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Appello contro la guerra



La Fondazione Internazionale Lelio Basso, di fronte alla minaccia di una
guerra preventiva contro l'Iraq, che metterebbe in pericolo il futuro del
diritto internazionale e della convivenza civile dei popoli, ha deciso di
lanciare l'appello approvato dal Tribunale Permanente dei Popoli a
conclusione della sessione "Il diritto internazionale e le nuove guerre",
svoltasi a Roma nei giorni 14 -16 dicembre.

Le adesioni all'appello vanno inviate, possibilmente entro il 15 gennaio,
alla Fondazione Internazionale Lelio Basso (indirizzo di posta elettronica:
filb@iol.it tel: 06.68801468; fax: 06. 6877774, oppure
andrea.mulas@poste.it  tel: 339.1350351).

Il testo della sentenza si trova nel sito http://www.grisnet.it/filb




Gianni Tognoni e Linda Bimbi


Via della Dogana Vecchia, 5 - 00186 Roma -  www.grisnet.it/filb  - e mail:
filb@iol.it 



Contro la guerra


La minaccia di una guerra preventiva contro l'Iraq è una mi-naccia al
futuro della convivenza civile sul nostro pianeta fondata sul diritto
internazionale. Più ancora delle altre guerre del pas-sato decennio, una
simile guerra rappresenterebbe una violazione vistosa della Carta dell'Onu.
Non ricorre infatti "un attacco armato con-tro un membro delle Nazioni
Unite": che è il solo caso in cui è consentito dalla Carta l'esercizio del
"diritto naturale di autotutela individuale o collettiva", in deroga al
divieto della minaccia e dell'uso della forza nelle relazioni
internazio-nali.  Come hanno più volte affermato il Consiglio di Sicu-rezza
e la Corte internazionale di giustizia, la "guerra preventi-va", e perfino
singole azioni militari intraprese contro l'astratto pe-ricolo di
un'aggressione, sono radicalmente contrarie al-l'ordina-mento delle Nazioni
Unite. La stessa espres-sione "guerra preventiva", del resto, è una formula
contraddittoria, idonea a legittimare la guerra di aggressione attraverso
la trasformazione dell'aggredito in ag-gressore.
Ma il pericolo di un crollo del diritto internazionale deriva soprattutto
dall'aper-ta e insistente rivendicazione, che accompagna la minaccia di
questa guerra, della legittimità della guerra medesima come strumento di
soluzione dei problemi e delle contro-versie internazionali. Questa
riabilitazione della guerra equivarrebbe a una dissoluzione dell'Onu, la
cui ragion d'essere risiede precisamente nella messa al bando della guerra
e nel mantenimento della pace, attraverso un complesso sistema di misure
che include un uso regolato e controllato della forza sot-to la co-stante
direzione del Consiglio di Sicurezza. La guerra, in quanto uso sregolato,
illimitato e incon-trollato del-la forza, è d'altro canto la negazione del
diritto, consistendo il diritto nella regolazione e nella limitazione della
forza. E lo sono tanto più le odierne guerre aeree scatenate dalle potenze
occidentali, il cui tratto ca-ratte-ristico è di svolgersi senza perdite di
vite umane dalla par-te degli aggres-sori e di produrre la quasi tota-lità
delle vit-time tra le popolazioni civili, innocenti del-le colpe
addebi-tate ai loro governanti. Espressioni come "guerra giusta" o "guerra
legittima" a proposito di queste guerre hanno perciò un signifi-cato
ana-logo a quello di espressioni del tipo "giusto massacro", "giusta o
legittima strage di innocenti", "giusta carneficina", "tortura legittima" e
simili.
Non meno incongruo e irrazionale è il ricorso alla guerra come mezzo per
battere il terrorismo globale. Il terrorismo è una forma di vio-lenza
politica che si caratterizza per la sua impre-vedibilità e per il carattere
indiscriminato delle sue vittime, immancabilmente innocenti. La risposta ad
esso con la guerra, che è parimenti violenza indiscriminata, equivale a una
sua omologazione ai metodi delle organizzazioni terroristiche, e perciò a
un abbassa-mento de-gli Stati che la promuo-vono al loro livello. Ne
risulterebbe una guerra altrettanto globale, senza limiti di tempo e di
spazio, che anziché sconfiggere il terrorismo finirebbe per alimentarlo in
una spirale senza fine. Al contrario il terrorismo può essere battuto
soltanto con la risposta, ri-spetto ad esso asimmetrica, del diritto e
della politica, cioè della sco-perta e della cattu-ra dei responsabi-li,
nonché della capacità dei governi di farsi carico delle sue cause
politiche, economiche e culturali.  
La rilegittimazione della guerra come strumento di governo del mondo,
preannunciata dal documento strategico americano del 17 settembre,
produrrebbe inoltre una regressione neo-assolutistica e imperiale
dell'ordine mondiale che finirebbe per compromettere le forme stesse dello
stato di diritto e della democrazia. La restaurazione di un po-tere di
guerra insindacabile e imprevedibile in capo alla super-potenza americana,
e perciò al suo presidente, contraddirebbe infatti il paradigma dello stato
di diritto, che non ammette poteri assoluti e richie-de la soggezione alla
legge di qualunque potere. E varrebbe a logorare profondamente le nostre
democrazie, sotto due aspet-ti: all'interno dei paesi occidentali, a causa
delle leggi liberticide, della disinformazione, della propaganda e
dell'intimidazione del dissenso che sempre si accompagnano all'emergenza
bellica; a livello mondiale perché di fatto l'intera popolazione della
terra risulterebbe virtualmente soggetta a un nuovo sovrano,
rappresentativo nel migliore dei casi del solo popolo del suo  paese. Si
avrebbe così il paradosso che una guerra, promossa secondo il documento
strategico statunitense per difendere "libertà, democrazia e libero
mercato", avrebbe raggiunto l'effetto di affossarli. E questa
contraddizione sarebbe drammaticamente aggravata dalla crescita dell'odio e
dello spirito di rivolta nei confronti dell'Occidente e dalla totale
perdita di credibilità, presso i popoli poveri della terra, del suo intero
sistema di valori.
L'imprudenza politica ha di solito conseguenze  catastrofiche non soltanto
per chi la subisce ma anche per i politici imprevidenti. Se poi
l'imprudenza è un'imprudenza armata, la catastrofe acquista i caratteri
della tragedia collettiva. Quando infine l'appello moralistico ai valori
umanitari è utilizzato per occultare gli effetti perversi di una guerra,
l'imprudenza politica ha la tendenza ad acquistare, come scrisse Hume, i
caratteri della veemenza e a contribuire alla rapida distruzione dei
medesimi valori che si invocano a sostegno dell'intervento armato. E'
probabile che in futuro l'uso sempre più frequente di un pensiero di tipo
bellicista indebolisca i freni della prudenza e favorisca il trattamento
veemente, cioè irriflessivo, dei problemi politico-giuridici. Questo
contribuirà anche a formulare false giustificazioni a sostegno del
raggiungimento egoista e violento di interessi nazionali, a imporre la
pratica di una diplomazia coercitiva informata alla legge del più forte, a
rafforzare gli odii e i pregiudizi ideologici e, last but not least, a
ridurre la fiducia nella possibilità che le relazioni internazionali siano
basate su principi e regole morali di carattere universale. Quando la
guerra si rende accettabile attraverso lo schermo retorico
dell'umanitarismo armato dei "moralisti politici", come li chiamò Kant,
allora l'uscita dal labirinto della violenza diventa impossibile.
Noi non ci illudiamo, con questa dichiarazione, di convincere i potenti
della terra dai quali dipendono i destini del mondo. Ciò che intendiamo
affermare è che la guerra attualmente annun-ciata sarebbe giuri-dicamente
illecita, moralmente ingiustificabi-le e politicamente inefficace. Il suo
terribile effetto, oltre alle vittime e alle devastazioni che seguono ad
ogni guerra, sa-rebbe la distruzione dell'attuale ordine interna-zionale
nel ten-tativo, a nostro parere irrealistico, di sosti-tuirlo con un nuovo
ordine basato sulla forza e sull'arbitrio. Contribuire a privare questo
nuo-vo ordine del consenso necessario alla sua legittimazione è il
principale scopo di questo appello.