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Risposta alla "Lettera Aperta" della S.ra Rita Guma



Alla c.a. della s.ra Rita Guma
Osservatorio europeo sulla legalita' e la questione morale
rguma@osservatoriosullalegalita.org

e P.C.
Alla redazione del sito web www.resistere.it
piave@resistere.it

Oggetto: risposta alla "Lettera Aperta" della S.ra Rita Guma

Gentile signora Guma,

la lettura della sua "lettera aperta" - pubblicata all'indirizzo 
http://www.resistere.it/n31.htm - ha suscitato in me forti perplessita', 
anche e soprattutto in quanto estimatore del lavoro di documentazione 
elettronica fatto finora dall'osservatorio che lei dirige.

Lei parla di un generico "obbligo di verifica delle fonti", e sostiene che 
dopo aver ricevuto da un partito nazionale un appello firmato da 69 persone 
noi non avremmo dovuto considerare come fonte dell'informazione il partito 
stesso, bensi' tutti i 69 firmatari, e che avremmo dovuto contattare 
personalmente ognuna di queste persone per accertarci della loro effettiva 
adesione all'appello in questione. Nella sua lettera lei sostiene che sul 
sito dell'osservatorio da lei diretto "ogni articolo e documento pervenuto 
o trovato (oltre quindicimila in un anno) viene letto e vagliato, e non 
pubblicato se le informazioni contenutevi sono ritenute errate".

Lei conosce meglio di me una cattiva abitudine del giornalismo italiano, in 
base alla quale un testo riportato tra virgolette spesso non corrisponde 
alle effettive dichiarazioni della persona intervistata. A questo punto le 
chiedo se prima di pubblicare una intervista sul suo sito (dove e' presente 
una copiosa rassegna stampa) lei si prende la briga di contattare 
direttamente l'intervistato per ottenere una conferma delle parole 
riportate tra virgolette nell'articolo. In fin dei conti si tratta di una 
sola telefonata, e non di 69 controlli.

Lei e' veramente convinta che la fonte di un appello siano i suoi 
firmatari, e non l'associazione, l'ente o il partito che lancia, sostiene, 
promuove e diffonde quell'appello e si assume la responsabilita' delle 
firme che riporta in calce al testo? La fonte di una intervista e' la 
persona intervistata o il giornalista che firma quell'articolo in concorso 
con il direttore responsabile che firma il giornale dove appare 
l'intervista in questione? Lei dice che l'osservatorio sulla legalita' si 
rifiuta di pubblicare le informazioni che vengono "ritenute errate". E' 
proprio sicura che le informazioni da voi "ritenute errate" coincidano con 
tutte le informazioni oggettivamente errate, oppure esiste una possibilita' 
che in una pagina su migliaia del vostro sito siano presenti delle 
informazioni dai voi ritenute corrette che qualcun altro potrebbe ritenere 
errate?

Come reagireste se qualcuno vi citasse in tribunale chiedendovi cento 
milioni di danni per un testo virgolettato non corrispondente al vero, 
magari contenuto in un articolo pubblicato su una testata giornalistica 
nazionale, da voi ritenuto corretto e quindi inserito nella vostra rassegna 
stampa? Siete proprio sicuri che anche nel vostro archivio di notizie non 
ci sia una "bomba a tempo" pronta ad esplodere con conseguenze indipendenti 
dalla vostra buona volonta' e dalla vostra diligenza nel verificare le 
informazioni, cosi' come e' accaduto a noi con un testo pubblicato in rete 
nel febbraio 2000 ed "esploso" in tribunale nel dicembre 2002?

In buona sostanza, lei ipotizza una mancata verifica delle fonti, io 
sostengo che questa assenza di verifica e' tutta da dimostrare, perche' a 
mio avviso un comunicato ufficiale che fa bella mostra di se' sul sito 
internet di un partito nazionale e' una fonte piu' che verificata, puo' 
essere addirittura considerata una fonte primaria, e non ricordo nessun 
manuale di giornalismo nel quale viene inclusa negli obblighi deontologici 
per la professione il contatto diretto con ciascuno dei firmatari di un 
appello per verificarne l'effettiva adesione.

Lei sintetizza laconicamente la sua posizione rispetto alla vicenda 
giudiziaria che ci vede coinvolta con due massime universali: "la mia 
liberta' finisce dove comincia la tua" e "la legge non ammette ignoranza". 
La liberta' di un consulente Nato che si ritiene danneggiato nella sua 
carriera (non diffamato, quindi, ne' associato a notizie false) finisce 
quando inizia la mia liberta' di pubblicare materiale di cui sia certa la 
fonte e la provenienza, nel quale viene riportato in calce ad un "Manifesto 
Ambientalista" il nome di una persona che oltre a lavorare per la Nato, si 
qualifica come il presidente di una nota associazione ambientalista e 
dichiara inoltre di essere una nota personalita' del settore.
La legge non ammette ignoranza, e quindi non puo' essere ignorato il fatto 
che la legge prevede il diritto/dovere della rettifica, una rettifica che 
noi non abbiamo mai pubblicato in quanto non ci e' mai stata richiesta.
Lei teorizza l'obbligo legale di "controllare i contenuti di cio' che 
prendiamo da altri siti e media", e mi piacerebbe capire il senso che lei 
da' al vocabolo "controllare".

Controllare vuol dire verificare l'esattezza del testo, la verita' di 
quanto scritto, l'effettiva identita' degli aderenti ad un appello o 
piuttosto vuol dire raggiungere una ragionevole certezza del fatto che il 
testo in questione non e' un falso e che proviene da un organismo credibile?

Il punto e' che se l'appello presente sul nostro sito (e una ipotetica 
firma falsa) fosse stato diffuso su un quotidiano, sarebbe stata 
sufficiente una rettifica per riparare all'errore involontario, mentre a 
noi non e' stato neanche richiesta la rimozione della pagina dal sito. 
Senza una richiesta di rettifica, una modifica del nostro sito realizzata 
in assenza di un invito da parte del diretto interessato potrebbe essere 
malignamente interpretata come una ammissione di colpevolezza, mentre noi 
non ci sentiamo colpevoli di nulla.

Lei sostiene che il suo sito e' l'unico "ad aver eliminato dalla famosa 
lista di parlamentari inquisiti o condannati della Repubblica delle Banane, 
un nominativo erroneamente inserito per omonimia". Perche' non ha 
controllato personalmente quell'elenco di nominativi contattando uno per 
uno tutti i parlamentari inseriti nell'elenco? Come mai si e' fidata cosi' 
tanto della "fonte" che le ha fornito quell'elenco, e non ha ritenuto che 
le fonti fossero in realta' ciascuna delle persone nominate? Se sapra' dare 
la risposta a queste domande riuscira' anche a capire cosa ci ha indotto a 
pubblicare quel testo cosi' come era stato diffuso da altri.

Credo che la pubblicazione in un elenco di ex-delinquenti sia molto piu' 
grave dell'inserimento in un elenco di ambientalisti critici verso le 
politiche militari della Nato, e allora le chiedo se per coerenza con le 
sue affermazioni lei non ritenga di essere in debito di riconoscenza con il 
parlamentare "omonimo", che ipoteticamente avrebbe avuto tutto il diritto 
di pretendere da lei e dal suo osservatorio un risarcimento ben piu' 
consistente di quello che viene richiesto a noi.

Anche in quel caso la liberta' della persona in questione era stata violata 
dalla vostra liberta' di pubblicazione, ma e' stata sufficiente una onesta 
rettifica per risolvere la questione, e sono molto contento che sia andata 
a finire cosi', perche' probabilmente se il vostro cammino si fosse 
incrociato con una persona dalla volonta' persecutoria il vostro sito e il 
vostro osservatorio avrebbero potuto offrire un servizio meno efficace e 
completo, o forse avrebbero addirittura cessato di esistere, un rischio che 
adesso si prospetta per il nostro sito e la nostra associazione.

Lei inoltre ci rimprovera la nostra posizione fortemente critica verso 
l'obbligo di registrazione dei cosiddetti "siti informativi" come testate 
giornalistiche, evidenziando il fatto che oggi saremmo in condizione di 
difenderci meglio in tribunale se fossimo una testata giornalistica, o 
meglio ancora un sito "non affidabile" perche' sprovvisto di "bollino", 
anziche' essere un sito web uguale (almeno per il momento) a tutti gli 
altri. Il punto e' proprio questo: la nostra lotta nonviolenta per non e' 
solo una lotta per la nostra sopravvivenza, ma e' una lotta il diritto 
all'esistenza di tutte le piccole voci della rete che fanno volontariato 
dell'informazione al di fuori del giornalismo, e che oggi per mettere in 
piedi un sito internet non sono (ancora) costrette a trovare un "amico 
giornalista" che svolga il ruolo di "prestanome" per avere un direttore 
responsabile "di facciata" che metta le carte in regola, cosi' come avviene 
invece per tutto l'arcipelago di piccole riviste dell'associazionismo.

Nessun sito web e' anonimo, ogni indirizzo e' associato al nome di una o 
piu' persone che ne hanno effettuato la registrazione. Perche' si vuole 
regionalizzare questa regola mondiale con un obbligo in piu' che sarebbe 
valido solo per i cittadini italiani? Anche senza fare discorsi di 
principio, immagina quanto costerebbe questa operazione solo in termini di 
burocrazia e di carte bollate?

E' per questo che non siamo rammaricati di non essere una testata 
giornalistica, ne' ci auspichiamo una suddivisione dei siti web tra 
"certificati" e "inaffidabili", creando il regno del rigore a cui si 
contrappone il regno dell'impunita', ma al contrario siamo fieri di 
affermare il principio che anche una piccola associazione di volontariato 
come la nostra abbia il diritto di far sentire la propria voce in rete al 
pari dei grandi partiti nazionali o delle grandi testate giornalistiche, 
con gli stessi diritti e i medesimi doveri.

Mi stupisce molto discutere con lei di legalita' e di una legge che sia 
uguale per tutti, ipotizzando al tempo stesso scenari in cui alle pagine 
web di una piccola associazione sia riservato un trattamento piu' severo, 
degli obblighi piu' stringenti e una "legge" piu' restrittiva di quella che 
si vuole applicare ai grandi quotidiani nazionali. A loro sarebbe bastata 
una rettifica, cosi' come e' stata sufficiente a voi una rettifica per 
saldare i conti con una persona che voi avete erroneamente associato ad una 
lista di "fuorilegge". Perche' a noi si chiede di piu'?

Al termine della sua lettera, nonostante lei non sia convinta della bonta' 
dei nostri argomenti, leggo un invito "a fare un versamento a favore di 
questa associazione", che interpreto come una dimostrazione di affetto e di 
stima che va al di la' dei rispettivi pareri su questa specifica vicenda 
legale. In qualita' di segretario dell'associazione PeaceLink, tuttavia, 
quello che mi preme di piu' non e' un acritico sostegno economico da parte 
di chi ci legge, ma proprio quello che e' mancato nella comunicazione tra 
me e lei, e cioe' la condivisione di un obiettivo alto, che non e' la 
semplice salvezza di un sito web e dell'associazione che lo gestisce, ma 
una seria ed approfondita riflessione sullo stato di salute 
dell'informazione nel nostro Paese, che si misura sicuramente dal livello 
di correttezza, serieta' e professionalita' di chi produce informazione a 
qualunque titolo, ma anche e soprattutto dalla fragilita', dalla 
precarieta' e dalla vulnerabilita' degli spazi di informazione libera e 
indipendente, una debolezza che accomuna i nostri siti indipendentemente 
dalle nostre divergenze di opinioni. Se c'e' una cosa che ho imparato da 
questa vicenda e' che in rete nessuno puo' sentirsi al sicuro ne' fare 
ipoteche sul futuro, e che l'esistenza di una voce estranea ai circuiti 
dell'informazione commerciale non e' un fatto scontato ne' tantomeno 
garantito. Spero che questa preoccupazione per il bene comune, e non 
l'apprensione per le controversie legali della mia associazione, a guidare 
le scelte future di tutti i soggetti legati al volontariato dell'informazione.

Cordiali Saluti

Carlo Gubitosa
c.gubitosa@peacelink.it

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ALLEGATO

LETTERA APERTA
Lettera di Rita Guma
direttrice dell'Osservatorio europeo sulla legalita' e la questione morale

http://www.resistere.it/n31.htm

Gentile direttore,
E' stato di recente lanciato un comunicato di Carlo Gubitosa, segretario di 
PeaceLink in cui si informava che sono stati chiesti 50.000 euro di danni 
per la pubblicazione su internet di un appello ambientalista gia' diffuso 
su altri siti. L'associazione di volontariato, che da tanti anni opera 
informando e segnalando varie anomalie sociali, segnala che rischia di 
chiudere i battenti e chiede solidarieta' alla societa' civile lanciando 
una campagna di solidarieta' e di contributo alle spese legali per la 
causa, che sara' discussa in tribunale a partire dal 18 febbraio 2003.
La citazione e' stata avanzata da un collaboratore di enti internazionali 
che figurava a sua insaputa fra i firmatari ell'appello e che si e' 
ritenuto danneggiato dalle affermazioni critiche nei confronti dei soggetti 
con cui collabora contenute nel documento ambientalista.
PeaceLink si giustifica con il fatto che l'appello era stato prelevato da 
un altro sito con citazione della fonte.

Potremmo sintetizzare il commento a questa vicenda come: LA MIA LIBERTA' 
FINISCE DOVE COMINCIA LA TUA e LA LEGGE NON AMMETTE IGNORANZA

Purtroppo per gli amici di Peacelink, associazione sicuramente benemerita, 
e purtroppo per tutti quelli che diramano appelli in rete con tanto di nomi 
(ed indirizzi di posta, con aggiuntiva violazione della privacy), in caso 
di errori le persone colpite possono a buon diritto querelarli.

Non puo' essere invocata la liberta' di opinione se ledo i diritti altrui, 
ne' posso citare a mia discolpa un'altra fonte "certa", perche' per chi fa 
informazione vi e'

l'obbligo di verificare le proprie fonti
di recente estensione (vedi caso di Berlusconi versus Economist e 
Repubblica e casi di condanna in terra di mafia per aver riportato articoli 
"incriminati" presi da altra fonte), la condivisione della querela con chi 
ha pubblicato per primo la notizia ritenuta lesiva.
Peacelink obbietta: ma allora dovremmo sempre controllare i contenuti di 
cio' che prendiamo da altri siti e media.
Purtroppo e' cosi', ed e' anche un principio etico, dato che un giornale, 
pur serio, potrebbe riportare una data notizia in un modo distorto o 
tendenzioso oppure, piu' semplicemente, potrebbe mescolare opinioni e 
fatti, traendo in inganno il lettore poco informato, o infine potrebbe 
esservi un errore di stampa.
Possiamo per questo far passare teorie per fatti accertati o propagare il 
torto inflitto ad un innocente?
Pensiamo se quell'innocente fossimo noi.
E' questo uno dei piu' grossi impegni di chi lavora nel Bollettino 
dell'Osservatorio sulla legalita'. Ogni articolo e documento pervenuto o 
trovato (oltre quindicimila in un anno) viene letto e vagliato, e non 
pubblicato se le informazioni contenutevi sono ritenute errate, incerte e/o 
lesive di altrui diritti. Siamo gli unici in tutta la rete, ad esempio, ad 
aver eliminato dalla famosa lista di parlamentari inquisiti o condannati 
della Repubblica delle Banane, un nominativo erroneamente inserito per 
omonimia.

Lo stesso e' accaduto per il netstraking (collegamento contemporaneo di 
molti) attorno al sito del ministero della giustizia, che io stessa non ho 
voluto pubblicizzare, nonostante le motivazioni condivisibili, dato che 
ravvisavo il rischio di incorrere nei reati di "interruzione di pubblico 
servizio" e di "istigazione a delinquere".
E' di poche settimane fa, infatti, la notizia che i promotori di 
quell'evento hanno ricevuto un avviso di garanzia per aver leso l'art. 617 
quater c.p. Hanno reagito mettendo il fatto in correlazione con
persecuzioni per le loro posizioni girotondiste, ma i magistrati hanno 
agito fondatamente. Il server bloccato dal "girotondo telematico", infatti, 
non ospita solo un sito informativo, ma distribuisce la posta di tutti i 
magistrati, cancellieri e tribunali d'Italia.

Con cio' non dico che si debba necessariamente prevedere un verdetto di 
colpevolezza in uno o in entrambi i casi, perche' cio' dipendera' da tanti 
fattori che emergeranno nel dibattimento (ed ovviamente io auguro agli 
amici coinvolti di avere il risultato sperato), come pure sono sicura che 
in tutte le vicende qui esaminate gli interessati fossero in buona fede, ma 
chi ha intrapreso l'azione giudiziaria si e' basato a mio avviso su 
elementi giustificati per farlo.

Riguardo alla vicenda di PeaceLink, se non erro fu proprio Carlo Gubitosa, 
piu' di un anno fa, a segnalare come deleterio il progetto dell'ordine dei 
giornalisti di apporre un bollino blu sulle testate telematiche che 
avessero un direttore responsabile regolarmente iscritto all'albo dei 
giornalisti (quindi obbligato a rispettare un codice deontologico 
professionale).
Quel provvedimento apparentemente discriminante fra testate di volontariato 
e testate "professionali" si sarebbe potuto rivelare in questo caso 
provvidenziale, perche' il sito dell'associazione, non avendo i 
finanziamenti necessari per pagare un giornalista, non porterebbe il 
bollino blu, e quindi l'informazione in esso contenuta sarebbe considerata 
"incerta".
Tale fatto potrebbe essere opposto in tribunale alla citazione per danni e 
probabilmente considerato un elemento fortemente attenuante per gli 
operatori dello stesso.

Mi sembra comunque importante sottolineare che, presumendo la buona fede, 
sarebbe buona abitudine, da parte di chi si ritiene leso, segnalare al 
giornale (o sito) l'errore ed eventualmente pretendere una smentita di pari 
lunghezza e visibilita' dell'articolo incriminato.
Cio' sembra non sia stato fatto nel caso dell'esperto NATO.

Mi preme anche far notare come qualche mese fa la commissione del Senato 
abbia sancito invece il diritto di diffamazione per i parlamentari in 
qualsiasi sede ed occasione. Ovviamente il concetto non era formulato in 
questi termini, ma come estensione dell'immunita' parlamentare a frasi 
pronunciate anche in occasione di trasmissioni televisive e senza alcuna 
correlazione con il proprio mandato parlamentare. Cio' crea ovviamente una 
notevole sperequazione fra il normale cittadino (associazione o giornale) 
ed i parlamentari, che alcune leggi si limiterebbero a farle, pur non 
rispettandole, ma purtroppo dobbiamo oggi attenerci alle leggi valide per 
noi comuni mortali, soprattutto se chiediamo il rispetto della legalita'.

Tornando a PeaceLink, quindi, pur non condividendo del tutto i contenuti 
dell'appello, esorto tutti a fare un versamento a favore di questa 
associazione, in riconoscimento degli altri suoi meriti, perche' possa 
difendersi in tribunale ed eventualmente fronteggiare la penale richiesta.

Il numero di ccp di PeaceLink e le altre informazioni sulla vicenda sono 
all'indirizzo: www.peacelink.it/emergenza/