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La nonviolenza e' in cammino. 456



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 456 del 25 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Rigoberta Menchu', arrivammo a comprendere
2. Giuseppe Casarrubea ricorda Danilo Dolci
3. Luigi Ciotti ricorda Tonino Bello
4. Rossana Rossanda, un natale da pensare
5. Tano Grasso, un decalogo contro l'estorsione
6. Tano Grasso, un decalogo contro l'usura
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. RIGOBERTA MENCHU': ARRIVAMMO A COMPRENDERE
[Da Mi chiamo Rigoberta Menchu', (a cura di Elisabeth Burgos), Giunti,
Firenze 1987, p. 146. Rigoberta Menchu', india guatemalteca, premio Nobel
per la pace, e' una delle figure piu' splendide dell'impegno per la dignita'
umana, i diritti, la pace, la solidarieta']
Arrivammo a comprendere che la radice di tutti i nostri problemi era lo
sfruttamento. Che c'erano ricchi e poveri. Che i ricchi sfruttavano i
poveri, il nostro sudore, il nostro lavoro, e in tal modo diventavano sempre
piu' ricchi. Inoltre, il fatto che negli uffici non ci davano ascolto, che
dovevamo inginocchiarci davanti alle autorita', tutto questo faceva parte
della discriminazione che subiamo noi indigeni. E poi l'oppressione
culturale, cercando di toglierci le nostre tradizioni, mirava a dividerci e
impedire l'esistenza delle nostre comunita'.

2. MAESTRI. GIUSEPPE CASARRUBEA RICORDA DANILO DOLCI
[Da una lettera personale - stupenda e commovente - di Giuseppe Casarrubea
(per contatti: icasar@tin.it) riportiamo questo brano in cui il prestigioso
storico impegnato contro la mafia ricorda il grande apostolo della
nonviolenza.
GIuseppe Casarrubea, figlio del militante del movimento operaio assassinato
dalla mafia a Partinico nel 1947, e' uno storico che ha dedicato
fondamentali ricerche alle lotte del movimento dei lavoratori contro la
mafia, ed e' a sua volta un prestigioso militante del movimento antimafia;
tra le sue molte ed ottime opere segnaliamo particolarmente: Portella della
Ginestra: microstoria di una strage di Stato (Angeli, Milano 1997); Fra'
Diavolo e il governo nero: doppio Stato e stragi nella Sicilia del
dopoguerra (Angeli, Milano1998); Salvatore Giuliano: morte di un capobanda e
dei suoi luogotenenti (Angeli, Milano 2001).
Su Danilo Dolci riproponiamo qui una relativamente sintetica ma accurata
scheda biografica scritta dal suo autorevole studioso - e suo e nostro amico
assai caro - Giuseppe Barone (e' il breve profilo comparso col titolo
"Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo,
Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002):
"Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel
1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini,
si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una
delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso
anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino
morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le
autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti,
come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza
Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e
mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono
anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono
incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con
centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a
riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per
la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena
occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per
consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della
Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e
di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico,
fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo
piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro
Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi,
Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si
moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero
(da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da
Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti
avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare,
sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario
e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina
verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare,
fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal
coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea
di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze
locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui
ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e
ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una
parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna,
rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E'
proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende
corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un
futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia,
che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno
strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di
acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo:
saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi
digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne
sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia
di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora
coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di
numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento
economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del
lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il
Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione
artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene
approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della
struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col
contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro
Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di
ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso:
muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e
dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre
societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di
ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso
la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della
"scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico,
propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei
rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul
"reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli
esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi
fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura
maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare,
legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina
del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un
infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie
residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della
sua vita"]
... Il suo accostamento a Danilo Dolci mi riempie di gioia; ma io non sono
che una piccola foglia dell'albero che egli ha piantato.
Il suo motto era: "Vivi in modo che in qualsiasi momento muori o
t'ammazzano, muori contento".
Quando andavo a trovarlo nel suo studio di largo Scalia a Partinico, trovavo
sempre dei titoli di dazebao scritti di suo pugno. Ne ricordo uno in
particolare, anche se sono passati quasi quarant'anni da allora: "Chi ha
ucciso Leonardo Renda?" Non dava risposte. Si interrogava e interrogava. A
distanza di tempo l'interrogativo provoco', lentamente, nella mia testa
curiosita' e ricerca e, dopo anni di studio ho scritto Portella della
Ginestra" (uscito nello stesso anno della sua morte) ed altri
approfondimenti.
Cosi' era Danilo: sapeva che poteva seminare dubbi, curiosita', incertezze,
domande che nessuno era abituato a porsi; sapeva anche che i frutti si
possono raccogliere nella stagione dei raccolti.
Ripeteva sempre un vecchio proverbio cinese: "Chi guarda avanti dieci anni
pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini".
Voleva stimolare alla riflessione, evitare che i morti scorressero come
oggetti di un rito normale. Ne aveva studiato la storia, raccogliendo casa
per casa testimonianze.
Aveva ascoltato la voce dei piu' umili, di quelli che mai prima avevano
avuto voce. E cosi' altre testimonianze aveva raccolto per documentare i
perversi circuiti mafiosi che costituivano l'ossatura del sistema politico
siciliano. Fu denunciato e condannato.
Allora Falcone e Borsellino erano giovani universitari, forse, ma sono
convinto che senza il contributo di quest'uomo che sognava un mondo nuovo,
senza mafia e senza guerre, noi non avremmo avuto gli insegnamenti di
Giovanni e Paolo e, con loro, di Terranova, Chinnici, Livatino, Pio La
Torre, e innumerevoli altri che dei principi costituzionali avevano fatto la
base della nostra democrazia, e del loro agire.
Quei tempi, anche se non remoti, sembrano ora sulla via di un declino
sconcertante. Tuttavia non bisogna mollare.
La pace non e' cosa da poco. Non e' accondiscendenza, quieto vivere. Il
modello della pace non e' il Pilato che "si lava le mani"; non conduce
all'ozio, ne' delega le scelte ad altri.
"Il primo strumento che ciascun individuo cosciente ha a disposizione da
valorizzare - diceva - e' se stesso". E precisava: "L'uomo ha un primo
strumento per la salute sua e dell'umanita' nel divenire lui stesso
obiettore di coscienza: non semplicemente nel rifiutare la guerra ma nella
piena chiarezza che ogni suo momento di vita deve essere coerente per non
essere smembrato e disfatto, per avere la possibilita' di un autentico
sviluppo; e nella piena chiarezza che il fronte contro la guerra, estremo
delle mostruosita', va organicamente approfondito e allargato contro i
diversi mostri economici, politici, giuridici, morali".
Il dato della coerenza, per Danilo, era fondamentale nella costruzione dei
gruppi nuovi. Non aveva in mente le "coesistenze difensive", le giudicava
"primitive" e "insufficienti". Pensava all'attacco, dal punto di vista della
pace, della sua costruzione.
Per questo scriveva: "Abbiamo bisogno di comunicazioni profondamente attive;
dobbiamo pensare alla morale come ricerca della massima valorizzazione
individuale e collettiva, della migliore integrazione tra tutti gli uomini".

3. MAESTRI. LUIGI CIOTTI RICORDA TONINO BELLO
[Il seguente intervento di don Luigi Ciotti e' ricavato dalla trascrizione
(non rivista dall'autore) di una relazione tenuta il 30 ottobre 2002 nel
ventesimo anniversario dell'ordinazione a vescovo dell'indimenticabile don
Tonino Bello, apparsa sull'eccellente periodico "Adista", nel n. 82 del 18
novembre 2002 (sito: www.adista.it).
Luigi Ciotti e' nato a Pieve di Cadore nel 1945, sacerdote, animatore a
Torino del Gruppo Abele. Impegnato contro l'emarginazione, per la pace,
contro i poteri criminali. Ha promosso numerosissime iniziative. Riportiamo
la seguente piu' ampia scheda biografica dalla Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche: "Luigi Ciotti nasce il 10 settembre 1945 a Pieve
di Cadore (Bl), emigra con la famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove
un gruppo di impegno giovanile, che prendera' in seguito il nome di Gruppo
Abele, costituendosi in associazione di volontariato e intervenendo su
numerose realta' segnate dall'emarginazione. Fin dall'inizio, caratteristica
peculiare del gruppo e' l'intreccio dell'impegno nell'accompagnare e
accogliere le persone in difficolta' con l'azione educativa, la dimensione
sociale e politica, la proposta culturale. Nel 1968 comincia un intervento
all'interno degli istituti di pena minorili: l'esperienza si articola in
seguito all'esterno, sul territorio, attraverso la costituzione delle prime
comunita' per adolescenti alternative al carcere. Terminati gli studi presso
il seminario di Rivoli (To), Ciotti nel 1972 viene ordinato sacerdote dal
cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia, gli viene affidata "la
strada". Sulla quale, in quegli anni, affronta l'irruzione improvvisa e
diffusa della droga: apre un Centro di accoglienza e ascolto e, nel 1974, la
prima comunita'. Partecipa attivamente al dibattito e ai lavori che portano
all'entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze.
Da allora, la sua opera sul terreno della prevenzione e del recupero
rispetto alle tossicodipendenze e dell'alcolismo non si e' mai interrotta.
E' invitato in vari Paesi (Gran Bretagna, Usa, Giappone, Svizzera, Spagna,
Grecia, ex Jugoslavia) per tenere relazioni e condurre seminari sul tema ed
e' chiamato per audizioni presso il Parlamento europeo. Nei primi anni
Ottanta segue un progetto promosso dall'Unione internazionale per l'infanzia
in Vietnam. Sempre sul piano internazionale, promuove programmi di
cooperazione sul disagio giovanile e per gli ex detenuti in alcuni Paesi in
via di sviluppo. Nel 1982, contribuisce alla costituzione del Coordinamento
nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca), presiedendolo per dieci
anni: al coordinamento, oggi, aderiscono oltre 200 gruppi, comunita' e
associazioni. Nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la
lotta all'aids (Lila), nata per difendere i diritti delle persone
sieropositive, di cui e' il primo presidente. Nel marzo 1991 e' nominato
Garante alla Conferenza mondiale sull'aids di Firenze, alla quale per la
prima volta riescono a partecipare le associazioni e le organizzazioni non
governative impegnate nell'aiuto e nel sostegno ai malati. Nel marzo 1995
presiede a Firenze la IV Conferenza mondiale sulle politiche di riduzione
del danno in materia di droghe, tra i cui promotori vi e' il Gruppo Abele.
Nel corso degli anni Novanta intensifica l'opera di denuncia e di contrasto
al potere mafioso dando vita al periodico mensile "Narcomafie", di cui e'
direttore responsabile. A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra
diverse realta' di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel
1995 "Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie", un network che
coordina oggi nell'impegno antimafia oltre 700 associazioni e gruppi sia
locali che nazionali. Sin dalla fondazione, "Libera" e' presieduta da Luigi
Ciotti. Il primo luglio 1998 riceve all'Universita' di Bologna la laurea
honoris causa in Scienze dell'educazione; Ciotti accoglie il conferimento
del titolo accademico come un riconoscimento significativo dell'opera di
tutto il Gruppo Abele. Alle attivita' del Gruppo Abele, di cui Ciotti e'
tuttora presidente, attendono oltre trecentocinquanta persone che si
occupano di: accoglienza, articolata in due servizi di pronto intervento a
Torino; in otto comunita' che ospitano persone con problemi di
tossicodipendenza, di alcolismo o malate di aids; in un servizio di
accoglienza notturno per persone senza fissa dimora. Il gruppo Abele ha
anche promosso e gestito l'esperienza di una "Unita' di strada" a Torino, la
seconda attivata in Italia; lavori di tipo artigianale, informatico,
agricolo, condotti attraverso la costituzione di cooperative sociali e di
uno specifico progetto Carcere e Lavoro; interventi di cooperazione
internazionale in Costa d'Avorio, Guatemala, Messico; iniziative culturali,
informative, educative, di prevenzione e formazione, che si svolgono
attraverso l'Universita' della Strada, l'Universita' Internazionale della
Strada, il Centro Studi, documentazione e ricerche, l'Ufficio Stampa e
comunicazione, la casa editrice Edizioni Gruppo Abele, la libreria Torre di
Abele, le riviste "Animazione sociale" e "Narcomafie", l'Ufficio Scuola.
Luigi Ciotti e' stato piu' volte membro del Consiglio Presbiteriale ed e'
attualmente membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino. Da
alcuni anni tiene corsi di formazione presso la Scuola per vigili urbani di
Torino e provincia. Nei primi anni Ottanta e' stato docente presso la Scuola
superiore di polizia del ministero dell'Interno. Giornalista pubblicista dal
1988, Ciotti e' editorialista e collabora con vari quotidiani e periodici
(tra cui: La Stampa, L'Avvenire, L'Unita', Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, il
Mattino, Famiglia Cristiana, Messaggero di Sant'Antonio, Nuovo Consumo),
scrive su riviste specializzate per operatori sociali e insegnanti,
interviene su testate locali". Opere di Luigi Ciotti: tra le sue
pubblicazioni segnaliamo Chi ha paura delle mele marce?, Edizioni Gruppo
Abele - Sei, Torino 1992; Persone, non problemi, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Terra e cielo, Mondadori, Milano 1998.
Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente
nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993. Costantemente impegnato
dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli
immigrati, grande costruttore di pace. Molte, e tutte appassionanti e
luminose, le sue pubblicazioni. Per una prima introduzione alla sua figura
cfr. il volumetto di Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello. Invito alla lettura,
San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001]
Monsignor Mincuzzi il 30 ottobre 1982 profeticamente pronuncio', rivolto al
novello vescovo, queste parole: "Per quanta mitezza e discrezione ci potra'
mettere Tonino, dovra' annunciare le beatitudini, i paradossi evangelici,
dovra' condannare la violenza, la possibilita' di manipolazione delle masse;
sara' malvisto e non avra' consolazioni neppure da coloro che gli
appartengono". Cosi e' stato.
Don Tonino una cosa sembra volerci dire oggi: che dobbiamo essere tutti
analfabeti sul tema dei diritti, nel senso che dobbiamo continuare a
cercare.
Solo se continuiamo a cercare, a documentarci, a leggere i cambiamenti, a
lasciarci prendere dallo stupore, riusciremo a espellere dalla nostra vita
il maledetto personaggio che tanto ci affascina: la paura del nuovo, del
cambiamento.
Ad esempio, egli non ha conosciuto materialmente i 5 curdi che recentemente
sono morti soffocati in quel camion sulla Canosa-Napoli, e neppure  gli
altri 39 morti in questo modo nell'ultimo anno; non ha conosciuto
materialmente i 700 immigrati morti annegati nei nostri mari alla fine del
loro viaggio della speranza. Ma certamente ci inviterebbe, oggi come allora,
a guardare i volti, anzi chiamerebbe per nome ognuna di quelle persone.
Don Tonino ha testimoniato il linguaggio della vita quotidiana, ha usato
parole comprensibili alla gente, consapevole del fatto, che possiamo dire
chi siamo solo quando ci assumiamo la responsabilita' di rispondere alla
domanda "Dov'e' tuo fratello?", cioe' nella misura in cui ci si mette in
gioco nel rapporto con i fratelli.
Un altro grande insegnamento viene dal nostro amico vescovo, quello cioe' di
evitare linguaggi e prassi "esclusivi" e di scegliere invece linguaggi  e
prassi "inclusivi": non esiste la mia idea o la mia chiesa o la mia nazione
o la mia associazione o gruppo... ma c'e' "la mia e la tua" idea, chiesa,
nazione, associazione, e insieme possiamo costruire un mondo piu' umano,
piu' rispettoso dei diritti di tutti, nella convivialita' delle differenze.
Esasperando le diversita' e i conflitti, invece, non si arriva da nessuna
parte, solo alla sopraffazione del piu' forte sul piu' debole.
Agli ultimi della fila, alle "pietre di scarto", don Tonino guardava con un
occhio privilegiato, con la precisa consapevolezza che non sono oggetto di
assistenza ma soggetti di diritto: a voi che non fate la storia - diceva - a
voi che non contate agli occhi degli uomini ma che siete grandi agli occhi
di Dio deve essere data l'opportunita'  di diventare cittadini, e questa non
e' una concessione magnanima, ma una questione di giustizia.
Occorre dire, pero', che anche se la parola giustizia e' una delle trenta
parole piu' usate nel mondo, non sempre la sua traduzione nei fatti e'
coerente con il suo significato. Sulla parola giustizia si operano numerose
manipolazioni. Chi opera queste manipolazioni (i nostri politici sono
maestri in quest'arte) a favore di una "giustizia fai da te", oppure a
propria misura o a misura dei propri interessi, ha una grande
responsabilita' politica e sociale. "La giustizia e' una parola terribile,
come la verita'" diceva Saveria Antiochia, la madre di Roberto, il
poliziotto trucidato con 80 colpi di pistola a Palermo il 5 agosto del 1985
mentre volontariamente si era aggiunto alla scorta del commissario Cassara'
il giorno in cui la mafia lo uccise.
Dobbiamo sentire forte la "fame e sete  di giustizia", ci dice don Tonino.
La poverta' infatti non e' un evento biologico ma un frutto
dell'ingiustizia. Se creiamo le condizioni per cui le persone siano libere
veramente, cioe' non dipendenti dagli altri, allora costruiamo una societa'
piu' solidale, dunque piu' giusta.
E don Tonino non e' venuto mai meno alle domande dei poveri del suo
territorio, domande di solidarieta', di giustizia, di legalita', anche
quelle domande che non emettono suoni: si e' inventato di tutto per
ascoltare, condividere, aiutare.
Egli e' stato profeta, non per leggere il futuro, ma perche' si e' sporcato
le mani nel presente, ha fatto emergere contraddizioni, ha fatto
concretamente accoglienza, si e' messo in gioco.
Ha abbattuto le mura della sua chiesa e l'ha fatta diventare una casa dove
c'era accoglienza e relazione: "Un vescovo senza fantasia - diceva don
Tonino -, senza creativita', incapace di mischiarsi per paura di
contaminarsi, ridotto a distributore di verita', non mi sembra in linea con
l'incarnazione". E aggiungeva: "L'importante per un vescovo e' che non sia
arrogante". Diciamole ai nostri vescovi queste parole. Diciamole anche a
quei vescovi che oggi affermano di essere stati amici di don Tonino, e sono
tanti. Diciamo loro che la Chiesa o e' profetica o non e'.
Di fronte alla nuova legislazione italiana in tema di immigrazione don
Tonino non avrebbe taciuto.
Un credente, e un pastore in particolare, non puo' e non deve stare zitto di
fronte alle violazioni della giustizia. E la giustizia oggi e' piena di
ferite gravissime. Alcuni esempi: la legge sull'immigrazione che consacra
l'esistenza di "cittadinanze diseguali" e che viola otto direttive europee
sul tema dei diritti; la consacrazione di "cittadinanze diseguali" a livello
geografico tra Nord e Sud d'Italia; l'impossibilita' di rendere usufruibili
i diritti sociali per tutti, ecc.
I diritti sono risposte ai bisogni delle persone e, dunque, sono i bisogni
delle persone a definire i diritti.
Occorre avere la strada come punto  di riferimento. Don Tonino, come Gesu'
che nel Vangelo ha avuto 109 incontri, ha preferito una evangelizzazione
"per contagio d'amore" lungo la strada: la strada ci invita a incontrare la
poverta' e ad entrare in relazione con i poveri, ci costringe a non
dimenticare che la poverta' e' espressione della visibilita'
dell'ingiustizia.
Il 30 aprIle 1983 don Tonino all'Arena di Verona, parlando di pace propose
di sostituire la parola "Beati" della famosa frase delle beatitudini con la
parola "in piedi", in modo che suoni cosi: "In piedi costruttori di pace,
sarete figli di Dio". Voleva dire che dobbiamo stare in piedi davanti a
tante croci che incontriamo nella vita: solitudini, sofferenze degli anziani
e dei malati, famiglie toccate dalla malattia, esclusi, inclusi ma disperati
dentro ecc.
Don Tonino ha avuto il coraggio della denuncia, attenta, puntuale, mai
generica, dell'ingiustizia; facendolo con umilta' e utilizzandola come
annuncio di salvezza.
Il suo obiettivo era infatti semplicemente di "saldare la terra con il
cielo" e non quello di "sparare a zero" sui cattivi.
Diceva ancora: "Dio non fa graduatorie. Non saranno sufficienti i propositi
(le promesse) dei partiti per tranquillizzarci sulle situazioni di
ingiustizia. Il futuro sara' con i piedi scalzi". Come a dire che la
giustizia e' un criterio dell'azione individuale, ma anche un criterio della
politica, altrimenti la politica e' sotto la schiavitu' dei privilegi di
pochi.
Dobbiamo spezzare la catena dei privilegi che genera ingiustizie e dobbiamo
sconfiggere l'omerta'.
Ecco una piccola litania o via crucis dei fatti che ogni giorno ascoltiamo,
ma poi facilmente rimuoviamo: Bernardo Romano, padre di sei figli, si e'
bruciato qualche mese fa perche' aveva perso il lavoro; e' stata
quantificata in 16.000 unita' la tratta dei minori nel nostro Paese che
vengono utilizzati soprattutto nel mercato della prostituzione; sull'asse
Bucarest-Madrid la mafia "acquista" migliaia di piccoli disabili per
mandarli sulle strade dei Paesi europei ed elemosinare; alla conferenza di
Johannesburg - boicottate da Bush, e non solo da lui - l'Organizzazione
Mondiale della Sanita' ci ha detto che il 40% dei bambini che muore ogni
anno nel mondo sono vittime degli effetti diretti o indiretti
dell'inquinamento (come se precipitasse un boeing carico di bambini ogni 45
minuti); c'e' poi lo scandalo degli aiuti, con i Paesi ricchi che riescono a
dare ai paesi poveri appena lo 0,7 % del loro Pil; si muore prima per
conseguenza del "dio mercato" che per la malattia o la poverta' (3,5 milioni
i morti di Aids).
Oggi si sta affermando un orizzonte culturale estremamente pervasivo e
pericoloso, una vera insidia per l'umanita', che passa attraverso i media,
la pubblicita', le trasmissioni televisive di intrattenimento. Questo
orizzonte culturale vuole convincerci che cio' che conta e' apparire, e che
per ottenere il potere di apparire, di essere come questo o quel
personaggio, tutto e' consentito, anche di passare sopra agli altri.
Ebbene, don Tonino ci direbbe che dobbiamo avere il coraggio di essere
"persone inadeguate". C'e' bisogno oggi di persone adulte, di cittadini
adulti, di cristiani adulti, sul piano personale e sul piano sociale e
politico, persone responsabili, persone che alla domanda di Caino "Sono
forse io il custode di mio fratello?" rispondono un secco "Si'".
C'e' bisogno di prudenza e sana follia, e il coraggio di osare: non basta
andare a rimorchio dei ricercatori delle scienze sociali, che ci presentano
il quadro dei problemi sociali; c'e' bisogno di rischiare. C'e' bisogno di
diventare piu' vivi, perche' a volte ci illudiamo soltanto di essere vivi;
che significa non porre impedimenti al futuro che irrompe.
Don Tonino cita Montale che dice "la morte odora gia' di resurrezione". Come
dire che la sofferenza e la morte hanno una "collocazione provvisoria" nella
nostra vita, perche' prima o poi irrompe la resurrezione e dunque la
speranza. Perche' si muoia non lo so, ma il senso della vita, dell'amicizia,
dell'amore - diceva - non si trova nei ragionamenti ma nella base
dell'impegno.
Non si puo' concludere un ricordo del vescovo don Tonino, "voce forte per i
diritti di chi non ha voce", se non si parla della pace.
Questa mattina 26 guerre si stanno combattendo nel mondo.
Secondo l'Osservatorio di Stoccolma negli ultimi 20 anni 9 milioni di
persone, soprattutto civili, sono morti in queste guerre.
La diplomazia si e' dimostrata impotente, l'informazione incompleta se non
cieca. La prima vittima delle guerra e' la verita'. Il primo vincitore
invece e' la volonta' di controllare le ricchezze naturali (diamanti,
petrolio, droga, ecc.), altro che ideologie o progetti sociali e politici o
religiosi: il potere, la volonta' di dominare,  di possedere le risorse, e'
il solo motore delle guerre, dell'oppressione. Nessuno vuol fare sconti ai
dittatori che minacciano e preparano guerre nei punti piu' critici del
mondo, ma occorre riconoscere che le modalita' di risposta alle loro
provocazioni o violenze non sono neutrali, una a caso la volonta' degli Usa
di bombardare a tutti i costi Saddam e il suo Paese. Sarebbe paradossale
pensare che per prendere quel mafioso di Provenzano bisognerebbe bombardare
tutta la Sicilia... Il terrorismo non e' mai figlio della poverta', anche se
si alimenta nella disperazione.
Dilatare la giustizia: e' questo il vero antidoto alla guerra e al
terrorismo.
Non c'e' pace senza giustizia, ce lo ripete in tutti i suoi discorsi il papa
Giovanni Paolo II.
Una pace stabile richiede una politica dialogica, che si basa su due
pilastri:
1) bisogna spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati
alle persone: e' questa la ragione per cui don Tonino e' andato a Sarajevo
oppure si e' bonariamente preso gioco delle Forze Armate;
2) bisogna rinforzare il tribunale penale internazionale, costringendo i
Paesi che non hanno firmato la Convenzione a farlo subito (sono gli stessi
Paesi che si ostinano a dirsi difensori della pace nella vicenda di Saddam
Hussein).
Concludo con una frase di David Maria Turoldo, che saluto' don Tonino con
queste stupende parole: "Grazie fratello vescovo per il tuo coraggio,
perche' ci inviti a metterci in ascolto del futuro".

4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: UN NATALE DA PENSARE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 dicembre 2002. Rossana Rossanda, tra
le figure piu' autorevoli della vita morale e civile del nostro paese, e'
nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista,
dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla
rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure
piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista
prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei
movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica
attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di
Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o
della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche
per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987;
con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma
1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione,
immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri,
Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della
testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e
politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli e saggi
pubblicati in giornali e riviste]
Siamo a natale e incombe una guerra.
Il papa ha detto una parola in piu' delle solite: no alla guerra preventiva.
Non lo ascoltano gli stati, che pur gli fanno grandi inchini, ma manda in
estasi gli intellettuali laici che con piacere vedono pescare dal Vecchio
Testamento l'irascibile Jahve'. Sembra che non siamo ancora diventati
adulti. Non bombarderanno Baghdad proprio il 24 e 25 dicembre, e forse
possiamo usare natale per riflettere. Per esempio, si puo' essere veri
cattolici e fedeli della Chiesa? Molti miei amici ci riescono, a condizione
di tenerla un poco discosta. Senza aprire scontri, che pur verrebbero
davanti a una curia prepotente, perche' Giovanni Paolo II non manda messaggi
terribili, anzi sembrano eccelsi di fronte alla vacuita' dei politici.
Si puo' rimproverargli quel che non dice piu' che quel che dice. E
passargli, scuotendo la testa, le fobie per il sesso, le donne prete,
controllo delle nascite e divorzi perche' molti cattolici hanno imparato a
considerare la Chiesa come un secondo Cesare, e per quel che riguarda Dio
andare diritto alla Parola. Il rapporto con l'oltre Tevere e' senza passione
e senza sofferenza, come con un vecchio padre che ha le sue fissazioni.
Insomma accanto al sorgere del cattolico guerriero, stigmatizzato da Ezio
Mauro, nonche' il dilagare di Cl e dell'Opus che piace a D'Alema, molti
cattolici si ritirano - che e' poi un atto monastico - nella interiorita' e
coltivano una fede forse impropriamente chiamata debole: leggere il lume
sapienziale, il messaggio delle origini, quello che sta nel Libro e nei
libri, spesso anche negli apocrifi, e che suona tanto piu' profondo del
crudele cicaleccio del mondo intriso di soldi e di armi. Non e' la parola di
Cristo che conta? La radice dell'altrimenti impensabile dilatarsi del suo
messaggio nel periodo turbolento in cui nacque, che ha ribaltato il mondo,
l'idea di se', del destino. Se c'e' un miracolo, e' questo. Null'altro.
*
Un momento - ci ferma Giuseppe Barbaglio, biblista limpido e persona
squisita, che ha appena pubblicato quel che sarebbe un bestseller se le
librerie normali, per natale piene di scempiaggini, gli facessero posto fra
i padre Pio e gli Escriva', o se le edizioni Dehoniane non lo riservassero
per quelle di via della Conciliazione, dove ci si strappa le ultime copie
ancorche' sia un volume grosso, per niente semplificante e caro. Si chiama
Gesu' ebreo di Galilea. Indagine storica. Fa il punto di una plurisecolare
ricerca.
Che sappiamo del nazareno? Sulla sua esistenza e morte in croce ci sono
testimonianze indiscutibili anche di fronte avversa - primo Flavio Giuseppe.
Ma se sia nato da vergine non si sa, ne' le stesse fonti cristiane lo dicono
sempre; ne' che Maria vergine sia rimasta perche' gli stessi sinottici gli
assegnano fratelli: la verginita' di Maria e' costruzione dalla non
primissima chiesa. Era celibe, Gesu'? e' da presumere ex silentio, ma molti
lasciavano mogli e figli quando si ritiravano fra predicazione e
contemplazione. E fino alla predicazione poco ne sappiamo; dopo e' certo che
Gesu' e' stato un guaritore e un esorcista fra i molti allora in giro. E'
nuovo pero' che guarisca per fede, non per far credere. E' un giovane,
appassionato e convincente protagonista di un mondo - attorno a un milione
di anime, ma sui numeri gli storici si azzuffano, mai meno di
cinquecentomila, mai piu' di sei milioni - occupato dai romani e
tumultuosamente in attesa di un Messia, divise piu' nelle pratiche che nella
fede, cercatrici di assolutezza e di norme. E di indipendenza, Cristo lo
hanno tolto di mezzo i romani temendone una sedizione, e solo loro; gli
ebrei proprio per nulla: la costruzione antiebraica appartiene alla
comunita' cristiana successiva. E' stato ucciso orrendamente, l'arte
figurativa cattolica allevia quel lento soffocamento che accompagna l'essere
appeso. Non e' certo che abbia detto quel "Signore signore perche' mi hai
abbandonato" che tanto ci tocca. E poi e' certo scomparso dalla tomba di
Giovanni d'Arimatea, ma si sussurrava che l'avessero sottratto i discepoli
per far credere a una resurrezione.
*
Predicazione, morte e resurrezione del figlio di Dio sono il cardine delle
chiese cristiane, che lo preferirebbero legato con gomene alla storia, e se
non e' possibile lo fissano per dogma. Ma perche' far nascere la fede da un
atto magico, sovrannaturale, invece che dalle parole di risposta a un
bisogno assoluto e profondo, allora radicato, e che poi si diffonde, diventa
vita, senso e financo martirio? A lettura compiuta del Gesu' ebreo di
Galilea mi chiedo per quale debolezza, incertezza, sfiducia nel popolo
incolto, la Chiesa abbia sempre piu' messo mano sul dogma, inchiodando quel
che era probabile o solo possibile - fino a tempi recentissimi, con la
immacolata concezione di Maria. E' una dogmatica che pesa sulle divisioni
dei cristiani. Forse e' un segno prima di pieta', poi di timore del
luteranesimo, poi del positivismo che la attornia e le stinge addosso fino
alla miserevole coda delle procedure di beatificazione con relativi
miracoli.
*
Questo Barbaglio non dice. Barbaglio e' un credente, ma da ricercatore non
fa mai appello al dogma. Non appartiene allo storico il giudizio, e egli se
ne astiene fermamente, fermamente persuaso che storia e fede non si
legittimano l'una con l'altra, in nessuno dei due sensi. E delinea
all'inizio la discussione, nata nel Seicento, ma sviluppatasi soprattutto
dal secolo scorso ad oggi, sul Gesu' della storia e il Gesu' della fede,
dalla old quest, soprattutto la Storia della ricerca sulla vita di Gesu'
dello Schweitzer (1906), che fa del nazareno un predicatore dell'imminente
venuta del Messia e, non vedendola, se ne va alla morte, sorta di antico Che
Guevara. Sulla figura d'un Cristo indipendentista sconfitto lavorano in
molti.
E poi i razionalisti che cercano pedanti prove su tutto e per poco non
riducono tutto a psicosi, le letture protestanti, la fascinosa Vie de Jesus
di Renan, soprattutto la grande discussione aperta da Rudolf Bultmann
(Geschichte der synoptischen Tradition) dove l'esperienza e l'elaborazione
delle prime comunita' cristiane si fa ed elabora l'essenziale, la
predicazione di Cristo, la sua missione, la sua catechesi, piu' che sulla
figura storica e documentabile.
Poi la discussione declina, no quest, e poi rinasce, third quest, e dura fin
ad oggi specie da parte americana. Non e' mai pura filologia, e sempre meno
scontro fra gli aggrappati al poco che la storia certifica e il sempre piu'
vasto ventaglio di chi, fra credenti e non, ragiona sul fascino di quella
parola, la rivoluzione della persona che ne consegue, il passaggio fra certi
antichi rizomi e il loro tramutare dalla parola forse detta, ascoltata,
certo ricordata allo scritto, il canone e anche gli apocrifi. Il Galileo e'
passato e cambia tutto. Non solo fede, troppo semplice. E poi fede che cosa
e'? Difficile immaginare uno studio piu' sobrio e affascinante di questo.
*
Da questa severissima e problematica ricerca nulla sembra piu' distante
della predicazione di Camillo de Piaz, che esce per le Edizioni Servitium di
Bergamo. Una prima scelta di testi pastorali e' stata presentata col titolo
Un'altra sete, dalla prefazione di Edoarda Masi (2001), una seconda col
titolo Fu detto agli antichi, e' uscita con prefazione di Laura Novati, nel
2002. Camillo de Piaz e' una figura del tutto a se', ma ben nota a noi che
lo conoscemmo fin dalla Milano degli Anni Cinquanta. Regnavano a Roma Pio
XII e a Milano Ildefonso Schuster, che pareva una sua secca copia. Ma
nell'apparente stagnazione fra i cattolici era tutto uno scricchiolio, dal
quale sarebbero nate le Acli, una sinistra democristiana lombarda senza pari
in Italia, una Cisl che, specie nella Fim, si sarebbe trovata negli Anni
Settanta piu' a sinistra della Cgil.
*
Sullo sfondo agivano senza clamore e in profondita' alcuni centri
minoritari, noti anche a noi cattivi comunisti, non fosse che per il filo
non spezzato della Resistenza, e fra questi la Corsia dei Servi, presso la
chiesa di san Carlo al Corso, di Camillo de Piaz e Davide Turoldo. Avevano
fin prodotto un foglio clandestino. Meno luccicante del successivo san
Fedele dei Gesuiti di "Aggiornamenti sociali", la Corsia era piu' audace.
C'era la guerra d'Algeria e vi portavamo gli insoumis e gente del Fln che ci
arrivava dalla Francia; Camillo e Davide li ospitavano, documenti o no.
Approdo' alla Corsia giovanissimo il poeta Kateb Yacine, mentre Jeanne
Modigliani, figlia di Amedeo, portava in un valigione da Parigi, il foglio
del Maf (Mouvement anticolonialiste francais) che si stampava qui con i
soldi di Giangiacomo Feltrinelli. La Corsia aiutava a sistemare i rifugiati,
a far partorire qualche madre senza carte, a diffondere la stampa.
Turoldo e de Piaz erano di poche parole e grande efficienza; ne' loro ne'
noi sapevamo che Enrico Mattei guardava con attenzione all'Algeria per il
petrolio, e la nostra clandestinita' era probabilmente seguita da occhi
governativi piu' benevoli di quelli del Pcf e, fraternita' obbliga, del Pci.
Meno tollerante il Vaticano. Non ci stupi' che i due, poco amati dalle
gerarchie, fossero un bel momento rimossi, la Corsia acquietata e Turoldo
spedito nell'alta Lombardia, a Tirano, dove Camillo vive tuttora.
*
E predica il Vangelo. La parola. Per come ci e' stata tramandata, con un
commento breve e semplice. Per me e' stata una lettura intrigante. Non sono
interventi sull'attualita', ne' su questioni teologiche, sono l'esposizione
di qualche passo del vecchio Testamento, di una delle lettere paoline e di
uno dei vangeli, come prescritto dalla liturgia; di Paolo soprattutto la
Lettera ai Romani, dei Vangeli soprattutto quello di Giovanni. Il lettore e'
indotto al percorso inverso, ad andarsi a cercare i passi per capire il
commento, e cogliere il sale che volta a volta Camillo vi ha messo. Ma non
e' un buon sistema. La scelta segue l'ordine liturgico, non quello
temporale, una lettura di Quaresima del 1953 precede subito una di Pasqua
del 1983 o viceversa, e prende di sorpresa trovare nel 2000 "le beatitudini
presenti". In quale contesto cadevano quelle parole? Nel 1972 si parla d'un
"sangue innocente recentemente versato": sangue di chi? E perche' proprio
questi pezzi sono stati scelti nella predicazione di oltre quaranta anni? E
perche' alcuni anni mancano? Si insegue Camillo su e giu' dall'indice ai
passi del Libro e alla memoria, prima di capire quanto sia determinato, se
non malizioso da parte di un sacerdote, che si e' impegnato nelle traversie
del mondo, metterci davanti alla intemporalita' della Parola.
*
Rivelatore quel che dice cominciando una messa di natale alla fabbrica
Innocenti occupata: "Uno come me che non fosse figlio di un operaio e non
avesse fatto le scelte che ha fatto, sarebbe tentato di dare a questa messa
un carattere demagogico". Perche' ha "ben vivo il luogo e il momento". Ma
"sarebbe offensivo nei vostri confronti". Un prete non ha nulla da insegnare
agli operai in lotta, puo' dirgli quel che hanno in comune: la non
accettazione del "fare" ridotto a "merce". "Che senso ha la vostra lotta se
non rivendicare la pienezza dell'umanita', di creature liberate?". E'
inumana la civilta' del mercato e del consumo, la sola che estorca qualche
invettiva al suo parlare misurato, che mette in parallelo, ne' piu' ne'
meno, le lotte terrene con la promessa messianica.
Diversamente da altri, Camillo non si scontra con la teologia, legge le
scritture secondo verita', e gli va bene che sia quella della Chiesa, cui
rimprovera soltanto le tentazioni di potere e le concessioni mediatiche. Non
risuonano i suoi commenti di propositi fracassanti contro una gerarchia che
tradirebbe la parola, diffida dal luteranesimo che rifiuta la mediazione
della Chiesa fra la persona e la parola. La Chiesa, dice di passaggio - e
non si capisce se sia un elogio o una scusante - e' la parola cresciuta
nella storia.
*
Il "Date a Cesare quel che e' di Cesare, e a Dio quel che e' di Dio" per lui
e' un intransigente distinguo contro la pretesa, ingenua, di far a meno
della chiesa o la poco ingenua pretesa ecclesiastica di avere un magistero
sulle cose del mondo. I piani sono due, non confondiamo, niente pasticci. Ma
della parola gli uomini hanno sete, un'altra sete, come il Cristo dice alla
samaritana sorpresa che a lei, straniera, chiacchierata, egli chieda
dell'acqua. Tutti stranieri siamo, per Camillo, tutti in qualche misura
esclusi, tutti assetati, di sapere, di raggiungere. Mio dio, esclama a un
certo punto, non sara' che in ogni raggiungimento c'e' qualcosa di satanico?
Ma e' un grido strappato nell'oscillare di ogni cristiano fra mondo
interamente umano e totalita' di Dio. Non vi risponde.

5. MATERIALI. TANO GRASSO: UN DECALOGO CONTRO L'ESTORSIONE
[Da Tano Grasso, Contro il racket, Laterza, Roma-Bari 1992. Tano Grasso e'
nato a Capo d'Orlando, in provincia di Messina, nel 1958; laureato in
filosofia a Firenze, commerciante, presidente dell'Acio (l'Associazione dei
Commercianti ed Imprenditori Orlandini fortemente impegnata contro il racket
delle estorsioni, che ha denunciato i mafiosi e li ha fatti condannare in
tribunale), poi parlamentare, membro della Commissione parlamentare
antimafia, primo firmatario della proposta di legge contro l'usura, poi
apprezzato Commissario Straordinario di Governo per il coordinamento delle
iniziative antiracket e antiusura, rimosso per volonta' del governo attuale.
Ha dato un notevole contributo nella lotta contro il racket delle
estorsioni, la mafia, l'usura. Nella presentazione del suo primo libro,
Contro il racket (Laterza, Roma-Bari 1992), scriveva: "Caro lettore, cara
lettrice, non sono uno scrittore, anche se sono l'autore del libro che hai
nelle mani. Non sono un teorico, anche se gli studi di filosofia
all'Universita' di Firenze mi hanno lasciato dentro il gusto di ragionare e
di capire. Non sono un politico, anche se siedo sui banchi del Parlamento
della Repubblica italiana. Sono un commerciante di scarpe. Insieme ad altri
commercianti mi sono trovato a vivere un'esperienza incredibile. Anch'io,
ancora oggi, quando ripenso a tutto quello che e' successo negli ultimi due
anni, stento a crederci. La rivolta contro il racket, l'assassinio di Libero
Grassi, i funerali, le interviste, gli studi televisivi, il processo, gli
estorsori condannati, nuovi funerali, gli incontri nelle scuole, nelle
piazze, nelle chiese, le mani strette per strada. Stento a crederci. (...)
Questa e' la mia testimonianza, e non solo la mia". Opere di Tano Grasso:
Contro il racket, Laterza, Roma-Bari 1992; Ladri di vita, Baldini &
Castoldi, Milano 1996; I fondi antiusura e antiracket, in Luciano Violante
(a cura di), I soldi della mafia. Rapporto '98, Laterza, Roma-Bari 1998.
Opere sull'esperienza dell'Acio e della resistenza antimafiosa a Capo
d'Orlando: Fulvio Abbate, Capo d'Orlando. Un sogno fatto in Sicilia,
Theoria, Roma-Napoli 1993; Salvatore Costantino, A viso aperto. La
resistenza antimafiosa di Capo d'Orlando, La Zisa, Palermo 1993]
1. Non sottovalutare mai la prima telefonata, il primo segnale "strano", il
primo passaggio dal negozio di persone sospette.
2. Mettiti subito in contatto con le forze dell'ordine. In questa fase un
contatto con le autorita' di polizia non richiede la formale denuncia del
presunto estorsore ne' e' detto che il passaggio successivo debba essere,
sempre e in ogni caso, la deposizione in tribunale.
3. Collabora con la polizia, chiedi che in questa fase ti sia garantito il
necessario anonimato. Insieme si puo' individuare una strategia di attacco
che consenta una serie di indagini per "incastrare" coloro che tentano
l'estorsione, senza la necessita' di chiamare in causa direttamente la
vittima. Una volta individuati, possono, ad esempio, essere arrestati per
altri reati.
4. Non chiudere subito la trattativa con l'estorsore: non dire ne' si' ne'
no. Bisogna prendere tempo. Se matura nella vittima la consapevolezza e la
disponibilita' a giungere fino in fondo, si possono attuare strategie piu'
impegnative.
5. Devi farli arrestare tutti. Di solito, all'inizio, il criminale tende a
dare ampi margini di tempo per decidere. Si apre una vera e propria
trattativa per la definizione del quanto pagare. Non precipitare i tempi
serve a fare venire allo scoperto il maggior numero di persone coinvolte. Si
evita cosi' di far arrestare solo l'ultima ruota del carro. Nel momento in
cui si va a chiudere la trattativa interviene sempre un personaggio di
rilievo della famiglia mafiosa che spende la propria autorevolezza per
superare le ultime esitazioni della vittima. Adesso puo' scattare la
"trappola".
6. Non fidarti dei falsi amici. Spesso entrano in gioco nuove figure che
intervengono per svolgere la mediazione. Ovviamente si tratta di una
mediazione apparente, essendo priivilegiati gli interessi di chi estorce.
Chi interviene e', di solito, un altro imprenditore che gia' paga da molto
tempo e il cui livello di invischiamento e' ad uno stadio gia' avanzato.
7. Non cedere alla paura. Durante la trattativa si ricorre all'uso di forme
di violenza, attentati e minacce, al fine di superare l'eventuale resistenza
della vittima, impaurendola. E' il momento piu' delicato. Se cedi adesso, e'
finita: hai ceduto per sempre. E' il momento di assumerti la responsabilita'
piu' impegnativa. Mai e poi mai bisogna pagare.
8. Evita di esporti da solo. Il coraggio del singolo non e' mai sufficiente,
occorre l'"intelligenza". Come si puo' intervenire per ridurre al minimo il
rischio individuale? Lo strumento quasi magico e' l'associazione. Occorre
parlare con altri colleghi, coinvolgere le associazioni di categoria.
Laddove queste non sono sensibili bisogna dar vita ad altre associazioni.
Deve nascere una rete di protezione attorno a chi ha deciso di ribellarsi.
9. Ricerca la solidarieta' dell'intera comunita'. L'estorsione non riguarda
solo gli imprenditori e gli operatori commerciali, ma tutti i cittadini. Non
sentirsi isolati da' forza. In un primo momento puo' anche succedere che si
venga guardati con sospetto o che perlomeno vi sia una sottovalutazione del
fenomeno. L'iniziativa pubblica dell'associazione serve a coinvolgere il
maggior numero di soggetti, politici e istituzionali, e anche i comuni
cittadini, la societa' civile. E' questa la vera protezione alla tua
persona.
10. Ora non sei piu' solo. L'associazione, con i propri legali, interviene
nel processo penale costituendosi parte civile. Fiduciosi bisogna aspettare
la sentenza di condanna.

6. MATERIALI. TANO GRASSO: UN DECALOGO CONTRO L'USURA
[Da Tano Grasso, Ladri di vita, Baldini & Castoldi, Milano 1996]
1. Rivolgiti subito ai superiori dell'istituto di credito quando la banca ti
nega un prestito, e ti sembra che sia un'ingiustizia. Cerca di ottenere una
motivazione per il diniego e sforzati di capire. E' possibile che ci siano
anche errori nel piano finanziario e nell'organizzazione complessiva della
tua azienda. Se e' cosi' alle difficolta' di oggi ne seguiranno altre, piu'
gravi, domani. In questi casi hai bisogno di consulenza piu' che di denaro.
Cerca di farti aiutare da un'associazione di difesa dei consumatori.
Ricordati che l'Abi ha approvato un Codice di comportamento per le banche
aderenti che prevede, fra l'altro, di ridurre il pił possibile i tempi per
la concessione degli affidamenti e di seguire criteri di trasparenza nelle
procedure per la valutazione delle relative richieste. Verifica se
l'istituto di credito a cui ti sei rivolto ha aderito al Codice di
comportamento e segnala eventuali inadempienze all'Abi.
2. Denuncia subito se qualcuno della banca che ti ha negato il credito ti
indica altri (privati o finanziarie) cui rivolgerti per avere un prestito.
Ricordati che l'aderente al Codice di comportamento si e' impegnato a
rafforzare le procedure interne per il controllo del proprio personale. La
nuova legge antiusura prevede una sanzione penale per chi, nell'esercizio di
un'attivita' bancaria, indirizza un cliente verso un soggetto non abilitato
all'esercizio dell'attivita' finanziaria.
3. Leggi con attenzione tutte le clausole contrattuali quando ti viene
concesso il credito. In caso di dubbi fatti assistere da un'associazione.
Tanto i tassi che ti vengono proposti quanto le altre condizioni possono
essere contrattati. Non dimenticare che tu sei un cliente che paga un
servizio e non il beneficiario di un atto di generosita'. Ricordati che,
sulla base del Codice di comportamento, la banca e' tenuta a fornire, se lo
richiedi, una copia in bianco del contratto relativo al prodotto o al
servizio offerto, prima della firma dello stesso contratto.
4. Cerca di concordare sempre un piano di rientro se improvvisamente la
banca ti chiede il rimborso del credito. Fatti assistere da un consulente.
Ricordati che una banca che opera correttamente ha interesse a recuperare i
crediti e a non far fallire i propri clienti: per questo non puo' non
prendere in considerazione ogni fattiva proposta di pagamento del debito. Se
ti si chiede un aumento del tasso di interesse concordato, verificane la
legittimita'. Cerca di evitare gli sconfinamenti (il denaro costa di piu' e
tu sei in una posizione di debolezza): opera per trasformare l'extra-fido in
normale affidamento o cerca all'inizio del rapporto di contrattare un
affidamento piu' elevato secondo le tue esigenze. Attento, che se operi con
lo sconfinamento il direttore della banca ha un enorme potere discrezionale
per importi il rientro immediato.
5. Assicurati quando ti rivolgi a una finanziaria che sia abilitata a
esercitare il credito. C'e' una legge che obbliga a essere iscritti in un
apposito elenco e questa condizione deve essere pubblicizzata. Adesso questo
obbligo vale anche per chi esercita l'attivita' di mediazione o di
consulenza finanziaria. Assicurati sempre che tutte le condizioni risultino
dal contratto: diffida da chi ti propone tassi troppo alti o troppo bassi.
Non rilasciare mai assegni tuoi o di terzi a garanzia; se rilasci effetti
cambiari, accertati che cio' risulti nel contratto. Se l'adempimento delle
tue obbligazioni e' garantito da beni mobili o immobili, verifica che cio'
risulti specificamente nel contratto: non firmare mai, comunque, promesse di
vendita o similari.
6. Non rivolgerti mai, per nessuna ragione, a chi ti offre denaro in
prestito con rapide procedure chiedendoti in cambio interessi elevati o
altre pesanti condizioni. Costui, anche se non e' un usuraio, anche se e' un
amico, e' per te l'anticamera dell'usuraio. Ricordati che l'usuraio non ti
sara' mai amico, non sara' mai il tuo salvatore, ma il tuo carnefice. Se
entri nel "giro" dell'usura, prima o poi, non sarai piu' proprietario della
tua azienda ne' dei tuoi beni.
7. Rivolgiti a un Consorzio fidi o alla Fondazione antiusura piu' vicina
alla tua citta' se nessuna banca o finanziaria e' in grado di garantirti un
prestito. La nuova legge contro l'usura ha stanziato delle somme per
consentire a queste strutture di prevenzione di offrire prestiti garantiti
dai loro fondi rischi a chi non e' "meritevole" per il mondo del credito.
8. Denuncia prima possibile l'usuraio. Non esitare a rivolgersi alle
autorita' di polizia. Non perdere mai tempo: prima denunci e maggiori sono
le possibilita' di tornare alla vita normale. Non aspettare di essere
completamente strozzato. L'usuraio, approfittando delle tue condizioni di
difficolta' economiche, ti offre un prestito con interessi sproporzionati o
con altre condizioni vessatorie oppure con interessi che eccedono il "tasso
soglia" stabilito dalla legge. Adesso esiste una legge che aiuta le vittime
d'usura che hanno denunciato offrendo loro un prestito senza interessi di
durata quinquennale. Rivolgiti alla prefettura della tua provincia o a una
associazione di categoria per chiedere informazioni sulle procedure di
accesso al Fondo di solidarieta' per le vittime d'usura.
9. Fatti furbo. Chi ti offre denaro in prestito lo fa solo perche' ci
guadagna. Tu devi cercare di difenderti. Cerca di segnare sempre tutti i
movimenti di contante e di titoli, tutti i "dare" e "avere": possono essere
decisivi come prova del tuo sfruttamento usuraio. Quando ti incontri con
l'usuraio cerca di registrare le conversazioni o di avere testimoni.
10. Fai valere i tuoi diritti. Nel caso in cui l'usuraio agisca per il
recupero coattivo del credito, non esitare a opporti nelle forme di legge:
mai l'usuraio puo' presentare istanze di fallimento contro di te e se viene
accertato il rapporto usuraio il contratto viene annullato. Non dimenticare
che un'azione civile alle volte puo' essere sospesa quando e' pendente un
procedimento penale per usura. Ricordati che con la nuova legge il
presidente del tribunale puo' disporre la sospensione della pubblicazione o
la cancellazione del protesto a seguito di un titolo di pagamento presentato
da un imputato per il delitto d'usura. Ricordati, ancora, che il protestato
che ha adempiuto all'obbligazione entro un anno dal levato protesto puo'
ottenere la riabilitazione.
In ogni caso, non restare mai solo: cerca il sostegno di un'associazione di
categoria o di un'associazione antiracket.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

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Numero 456 del 25 dicembre 2002