' facile da dire in due
parole (mentre e' difficilissimo da mettere in pratica): preparare la
resistenza nonviolenta alla guerra, in difesa della legalita' costituzionale
e del diritto internazionale, in difesa delle concrete vite umane dalla
guerra minacciate, e dell'umanita' intera che nella sua interezza e' dalla
guerra minacciata.
Altri giochino a lanciare slogan tanto imbecilli quanto futili ed
autolesionisti (ad esempio: il farneticante "siamo tutti sovversivi"); altri
perdano tempo a far le sfilate col chitarrone e il mandolino; altri giochino
a travestirsi da sottoproletari mentre campano di soldi pubblici e di
pubbliche prebende e di ben rimpannucciate carriere e privilegi; altri
giochino a riprodurre il militarismo (le folli "dichiarazioni di guerra", e
poi i proclami di vittoria mentre il sangue era ancora fresco per le strade;
le manifestazioni in cui si recita la guerriglia urbana ad uso dei media e
poi qualcuno - piu' ingenuo o piu' sfortunato degli altri - si trova
rovinata per sempre la vita; le provocazioni di mascalzoni che in capo a
qualche anno indefettibilmente te li ritrovi in parlamento o nelle redazioni
o sulle cattedre - se gia' non vi sono quando recitano le loro tragiche
farse - o almeno almeno in qualche commissione istituita dal governo o
dall'assessore in carica per foraggiare un po' di amici e amici degli
amici). Altri giochino, e quel gioco ancor ci offende.
Noi proponiamo invece un'altra cosa, anzi cinque, da preparare subito
poiche' il tempo stringe, e da discutere a fondo poiche' si tratta di scelte
impegnative che non possono esser fatte a cuor leggero:
a) la scelta della nonviolenza, senza di cui non si da' azione per la pace
che possa dirsi onesta e persuasa; la scelta della nonviolenza, che implica
il prender sul serio le nostre idee e il rigorizzare le nostre condotte; la
scelta della nonviolenza, che impone la necessita' della formazione e
dell'addestramento alla nonviolenza, un processo di chiarificazione e di
coscientizzazione non breve ne' facile, studio e discussione, lavoro e
fatica;
b) l'azione diretta nonviolenta, che sola puo' contrastare la guerra
concretamente, operativamente, in modo limpido e rigoroso; e che puo' esser
realizzata solo da persone alla nonviolenza accostatesi per tempo e
intimamente persuase di essa, ed all'azione nonviolenta stessa lungamente
preparatesi;
c) la disobbedienza civile di massa, che paralizzi i poteri che allo
scatenamento della guerra presiedono; e che deve essere studiata e preparata
con una lunga e profonda discussione pubblica, che coinvolga tutti i
soggetti coinvolti (ed e' incompatibile con le solite ignobili modalita'
autoritarie e spettacolari con cui vengono lanciati tanti appelli e tante
campagne che sarebbero comiche se non avessero esiti nefasti e sovente fin
tragici);
d) lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra scatenata, fino alle
dimissioni del governo che la guerra promuove ed avalla;
e) la denuncia alla magistratura ordinaria e la richiesta di intervento
delle forze dell'ordine per arrestare quelle persone che investite di
pubblici poteri a cio' efficienti avessere deciso ed avallato l'ingresso del
nostro paese in una guerra illegale e criminale ai sensi dell'articolo 11
della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico.
*
Vivamente spero che la guerra possa essere fermata, e credo fermamente che
se il nostro paese prendesse ufficiale posizione - come il dettato della
Costituzione impone - contro di essa potrebbe condizionare anche altri paesi
i cui governi oggi guidati da delinquenti cinici e sadici come quel giovine
inglese e quel figlio di presidente americano stanno facendo di tutto per
arrivare alla catastrofe.
Ma se non riusciremo a fermarla prima, occorrera' cercare di fermarla anche
quando sara' scoppiata, e per fermarla avremo a disposizione pressoche' solo
le iniziative che ho elencato sopra, che richiederanno addestramento vero,
rigore intellettuale e morale, e se posso usare la brutta parola: anche
quella cosa che chiamiamo coraggio, e disponibilita' a subire le eventuali
spiacevoli conseguenze che sempre sono nel conto quando si sceglie la
nonviolenza, che e' la lotta piu' nitida ed intransigente contro la violenza
(e intendo conseguenze come arresti, condanne, detenzioni: da accettare come
e' dovere di ogni amico della nonviolenza).
11. RILETTURE. EDGARDA FERRI: IL PERDONO E LA MEMORIA
Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli, Milano 1988, pp. 270.
L'autrice incontra e dialoga con i familiari di vittime della Shoah e degli
eccidi della guerra, delle mafie e del terrorismo.
12. RILETTURE. CLAUDINE VEGH: NON GLI HO DETTO ARRIVEDERCI
Claudine Vegh, Non gli ho detto arrivederci, Giuntina, Firenze 1981, pp.
168. I colloqui dell'autrice con i figli delle vittime della Shoah. Con una
postfazione di Bruno Bettelheim.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 480 del 18 gennaio 2003