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La nonviolenza e' in cammino. 455
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 455 del 24 dicembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Primo Levi, la bambina di Pompei
2. Peppe Sini, una dichiarazione di solidarieta' con Giuseppe Casarrubea
3. Carlo Gubitosa: dieci modi per sostenere Peacelink e il volontariato
della telematica pacifista e nonviolenta
4. Susanna Ripamonti intervista Vandana Shiva
5. Anto Akkara, Medha Patkar
6. Giulio Vittorangeli: solidarieta' internazionale, una parola semplice
7. Gabriella Fiori: l'incontro di Simone Weil
8. Eugenio Melandri, e' difficile farsi gli auguri
9. Michele De Pasquale, noncollaborazione economica contro la guerra
10. Hannah Arendt, tutto cio' che vive
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. POESIA E VERITA'. PRIMO LEVI: LA BAMBINA DI POMPEI
[Ancora una volta riproponiamo questa sublime poesia di Primo Levi del 20
novembre 1978 (in Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1984, 1990, pp. 42-43; e
anche in Opere II, Einaudi, Torino 1997, p. 549). Primo Levi e' stato uno
dei piu' grandi testimoni della dignita' umana, il piu' grande dei nostri
maestri. Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente
scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz,
sopravvissuto, e' stato uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana
ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio;
le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti
dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi:
fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La
ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti
presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora
incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di
Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La
chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il
fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo
Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due
volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere
su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano
1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994;
Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini,
Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992;
Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica,
Einaudi, Torino 1997; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia,
Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta,
Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di
Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di
Primo Levi, Mursia, Milano 1976]
Poiche' l'angoscia di ciascuno e' la nostra
Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna
Che ti sei stretta convulsamente a tua madre
Quasi volessi ripenetrare in lei
Quando al meriggio il cielo si e' fatto nero.
Invano, perche' l'aria volta in veleno
E' filtrata a cercarti per le finestre serrate
Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti
Lieta gia' del tuo canto e del tuo timido riso.
Sono pssati i secoli, la cenere si e' pietrificata
A incarcerare per sempre codeste membra gentili.
Cosi' tu rimani tra noi, contorto calco di gesso,
Agonia senza fine, terribile testimonianza
Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme.
Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella,
Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura
Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani:
La sua cenere muta e' stata dispersa dal vento,
La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito.
Nulla rimane della scolara di Hiroshima,
Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli,
Vittima sacrificata sull'altare della paura.
Potenti della terra padroni di nuovi veleni,
Tristi custodi segreti del tuono definitivo,
Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo.
Prima di premere il dito, fermatevi e considerate.
2. APPELLI. PEPPE SINI: UNA DICHIARAZIONE DI SOLIDARIETA' CON GIUSEPPE
CASARRUBEA
"La verite' est en marche et rien ne l'arretera"
(Emile Zola, Lettre au President de la Republique, apparsa ne "L'aurore", 13
gennaio 1898)
*
Vi e' un filo, nero di lutto, rosso di sangue, che lega in continuita' il
regime terrorista fascista e le stragi di stato nell'Italia repubblicana. E
uno dei nodi essenziali di questa trama e' Portella della Ginestra.
Tutti coloro che in Italia dal dopoguerra ad oggi si sono occupati di lotta
contro i poteri criminali, il regime della corruzione, le stragi di stato,
l'economia inquinata e illegale, i poteri occulti e deviati; tutti coloro
che hanno provato almeno una volta nella vita il sentimento mirabilmente
espresso nell'indimenticabile "romanzo delle stragi" di Pier Paolo Pasolini
(quell'articolo del novembre '74 che comincia con: "Io so. Io so i nomi dei
responsabili di quello che viene chiamato golpe..."); tutti coloro che hanno
avuto una o piu' persone care assassinate dalle organizzazioni criminali;
tutti coloro che hanno pianto ed hanno gridato di strazio vedendo straziate
le carni e le anime dei buoni e degli infelici molti; tutti sappiamo che
Portella della Ginestra e' una delle radici e delle chiavi dell'orrore che
tuttora perdura.
Il professor Giuseppe Casarrubea conosce il dolore, di quello strazio e' un
testimone.
E Giuseppe Casarrubea e' uno storico: sa che solo con la verita' si rende
postuma giustizia alle vittime per quanto ad esse giustizia sia possibile
rendere, poiche' le vittime restano vittime e spento ad esse il lume dei
giorni nulla piu' e' riparabile, redimibile, risarcibile.
Ma possiamo onorarle, le vittime, rivendicarle come nostri maggiori e nostri
compagni; possiamo porci alla loro scuola; e per far questo uno strumento ed
uno solo abbiamo: la forza della verita', che e' luce incivilitrice, che e'
riscatto degli oppressi, che e' suscitamento dei vivi alle opere buone,
all'agire che inveri l'eredita' feconda delle lotte e delle speranze delle
vittime, riconoscimento di umanita'.
Giuseppe Casarrubea, testimone e storico, mette a disposizione la sua
competenza scientifica e la sua motivazione morale e psicagogica, fa opera
di impegno civile. Con i suoi libri e le sue ricerche ha contribuito a tener
viva la memoria delle vittime ed a portare avanti l'escavo dei fatti al fine
di far emergere dalla roccia del piu' doloroso passato la rosa risplendente
della verita'.
*
Che per questa sua attivita' scientifica e civica di promozione della
verita' e della giustizia Giuseppe Casarrubea subisca oggi un processo gli
fa onore.
Su quel banco degli imputati sono idealmente con lui Danilo Dolci, che gli
fu maestro ed amico, e quanti non hanno giammai piegato la testa al barbaro
dominio mafioso, al terrorismo, ed al regime della corruzione e delle stragi
di stato.
*
Io che scrivo queste righe ignoro perche' un altro cittadino italiano si sia
sentito offeso da queste ricerche storiografiche che certo riaprono antiche
ferite (ma quelle ferite e' necessario riaprire proprio per contrastare la
cancrena che ancora affetta e corrode necrotica il nostro paese e la nostra
storia); e non esito a dire che se una persona si sente offesa
individualmente o nella sua appartenenza ad un soggetto collettivo, ad essa
va espresso il nostro sincero sentimento di dispiacere, e la conferma del
convincimento che la dignita' di ogni persona vada sempre rispettata.
Ma non vi e' dubbio che il lavoro di Giuseppe Casarrubea non e' inteso ad
offendere, bensi' a far luce affinche' cessi un troppo a lungo protrattosi
oltraggio alla storia civile ed alla memoria delle vittime tutte; non vi e'
dubbio che il lavoro di Giuseppe Casarrubea e' inteso proprio
all'affermazione della dignita' di ogni essere umano: in questo consiste la
ricerca storica rettamente intesa e praticata.
Cosicche' al querelante, persona che non conosco, vorrei rivolgere fraterno
e rispettoso un invito a recedere dall'azione giudiziaria intentata, come
scelta autonoma e generosa, in nome dell'impegno - che deve essere comune e
sentito come tale massime da persone che hanno svolto o svolgono tuttora
importanti funzioni pubbliche - alla ricerca e promozione della verita'
storica, alla promozione della dignita' umana di tutti gli esseri umani,
alla promozione del civile convivere e condursi, della legalita' cardine del
nostro ordinamento giuridico democratico, dello stato di diritto.
*
Ed a Giuseppe Casarrubea vorrei attestare qui la solidarieta' mia personale
e del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Piena, profonda, persuasa.
Ed ai lettori di questa dichiarazione vorrei rivolgere un invito ad
informarsi ed una volta informatisi a fare altrettanto, inviando una
dichiarazione di solidarieta' con il professor Giuseppe Casarrubea. Sia per
richiedere informazioni che per attestare solidarieta' si puo' far
riferimento all'indirizzo di posta elettronica seguente: icasar@tin.it
*
Come ebbe a scrivere Zola, una volta per sempre e parlando a nome
dell'umanita' intera: "la verita' e' in marcia, e niente potra' fermarla".
3. APPELLI. CARLO GUBITOSA: DIECI MODI PER SOSTENERE PEACELINK E IL
VOLONTARIATO DELLA TELEMATICA PACIFISTA E NONVIOLENTA
[Riportiamo la parte conclusiva dell'appello la cui prima parte abbiamo gia'
pubblicato per ampi stralci nel notiziario di ieri; il testo integrale puo'
essere letto su www.peacelink.it]
Per sostenere il diritto all'esistenza della nostra associazione suggeriamo
le seguenti iniziative di solidarieta':
1. Diffondere questo messaggio a tutti i propri contatti telematici.
E' il gesto piu' importante, perche' il sostegno dell'opinione pubblica
sara' determinante per la difesa dei nostri diritti.
2. Esprimere solidarieta' all'associazione Peacelink con una semplice
adesione all'appello pubblicato sul sito http://www.peacelink.it/emergenza
L'appello telematico e' un semplice "abbraccio elettronico" per farci capire
che non siamo soli.
3. Contribuire alle nostre spese legali con un libero versamento sul ccp
13403746 intestato ad Associazione PeaceLink, via Galuppi 15, 74010 Statte
(Taranto).
Da dieci anni operiamo nello spirito del volontariato puro, senza alcuna
retribuzione, e rifiutiamo sponsorizzazioni delle aziende e finanziamenti
dai partiti o dalle istituzioni, per garantire al nostro sito liberta' e
indipendenza. La vita della nostra associazione dipende dai contributi che i
cittadini di buona volonta' inviano sul nostro conto corrente postale.
Chi non conosce la storia della nascita di PeaceLink puo' leggere la
ricostruzione presente su http://www.peacelink.it/info/storia.htm
4. Organizzare dibattiti, conferenze e iniziative pubbliche per presentare
il lavoro dell'associazione PeaceLink e per raccogliere citta' per citta' il
sostegno della societa' civile alla nostra battaglia legale.
Senza un lavoro di base nella societa' civile che permetta alle idee di
uscire dalla rete, il volontariato dell'informazione non ha ragione di
esistere.
5. Aggiungere un banner sul proprio sito internet che faccia riferimento
all'indirizzo http://www.peacelink.it/emergenza
Si puo' realizzare un banner a partire da zero o utilizzare quelli gia'
disponibili sul sito di PeaceLink. La solidarieta' di altri compagni di
strada, che come noi fanno informazione indipendente su internet, e'
fondamentale.
6. Segnalare questa nostra vicenda alla stampa, ai mezzi di informazione e
ai giornalisti amici che potrebbero essere interessati a raccontare questa
vicenda.
Per una volta non diamo notizie su quello che ci circonda, ma cerchiamo di
essere una notizia.
7. Diffondere per strada, a scuola, nelle associazioni, nei sindacati, nelle
parrocchie e nei luoghi di lavoro una copia del volantino pubblicato
all'indirizzo http://www.peacelink.it/emergenza
E' importante raggiungere anche chi non arriva su internet, perche' il
problema della liberta' di espressione riguarda tutti.
8. Aiutarci ad entrare in contatto con personaggi noti, che possano
sostenere la nostra azione di difesa legale con la loro immagine.
Questo potra' aiutarci ad entrare in relazione con un maggior numero di
persone di buona volonta' disposte ad aiutarci, o con qualche gruppo
musicale, teatrale o artistico (anche piccolissimo e sconosciuto) che vorra'
organizzare una iniziativa per sostenere il nostro diritto ad esistere.
9. Realizzare dei prodotti culturali e artistici a sostegno della nostra
difesa legale.
Ad esempio spot radiofonici in Mp3 da trasmettere sulle radio locali,
vignette satiriche, poesie, articoli che parlano sulla nostra vicenda,
dipinti su tela e in formato digitale, cartoline, lettere, sculture,
fotografie e fotoritocchi saranno utilissimi per le nostre attivita' di
sensibilizzazione.
10 - Proporre altre idee e iniziative.
Siamo disponibili a valutare ed appoggiare qualsiasi altra idea o proposta
che possa essere d'aiuto al nostro tentativo di continuare il cammino
percorso finora.
Per contattarci e' possibile utilizzare questi recapiti:
Peacelink, c. p. 2009, 74100 Taranto, tel: 3492258342 (Carlo Gubitosa), fax:
1782279059, ccp n. 13403746, sito: http://www.peacelink.it, e-mail:
info@peacelink.it
4. MAESTRE. SUSANNA RIPAMONTI INTERVISTA VANDANA SHIVA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del primo dicembre 2002. Vandana Shiva,
scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca
e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non
solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e
delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei
movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione
a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni
e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Opere di
Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture
della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli
1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra
madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo);
Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002]
E' la storia di Davide contro Golia quella che racconta Vandana Shiva,
personaggio ben noto nella galassia "No Global", che da almeno 15 anni
combatte per svelare il grande bluff delle multinazionali: le corporazioni
come la Monsanto, che arrivarono in India promettendo ai contadini raccolti
miracolosi, ricchezza e benessere e rivelarono molto presto l'inganno
nascosto dietro al miraggio di seducenti campagne pubblicitarie. Lei,
scienziato prestato all'agricoltura, ha fondato un'organizzazione, Navdanya,
che raccoglie dieci milioni di agricoltori indiani. Ha attraversato l'India,
girando da un villaggio all'altro, spiegando ai contadini che il modello di
sviluppo proposto dalle multinazionali li avrebbe trasformati da consumatori
di semenze a consumatori di prodotti chimici e di semi geneticamente
modificati, che non si sarebbero piu' riprodotti. Un meccanismo che avrebbe
indotto qualcosa che e' paragonabile alla tossicodipendenza: la dipendenza
dai narcotici dell'agricoltura.
- Susanna Ripamonti: Vandana Shiva, lei poche settimane fa era a Firenze in
occasione del Social Forum. Che cosa pensa del movimento No Global?
- Vandana Shiva: Tanto per cominciare, forse non si dovrebbe chiamare piu'
No Global, ma Pro Local, nel senso che e' un movimento che cerca di
promuovere la diversita', la democrazia, il rispetto delle differenze. E' un
movimento forte e vibrante, che ha saputo raccogliere attorno a se' forze
diverse, manifestando pacificamente nonostante minacce, provocazioni e
pressioni.
- S. R.: C'e' un filo che lega la sua attivita' in India con questi nuovi
movimenti occidentali?
- V. S.: Partiamo da lontano: dieci o quindici anni fa, i modelli di
sviluppo dividevano nettamente il Nord dal Sud del mondo: il Nord
rappresentava lo sviluppo e il Sud il sottosviluppo. Io non sono stata mai
d'accordo con questa rappresentazione della realta', che rispecchiava un
obiettivo preciso: l'Occidente voleva mantenere le sue ricchezze e il Terzo
mondo era costretto a rincorrere quel tipo di sviluppo. Oggi la
globalizzazione ha prodotto almeno un effetto positivo: le cose per cui
combattono i contadini italiani sono sostanzialmente simili a quelle per cui
lottano gli indiani. Entrambi vogliono difendere la qualita' della loro
vita, produrre in modo sano, su una terra sana.
- S. R.: E' sicura che questa consapevolezza sia cosi' diffusa?
- V. S.: Diciamo che in Europa come in India c'e' ormai la consapevolezza
che le multinazionali che controllano le sementi e privatizzano l'acqua sono
un nemico da combattere. Prima della globalizzazione eravamo divisi adesso
la stessa globalizzazione ci ha uniti.
- S. R.: Lei in India ha cercato di costruire delle alternative concrete.
Come si puo' riassumere l'esperienza di Navdanya?
- V. S.: C'e' una parola indiana, Satyagraha, che spiega il nostro lavoro.
Vuol dire combattere per la verita', con la forza della nonviolenza. Noi
abbiamo stretto un patto con i contadini, convincendoli a non collaborare
con le multinazionali. Abbiamo creato una banca dei semi, tutelando
l'incredibile varieta' di specie che produciamo. Le multinazionali ci
dicevano che avevano inventato semi resistenti alla salinita', alle
alluvioni, alla siccita'. Ma noi abbiamo risposto: Li abbiamo gia'. La loro
ingegneria genetica e' assolutamente primitiva rispetto alla ricchezza delle
nostre risorse. Abbiamo una tale varieta', che possiamo fare a meno di loro.
L'alternativa e' semplice: contrapporre la biodiversita'
all'omogeneizzazione.
- S. R.: Non e' cosi' facile contrastare, col semplice mezzo della parola,
una multinazionale. Come avete fatto?
- V. S.: Noi diamo alternative a contadini che stanno morendo e che si
suicidano perche' non riescono a saldare i loro debiti. Ma le multinazionali
hanno rivelato da sole il loro bluff. Facciamo un esempio: in tre stati
dell'India del Sud avevano pubblicizzato e venduto un seme di cotone che
avrebbe dovuto dare raccolti miracolosi, ma in effetti ha prodotto solo un
decimo delle promesse. Il 26 marzo scorso, i contadini che erano caduti in
questa trappola hanno constatato di aver perso un miliardo di rupie: il
guadagno mancato, rispetto all'uso di semi di cotone tradizionali. Ora
stiamo cercando di fare causa alle aziende che hanno venduto miraggi.
- S. R.: Avete provato a stabilire rapporti di collaborazione con l'Onu?
- V. S.: L'Onu ha firmato due trattati che aiutano molto il nostro lavoro:
uno per la difesa della biodiversita' e uno, stipulato con la Fao, dopo
dieci anni di interminabili trattative, sulle risorse genetiche delle
piante. Entrambi riconoscono i diritti degli agricoltori, ma adesso si tenta
di vanificarli a favore del Wto. In agosto, quando si tenne a Johannesburg
il summit mondiale su accessibilita' e sviluppo, noi abbiamo cercato di
difendere il trattato sulla biodiversita', spiegando che l'Onu non puo'
sottostare ai diktat dei Wto, che invece vuole imporre la tutela dei
brevetti.
- S. R.: Le vostre forme di lotta sono sempre state pacifiche?
- V. S.: Noi lottiamo contro aziende che hanno riconvertito in agricoltura i
prodotti chimici dell'industria bellica. Ma abbiamo sempre presente
l'insegnamento di Gandhi. Negli anni '30 gli inglesi volevano privatizzare i
settemila chilometri di costa indiana e proibire la libera produzione del
sale. Gandhi disse: "la natura ci ha dato il mare e noi ne abbiamo bisogno
per la nostra sopravvivenza. Le vostre leggi sono immorali e noi non
ubbidiamo a leggi immorali". Noi oggi diciamo esattamente la stessa cosa: la
natura ci ha dato gratuitamente i semi che appartenevano ai nostri antenati
e noi continuiamo a volerli usare liberamente.
5. MAESTRE. ANTO AKKARA: MEDHA PATKAR
[Questo articolo e' apparso sulla rivista "Popoli" dell'ottobre 2002, noi lo
abbiamo tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano
(www.libreriadelledonne.it). Medha Patkar e' la straordinaria animatrice
della lotta contro le grandi dighe in India (in cui e' impegnata anche, come
e' noto, la grande scrittrice Arundhati Roy), in difesa dei diritti delle
popolazioni locali e dell'ambiente]
La figura fragile di Medha Patkar, avvolta nel suo semplice sari, e' ormai
familiare agli attivisti sociali in tutto il mondo. Sono pochi quelli che
non hanno mai sentito parlare della quarantottenne fondatrice del Normada
Bachao Andolan (Nba: Movimento per la salvezza del fiume Narmada), una donna
simbolo della lotta contro i grandi e spesso insensati progetti di sviluppo
in tutto il mondo.
Per la sua attivita', la Patkar ha ricevuto numerosi riconoscimento
nazionali e internazionali. Tra questi il Premio per il diritto
all'esistenza, della Svezia, nel 1992 e il Premio "Goldman" per l'ambiente
nel 1993. A lei si deve la fondazione dell'Alleanza dei movimenti popolari
dell'India, che raduna 200 organizzazioni non governative. Il suo e' un
impegno che viene da lontano e non ha mai mostrato incertezze.
*
Contro un progetto controverso
All'inizio degli anni '80, la Patkar stava concludendo la sua tesi
universitaria sullo sviluppo economico e il suo impatto sulle societa'
tradizionali presso l'Istituto di Scienze Sociali "Tata" a Bombay. Le sue
ricerche la portavano nei remoti villaggi tribali del Gujarat
settentrionale. Medha Patkar si trov' cosi' coinvolta emotivamente nella
lotta degli adivasi (aborigeni) che fini' col lasciar perdere le sue
ambizioni accademiche e mettersi a loro fianco.
Fu alora che il governo federale indiano, insieme ai governi locali di
Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujarat, decisero di avviare la costruzione
della piu' grande diga dell'India, quella del Sardar Sarovar nel bacino del
fiume Narmada che attraversa piu' stati federali. Il progetto prevede 30
dighe di grandi dimensioni, 135 di dimensioni medie e tremila sbarramenti
minori. Un'opera grandiosa che - una volta conclusa - dovrebbe interessare
1.300 chilometri del corso del fiume e dei suoi tributari nell'India
centro-occidentale.
Anni di vivaci proteste di Medha Patkar e dei suoi sostenitori sotto le
bandiere del Nba contro un progetto considerato "dispendioso e irrazionale"
hanno costretto la Banca Mondiale a ritirare nel 1994 il suo sostegno
finanziario al controverso piano, che ha un costo finale previsto di oltre
400 miliardi di rupie (circa 10 miliardi di euro). Ancor piu' importante, la
battaglia condotta dalla Patkar e' diventata in India capofila dei movimenti
di protesta sociale.
Nonostante la vigorosa campagna del Narmada Bachao Andolan non abbia avuto
pieno successo nel fermare il progetto sul Narmada, il governo indiano ha
compreso di non potere forzare la mano alle popolazioni locali che vi si
oppongono. Inoltre, la battaglia contro le dighe ha costretto la leadership
di New Delhi e le sue agenzie a migliorare i programmi di ricollocazione e
assistenza delle popolazioni, costrette a lasciare le aree di cui e' in
corso o e' prevista l'inondazione.
Quello che per noi e' ancora piu' significativo, e' che il governo dovra'
ora pensarci due volte prima di lanciare altri progetti simili - dice la
Paktar sorridendo. "Punto di forza del nostro movimento e' stata l'attiva
partecipazione delle donne a una lotta che non e' solo contro lo spostamento
coatto di due milioni di persone nella valle del Narmada. La trasformazione
in atto del bacino fluviale sta portando al sommergimento di centinaia di
villaggi abitati da gruppi tribali che da tempo immemorabile vivono in
perfetta sintonia con la natura circostante".
"E' stata la preoccupazione di essere estromessi dal loro habitat naturale e
culturale e il timore di una distruzione totale dell'ambiente loro familiare
a spingerli a farsi avanti e a unirsi alla nostra lotta. E le donne sono
state fin dall'inizio in prima linea".
*
Le donne in prima linea
Contraria alla percezione comune della donna come "genere subordinato", la
Patkar e' convinta che le donne tribali siano un esempio di "onesta' e
perseveranza". "C'e' un esempio che propongo sempre all'attenzione di chi mi
vuole ascoltare. Quello delle decine di donne rimaste con me, immerse fino
al collo nell'acqua anche per quindici ore durante le proteste", finche' la
polizia le ha costrette con la forza a lasciare i terreni agricoli o i lembi
di foresta appena inondati dalle acque, il cui deflusso viene impedito dal
progredire delle dighe.
L'ampio coinvolgimento delle donne nella questione del Narmada e in altre
problematiche ambientaliste ha aggiunto, continua la Patkar, "forza e
vivacita' alla lotta". "Una volta tanto, le donne non sono state utilizzate
come scudi umani dai contestatori ma, anzi, hanno affrontato coscientemente
e subito il trattamento brutale della polizia durante le proteste". Non
sempre provocato, come dice Medha Patkar, lei stessa piu' volte imprigionata
insieme a gruppi di attiviste nel ventennale impegno a fianco delle
popolazioni in lotta contro lo scempio ambientale in atto in varie regioni
dell'India.
"Inizialmente, quando andavamo nei villaggi per spiegare il senso delle
nostre iniziative contro il progetto del Narmada - ricorda la Patkar - le
donne non uscivano nemmeno da casa, bloccate dalle rigide norme sociali. Ma
quando si sono convinte della serieta' del problema, sono arrivate numerose.
Forse e' stata proprio questa mobilitazione di donne, in molti casi
analfabete, che ha reso efficace la nostra campagna". Mentre i comitati
principali e quelli locali hanno una partecipazione femminile che arriva
anche al 50%, le donne sono almeno un terzo di coloro che prendono parte
alle nostre iniziative di massa.
Medha Patkar ha indicato come le donne riescano sempre a portare la
prospettiva esistenziale e la dimensione umana nelle lotte sociali. Possono
anche non essere colte - e in molti casi sono analfabete - ma sanno bene
come la distruzione ambientale puo' influire sulla realta' quotidiana del
genere umano, hanno una chiara comprensione di che cosa si dovrebbe fare e
di che cosa non si dovrebbe fare alla natura. "Discriminate per tradizione,
molte donne in India possono anche non essere capaci di pronunciare la
parola ecologia - immaginiamoci spiegarla - ma l'ambiente e' assai vicino al
loro cuore e conoscono il significato del termine sostenibilita' meglio di
molte donne colte delle citta'".
6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE, UNA PAROLA
SEMPLICE
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it) e' uno dei
fondamentali collaboratori di questo foglio, e una delle voci piu'
autorevoli della solidarieta' internazionale]
"Parola" arriva a noi dal latino parabola, che e' discorso, frase.
La parola e' l'unica cosa comune che puo' permetterci di comprendere, di
comprenderci. Sembra piu' capace di tenerci assieme, di modificare quel che
abbiamo intorno e noi stessi. Ecco perche' nel tempo delle molte parole,
leggere, vuote, superficiali e convenzionali, si devono scegliere quelle che
hanno invece forza di annuncio e promessa di mantenersi, che e' un tenersi
per mano tra le parole e noi.
Fra queste ultime, la parola "solidarieta' internazionale" resta
attualissima. Del resto oggi, al massimo, si produce la solidarieta' di
gruppo, di categoria; una solidarieta' fondata su un interesse
immediatamente percepibile, non su un ragionamento politico complesso,
dotato di un retroterra, indotto da un identita' culturale e morale in cui
riconoscersi.
Invece la solidarieta' internazionale e' centrale, davanti ai quattro quinti
dell'umanita' che vivono sulla soglia della miseria, mentre la ricchezza dei
pochi e' direttamente, automaticamente, costruita sulla poverta' degli
altri. Un solo dato: a partire dal 1960, i trasferimenti finanziari dal sud
(impoverito) verso il nord (arricchito) del mondo equivalgono a piu' di
venti "piani Marshall".
Parliamo di una solidarieta' capace di affrontare il grande squilibrio
mondiale e che chiede ad ognuno ed ognuna di noi di decidere, di schierarci
dalla parte dei popoli e delle maggioranze emarginate. Una solidarieta'
liberatrice che e' la condivisione dei mali del pianeta e non un surrogato
ideologico; una priorita' e una passione. Si tratta di idee-forza; non di
generici appelli.
Nel nuovo quadro mondiale fatto di globalizzazione, di nuove oppressioni, di
violenze e sofferenze, di pericoli per la biosfera, ecc., la solidarieta'
internazionale resta uno strumento (non il solo) per interpretare il nuovo
dis-ordine mondiale, ma anche per tentare di cambiarlo, per poter
intervenire concretamente.
Quando parliamo di solidarieta' la interpretiamo nel suo aspetto piu' alto:
di scelta etica, che rompe con la concezione dominante, machiavellica, della
politica, intesa come "realpolitik", retta unicamente dal diritto del piu'
forte.
Scelta politica, che implica uno stretto rapporto fra politica e morale.
Nella prospettiva e' il riconoscimento dei popoli emarginati come soggetti
(in quanto emergono alla coscienza e alla dignita'), soggetti storici che
diventano la cerniera tra morale e politica.
Scelta culturale, che svela l'occultamento e la legittimazione della
violenza che domina la storia; l'occultamento anzitutto del conflitto
fondamentale Nord-Sud del mondo, dell'emarginazione delle grandi maggioranze
impoverite. In una parola il punto di vista dei vincitori, eurocentrico ed
imperocentrico, largamente prevalente nel mondo.
Scelta educativa, come progetto per un nuovo modello di essere umano e di
popolo, consapevole della tragica realta' della societa' e del mondo,
identificato con le sofferenze e il destino di tutti gli emarginati,
cosciente dei loro diritti e delle loro potenzialita', capace di condividere
le loro lotte e le loro speranze. Un essere umano ed un popolo che si
caratterizzano come soggetti solidali.
Scelta teologica per i credenti (rinviamo all'ampia riflessione di Giulio
Girardi, a cui siamo debitori anche per queste note sulla solidarieta');
inevitabilmente il riferimento non puo' non essere all'esperienza
sandinista, dove l'emergere del popolo nicaraguense come soggetto, ha
coinvolto profondamente il cristianesimo, diventando un fatto teologico
decisivo. Si pensi alla presenza massiccia dei cristiani nella lotta
rivoluzionaria, in nome delle esigenze liberatrici e solidaristiche del
Vangelo.
Tutto questo ci sembra di grande attualita' davanti alla novita' del
"movimento dei movimenti", che pero' porta con se una rottura della memoria
che non e' salutare, propenso a liberarsi in fretta del passato e "senza
troppo angustiarsene, come un fardello che non lo riguarda, assorbendo dalla
cultura dominante l'idea del novecento come cumulo di macerie" (Lucio
Magri). In questo senso, il sandinismo rischia di diventare una delle tante
rivolte ignorate che hanno segnato la storia recente dell'America latina.
Infine, un pensiero ed un augurio di speranza nelle parole di Rigoberta
Menchu' (Premio Nobel per la Pace 1992): "Vorrei che ci fosse rispetto tra i
popoli, perche' tutti perseguiamo gli stessi scopi. (...) Io desidero che
nasca da tutti una lotta cosciente e determinata, una forte solidarieta' che
possa creare nuove relazioni di rispetto e uguaglianza per il prossimo
millennio, che dovra' essere scenario di fraternita' e non di conflitti".
7. MAESTRE. GABRIELLA FIORI: L'INCONTRO DI SIMONE WEIL
[Da Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1981, 1990, p. 293.
Gabriella Fiori e' una finissima studiosa e saggista. Simone Weil, nata a
Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e
politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica,
miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola,
poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
Se, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]
E' avvenuto in lei il raccordo io-universo: sorgente ne e' stata l'incontro,
quell'incontro in cui sentiamo un'esperienza della vita profonda, o
un'esperienza mistica, prendendo questo aggettivo nel suo significato di
contatto con il mistero.
8. RIFLESSIONE. EUGENIO MELANDRI: E' DIFFICILE FARSI GLI AUGURI
[Ringraziamo Eugenio Melandri (per contatti: eugyn@tiscali.it) per questo
intervento. Eugenio Melandri e' una delle figure piu' prestigiose della
solidarieta' internazionale e dell'impegno di pace e nonviolenza]
A Betlemme, nel luogo dove Gesu' e' nato, i carri armati israeliani hanno
fatto il deserto. La gente sta chiusa nelle case. Non un turista. Non un
pellegrino. Il rumore delle lamiere che si muovono ha ormai preso il posto
delle liturgie e delle feste che in questi giorni tradizionalmente
accompagnavano il Natale in Terra Santa.
Ogni tanto uno sparo. Nuove vittime si assommano al numero ormai
incalcolabile di morti che questa guerra ha provocato. La guerra e' stata
capace di distruggere tutto. Anche quel po' di poesia e di dolcezza tipiche
delle feste di Natale. Eppure Gesu' e' figlio di questa terra, di questa
regione difficile dove si scontrano odi secolari con contingenze politiche
attuali.
Lui che e' venuto, come dicono le scritture, a fare di due popoli un solo
popolo, oggi si trova schiacciato da una guerra che aumenta le divisioni, fa
crescere gli odi ed e' foriera di ulteriori guerre, di ulteriori conflitti.
*
Poco piu' in la', nella stessa regione, in Iraq, si stanno consumando gli
ultimi atti formali per cercare di dare legittimita' ad un'altra guerra
senza senso. Quello con l'Iraq e' un conflitto che l'occidente - gli Usa in
particolare - non ha mai terminato. Dieci anni di embargo hanno messo in
ginocchio il popolo iracheno, rendendo nello stesso tempo piu' forte Saddam
Hussein. Ma una nuova guerra sembra inevitabile. Nuovi bombardamenti, nuove
vittime civili, nuovi "effetti collaterali" che renderanno ancora piu'
tragico il bilancio di questo mondo che ormai sembra votato
all'irrazionalita'.
*
Intanto continua la caccia all'islamico. La parola "terrorismo" apre la
porta ad ogni genere di mostruosita'. Mostruoso porre azioni che seminano la
morte tra persone innocenti, solo per creare disordine e per colpire
l'avversario. Mostruoso chi non trova altra forma di risposta che quella
della vendetta che aumenta l'odio e da' corda al circolo vizioso della
violenza. In nome della lotta al terrorismo si sospendono i diritti civili,
si crea una situazione in cui l'emergenza pare essere divenuta la norma.
*
In Africa continuano le guerre senza nome.
Sudan, Grandi Laghi, Costa d'Avorio, Liberia. Nomi che ogni tanto, non
troppo in verita', leggiamo sui giornali. Dietro ad ognuno di questi nomi un
numero senza fine di vittime innocenti che hanno come unica colpa quella di
essere nati in questi paesi e non altrove. L'elenco non e' terminato e
potrebbe continuare a lungo.
*
Finisce cosi' questo 2002. Ed e' difficile, davvero, farsi gli auguri. C'e'
una cappa di tristezza che pesa su questo mondo. Quella cappa che ha fatto
gridare a Giovanni Paolo II: "Dio non si rivela piu', sembra nascondersi nel
suo cielo, in silenzio, quasi disgustato dalle azioni dell'umanita'".
Farsi gli auguri per un nuovo anno che comincia diventa cosi' un atto di
fede e di speranza. Si', fede e speranza, anche in questa umanita' ferita.
Che ci ha dato Auschwitz , ma anche san Francesco. Fede e speranza che
vorremmo divenissero quella che Horkheimer chiama "la nostalgia del
totalmente altro". Verra' un giorno, ne siamo certi, in cui finalmente le
vittime avranno ragione dei loro carnefici.
Buon Natale e buon anno,
Eugenio Melandri
9. RIFLESSIONE. MICHELE DE PASQUALE: NONCOLLABORAZIONE ECONOMICA CONTRO LA
GUERRA
[Ringraziamo Michele de Pasquale (per contatti: ghoade@tin.it) per questo
intervento. Michele de Pasquale e' responsabile nazionale per le politiche
di pace e nonviolenza del movimento di "Cittadinanzattiva"]
Ho trovato una vignetta di Vauro che esprime bene quello che sento: un Babbo
Natale-Morte con la sua slitta carica di "doni" terribili per i bambini
iracheni.
La grottesca tragedia a cui stiamo assistendo in queste settimane non lascia
sperare niente di buono, sembra che la guerra scoppiera' a febbraio. Ci
hanno fatto credere che la guerra sarebbe scoppiata se il regime iracheno
non avesse fatto entrare gli ispettori Onu: gli iracheni li hanno fatti
entrare e stanno collaborando. Poi ci hanno detto che poteva esserci guerra
se Saddam non consegnava entro l'8 dicembre il dossier: il dossier e' stato
consegnato. Adesso ci dicono che la guerra deve esserci per forza perche' il
dossier non costituisce un'autocertificazione fedele... a farla breve la
guerra sembra essere stata gia' decisa questa estate e anche se il regime
iracheno non offre pretesti per provocarla, la si fara' lo stesso.
Al teatrino delle dichiarazioni dei grandi governanti che fanno tutto
questo per "garantire pace e sicurezza" al mondo intero ormai non ci credono
piu' neanche i bambini. E' una guerra per il petrolio. E basta.
O meglio: e' una guerra per proteggere lo stile di vita del 20% ricco del
mondo. E' stato lo stesso ministro della difesa americana Rumsfeld a dirlo.
Quando gli e' stato chiesto cosa ritenesse vittoria nella nuova guerra
contro il terrorismo ha risposto che per lui sarebbe vittoria se tutto il
mondo accettasse che gli americani siano liberi di continuare con il loro
stile di vita.
Tra i cosiddetti grandi qualche debole voce e' fuori dal coro: Kofi Annan,
qualche europeo. Ma sono voci drammaticamente inascoltate. Come non e'
ascoltato da nessuno Giovanni Paolo II: non e' un caso che in questi ultimi
giorni nella sua catechesi compaiono immagini strane come quella del Dio che
si vergogna degli uomini e tace.
Nonostante le mobilitazioni piccole e grandi (come l'ultima del 10 dicembre
scorso) di opposizione alla guerra, i governanti europei, con qualche
distinguo, si mantengono ossequiosi all'imperatore americano.
Non credo che quella parte della popolazione coinvolta dall'attivismo di
gruppi, associazioni e movimenti, riuscira' a fermare la guerra solo con
marce e appelli.
Bisogna mettere in atto delle azioni nonviolente che forse richiedono un
impegno maggiore da parte nostra ma comunque sempre alla nostra portata e
che quindi abbiano una incidenza piu' elevata.
Se poi nella pratica di queste azioni venisse coinvolta anche quella larga
parte della popolazione che non si esprime, che non prende posizione di
fronte alla guerra e la cui presunta "indifferenza" avalla le scelte
belliche dei governanti, la guerra sarebbe fermata.
Sono convinto che anche queste persone che non rispondono agli appelli, che
non vengono in piazza con noi, nutrono un rifiuto per la guerra ma non lo
manifestano forse perche' non consapevoli del proprio potere di fermarla,
influenzati, forse, da un certo fatalismo frutto dell'inefficacia di impegni
precedenti, distratti da altre preoccupazioni.
Sono queste le persone a cui rivolgerci per sperare di fermare la guerra.
Come? Invitandoli a compiere delle azioni non troppo impegnative ma messe in
pratica da tutti.
Dicevo prima che forse le petizioni non fermeranno la guerra perche'
l'appello parla al cuore dell'avversario, ma quando l'avversario ha il cuore
nascosto dal portafoglio, il suo cuore non sente. Per parlare al suo cuore
dobbiamo colpire il suo portafoglio. Io credo che Bush e compagni (che sono
i rappresentanti-simboli di interessi incrociati) abbiano un cuore: anche
loro hanno giocato con i loro figli e sono capaci di commuoversi di fronte
alle sofferenze. Solo che - poverini - gli interessi di cui sono portatori
(soprattutto per conto terzi) hanno ottuso questa capacita' di sentire:
bisogna aiutarli a riscoprire l'essere umano che e' in loro: la logica del
profitto e dell'utilita' nella nostra societa' dei consumi e' cosi'
pervasiva da costituire un approccio totalizzante a cui pertanto si piegano
non solo i rapporti con le cose ma anche quelli con le persone.
Probabilmente colpire gli interessi economici di quei soggetti favorevoli
alla guerra o indifferenti ad essa potrebbe avere una funzione di shock che
li porterebbe perlomeno a riflettere sulla convenienza delle loro scelte.
Ed allora dobbiamo pensare ad una grande azione di noncollaborazione
economica condivisa da una consistente percentuale della popolazione:
annunciamo fin d'ora che in caso di attacco all'Irak i cittadini
dichiareranno un lutto ad oltranza che sara' sospeso solo con la fine della
guerra.
Quando si e' a lutto non si vede la televisione, si riducono gli acquisti,
si viaggia di meno.
Immaginate cosa succederebbe se centinaia di migliaia di cittadini italiani
decidessero per un certo periodo di non guardare la tv: calo degli indici di
ascolto dei programmi, ritiro delle pubblicita' inserite nei programmi, calo
delle vendite dei prodotti pubblicizzati... Poiche' le ditte saprebbero che
questo comportamento dei cittadini e' messo in atto per protestare contro la
guerra, non pensate che esse - forse prima favorevoli o al massimo
indifferenti alla guerra - farebbero di tutto per opporsi alla guerra al
fine di far cessare questo comportamento dei consumatori dannoso per le loro
tasche?
E la riduzione dell'uso dell'auto non abbasserebbe i nostri consumi di
petrolio e colpirebbe, quindi, i produttori (la cui lobby sostiene negli Usa
l'entrata in guerra)? Pensate che nelle scorse settimane e' stta diffusa la
notizia che sarebbe bastato che un milione di automobilisti aderisse al
boicottaggio della Esso (scelta di non rifornirsi alle stazioni Esso)
promosso da Greenpeace per far scendere consistentemente in termini assoluti
e percentuali il numero dei clienti abituali della Esso.
Lo stesso dicasi, infine, del calo degli acquisti messo in atto
intenzionalmente dai cittadini in lutto: anche un calo delle vendite del 10%
metterebbe in crisi i produttori e non basterebbero spot come quello del
tizio con la busta gialla che dice "grazie" a tutti per far girare
l'economia.
Considerate che cosa sono in grado di provocare i cittadini organizzati
gia' solo non guardando la tv, comprando e viaggiando di meno.
Non e' necessario essere eroi per far questo: sono infatti azioni alla
portata di tutti.
Azioni che anche quella maggioranza di cittadini che sembra mostrare oggi
piu' indifferenza non avrebbe difficolta' a condividere.
Ma ad un lutto nazionale bisogna prepararsi fin d'ora, far circolare la
proposta, annunciarla alle istituzioni e ai soggetti economici.
La pratica del lutto avrebbe anche un effetto positivo su di noi:
l'esperienza di restrizioni e quindi di poverta' volontaria a cui ci
sottoporremmo ci aiuterebbe a scoprire cio' che e' essenziale (spesso
nascosto dalla sovrabbondanza di beni di cui ci dotiamo) e ci farebbe
sentire piu' vicina l'esperienza di morte di chi sta sotto le bombe.
10. MAESTRE. HANNAH ARENDT: TUTTO CIO' CHE VIVE
[Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 243-244.
Hannah Arendt, nata ad Hannover nel 1906, costretta all'esilio dal nazismo,
dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime
pensatrici politiche del Novecento; mori' a New York nel 1975. Tra i suoi
lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati,
per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione
italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del
totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958),
Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La
banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano;
Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso
La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna; una raccolta di brevi saggi
di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985; molto
interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e
politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La
corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo
1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1.
1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]
Tutto cio' che vive (non solo la vita vegetativa) sgorga da un'oscurita'; e
per quanto forte sia il suo naturale impulso a gettarsi nella luce, esige,
per crescere, la sicurezza dell'oscurita'.
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 455 del 24 dicembre 2002