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La nonviolenza e' in cammino. 478



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 478 del 16 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo, la cultura del dominio (e alcuni antidoti)
2. Coordinamento comasco per la pace, apriamo luoghi di pace
3. Da Genova no preventivo alla guerra preventiva
4. Pax Christi, una giornata di preghiera e di digiuno per la pace
5. Amelia Alberti, ancora di lupi e di agnelli
6. Carlo Schenone: il porcellino Babe, la televisione e la nonviolenza
7. Patricia Lombroso intervista Rick Halperin
8. Luciano Dottarelli recensisce "Islam e democrazia" di Fatema Mernissi
9. Monica Farnetti recensisce "Approfittare dell'assenza" di Diotima
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: LA CULTURA DEL DOMINIO (E ALCUNI
ANTIDOTI)
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo@tvol.it) per questo
intervento. Maria G. Di Rienzo e' una prestigiosa intellettuale femminista,
saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha svolto rilevanti
ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia
Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento
delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in
difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
La cultura del dominio e' presente anche nelle organizzazioni che si
propongono di cancellarlo. Le caratteristiche che di seguito vi elenco sono
dannose perche' vengono usate normalmente come standard o regole "gia'
date".
*
Perfezionismo
Scarso apprezzamento espresso dalle persone per il lavoro di altre persone;
l'unico apprezzamento espresso e' usualmente diretto a coloro che godono
comunque di credito.
- Molto piu' comune e' sottolineare l'inadeguatezza di persone o del lavoro
di persone.
- Ancora piu' comune e' il parlare ad altri di tali inadeguatezze e non
parlarne direttamente alle persone in questione.
- Gli errori sono visti come "la persona": si riflettono negativamente su di
essa, impedendo che li si veda per cio' che sono, errori. Fare un errore
viene confuso con l'essere un errore, il fare qualcosa di sbagliato con
l'essere qualcosa di sbagliato.
- Scarsita' di tempo e scarsita' di energia e risorse messe nella
riflessione sugli errori, nell'identificare le lezioni che si possono
apprendere da essi: in altre parole, nessuno impara dagli errori.
- Tendenza ad identificare cio' che e' sbagliato; pochissima capacita' di
identificare, nominare ed apprezzare cio' che e' giusto.
Antidoti al perfezionismo: sviluppate una cultura dell'apprezzamento, in cui
il gruppo si prende tempo per assicurarsi che il lavoro e gli sforzi delle
persone siano apprezzati; sviluppate un gruppo aperto all'apprendimento, ove
ci si aspetti con tranquillita' che chiunque faccia errori e questi errori
divengano un'opportunita' di imparare: spesso gli errori ci guidano verso
risultati positivi; separate la persona dall'errore; quando valutate
un'azione, parlate di ci' che ha funzionato oltre che di cio' che non ha
funzionato; chiedete alle persone che hanno critiche di offrire assieme ad
esse suggerimenti per fare le cose in modo differente.
*
Senso di urgenza, fretta
Il continuo percepirsi in "emergenza" rende difficile trovare il tempo di
essere inclusivi, di incoraggiare la presa di decisioni in modo democratico
e riflessivo, di pensare alle conseguenze a lunga scadenza delle azioni.
- Frequentemente questo ha il risultato di sacrificare o allontanare
potenziali alleati, allo scopo di ottenere visibilita' ampia e veloce.
- E viene rinforzato da progetti di investimento che comportano moltissimo
lavoro a fronte di un rientro minimo, e dalla frustrazione di chi ne viene
incaricato, che si aspetta molto ed otterra' poco.
Antidoti all'urgenza: piani di lavoro realistici; capire che un'azione
efficace richiede piu' tempo di quanto ci piacerebbe; discutere e
pianificare all'interno del gruppo il raggiungimento degli scopi
dell'inclusivita' e del riconoscimento/rispetto delle differenze; imparare
dalle passate esperienze, dal tempo che hanno preso; sviluppare progetti di
investimento realistici, con altrettanto realistiche prospettive temporali;
essere chiari sul modo di prendere buone decisioni velocemente in caso di
necessita'.
*
Stare sulla difensiva
La struttura del gruppo e' tale che molta energia viene spesa nel difendersi
da possibili abusi e nel proteggere il potere cosi' com'e', anziche'
facilitare i modi per cui ogni persona possa dare il meglio di se', e senza
che vi sia chiarezza su che potere ha chi ce l'ha, e come ci si aspetta che
egli/ella lo usi.
- La critica al potere e' vista come minacciosa, inappropriata o maleducata.
- Le persone rispondono ad idee nuove o che comportano delle sfide stando
sulla difensiva, e cio' rende molto difficile che tali idee vengano espresse
o sostenute.
- Molta dell'energia del gruppo e' spesa nel tentare di non urtare i
sentimenti altrui, o nel lavoro per discutere con persone sulla difensiva.
- Lo stare sulla difensiva di persone che detengono potere crea una clima ed
una cultura oppressivi.
Antidoti allo stare sulla difensiva: capire la connessione fra lo stare
sulla difensiva e la paura (di perdere il potere, di perdere la faccia, di
perdere comfort, di perdere privilegi); lavorare sui propri meccanismi
difensivi; dare fiducia alle altre persone, la fiducia che possano gestire
piu' cose di quante pensate; discutere su come lo stare sulla difensiva si
traduca nel minor emergere di nuove idee e prospettive rispetto alla
"mission" del gruppo.
*
La quantita' piuttosto della qualita'
Tutte le risorse del gruppo sono dirette verso scopi "misurabili",
"pesabili". Le cose che possono essere misurate vengono valutate molto di
piu' delle altre: per esempio, il numero di persone presenti ad un incontro,
il numero di newsletter circolate, l'ammontare di denaro speso... a tutto
cio' viene dato maggior valore rispetto alla qualita' delle relazioni, alla
democrazia del processo decisionale, alla capacita' di gestire
costruttivamente il conflitto.
- Nessun valore attribuito al processo decisionale: non puo' essere
misurato, non serve a niente.
- Disagio rispetto all'espressione di emozioni e sentimenti.
- Il non capire che quando vi e' un conflitto fra il contenuto (l'ordine del
giorno dell'incontro) e il processo (il bisogno delle persone di essere
ascoltate o coinvolte), il processo prevarra': per esempio, voi potete
esaurire tutto l'ordine del giorno, ma se non avete prestato attenzione alla
necessita' delle persone di essere ascoltate, le decisioni prese
all'incontro sono deboli, e verranno disattese.
Antidoti alla quantita': includere come scopo nella pianificazione un
processo decisionale di qualita'; assicurarsi che il gruppo abbia uno
"statuto dei valori" in cui siano espressi i modi in cui volete fare il
vostro lavoro, e che tale documento sia uno strumento "vivo", che le persone
usano di giorno in giorno per orientarsi; cercate metodi per misurare come
raggiungete gli scopi del processo decisionale scelto (se ad esempio
l'inclusivita' e' uno di essi, pensate a sistemi per capire se l'avete
raggiunta oppure no, e in che misura); imparare a riconoscere quei momenti
in cui e' necessario uscire dall'ordine del giorno e rispondere alle
preoccupazioni inespresse delle persone.
*
Adorazione della parola scritta
- Se non c'e' nel verbale, o in un appunto, non esiste.
- Il gruppo non valuta o contempla altri modi in cui le informazioni possono
essere condivise.
- Le persone fortemente documentate o capaci di scrivere sono valutate di
piu', anche nei gruppi in cui l'abilita' nel tessere relazioni con altri e'
la chiave della "mission" del gruppo.
Antidoti all'adorazione della parola scritta: prendersi il tempo per
analizzare come le persone, dentro e fuori l'organizzazione, ricevono e
condividono informazioni; pensare a modi alternativi per documentare quanto
sta accadendo; lavorare per il riconoscimento di tutti i contributi e le
abilita' che ogni persona porta al gruppo.
*
Un solo modo e' quello giusto
E' il credere che esista un solo modo corretto per fare le cose, e che
spiegandolo alle persone esse "vedranno la luce" e lo adotteranno.
- Quando le persone non si adattano o non cambiano, allora c'e' qualcosa di
sbagliato in loro, non in noi, che conosciamo il "giusto" modo.
- Allo stesso modo di chi intende catechizzare gli altri alla propria fede,
i valori delle altre comunita' non vengono "visti".
Antidoti a un solo modo: accettare che c'e' piu' di una maniera per giungere
allo stesso risultato; una volta che il gruppo ha preso una decisione su
quale modo adottare, onorate quella decisione e cercate di capire cosa voi e
l'organizzazione potrete imparare su quella strada; quando notate la
tendenza di una persona o di piu' persone a "spingere" in continuazione
sullo stesso punto, perche' vi e' "un solo modo giusto", nominatela; quando
lavorate con comunita' di cultura diversa dalla vostra, mettete in chiaro
che il vostro gruppo deve apprendere i modi di agire di tale comunita': non
presumete mai, ad esempio, che perche' siete anti-razzisti, sapete cos'e'
meglio per una comunitą di migranti.
*
Paternalismo
Il modulo decisionale e' chiaro a chi ha il potere e non chiaro a coloro che
ne sono privi.
- Coloro che detengono il potere pensano di essere capaci di prendere
decisioni anche nell'interesse di coloro che ne sono privi.
- Queste stesse persone spesso non pensano che sia importante o necessario
capire i punti di vista e le esperienze di coloro per i quali prendono
decisioni.
- Le persone prive di potere non comprendono in che modo le decisioni si
formano, ma hanno completa familiarita' con l'impatto che le decisioni hanno
su di loro.
Antidoti al paternalismo: assicuratevi che ciascuno sappia e capisca come si
prendono le decisioni nell'organizzazione, che livello di responsabilita' ha
ciascuno; includete le persone su cui si prendono le decisioni nel modulo
decisionale.
*
Il pensiero o/o
Le cose sono: o/o, buone/cattive, giuste/sbagliate, con noi/contro di noi.
E' strettamente collegato al perfezionismo nel rendere difficile imparare
dagli errori o risolvere un conflitto.
- Non si immagina neppure che le cose possano essere "entrambe" o "e/e".
- Si tenta di semplificare cose complesse, e il risultato e' per esempio il
credere che la poverta' sia semplicemente una mancanza di
scolarita'/educazione.
- Crea il conflitto, e aumenta il senso d'urgenza, perche' le persone
sentono che devono prendere decisioni per fare questo o quello, senza che
sia offerto tempo o incoraggiamento a considerare alternative.
Antidoti al pensiero o/o: quando le persone usano questo tipo di linguaggio,
chiedete loro di offrire piu' di due alternative; non semplificate questioni
complesse, particolarmente se una decisione urgente dev'essere presa:
rallentate, spingete verso un'analisi piu' profonda; quando le persone si
trovano di fronte alla necessita' di prendere una decisione urgente, fate
una pausa e date loro spazio per pensare creativamente; evitate di prendere
decisioni sotto pressione.
*
Accumulo di potere
Scarso o addirittura nessun valore conferito alla condivisione del potere.
- Il potere e' visto come "limitato": ce n'e' solo quel tanto.
- Coloro che lo detengono si sentono minacciati ogni volta in cui qualcuno
suggerisce cambiamenti sulle azioni del gruppo, perche' i suggerimenti di
cambiamento si riflettono sulla loro leadership.
- Sempre costoro, non ritengono di accumulare il potere su se stessi, ne'
percepiscono che li si teme.
- I detentori del potere pensano di avere le migliori intenzioni, e
l'interesse primario del gruppo a cuore, e che chi vuole un cambiamento e'
male informato, stupido, emotivo, privo di esperienza.
Antidoti all'accumulo di potere: includere nello statuto dei valori del
gruppo la condivisione del potere; discutete sul fatto che se volete
smantellare il dominio dovete cominciare da voi stessi, condividendo
responsabilita', capacita', esperienze; accettate il fatto che i cambiamenti
sono inevitabili: portano delle sfide, ma sono sani e produttivi;
assicuratevi che il gruppo sia focalizzato sulla "mission".
*
Paura del conflitto aperto
Si teme il conflitto, si tenta di ignorarlo, o lo si fugge.
- Quando qualcuno solleva un problema che causa disagio, la risposta e'
biasimare quella persona, anziche' discutere di che istanza sta alla base
del problema stesso per risolverlo.
- Enfasi sull'essere educati, o "in linea".
- Scenari minacciosi vengono prospettati (ad esempio: "Stai spaccando il
movimento!").
Antidoti alla paura del conflitto: provate "giochi di ruolo" che simulino il
conflitto prima che questo si presenti veramente; distinguete fra l'essere
corretti e il sollevare istanze difficili; non chiedete a chi solleva queste
ultime di farlo in modi "accettabili" per evitare che le istanze vengano
discusse; quando il conflitto e' risolto, prendetevi l'opportunita' di
analizzarlo e di vedere se poteva essere gestito in altri modi.
*
Individualismo
Scarsa esperienza nel lavoro di gruppo, o disagio nel lavoro stesso.
- Le persone che fanno parte dell'organizzazione pensano di essere
responsabili del dover risolvere i problemi da sole.
- Le responsabilita' non sono mai precise, vagano di qua e di la'.
- Conduce all'isolamento.
- La competizione e' valutata meglio della cooperazione, poco tempo e poche
risorse vengono dedicate all'apprendere le abilita' necessarie a cooperare.
Antidoti all'individualismo: includete la capacita' e la volonta' di
lavorare in gruppo nel vostro "statuto dei valori"; assicuratevi sempre che
il gruppo stia lavorando per conseguire obiettivi condivisi e che le persone
capiscano come il lavorare insieme faccia ottenere migliori risultati; date
riconoscimento a tutti quelli che partecipano allo sforzo collettivo, non
solo alle persone maggiormente "pubbliche"; create una cultura interna al
gruppo per cui le riunioni divengano il luogo della risoluzione dei
problemi, non solo il luogo in cui si riportano le azioni compiute.
*
Io son il solo
Connessa all'individualismo, e' la convinzione che "se voglio che qualcosa
sia fatto bene devo farlo io".
- Scarsa o nessuna capacita' di delegare il lavoro ad altri.
Antidoti a "io sono il solo": date valore alla capacita' di lavorare in
gruppo, di raggiungere obiettivi condivisi; date riconoscimento alla
capacita' di delegare ad altri.
*
Progredire significa "piu' grande", "di piu'"
Presente nei sistemi di valutazione delle azioni e nei modi in cui si
definisce il successo di un'azione.
- Un gruppo che progredisce e' un gruppo che si espande (aggiunge attivisti,
aggiunge progetti) o sviluppa la capacitą di "servire" piu' persone (senza
tener conto di quanto bene le serve).
- Non si da' alcun valore, nemmeno negativo, al costo di tale "progredire",
alla qualita' delle azioni, a quanti in nome di questo "di piu'" vengono
esclusi od espropriati.
Antidoti al progredire significa "piu' grande": provate con "la riflessione
sulla settima generazione", ovvero chiedendovi come le azioni del gruppo
influiranno sulle persone fra sette generazioni a partire da ora;
assicuratevi che ogni analisi costi/benefici includa tutti i costi, non solo
quelli finanziari: per esempio il costo in etica, il costo in credibilita',
il costo in consumo delle risorse; fate in modo che i vostri progetti
includano la trasmissione di come volete fare quello che fate, dei metodi
che usate; chiedete a coloro per i quali lavorate di dare una valutazione
sulle vostre azioni.
*
Oggettivita'
E' il convincimento che esista qualcosa come "l'essere oggettivi".
- Le emozioni sono intrinsecamente distruttive, irrazionali, e non devono
avere posto nel processo decisionale.
- Invalidare l'esperienza di coloro che mostrano emozioni.
- Richiedere alle persone di pensare in modo "lineare" ed ignorare o
delegittimare coloro che pensano in altri modi.
- Impazienza e fastidio verso tutto quanto non appaia "logico".
Antidoti all'oggettivita': capire che ciascuno di noi ha una visione del
mondo, e che tale visione informa i modi in cui comprendiamo le cose: capite
che questo significa anche voi; pensate che ognuno ha un pezzetto di
verita', e che e' importante mettere i pezzetti insieme; se quando qualcuno
si esprime in modi che non vi sono familiari tendete a non ascoltare,
escogitate qualche trucco che mantenga all'erta la vostra attenzione
(sedetevi in modo da provare disagio, per esempio).

2. INIZIATIVE. COORDINAMENTO COMASCO PER LA PACE: APRIAMO LUOGHI DI PACE
[Dal Coordinamento comasco per la pace (per contatti: e-mail:
comopace@cracantu.it) riceviamo e diffondiamo]
Torna, dal prossimo primo febbraio e fino al 25 aprile, l'appuntamento del
Coordinamento comasco per la pace con "Apriamo luoghi di Pace", l'iniziativa
itinerante destinata a realizzare quotidianamente sul territorio spazi di
riflessione in alternativa alla logica della guerra.
L'iniziativa si terra' nel territorio comasco. Il programma con tutte le
date e le informazioni necessarie verra' pubblicato sul sito
www.comopace.org appena possibile.
Di seguito il manifesto dell'iniziativa.
*
Una nuova guerra sta per essere scatenata. No, non e' cosi', la guerra
contro la popolazione irachena e' in corso da oltre dieci anni, condotta da
Stati Uniti e Gran Bretagna, con l'embargo e con i bombardamenti che mai
hanno avuto fine.
Ora si vuole eliminare il dittatore che tanto ha servito gli interessi del
mondo occidentale, sia quando, da amico, era il baluardo della "nostra
civilta'" contro l'Iran di Khomeini, sia quando, da nemico, ha dato agli Usa
il pretesto per collocarsi in forze in una delle zone piu' importanti per il
controllo delle scorte di petrolio.
Ora gli Stati Uniti vogliono prendere direttamente il possesso del paese che
custodisce la seconda riserva petrolifera mondiale, proprio cio' di cui il
mercato ha bisogno, per fornire combustibile agli sprechi della societa' dei
consumi.
Tutte le principali guerre di questi anni sono state combattute dagli Usa
per assicurarsi il controllo delle riserve strategiche di petrolio e gas
naturale.
Dobbiamo pensare da subito alla possibilita' di fonti di energia alternative
all'oro nero che tra qualche decennio sara' sempre meno disponibile.
La transizione verso altre risorse energetiche e, soprattutto, verso un
altro modello di societa', puo' essere indolore solo se progettata per
tempo. Ma non sembra essere questa la direzione verso la quale ci stiamo
movendo, e allora appare chiara l'utilita' dei criminali come Saddam Hussein
e del terrorismo in generale nell'ottica del controllo militare delle
riserve energetiche. Con l'idea di guerra preventiva si tenta di occultare,
preventivamente, i nuovi crimini che saranno messi in atto in virtu' della
nostra sottomissione al dio mercato.
Per convincerci della bonta' di questa guerra preventiva, si semina paura, e
la paura crea il clima adatto. Mentre la televisione s'incarica di far si'
che le torri gemelle di New York crollino tutti i giorni, si aumenta la
tensione con una minaccia tremenda: l'Iraq potrebbe di nuovo usare armi
chimiche e, cosa molto piu' grave, un giorno potrebbe arrivare ad avere armi
nucleari. L'umanita' non puo' permettersi quel pericolo, proclama il
presidente dell'unico paese che abbia mai usato armi nucleari contro la
popolazione civile.
Le guerre preventive uccidono nel dubbio, non per le prove. Infatti di prove
dellķesistenza dell'armamento nucleare, batteriologico, chimico di Saddam
Hussein non se ne sono viste. Ma la guerra pare inevitabile, anche se non si
capisce perche' l'arma atomica puo' essere pericolosa nelle mani irachene e
non anche in quelle indiane, pakistane, russe, nordamericane, israeliane e
di chiunque altro.
Se l'Italia dovesse prendervi parte, con o senza l'approvazione delle
Nazioni Unite, saremmo coinvolti in un'azione doppiamente criminale: poiche'
la guerra e' sempre omicidio di massa e poiche' la partecipazione italiana
configurerebbe la violazione della nostra Costituzione. Il governo, il
parlamento e il presidente della Repubblica che facessero un tale passo si
collocherebbero di nuovo fuori della legge e noi tutti, cittadini italiani,
avremmo l'obbligo morale e giuridico di opporci efficacemente alla guerra in
nome del diritto, dell'umanita', della stessa legge fondamentale della
nostra Repubblica.
Cosi', un anno dopo la guerra afgana, mentre con altre motivazioni di
facciata si sta preparando un nuovo massacro, sono ancora identiche le
problematiche mondiali irrisolte che ci interrogano quotidianamente: il
concetto di guerra e dei suoi strumenti; la definizione di nemico; i
concetti di pace, di giustizia e di solidarieta'; il concetto di difesa; il
ruolo dell'Onu e degli organismi sovranazionali; il ruolo delle religioni e
delle chiese; il ruolo del singolo e della sua coscienza; il sistema
economico mondiale; il ruolo della politica.
*
Noi proponiamo di continuare ad aprire Luoghi di Pace che possano servire:
come occasione di riflessione condivisa, serena, documentata e non
preconcetta per chiunque ne senta il bisogno; come testimonianza, semplice
ma viva, che non esiste solo la strada della guerra; come modalita'
nonviolenta ed aperta di interazione tra singoli e gruppi; come costruzione
di possibili modalita' alternative alla violenza e al sistema vigente.
La proposta e' semplice: a partire dal primo febbraio e fino al 25 aprile
2003 le associazioni, i Comuni, le parrocchie, le persone aderenti
all'iniziativa, ogni giorno, a turno, renderanno disponibile la loro sede o
la loro casa (nei limiti della disponibilita' di spazio di ciascuno) per due
ore al mattino, pomeriggio o sera organizzando, nelle forme che riterranno
opportune, un momento di approfondimento e riflessione.
E' possibile prevedere scambi di opinioni spontanee, conferenze, animazioni,
proiezione di audiovisivi e filmati, creazione di documenti, di materiale
fotografico, celebrazioni religiose, laboratori di approfondimento, cene,
concerti, spettacoli e tanto altro.
In questo modo potra' essere stilato un calendario che per il momento
prevede di arrivare fino al 25 aprile, una data che per noi italiani
significa fine della guerra, liberazione, speranza nel futuro. L'eventuale
prosecuzione sara' concordata in base allo svolgersi degli eventi
internazionali e in base all'andamento dell'esperienza, che vedra' ogni
gruppo impegnato una o piu' volte al mese, a seconda del numero degli
aderenti.
Per tenere un filo conduttore dell'iniziativa e' importante che ogni
associazione o Comune produca un sintetico contributo scritto riguardo la
serata dallo stesso organizzata. Il contributo verra' inviato a tutte le
altre associazioni o Comuni partecipanti.
Il simbolo dei Luoghi di pace, insieme a questo manifesto, sara' esposto
durante le manifestazioni.
Per informazioni, adesioni e per segnalare le iniziative: tel. 031701517 -
031731445; e-mail: muretona00@cracantu.it, comopace@cracantu.it

3. INIZIATIVE. DA GENOVA NO PREVENTIVO ALLA GUERRA PREVENTIVA
[Da Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b@libero.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo questo appello sottoscritto da varie associazioni
genovesi]
Mentre cerchiamo di contrastare la presenza dei soldati italiani in
Afghanistan, il nostro paese sta per essere direttamente coinvolto nella
guerra che gli Usa stanno preparando contro l'Iraq.
Non vogliamo rassegnarci a questa follia distruttiva, e chiamiamo ancora una
volta tutti e tutte a far sentire il loro rifiuto incondizionato: no alla
guerra senza se e senza ma; con l'Onu o senza l'Onu.
Sabato 18 gennaio in molte citta' degli Stati Uniti si svolgeranno
manifestazioni contro la guerra: non tutti gli statunitensi la pensano come
Bush.
Lo stesso giorno ricorre l'anniversario dell'inizio della guerra del Kosovo,
un'altra della guerre che hanno visto in tempi recenti coinvolto il nostro
paese, anche in spregio del dettato costituzionale.
I movimenti statunitensi hanno lanciato appelli per una mobilitazione
internazionale che dia forza alla loro protesta.
I forum europei hanno raccolto il loro invito, proponendo iniziative nelle
diverse citta', anche in preparazione della prima manifestazione europea e
mondiale del 15 febbraio; ed hanno indicato l'esigenza che la costituzione
europea veda all'art.1 il rifiuto della guerra ed il diritto alla pace.
Per il 18 gennaio proponiamo di occupare ancora una volta piazza Matteotti
(ore 15 - 17,30) con mostre, striscioni e bandiere della pace; ed invitiamo
singoli ed organizzazioni a motivare il proprio no alla guerra.
In piazza saranno disponibili cartelli da indossare o da esporre: la parte
superiore sara' occupata da un grande "no alla guerra"; nella parte
inferiore ciascuno sara' invitato a comunicare con parole, disegni o altro,
le motivazioni e le caratterististiche del proprio rifiuto.
Alle ore 16,30 in punto proporremo di osservare un minuto di silenzio,
dedicato a tutte le vittime dei mercanti d'armi e delle forze armate
italiane.

4. INIZIATIVE. PAX CHRISTI: UNA GIORNATA DI PREGHIERA E DI DIGIUNO PER LA
PACE
[Diffondiamo questo comunicato diffuso il 14 gennaio dal movimento cattolico
per la pace Pax Christi. Per contatti:  segreteria nazionale di Pax Christi,
tel. 0552020375, e-mail: info@paxchristi.it, sito: www.paxchristi.it]
Digiuno, preghiera, riflessione, impegno per la pace.
Sono le proposte contenute nella lettera che Pax Christi ha inviato a tutti
i vescovi italiani in preparazione dell'anniversario dello storico incontro
del 24 gennaio 1986 tra il papa e i rappresentanti delle varie religioni
tenutosi ad Assisi.
La proposta, che trova l'adesione e il sostegno della Caritas Italiana e
dell'Azione Cattolica, intende riprendere anche la proposta del papa del 14
dicembre 2001 che invitava al digiuno e "a pregare con fervore Dio perche'
conceda al mondo una pace stabile, fondata sulla giustizia, e faccia si' che
si possano trovare adeguate soluzioni ai molti conflitti che travagliano il
mondo".
"Sarebbe bello e significativo che le parrocchie che aderiscono
all'iniziativa espongano sulla facciata della propria chiesa o sul campanile
una bandiera della pace - ha dichiarato Tonio Dell'Olio, coordinatore
nazionale di Pax Christi - per indicare la volonta' di pace dei credenti in
Cristo e far sapere che in quella Chiesa si sta pregando e progettando per
la pace".
E' un modo, questo, per dare eco e sostegno "ai si' e ai no" pronunciati con
ferma determinazione da Giovanni Paolo II ieri nel discorso tenuto al corpo
diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

5. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: ANCORA DI LUPI E DI AGNELLI
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di
Legambiente e collaboratrice di questo foglio]
"Dopo avere lasciato scivolare di almeno un mese l'Ora X dell'attacco
all'Iraq dalla fine di gennaio alla fine di febbraio il presidente americano
George W. Bush torna a fare la voce grossa e mostra impazienza: 'Sono stanco
e stufo' degli inganni iracheni - dice; il tempo perche' Saddam Hussein
disarmi "sta scadendo". Parole, perche' Bush non fissa una scadenza e quindi
non si capisce rispetto a cosa il tempo stia scadendo. Ma parole
minacciose".
Cosi' riporta un editoriale de "La Stampa" del 14 gennaio 2003, dal titolo:
Bush, l'ultimatum a Saddam sta scadendo. Pronta a salpare per il Golfo una
flotta di sette navi con 7.000 marines.
Con gli atteggiamenti dell'iracondo Bush torna a venire alla mente la
favoletta del lupo e dell'agnello, con il lupo che ad ogni costo vuole
divorare l'agnello, ci siano o non ci siano giustificazioni. Nella favola di
Fedro attorno ai due si immagina soltanto il ruscello, il prato, un
boschetto e, in lontananza, cime nevose. Nessun testimone assiste all'iniqua
esecuzione, nessuno tenta di impedirla o di accreditarla. Nella vicenda dei
nostri tempi, invece, abbondano le comparse, che si affollano (alcune fin
dall'inizio, altre in un secondo tempo) a monte, dalla parte del lupo, con
diversi intenti: che il lupo, non sazio dell'agnello, non si rivolti contro
gli amici; che il lupo lasci qualche avanzo di agnello per gli amici.
(Naturalmente la descrizione come timido agnello non concerne un sanguinario
dittatore criminale come Saddam Hussein, ma il gia' tanto martoriato popolo
iracheno).

6. RIFLESSIONE. CARLO SCHENONE: IL PORCELLINO BABE, LA TELEVISIONE E LA
NONVIOLENZA
[Ringraziamo Carlo Schenone (per contatti: schenone@email.it) per questo
intervento. Carlo Schenone e' una delle figure piu' note dell'impegno
nonviolento in Italia]
Mi e' capitato quasi casualmente di fare gratuitamente uno spot a favore
della nonviolenza, che acquistato sarebbe costato circa un milione di euro.
Stimolato dai miei figli che spesso guardano un quiz alla tv con il quale a
volte mi diverto con loro a rispondere, mi sono candidato per partecipare al
quiz.
Dopo un certo numero di selezioni, e' arrivata la registrazione della
puntata.
Al momento in cui sono stato eliminato (verso la fine) ho chiesto di fare i
canonici saluti.
Ho salutato i miei bambini e poi ho ricordato "tutti i bambini che per la
follia degli adulti rischiano di morire nella guerra che si sta preparando"
e ho poi invitato "tutti coloro che non sono d'accordo che venga fatta
questa guerra ad appendere ai propri balconi delle bandiere con su scritto
pace" e intanto ho srotolato la bandiera arcobaleno con su scritto pace che
mi ero portato dietro e l'ho appesa davanti alla mia postazione intanto che
il regista allargava il campo per riprendere me e la bandiera.
In quel momento nello studio si e' levata una ovazione con tutto il pubblico
che applaudiva e urlava "bravo", i tecnici che venivano a stringermi la mano
e le ballerine che mi davano delle pacche sulla spalla. A quel punto mi sono
allontanato salutando.
La trasmissione della puntata dovrebbe andare in onda su Rai 1 subito prima
del telegiornale della sera, dalle 18,45 alle 20, venerdi' 17 gennaio, il
giorno prima della manifestazione internazionale per la pace e contro la
guerra.
Purtroppo non posso assicurare che il mio "saluto" non venga tagliato, ma
nel caso non lo sia, penso che potrebbe invogliare qualcuno a cercare una
bandiera da appendere (l'audience della trasmissione che tutte le volte
viene ripetuto e' di 7 milioni di persone che in genere non sono molto
politicizzate).
Ho pensato che fosse una buona occasione per parlare, far emergere il
dissenso alla guerra e far conoscere l'iniziativa delle bandiere di pace che
e' stata lanciata da un gruppo di associazioni e su cui si possono trovare
ulteriori informazioni sul sito www.bandieredipace.org, e penso che la cosa
puo' essere interessante anche, e forse ancor piu', se venisse censurata.
Spesso i media ci usano e noi non riusciamo ad usare loro. In questo caso io
mi sono fatto usare per poterli in qualche modo usare.
Con questo concordo sul fatto che il modello comunicativo televisivo
dovrebbe essere pesantemente contestato (senza escludere il fatto che quasi
sempre quando il "movimento dei movimenti" prova a comunicare si adegua
pedissequamente a tale modello).
Ma d'altra parte bisognerebbe anche evitare di essere troppo ingenui. Per
esempio quando si propone il boicottaggio della tv cosa si pensa di fare?
Chi dovrebbe fare questo boicottaggio? Gli impegnati e i coinvolti, quelli
che leggono le nostre mailing list o i "nostri" giornali spesso lo fanno
gia' o perche' tra riunioni e incontri ben raramente hanno il tempo di
guardare la tv o perche' in quelle rare occasioni, se non si sceglie di
leggere posta elettronica o libri, viene fatta una selezione dei programmi,
per cui il boicottaggio significherebbe levare audience a quei programmi che
sono piu' interessanti e che rappresentano quella parte di tv che e' come
dovrebbe essere tutto il resto. Tutti gli altri, il "popolo bruto", non
vengono neppure a sapere del boicottaggio e poi, se anche venissero a
saperlo, penserebbero subito che intanto nessuno se ne accorgerebbe, che in
fondo hanno anche loro il diritto di rilassarsi un po' la sera o cose del
genere.
A cio' si aggiunga che il boicottaggio dovrebbe essere rilevato con sistemi
come l'auditel che si basa su un campione ben selezionato di persone non
scelte casualmente (quanti ne conoscete delle migliaia di italiani con
l'auditel?) solo tra gli assidui teleutenti, per di piu' con uno strumento
che puo' dare valori significativi tali da giustificare la selezione del
teleutente solo se manovrato da qualcuno veramente convinto dell'importanza
del suo ruolo di teleutente campione, che ovviamente ben difficilemente puo'
essere impersonato da un contestatore del sistema. Potete immaginarvi quanto
l'auditel sarebbe influenzato da un boicottaggio cosi' concepito.
Praticamente il boicottaggio lo farebbero solo quelli che gia' non vedono la
tv e/o non vengono rilevati dall'auditel (anche perche' in tal caso gli
verrebbe levato il meccanismo) per cui non se ne "accorgerebbe" nessuno.
Quando si intraprende una iniziativa bisognerebbe non solo valutare cio' che
noi vorremmo avvenisse (magari immaginando che il resto del mondo sia come
noi) ma soprattutto valutare cio' che si ottiene considerando che spesso il
mondo e' ben diverso da noi.
La parabola evangelica che invita ad essere "come agnelli in mezzo ai lupi"
non chiede di diventare lupi feroci, ma neppure di agire come se si fosse
nel bel mezzo di un gregge di pecore. Spesso invece si agisce affermando che
tutti gli altri sono lupi aspettandosi poi da loro delle azioni da pecore.
Bisognerebbe invece saper distinguere i lupi dalle pecore ma anche le pecore
dai cani da pastore che in fondo tanto cattivi non sono ma che seguono
ordinatamente cio' che il padrone gli dice ma ancora meglio cio' che si
aspettando di sentire dal padrone che hanno dentro di loro. E parlare ad
ognuno a seconda delle loro possibilita' di comprensione e del loro
linguaggio.
E tanto per citare un'opera realizzata da chi ha potere ma che, se
utilizzata correttamente, puo' essere molto utile anche per chi potere non
ne ha, provate a vedere cosa fa "Babe il maialino" (pur considerando che
anche lui alla fine esegue quello che gli dice il "padrone" non molto
diversamente da quello che in fondo facciamo tutti noi).

7. DIRITTI UMANI. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA RICK HALPERIN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 gennaio 2003]
 Per Leroy Orange, da 19 anni nel braccio della morte, come per tutti gli
altri 167 detenuti che hanno visto la loro condanna commutata con un colpo
di spugna dal governatore repubblicano dell'Illinois George Ryan, la
semplice risposta da dare ai giornalisti e' stata: "Vivra'".
"E' una decisione che per la sua entita' segnala un cambiamento storico. E'
un passo in piu' verso l'ammissione che gli Stati Uniti hanno finora
detenuto un primato di barbarie nel mondo civilizzato. La pena di morte
verra' abolita: non e' piu' questione di 'se' ma di 'quando' cio' avverra'".
E' questo il primo commento di Rick Halperin, presidente onorario di Amnesty
International e presidente della Texas Coalition for abolishing the Death
Penalty, nell'intervista al "Manifesto", dopo l'annuncio del governatore
Ryan a Chicago.
- Patricia Lombroso: Quale influenza avra' questa decisione storica in
Illinois per tutti gli altri 3.800 condannati in attesa dell'esecuzione?
- Rick Halperin: La Corte suprema gia' nel giugno scorso ha espresso delle
decisioni che indicavano un proprio ripensamento in materia di pena di
morte. Dichiaro' anticostituzionale l'esecuzione di ritardati mentali per i
quali la sentenza fosse stata espressa da uno o piu' giudici, senza
l'unanimita' dei giurati. Questa e' stata la prassi seguita sino ad oggi da
tribunali e giudici in molti stati del sud degli Stati Uniti, soprattutto
nei processi contro accusati indigenti, in stragrande maggioranza
afroamericani e latini; ma anche bianchi poveri delle zone rurali. Questa
decisione diventera' esecutiva e dovra' essere applicata in nove stati dove
ancora e' praticata la pena capitale.
- P. L.: Quanti sono i ritardati mentali, sui 3.800 detenuti nei bracci
della morte?
- R. H.: E' stato accertato che la percentuale di malati di mente si colloca
tra il 15 e il 20 per cento. Sono mille persone destinate ad essere uccise
che grazie a questa decisione avranno la possibilita' di salvarsi. Cio'
premesso, l'America vanta ancora il primato barbaro, per il 2002, di aver
ucciso 71 persone; di queste, quante erano innocenti? Chi merita comunque un
nuovo processo? Per Bush ed Ashcroft, entrambi zeloti della pena di morte,
erano tutti colpevoli. Di fatto, solo in dicembre, mentre il mondo celebrava
la Giornata dei diritti universali dell'uomo, quattro persone sono state
giustiziate.
- P. L.: E' forse cambiato l'atteggiamento in Texas, da quando Bush non e'
piu' governatore?
- R. H.: Quest'anno, su 71 detenuti mandati a morte, oltre la meta' sono
stati uccisi in Texas. Quando Bush era governatore, approvo' senza remore
ben 152 esecuzioni. Per Bush, tutti coloro che finiscono nel braccio della
morte erano colpevoli. Risulto' poi che per ben 67 degli uccisi, l'esame del
Dna provava la loro innocenza. Il suo successore Rick Terry ha gia'
raggiunto il record di 48 esecuzioni in due anni. Nel mese di gennaio e
febbraio sono previste altre dieci esecuzioni.
- P. L.: La decisione di Ryan potra' influenzare l'opinione pubblica
americana?
- R. H.: I sondaggi di opinione cui ci si affida improvvidamente omettono di
completare le risposte fornite dagli intervistati in materia di pena di
morte. Se si pone loro l'alternativa della prigione a vita senza il diritto
alla liberazione anticipata, la maggioranza favorevole al boia indicata da
tutti i media cala al 47 per cento.
- P. L.: Quali atti concreti potrebbero portare all'abolizione della pena di
morte negli Stati Uniti?
- R. H.: Questo paese riconosce soltanto il diritto del dio denaro. Europa
ed Italia hanno espresso in modo eloquente la loro opposizione alla pena di
morte. Verbalmente soprattutto. Purtuttavia l'Europa e la comunita' del
business europeo continuano a trarre profitti da un giro d'affari di 44
miliardi di dollari nei commerci con lo stato del Texas. E' un po' essere
complici dello stato della morte. La citta' di Reggio Emilia ha stabilito
una relazione di gemellaggio culturale ed economico con la citta' di Forth
Worth, in Texas. Noi abbiamo invocato invece il boicottaggio a livello
culturale ed economico.

8. RIFLESSIONE. LUCIANO DOTTARELLI RECENSISCE "ISLAM E DEMOCRAZIA" DI FATEMA
MERNISSI
[Ringraziamo Luciano Dottarelli (per contatti: ldottarelli@libero.it) per
questo intervento. Luciano Dottarelli, docente e saggista, apprezzatissimo
pubblico amministratore, e' uno dei collaboratori piu' autorevoli, e egli
amici piu' cari, di questo foglio. Tra le opere di Luciano Dottarelli:
Popper e il gioco della scienza, Erre Emme, Roma 1992; Kant e la metafisica
come scienza, Ere Emme, Roma 1995. Fatema Mernissi e' nata a Fez, in
Marocco, nel 1940, docente di sociologia, studiosa del Corano, narratrice;
tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992;
Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda,
1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti,
2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002]
"Mettere in pratica la politica della 'scrittura instancabile': piu' la
polizia vieta, piu' bisogna scrivere. Quando il lavoro di una donna viene
censurato, lei non deve scoraggiarsi. Invece di scrivere cinque pagine al
giorno, deve produrne sei o sette. L'obiettivo e' di sommergere il censore
con la quantita' di letture che deve fare per 'stare al passo'": la chiave
della scrittura, personalissima, di Fatema Mernissi sta forse soprattutto
nella fedelta' a questo principio.
Una foga di scrivere che scaturisce da un fortissimo coinvolgimento
personale, da una intensa partecipazione, insieme emotiva e razionale, alla
condizione di frustrazione e al "desiderio di andare altrove, di una
migrazione collettiva verso un altro presente", che e' la cifra piu' tipica
del mondo arabo di oggi.
Anche in questo libro (Islam e democrazia. La paura della modernita',
Giunti, Firenze 2002, euro 12), la ricostruzione storica, la riflessione
filosofica e l'analisi sociologica si intrecciano alla confessione personale
e all'impegno di lotta, realizzando un impasto di scrittura che ricorda la
libellistica fiorita in Occidente nell'eta' dell'Illuminismo.
E non  e' un caso che proprio nella tradizione illuministica la scrittrice e
sociologa marocchina riconosca la principale radice fondativa della moderna
dimensione culturale dell'Occidente, caratterizzata dalla democrazia e dai
principi del rispetto della liberta' individuale, come risultano codificati
nella loro veste piu' universale ed efficace dalla Carta delle Nazioni
Unite, il testo che, benche' sottoscritto anche da tanti Stati musulmani,
nel conflitto tra islam e democrazia viene assunto come contraltare
simbolico del Corano.
Il compito che Fatema Mernissi si propone e' quello di portare alla luce le
motivazioni profonde, ancestrali della paura dell'Occidente, ricostruendo
l'intero passato della civilta' araba e superando quella sorta di tabu' che
impedisce di scavare  nel tempo zero dell'islam, la jahiliyya, il caotico,
disordinato e violento mondo preislamico, regno della liberta' individuale
esasperata e arrogante, che precedette la riduzione ad uno e la
pacificazione operata dalla predicazione egualitaria e dall'azione politica
del Profeta.
L'art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani  ("Ogni individuo
ha diritto alla liberta' di pensiero, di coscienza e di religione; tale
diritto include la liberta' di cambiare di religione o di credo"), che
appare "l'esatta definizione" della jahiliyya, introduce
contraddittoriamente nel presente e proietta nel futuro del mondo arabo la
minaccia del disordine preislamico, su cui fanno leva sia i despoti al
governo che i "mercanti di speranza" del terrorismo fondamentalista.
Il tempo zero dell'islam era anche l'epoca in cui sul cielo e sulla terra
regnavano dee assetate di sangue, dee di guerra e di morte ed e' per questo
che esso risulta soprattutto evocato, con il suo carico angosciante di
violenza e disordine, dall'idea del potere femminile. L' harem, lo spazio
femminile separato da quello maschile dove il califfo gestiva il potere e
usava la violenza, e l'hijab, il velo che nasconde la differenza femminile,
sono sintomi e rimedi per esorcizzare questa paura del passato.
Un passato con il quale si devono invece fare i conti fino in fondo nella
convinzione che "la nostra modernita' dipendera' dalla riappropriazione di
tutto cio' che opera negli strati profondi del nostro inconscio".
L'opera di costruzione di un'identita' compiuta e dinamica per il mondo
arabo-islamico, attraverso la comprensione e razionalizzazione delle sue
paure arcaiche, e' condotta da Fatema Mernissi sul solco di
quell'"avanguardia temeraria" che e' il femminismo arabo, come testimoniano
altri suoi libri, gia' tradotti in Italia: Le donne del Profeta (Ecig 1992),
Le sultane dimenticate (Marietti, 1992), La terrazza proibita (Giunti, 1996)
e L'harem e l'Occidente (Giunti, 2000).
Ma nell'orizzonte piu' ampio di questo saggio, l'autrice ha la possibilita'
di collocare la sua battaglia per la democrazia, per l'accesso alla
conoscenza e per  il pluralismo sulla scia di una piu' antica tradizione,
che e' parte viva della storia dell'islam e sta a ricordarci che il rispetto
per l'individuo e la sua liberta' "non sono esclusiva proprieta'
dell'Occidente".
E' la ricca tradizione razionalistica ed umanistica rappresentata dai
falasifa (filosofi ellenizzanti) e dai sufi (corrente ascetica favorevole ai
carismi individuali) che non solo ha trasmesso all'Occidente il patrimonio
culturale greco ma lo ha anche esteso e approfondito in modo originale,
mediandolo con il pensiero orientale. Questa tradizione sta a contraddire la
rappresentazione corrente di un islam baluardo del fanatismo dispotico in
cui la ragione critica, la liberta' individuale, il rispetto per la dignita'
di ogni uomo non hanno mai avuto spazio. Essa invera ed esalta la dimensione
"galattica" dell'islam, in cui consiste l'insegnamento piu' profondo del
Profeta,  quello di alzare la testa, nel senso piu' letterale
dell'espressione, per "camminare nella vita tenendo lo sguardo fisso al sole
e alle stelle, ossia strettamente legati al cosmo e consci di farne parte".
Purtroppo la fioritura razionalistica che accompagno' il tramonto della
dinastia corrotta degli Omayyadi e l'avvento degli Abbasidi (750), duro' lo
spazio di un secolo (il "secolo dell'apertura") e, con la ripresa del
dispotismo oscurantista, ogni opposizione intellettuale fu repressa. A
sfidare l'onnipotenza e l'incontestabilita' del potere dell'imam rimase solo
la ribellione fanatica ed assassina ispirata alla tradizione di sovversione
politica dei kharigiti.
Da allora il rapporto tra obbedienza all'autorita' e liberta' individuale e'
rimasto un argomento che l'islam politico non ha mai risolto ne' nella
teoria ne' nella pratica: "La rottura con lo stato medievale, che usava il
sacro per legittimare e mascherare un governo arbitrario, non ha mai avuto
luogo nel mondo arabo".
Questa consapevolezza non esclude una critica delle colpe storiche
dell'Occidente: l'assoggettamento coloniale del Medio Oriente, il sostegno
fornito ai regimi piu' dispotici e teologicamente conservatori, l'escalation
degli armamenti consentita nell'area, e da ultimo la scelta della Guerra del
Golfo, con il suo risvolto annichilente di  ostentazione di un dominio
tecnologico assoluto.
Eppure proprio l'Occidente e' chiamato dalla Mernissi a svolgere un ruolo
decisivo nel processo incerto e difficile di avanzamento della democrazia
nel mondo arabo. E' questa una responsabilita' che gli deriva dal  suo
detenere il monopolio pressoche' totale nel campo della conoscenza
scientifica e dello sviluppo delle tecnologie informatiche. Favorire
l'accesso e la partecipazione equa agli sviluppi della rivoluzione
elettronica (da internet, alla televisione satellitare indipendente) e'
l'impegno di universalita' richiesto oggi all'Occidente.
Solo esso puo' consentire - e gia' ora consente - di costruire quella
moderna agora' in cui un nuovo, dinamico mondo arabo puo' addestrarsi ad
esprimere liberamente opinioni divergenti e a discuterle criticamente,
rinverdendo quella tecnica dello jadal (arte della controversia) che si
radica nella tradizione dell'islam umanista ed ha un posto significativo
nello stesso Corano (il versetto 125 della Sura XVI recita infatti:
"Richiama verso il sentiero del Signore, fallo con saggezza e buone maniere,
tieni discussioni (jadilhum) con essi su cio' che vi e' di migliore").

9. RIFLESSIONE. MONICA FARNETTI RECENSISCE "APPROFITTARE DELL'ASSENZA" DI
DIOTIMA
[Dal quotidiano "Il manifesto del 10 gennaio 2003. Monica Farnetti e' nata a
Ferrara nel 1960; italianista, ha pubblicato studi sul fantastico, sul
rapporto tra letteratura e musica, sulla poesia filosofica, sulla
letteratura del paesaggio, sulla scrittura femminile, privilegiando in
particolare alcune prospettive di indagine (la teoria letteraria, la
tematologia, il contatto fra discipline); e' l'autrice della prima
monografia su Cristina Campo. Tra le opere di Monica Farnetti: Il giuoco del
maligno, Vallecchi, 1988; La scrittura concertante, Bulzoni, 1990; Leggere
lo "Zibaldone", Essegi, 1991; Reportages. Letteratura di viaggio del '900
italiano, Guerini, 1994; Geografia, storia e poetiche del fantastico,
Olschki, 1995; Il romanzo del mare, Le Lettere, 1996; Ermo colle ed altri
paesaggi, Liberty House, 1996; Annamaria Ortese, Bruno Mondadori, 1998;
Cristina Campo, Tufani, 1999. "Diotima" e' la denominazione della comunita'
filosofica femminile che da diversi anni svolge e promuove una riflessione
di grande rilevanza muovendo dal ed agendo il "pensiero della differenza"]
Dunque l'alta scommessa dell'ultimo libro di Diotima si chiama
discontinuita': una discontinuita' non semplicemente rappresentata o messa a
tema, come le prime pagine ben chiariscono, ma teoreticamente assunta come
postura, capace di ripensare a fondo l'esperienza del tempo, il senso della
storia e il rapporto con la tradizione.
Discontinuita' come possibile manifestazione di "un essere non tenuto a
farsi vedere per esserci" e, al limite, di "un esserci che non ha bisogno di
durare"; discontinuita' come rilancio, come godimento e come investimento
dell'assenza, o dell'intermittenza, della sottrazione e della mancanza che
hanno caratterizzato fin qui il modo di farsi linguaggio, cultura e storia
dell'esperienza femminile; discontinuita' infine come "storicita' originale,
non confinata nella cronologia", e come "tradizione" che a dispetto
dell'etimo si fa linea frastagliata tutta scosse e dislivelli, lungo la
quale cio' che e' "tradito" scorre per l'appunto in modo discontinuo e
accetta di esser "tradito" dal silenzio e dall'ombra.
Presumo che altri e altre, oltre a me, possano aver sentito questa idea come
portatrice di un gran senso di liberazione, di un clima di festa e di
un'immediata euforia: umori tutti provenienti da un'improvvisa caduta di
tensione, legata alla scoperta che possono darsi modalita' di esonero,
peraltro teorizzabili e assai degne, dall'impegno angosciante della propria
testimoniata e durevole presenza nel tempo, nella storia e nella tradizione.
Presumo pero' anche che come me altri si siano subito dopo sorvegliati
(nonche' puniti) nella (e della) propria giubilazione, intuendone la portata
insidiosa nel momento in cui essa tendesse a offuscare - o addirittura a
sostituire - la domanda sul come tradurre l'essere discontinui,
intermittenti o assenti in un esserci comunque pieno, politicamente
interpellabile e culturalmente imprescindibile.
La storia e la tradizione dei testi, letterari ma non solo, mettono in buona
evidenza questo problema e questo dilemma, e per via della famigerata
questione del canone ne forniscono un'istruttiva rappresentazione. La
fragile topologia della periferia e del centro, del dentro e del fuori,
dell'enciclopedia e dell'eccentrico che struttura e governa l'arte della
memoria (letteraria, ripeto, ma non solo) e' infatti una buona palestra per
il pensiero che voglia ripensare e comprendere i fondamenti della
storiografia, della critica e della lettura in genere, e la dice lunga sul
cosa leggiamo (o non leggiamo) e sul come, celebrando chi e dimenticando
chi, inevitabilmente assecondando un'economia dell'assenza/presenza
orchestrata molto a monte e molto all'origine del "meccanismo" della
tradizione e del racconto della storia.
La storia dei testi insegna come sia difficile l'essere e lo stare "fuori"
(dal centro o in assoluto), a che prezzo i soggetti "non egemoni" scontino i
disturbi spazio-temporali (dis-locazione e dis-continuita') con cui stanno
nella storia e nella tradizione, cosa comporti il risultare eccentrici
rispetto al sistema dominante di rappresentazione e cosa significhi,
letteralmente, "pagare il canone". Detto questo pero', e scontata la giusta
punizione per aver troppo goduto di quanto mi e' stato dato con Approfittare
dell'assenza, torno per un attimo, e per concludere, al mio iniziale stato
d'animo festoso e giubilatorio e saluto con gioia un libro importante, a cui
sono (e restero') profondamente grata, e della cui "assenza" non avremmo
potuto, credo, in alcun modo approfittare.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 478 del 16 gennaio 2003