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La nonviolenza e' in cammino. 448



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 448 del 17 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Guenther Anders, tesi sull'eta' atomica
2. Ida Dominijanni dialoga con Richard Falk su diritto e nuove guerre
3. Letizia Tomassone presenta "Quintessence" di Mary Daly
4. Mary Daly in Italia
5. Una minima bibliografia introduttiva sulla retorica
6. Riviste: "A. Rivista anarchica", n. 286
7. Riviste: "Segno", n. 240
8. Letture: Joel Kotek, Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi
9. Letture: Carlo Torriani, La porta del cielo
10. Riletture: Emily Bronte, Poesie
11. Riletture: Giulio Girardi, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?
12. Riletture: Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa
13. Riletture: Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell'umanita'
14. Riletture: Louise Labe', Oeuvres completes
15. Riletture: Giulio A. Maccacaro, Alberto Martinelli (a cura di),
Sociologia della medicina
16. Riletture: Christina G. Rossetti, Il cielo e' lontano
17. Riletture: Gaspara Stampa, Rime
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. GUENTHER ANDERS: TESI SULL'ETA' ATOMICA
[Ripubblichiamo ancora una volta questo breve ma capitale testo di Guenther
Anders. Ancora una volta proponendolo a tutti i nostri interlocutori come
una occasione di riflessione e come uno strumento ermeneutico. Guenther
Anders e' stato forse il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e
tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che
mettono in pericolo la sopravivvenza stessa della civilta' umana. Insieme a
Hannah Arendt, ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Il testo riprendiamo dall'appendice all'edizione italiana del libro di
Guenther Anders, Der Mann auf der Brueke. Tagebuch aus Hiroshima und
Nagasaki, apparso col titolo Essere o non essere, presso Einaudi, Torino
1961, nella traduzione di Renato Solmi (questo maestro grande e generoso che
cogliamo l'occasione per salutare). Come li' si specifica, queste Tesi sull'
eta' atomica sono "un testo improvvisato dall'autore dopo un dibattito sui
problemi morali dell'eta' atomica organizzato da un gruppo di studenti
dell'Universita' di Berlino-Ovest, e uscito nell'ottobre 1960 nella
rivistina "Das Argument - Berliner Hefte fuer Politik und Kultur" [nota del
traduttore]". Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders"
significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui
scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a
Breslavia nel 1902, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel
1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli
Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel
1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato
contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e'
uno dei maggiori filosofi contemporanei. Opere di Guenther Anders: Essere o
non essere, Einaudi, poi Linea d'ombra; La coscienza al bando - Il pilota di
Hiroshima, Einaudi, poi Linea d'ombra; L'uomo e' antiquato, vol. I edito dal
Saggiatore, vol. II edito da Bollati Boringhieri; Discorso sulle tre guerre
mondiali, Linea d'ombra; Opinioni di un eretico, Theoria; Noi figli di
Eichmann, Giuntina; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni Cultura
della Pace. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo; Uomo senza mondo,
Spazio Libri; Patologia della liberta', Palomar. In rivista testi di Anders
sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra",
"Micromega"]
Tesi sull'età atomica
*
Hiroshima come stato del mondo. Il 6 agosto 1945, giorno di Hiroshima, e'
cominciata un nuova era: l'era in cui possiamo trasformare in qualunque
momento ogni luogo, anzi la terra intera, in un'altra Hiroshima. Da quel
giorno siamo onnipotenti modo negativo; ma potendo essere distrutti ad ogni
momento, cio' significa anche che da quel giorno siamo totalmente impotenti.
Indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest'epoca e'
l'ultima: poiche' la sua differenza specifica, la possibilita'
dell'autodistruzione del genere umano, non puo' aver fine - che con la fine
stessa.
 *
Eta' finale e fine dei tempi. La nostra vita si definisce quindi come
"dilazione"; siamo quelli-che-esistono-ancora. Questo fatto ha trasformato
il problema morale fondamentale: alla domanda "Come dobbiamo vivere?" si e'
sostituita quella: "Vivremo ancora?". Alla domanda del "come" c'e' - per noi
che viviamo in questa proroga - una sola risposta: "Dobbiamo fare in modo
che l'eta' finale, che potrebbe rovesciarsi ad ogni momento in fine dei
tempi, non abbia mai fine; o che questo rovesciamento non abbia mai luogo".
Poiche' crediamo alla possibilita' di una "fine dei tempi", possiamo dirci
apocalittici; ma poiche' lottiamo contro l"apocalissi da noi stessi creata,
siamo (e' un tipo che non c'e' mai stato finora) "nemici dell'apocalissi".
*
Non armi atomiche nella situazione politica, ma azioni politiche nella
situazione atomica. La tesi apparentemente plausibile che nell'attuale
situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", e' un
inganno. Poiche' la situazione attuale e' determinata esclusivamente
dall'esistenza di "armi atomiche", e' vero il contrario: che le cosiddette
azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica.
*
Non arma ma nemico. Cio' contro cui lottiamo, non e' questo o
quell'avversario che potrebbe essere attaccato o liquidato con mezzi
atomici, ma la situazione atomica in se'. Poiche' questo nemico e' nemico di
tutti gli uomini, quelli che si sono considerati finora come nemici
dovrebbero allearsi contro la minaccia comune. Organizzazioni e
manifestazioni pacifiche da cui sono esclusi proprio quelli con cui si
tratta di creare la pace, si risolvono in ipocrisia, presunzione compiaciuta
e spreco di tempo.
*
Carattere totalitario della minaccia atomica. La tesi prediletta da Jaspers
fino a Strauss suona: "La minaccia totalitaria puo' essere neutralizzata
solo con la minaccia della distruzione totale". E' un argomento che non
regge. 1) La bomba atomica e' stata impiegata, e in una situazione in cui
non c'era affatto il pericolo, per chi la impiego', di soccombere a un
potere totalitario. 2) L'argomento e' un relitto dell'epoca del monopolio
atomico; oggi e' un argomento suicida. 3) Lo slogan "totalitario" e' desunto
da una situazione politica, che non solo e' gia' essenzialmente mutata, ma
continuera' a cambiare; mentre la guerra atomica esclude ogni possibilita'
di trasformazione. 4) La minaccia della guerra atomica, della distruzione
totale, e' totalitaria per sua natura: poiche' vive del ricatto e trasforma
la terra in un solo Lager senza uscita. Adoperare, nel preteso interesse
della liberta', l'assoluta privazione della stessa, e' il non plus ultra
dell'ipocrisia.
*
Cio' che puo' colpire chiunque riguarda chiunque. Le nubi radioattive non
badano alle pietre miliari, ai confini nazionali o alle "cortine". Cosi',
nell'eta' finale, non ci sono piu' distanze. Ognuno puo' colpire chiunque ed
essere colpito da chiunque. Se non vogliamo restare moralmente indietro agli
effetti dei nostri prodotti (che non ci procurerebbe solo ignominia mortale,
ma morte ignominiosa), dobbiamo fare in modo che l'orizzonte di cio' che ci
riguarda, e cioe' l'orizzonte della nostra responsabilita', coincida con
l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti; e cioe' che
diventi anch'esso globale. Non ci sono piu' che "vicini".
*
Internazionale delle generazioni. Cio' che si tratta di ampliare, non e'
solo l'orizzonte spaziale della responsabilita' per i nostri vicini, ma
anche quello temporale. Poiche' le nostre azioni odierne, per esempio le
esplosioni sperimentali, toccano le generazioni venture, anch'esse rientrano
nell'ambito del nostro presente. Tutto cio' che e' "venturo" e' gia' qui,
presso di noi, poiche' dipende da noi. C'e', oggi, un'"internazionale delle
generazioni", a cui appartengono gia' anche i nostri nipoti. Sono i nostri
vicini nel tempo. Se diamo fuoco alla nostra casa odierna, il fuoco si
appicca anche al futuro, e con la nostra cadono anche le case non ancora
costruite di quelli che non sono ancora nati. E anche i nostri antenati
appartengono a questa "internazionale": poiche' con la nostra fine
perirebbero anch'essi,  per la seconda volta (se cosi' si puo' dire) e
definitivamente. Anche adesso sono "solo stati"; ma con questa seconda morte
sarebbero stati solo come se non fossero mai stati.
*
Il nulla non concepito. Cio' che conferisce il massimo di pericolosita' al
pericolo apocalittico in cui viviamo, e' il fatto che non siamo attrezzati
alla sua stregua, che siamo incapaci di rappresentarci la catastrofe.
Raffigurarci il non-essere (la morte, ad esempio, di una persona cara) e'
gia' di per se' abbastanza difficile; ma e' un gioco da bambini rispetto al
compito che dobbiamo assolvere come apocalittici consapevoli. Poiche' questo
nostro compito non consiste solo nel rappresentarci l'inesistenza di
qualcosa di particolare, in un contesto universale supposto stabile e
permanente, ma nel supporre inesistente questo contesto, e cioe' il mondo
stesso, o almeno il nostro mondo umano. Questa "astrazione totale" (che
corrisponderebbe, sul piano del pensiero e dell'immaginazione, alla nostra
capacita' di distruzione totale) trascende le forze della nostra
immaginazione naturale. "Trascendenza del negativo". Ma poiche', come
homines fabri, siamo capaci di tanto (siamo in grado di produrre il nulla
totale), la capacita' limitata della nostra immaginazione (la nostra
"ottusita'") non deve imbarazzarci. Dobbiamo (almeno) tentare di
rappresentarci anche il nulla.
*
Utopisti a rovescio. Ecco quindi il dilemma fondamentale della nostra epoca:
"Noi siamo inferiori a noi stessi", siamo incapaci di farci un'immagine di
cio' che noi stessi abbiamo fatto. In questo senso siamo "utopisti a
rovescio": mentre gli utopisti non sanno produrre cio' che concepiscono, noi
non sappiamo immaginare cio' che abbiamo prodotto.
*
Lo "scarto prometeico". Non e' questo un fatto fra gli altri; esso
definisce, invece, la situazione morale dell'uomo odierno: la frattura che
divide l'uomo (o l'umanita') non passa, oggi, fra lo spirito e la carne, fra
il dovere e l'inclinazione, ma fra la nostra capacita' produttiva e la
nostra capacita' immaginativa. Lo "scarto prometeico".
*
Il "sopraliminare". Questo "scarto" non divide solo immaginazione e
produzione, ma anche sentimento e produzione, responsabilita' e produzione.
Si puo' forse immaginare, sentire, o ci si puo' assumere la responsabilita',
dell'uccisione di una persona singola; ma non di quella di centomila. Quanto
piu' grande e' l'effetto possibile dell'agire, e tanto piu' e' difficile
concepirlo, sentirlo e poterne rispondere; quanto piu' grande lo "scarto",
tanto piu' debole il meccanismo inibitorio. Liquidare centomila persone
premendo un tasto, e' infinitamente piu' facile che ammazzare una sola
persona. Al "subliminare", noto dalla psicologia (lo stimolo troppo piccolo
per provocare gia' una reazione), corrisponde il "sopraliminare": cio' che
e' troppo grande per provocare ancora una reazione (per esempio un
meccanismo inibitorio).
 *
La sensibilita' deforma, la fantasia e' realistica. Poiche' il nostro
orizzonte vitale (l'orizzonte entro cui possiamo colpire ed essere colpiti)
e l'orizzonte dei nostri effetti e' ormai illimitato, siamo tenuti, anche se
questo tentativo contraddice alla "naturale ottusita'" della nostra
immaginazione, a immaginare questo orizzonte illimitato. Nonostante la sua
naturale insufficienza, e' solo l'immaginazione che puo' fungere da organo
della verita'. In ogni caso, non e' certo la percezione. Che e' una "falsa
testimone": molto, ma molto piu' falsa di quanto avesse inteso ammonire la
filosofia greca. Poiche' la sensibilita' e' - per principio - miope e
limitata e il suo orizzonte assurdamente ristretto. La terra promessa degli
"escapisti" di oggi non e' la fantasia, ma la percezione.
Di qui il nostro (legittimo) disagio e la nostra diffidenza verso i quadri
normali (dipinti, cioe', secondo la prospettiva normale): benche' realistici
in senso tradizionale, sono (proprio loro) irrealistici, perche' sono in
contrasto con la realta' del nostro mondo dagli orizzonti infinitamente
dilatati.
*
Il coraggio di aver paura. La viva "rappresentazione del nulla" non si
identifica con cio' che si intende in psicologia per "rappresentazione"; ma
si realizza in concreto come angoscia. Ad essere troppo piccolo, e a non
corrispondere alla realta' e al grado della minaccia, e' quindi il grado
della nostra angoscia. - Nulla di piu' falso  della frase cara alle persone
di mezza cultura, per cui vivremmo gia' nell'"epoca dell'angoscia". Questa
tesi ci e' inculcata dagli agenti ideologici di coloro che temono solo che
noi si possa realizzare sul serio la vera paura, adeguata al pericolo. Noi
viviamo piuttosto nell'epoca della minimizzazione e dell'inettitudine
all'angoscia. L'imperativo di allargare la nostra immaginazione significa
quindi in concreto che dobbiamo estendere e allargare la nostra paura.
Postulato: "Non aver paura della paura, abbi coraggio di aver paura. E anche
quello di far paura. Fa' paura al tuo vicino come a te stesso". Va da se'
che questa nostra angoscia deve essere di un tipo affatto speciale: 1)
Un'angoscia senza timore, poiche' esclude la paura di quelli che potrebbero
schernirci come paurosi. 2) Un'angoscia vivificante, poiche' invece di
rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire sulle piazze. 3) Un'angoscia
amante, che ha paura per il mondo, e non solo di cio' che potrebbe
capitarci.
*
Fallimento produttivo. L'imperativo di allargare la portata della nostra
immaginazione e della nostra angoscia finche' corrispondano a quella di cio'
che possiamo produrre e provocare, si rivelera' continuamente
irrealizzabile. Non e' nemmeno detto che questi tentativi ci consentano di
fare qualche passo in avanti. Ma anche in questo caso non dobbiamo lasciarci
spaventare; il fallimento ripetuto non depone contro la ripetizione del
tentativo. Anzi, ogni nuovo insuccesso e' salutare, poiche' ci mette in
guardia contro il pericolo di continuare a produrre cio' che non possiamo
immaginare.
*
Trasferimento della distanza. Riassumendo cio' che si e' detto sulla "fine
delle distanze" e sullo "scarto" tra le varie facolta' (e solo cosi' ci si
puo' fare un'idea completa della situazione), risulta che le distanze
spaziali e temporali sono state bensi' "soppresse"; ma questa soppressione
e' stata pagata a caro prezzo con una nuova specie di "distanza": quella,
che diventa ogni giorno piu' grande, fra la produzione e la capacita' di
immaginare cio' che si produce.
*
Fine del comparativo. I nostri prodotti e i loro effetti non sono solo
diventati maggiori di cio' che possiamo concepire (sentire, o di cui
possiamo assumerci la responsabilita'), ma anche maggiori di cio' che
possiamo utilizzare sensatamente. E' noto che la nostra produzione e la
nostra offerta superano spesso la nostra domanda (e ci costringono a
produrre appositamente nuovi bisogni e richieste); ma la nostra offerta
trascende addirittura il nostro bisogno, consiste di cose di cui non
possiamo avere bisogno: cose troppo grandi in senso assoluto. Cosi' ci siamo
messi nella situazione paradossale di dover addomesticare i nostri stessi
prodotti; di doverli addomesticare come abbiamo addomesticato finora le
forze della natura. I nostri tentativi di produrre armi cosiddette "pulite",
sono senza precedenti nel loro genere: poiche' con essi cerchiamo di
migliorare certi prodotti peggiorandoli, e cioe' diminuendo i loro effetti.
L'aumento dei prodotti non ha quindi piu' senso. Se il numero e gli effetti
delle armi gia' oggi esistenti bastano a raggiungere il fine assurdo della
distruzione del genere umano, l'aumento e miglioramento della produzione,
che continuano ancora su larghissima scala, sono ancora piu' assurdi; e
dimostrano che i produttori non si rendono conto, in definitiva, di che cosa
hanno prodotto. Il comparativo - principio del progresso e della
concorrenza - ha perduto ogni senso. Piu' morto che morto non e' possibile
diventare. Distruggere meglio di quanto gia' si possa, non sara' possibile
neppure in seguito.
*
Richiamarsi alla competenza e' prova d'incompetenza morale. Sarebbe una
leggerezza pensare (come fa, per esempio, Jaspers) che i "signori
dell'apocalissi", quelli che sono responsabili delle decisioni, grazie a
posizioni di potere politico o militare comunque acquisite, siano piu' di
noi all'altezza di queste esigenze schiaccianti, o che sappiano immaginare
l'inaudito meglio di noi, semplici "morituri"; o anche solo che siano
consapevoli di doverlo fare. Assai piu' legittimo e' il sospetto: che ne
siano affatto inconsapevoli. Ed essi lo provano dicendo che noi siamo
incompetenti nel "campo dei problemi atomici e del riarmo", e invitandoci a
non "immischiarci". L'uso di questi termini e' addirittura la prova della
loro incompetenza morale: poiche' in tal modo essi mostrano di credere che
la loro posizione dia loro il monopolio e la competenza per decidere del "to
be or not to be" dell'umanita'; e di considerare l'apocalissi come un "ramo
specifico". E' vero che molti di loro si appellano alla "competenza" solo
per mascherare il carattere antidemocratico del loro monopolio. Se la parola
"democrazia" ha un senso, e' proprio quello che abbiamo il diritto e il
dovere di partecipare alle decisioni che concernono la "res publica", che
vanno, cioe', al di la' della nostra competenza professionale e non ci
riguardano come professionisti, ma come cittadini o come uomini. E non si
puo' dire che cosi' facendo ci "immischiamo" di nulla, poiche' come
cittadini e come uomini siamo "immischiati" da sempre, perche' anche noi
siamo la "res publica". E un problema piu' "pubblico" dell'attuale decisione
sulla nostra sopravvivenza non c'e' mai stato e non ci sara' mai.
Rinunciando a "immischiarci", mancheremmo anche al nostro dovere
democratico.
*
Liquidazione dell'"agire". La distruzione possibile dell'umanita' appare
come un'"azione"; e chi collabora ad essa come un individuo che agisce. E'
giusto? Si' e no. Perche' no?
Perche' l'"agire"" in senso behavioristico non esiste pressoche' piu'. E
cioe': poiche' cio' che un tempo accadeva come agire, ed era inteso come
tale dall'agente, e' stato sostituito da processi di altro tipo: 1) dal
lavorare; 2) dall'azionare.
1) Lavoro come surrogato dell'azione. Gia' quelli che erano impiegati negli
impianti di liquidazione hitleriani non avevano "fatto nulla", credevano di
non aver fatto nulla perche' si erano limitati a "lavorare". Per questo
"lavorare" intendo quel tipo di prestazione (naturale e dominante, nella
fase attuale della rivoluzione industriale) in cui l'eidos del lavoro rimane
invisibile per chi lo esegue, anzi, non lo riguarda piu', e non puo' ne'
deve piu' riguardarlo. Caratteristica del lavoro odierno e' che esso resta
moralmente neutrale: "non olet", nessuno scopo (per quanto cattivo) del suo
lavoro puo' macchiare chi lo esegue. A questo tipo dominante di prestazione
sono oggi assimilate quasi tutte le azioni affidate agli uomini. Lavoro come
mimetizzamento. Questo mimetizzamento evita all'autore di un eccidio di
sentirsi colpevole, poiche' non solo non occorre rispondere del lavoro che
si fa, ma esso - in teoria - non puo' rendere colpevoli. Stando cosi' le
cose, dobbiamo rovesciare l'equazione attuale ("ogni agire e' lavorare")
nell'altra: "ogni lavorare e' un agire".
2) Azionare come surrogato del lavoro. Cio' che vale per il lavoro, vale a
maggior ragione per l'azionare, poiche' l'azionare e' il lavoro in cui e'
abolito anche il carattere specifico del lavoro: lo sforzo e il senso dello
sforzo. Azionare come mimetizzamento. Oggi, in realta', si puo' fare in tal
modo pressoche' tutto, si puo' avviare una serie di azionamenti successivi
schiacciando un solo bottone; compreso, quindi, il massacro di milioni. In
questo caso (dal punto di vista behavioristico) questo intervento non e'
piu' un lavoro (per non parlare di un'azione). Propriamente parlando non si
fa nulla (anche se l'effetto di questo non-far-nulla e' il nulla e
l'annientamento). L'uomo che schiaccia il tasto (ammesso che sia ancora
necessario) non si accorge piu' nemmeno di fare qualcosa; e poiche' il luogo
dell'azione e quello che la subisce non coincidono piu', poiche' la causa e
l'effetto sono dissociati, non puo' vedere che cosa fa. "Schizotopia", in
analogia a "schizofrenia". E' chiaro che solo chi arriva a immaginare
l'effetto ha la possibilita' della verita'; la percezione non serve a nulla.
Questo genere di mimetizzamento e' senza precedenti: mentre prima i
mimetizzamenti miravano a impedire alla vittima designata dell'azione, e
cioe' al nemico, di scorgere il pericolo imminente (o a proteggere gli
autori dal nemico), oggi il mimetizzamento mira solo a impedire all'autore
di sapere quello che fa. In questo senso anche l'autore e' una vittima; in
questo senso Eatherly e' una delle vittime della sua azione.
*
Le forme menzognere della menzogna attuale. Gli esempi di mascheramento ci
istruiscono sul carattere della menzogna attuale. Poiche' oggi le menzogne
non hanno piu' bisogno di figurare come asserzioni ("fine delle ideologie").
La loro astuzia consiste proprio nello scegliere forme di travestimento
davanti a cui non puo' piu' sorgere il sospetto che possa trattarsi di
menzogne; e cio' perche' questi travestimenti non sono piu' asserzioni.
Mentre le menzogne, finora, si erano camuffate ingenuamente da verita', ora
si camuffano in altre guise:
1) Al posto di false asserzioni subentrano parole singole, che danno
l'impressione di non affermare ancora nulla, anche se, in realta', hanno
gia' in se' il loro (bugiardo) predicato. Cosi', per esempio, l'espressione
"armi atomiche" e' gia' un'asserzione menzognera, poiche' sottintende,
poiche' da' per scontato, che si tratta di armi.
2) Al posto di false asserzioni sulla realta' subentrano (e siamo  al punto
che abbiamo appena trattato) realta' falsificate. Cosi' determinate azioni,
presentandosi come "lavori", sono rese diverse e irriconoscibili; cose'
irriconoscibili, e diverse da un'azione, che non rivelano piu' (neppure
all'agente) quello che sono (e cioe' azioni); e gli permettono, purche'
lavori "coscienziosamente', di essere un criminale con la miglior coscienza
del mondo.
3) Al posto di false asserzioni subentrano cose. Finche' l'agire si traveste
ancora da "lavorare", e' pur sempre l'uomo ad essere attivo; anche se non sa
che cosa fa lavorando, e cioe' che agisce. La menzogna celebra il suo
trionfo solo quando liquida anche quest'ultimo residuo: il che e' gia'
accaduto. Poiche' l'agire si e' trasferito (naturalmente in seguito
all'agire degli uomini) dalle mani dell'uomo in tutt'altra sfera: in quella
dei prodotti. Essi sono, per cosi' dire, "azioni incarnate". La bomba
atomica (per il semplice fatto di esistere) e' un ricatto costante: e
nessuno potra' negare che il ricatto e' un'azione. Qui la menzogna ha
trovato la sua forma piu' menzognera: non ne sappiamo nulla, abbiamo le mani
pulite, non c'entriamo. Assurdita' della situazione: nell'atto stesso in cui
siamo capaci dell'azione piu' enorme - la distruzione del mondo - l'"agire",
in apparenza, e' completamente scomparso. Poiche' la semplice esistenza dei
nostri prodotti e' gia' un "agire", la domanda consueta: che cosa dobbiamo
"fare" dei nostri prodotti (se, ad esempio, dobbiamo usarli solo come
"deterrent"), e' una questione secondaria, anzi fallace, in quanto omette
che le cose, per il fatto stesso di esistere, hanno sempre agito.
*
Non reificazione, ma pseudopersonalizzazione. Con l'espressione
"reificazione" non si coglie il fatto che i prodotti sono, per cosi' dire,
"agire incarnato", poiche' essa indica esclusivamente il fatto che l'uomo e'
ridotto qui alla funzione di cosa; ma si tratta invece dell'altro lato
(trascurato, finora, dalla filosofia) dello stesso processo: e cioe' del
fatto che cio' che e' sottratto all'uomo dalla reificazione, si aggiunge ai
prodotti: i quali, facendo qualcosa gia' per il semplice fatto di esistere,
diventano pseudopersone.
*
Le massime delle pseudopersone. Queste pseudopersone hanno i loro rigidi
principii. Cosi', per esempio, il principio delle "armi atomiche" e' affatto
nichilistico, poiche' per esse "tutto e' uguale". In esse il nichilismo ha
toccato il suo culmine, dando luogo all'"annichilismo" piu' totale.
Poiche' il nostro agire si e' trasferito nel lavoro e nei prodotti, un esame
di coscienza non puo' consistere oggi soltanto nell'ascoltare la voce nel
nostro petto, ma anche nel captare i principii e le massime mute dei nostri
lavori e dei nostri prodotti; e nel revocare e rendere inoperante quel
trasferimento: e cioe' nel compiere solo quei lavori dei cui effetti
potremmo rispondere anche se fossero effetti del nostro agire diretto; e
nell'avere solo quei prodotti la cui presenza "incarna" un agire che
potremmo assumerci come agire personale.
*
Macabra liquidazione dell'ostilita'. Se il luogo dell'azione e quello che la
subisce sono, come si e' detto, dissociati, e non si soffre piu' nel luogo
dell'azione, l'agire diventa agire senza effetto visibile, e il subire
subire senza causa riconoscibile. Si determina cosi' un'assenza d'ostilita',
peraltro affatto fallace.
La guerra atomica possibile sara' la piu' priva d'odio che si sia mai vista.
Chi colpisce non odiera' il nemico, poiche' non potra' vederlo; e la vittima
non odiera' chi lo colpisce, poiche' questi non sara' reperibile. Nulla di
piu' macabro di questa mitezza (che non ha nulla a che fare con l'amore
positivo). Cio' che piu' sorprende nei racconti delle vittime di Hiroshima,
e' quanto poco (e con che poco odio) vi siano ricordati gli autori del
colpo.
Certo l'odio sara' ritenuto indispensabile anche in questa guerra, e sara'
quindi prodotto come articolo a se'. Per alimentarlo, si indicheranno (e, al
caso, s'inventeranno) oggetti d'odio ben visibili e identificabili, "ebrei"
di ogni tipo; in ogni caso nemici interni: poiche' per poter odiare
veramente occorre qualcosa che possa cadere in mano. Ma quest'odio non
potra' entrare minimamente in rapporto con le azioni di guerra vere e
proprie: e la schizofrenia della situazione si rivelera' anche in cio', che
odiare e colpire saranno rivolti a oggetti completamente diversi.
*
Non solo per quest'ultima tesi, ma per tutte quelle qui formulate, bisogna
aggiungere che sono state scritte perche' non risultino vere. Poiche' esse
potranno non avverarsi solo se terremo continuamente presente la loro alta
probabilita', e se agiremo in conseguenza. Nulla di piu' terribile che aver
ragione. Ma a quelli che, paralizzati dalla fosca probabilita' della
catastrofe, si perdono di coraggio, non resta altro che seguire, per amore
degli uomini, la massima cinica: "Se siamo disperati, che ce ne importa?
Continuiamo come se non lo fossimo!".

2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI DIALOGA CON RICHARD FALK SU DIRITTO E NUOVE
GUERRE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 dicembre 2002 riprendiamo questo
colloquio tra Ida Dominijanni, una delle piu' acute giornaliste e saggiste
italiane, e il giurista americano Richard Falk. Pur non condividendo alcune
analisi e tesi qui sostenute, lo proponiamo alla riflessione dei nostri
lettori]
Richard Falk insegna Diritto internazionale nelle universita' di Princeton e
Santa Barbara, sull'una e l'altra costa degli Stati Uniti. E' a Roma per
partecipare alla trentunesima sessione del Tribunale permanente dei popoli,
che da oggi a lunedi' affrontera' di petto la questione che oggi occupa la
scena mondiale, "Il diritto internazionale e le nuove guerre".
E ci tiene a sottolineare la rilevanza dell'appuntamento: "Si tratta del
primo grande evento che mette a tema che cosa sta accadendo al diritto
internazionale dopo l'11 settembre, ed e' il tema giusto per proseguire la
tradizione del Tribunale, che da quando e' stato fondato si occupa delle
questioni che affliggono le popolazioni ma che governi, media e istituzioni
internazionali ignorano". Al Tribunale Falk raccontera', questo il titolo
della sua relazione, "Che cosa e' cambiato negli Stati Uniti dopo l'11
settembre", ed e' da qui che parte la nostra conversazione.
- Ida Dominijanni: "Da oggi piu' niente sara' come prima", si disse in tutto
l'occidente mentre le Torri gemelle crollavano. Negli Stati Uniti, che cosa
non e' piu' come prima?
- Richard Falk: Gli effetti piu' grossi dell'11 settembre sono due. Il forte
mood patriottico che pervade l'intera societa', e riduce in stato di
passivita' anche il partito democratico e pressoche' tutti i media. E la
crescita accelerata delle ambizioni imperiali americane. Gli Usa sono
determinati a esercitare un dominio mondiale. Il che comporta piu' spese
militari, piu' basi (abbiamo basi militari in 60 paesi, esattamente come la
rete di Al Quaeda ha proseliti in 60 paesi), violazioni del diritto
internazionale. Dopo l'11 settembre l'intero pianeta e' un campo di
conflitto potenziale, sotto la minaccia perpetua sia del terrorismo sia
della guerra antiterrorismo. Entrambi i contendenti, Al Quaeda e gli Stati
Uniti, non rispettano il diritto, i confini, la moralita'.
- I. D.: "Twin enemies", nemici gemelli, come le Torri?
- R. F.: In un certo senso si', perche' dall'una parte e dall'altra non
abbiamo a che fare con tradizionali stati territoriali. Gli Stati Uniti
stanno diventando una sorta di nuovo stato globale, Al Quaeda e' un network
globale nascosto ovunque e in nessun posto. Ne' l'uno ne' l'altro accetta le
limitazioni legali all'uso della forza. L'uno e l'altro sono animati dalla
convinzione fondamentalista di rappresentare il Bene contro il Male.
- I. D.: Conflitto globale fra entita' globali. E' a causa di questa nuova
dimensione spaziale che lei ritiene, come ha scritto in un articolo su "The
Nation" pubblicato in Italia dalla "Rivista del manifesto" di settembre
scorso, che ci troviamo in una situazione postmoderna, fuori cioe' dalla
modernita' inaugurata dalla pace di Westfalia del 1648 e caratterizzata da
stati sovrani e sistemi di difesa territoriali. Ma se non funziona piu'
l'ordine di Westfalia, decade anche il diritto internazionale disegnato su
quell'ordine. O no?
- R. F.: "Decade" e' un termine troppo netto. Direi che non funziona piu'
per intero. L'11 settembre, su questo non c'e' dubbio, portando alla ribalta
un nuovo attore che si colloca fuori dai confini statuali, ha mostrato che
c'e' uno scarto fra la situazione reale del mondo e il diritto
internazionale vigente. Ma questo non e' un buon motivo per trasgredirlo
anche quando e' del tutto pertinente, come nel caso del conflitto fra Usa e
Iraq. I quali sono entrambi stati nazionali, e dunque devono sottostare al
diritto internazionale. Saddam Hussein e' un dittatore malvagio, ma non e'
Osama bin Laden. E' un normale capo di stato da trattare con i metodi del
contenimento. Non c'e' alcun appiglio per attaccarlo con una "guerra
preventiva". Oltretutto l'Iraq e' uno stato laico, non ci sono prove di suoi
legami con Al Quaeda, l'unico legame potrebbe provocarlo l'attacco americano
dando a Saddam - ma penso che sia un'eventualita' remota - il pretesto per
fornire armi a bin Laden.
- I. D.: La National Security Strategy di Bush, pero', si basa sul
presupposto che effettivamente la nuova situazione del mondo globale rende
obsoleto il diritto internazionale. Tant'e' che inventa un nuovo diritto, il
diritto del piu' forte di attaccare preventivamente chiunque per ogni dove.
Lei che pensa di quel documento?
- R. F.: Nella sostanza, e' un concentrato del nuovo approccio americano
alla politica estera. Enfatizza la guerra antiterrorismo, sviluppa la
dottrina della guerra preventiva, delinea una nuova era di pax americana con
gli Stati Uniti nel ruolo di guardiani della sicurezza mondiale, combina
militarismo e economia globale.
- I. D.: Un'economia globale, pero', basata sul petrolio, non piu', come gli
anni novanta avevano annunciato, sulla new economy...
- R. F.: Si', sul petrolio, da conquistare in Medioriente via Iraq e in Asia
centrale via Afghanistan. L'effetto geopolitico piu' interessante
dell'attacco all'Iraq sta qui: nello spostamento del cuore del conflitto
internazionale dall'Europa al Medioriente, sulla base di tre fattori che
sono, nell'ordine, il petrolio, l'Islam e Israele. Si tratta di un passaggio
storico e anche imprevisto: con la fine della guerra fredda, si pensava che
il centro del conflitto planetario si sarebbe spostato dall'Europa all'area
del Pacifico. Invece, con l'11 settembre e' stato chiaro che la partita
principale del nuovo ordine mondiale si gioca fra estremismo islamico e
ambizioni imperiali americane, che la battaglia decisiva di questa partita
e' il controllo del Medioriente, che gli Stati Uniti si pongono come gli
attori principali di questo controllo con la partnership di Israele e della
Turchia.
- I. D.: Con la fine della guerra fredda si e' aperto un decennio di guerre
e di rilegittimazione della guerra come strumento ordinario di risoluzione
dei conflitti internazionali. Pero', nell'arco di dieci anni siamo passati
dalla guerra umanitaria di Clinton alla guerra preventiva di Bush. Un salto
di paradigma, o no?
- R. F.: Le guerre umanitarie, in Somalia, in Bosnia, in Kosovo, erano
guerre di una fase di transizione, fra la guerra fredda e la "Guerra contro
il Grande Terrore" di oggi. E' interessante chiedersi come avrebbe reagito
Clinton se fosse stato il presidente dell'11 settembre. Io credo che avrebbe
fatto anche lui una guerra contro l'Afghanistan - qualunque presidente
americano l'avrebbe fatta - , ma non l'avrebbe estesa all'Iraq, non avrebbe
invocato la guerra preventiva e non avrebbe abbracciato il progetto di
dominio planetario di Bush.
- I. D.: Il salto di paradigma sulla guerra si puo' rapportare anche a una
piu' ampia discontinuita' politica e culturale fra Bush jr. e Clinton?
Voglio dire: il "fondamentalismo" di Bush non e' anche sintomo e frutto di
una piu' vasta reazione tradizionalista all'era clintoniana?
- R. F.: Il conflitto fra societa' tradizionale e societa' permissiva e'
aperto negli Stati Uniti dagli anni Sessanta, tempi di massima affermazione
della cultura radical. In politica, questo conflitto e' sempre arrivato alla
presidenza: con la sequenza Carter-Reagan prima, con quella Clinton-Bush jr.
dopo. L'amministrazione Bush e' una miscela di tre elementi: i settori
"pro-business", il militarismo, la destra religiosa. Clinton era il nemico
della destra religiosa, ma a mio avviso non era molto diverso da Bush sia
sul versante del militarismo sia sul versante pro-business. Anche se, va
detto, la situazione degli anni novanta era molto diversa da quella di
oggi:eravamo in piena globalizzazione economica, Clinton ne era il grande
supporter, il mercato interno tirava, la borsa anche, la new economy
cresceva, il futuro era americano e i problemi sociali non parevano
impellenti. Ma questo ottimismo economicista aveva troppi punti deboli: si
basava su uno sviluppo che non era sostenibile, e non vedeva che il nostro
benessere generava una quantita' di nemici che prima o poi avrebbero sfidato
gli Stati Uniti. Cosi', l'11 settembre ha colto l'America di sorpresa. Del
resto, anche il collasso dell'Urss era stata una grande sorpresa per
l'Occidente. Tocca sempre ai Bush: a Bush padre la sorpresa numero uno, a
Bush figlio la numero due.
- I. D.: Una saga familiare... Bush figlio la fara' davvero, la guerra
all'Iraq che Bush padre lascio' "incompiuta"? E c'e' davvero il rischio che
si faccia prendere dalla "tentazione di Hiroshima"?
- R. F.: Si' che la fara'. E non per le ragioni dichiarate, delle armi
irachene e delle connessioni irachene con Al Quaeda, ma per i tre fattori
della partita geopolitica di cui sopra: petrolio, Islam, Israele. Quanto
alle armi nucleari, si', e' possibile che vengano usate, se Saddam usera'
armi biologiche di difesa. L'equilibrio della guerra fredda e' finito.
- I. D.: Non c'e' nessuna tensione, dentro il capitalismo americano, fra i
settori piu' tradizionalmente legati al petrolio e quelli che negli anni
novanta avevano scommesso sulla new economy?
- R. F.: Il controllo del petrolio significa controllo dei prezzi su scala
planetaria. E i sostenitori della guerra all'Iraq sono convinti che essa
rilancera' l'economia mondiale. Morale: se ridurra' il prezzo del petrolio
la guerra all'Iraq sara' un successo, in caso contrario sara' un fallimento.
- I. D.: Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite autorizzera' la
guerra, alla fine? La questione, come lei sa, e' dirimente per l'ala
moderata delle sinistre europee.
- R. F.: Allo stato attuale e' difficile rispondere con certezza. Se gli
ispettori troveranno delle violazioni l'autorizzera', anche se da un punto
di vista legale non sarebbe corretto. Ma se non le troveranno, non
l'autorizzeranno. Ad ogni modo, stavolta la questione dell'Onu e' molto
complicata. In primo luogo perche' l'articolo 51 della Carta delle Nazioni
Unite sulla legittima difesa e' da sempre oggetto di una controversia
interpretativa, fra una lettura restrittiva secondo cui la legittima difesa
puo' scattare solo in risposta a un attacco in atto e una lettura piu'
minimalista che ammette misure "ragionevolmente necessarie" in caso di
minacce gravi. In secondo luogo, perch' gli Stati Uniti invocano le Nazioni
Unite per premunirsi dall'opposizione interna, e le manipolano. Ne ho
scritto di recente su "Le Monde Diplomatique"...
- I. D.:  ... in un articolo che compare sull'edizione italiana in vendita
col "Manifesto" di domani. A proposito di opposizione interna: c'e' o non
c'e' un'opposizione sociale alla guerra, negli Usa? Il clima e' lo stesso
sulla East e la West Coast?
- R. F.: L'opposizione c'e' eccome, soprattutto nelle universita' e fra gli
intellettuali, sulla East e sulla West Coast, mentre come sempre e' meno
diffusa negli stati del centro e del sud. Ma non passa sui media. L'intero
sistema dei media e' prigioniero dell'idea che siamo in un momento di
patriottismo e che il sostegno al presidente sia un atto dovuto.
- I. D.: Finiamo sul diritto internazionale. Nella postmodernita'
post-westfaliana, il diritto internazionale potra' ancora "ordinare" il
mondo? Quale diritto, e come?
- R. F.: Ci troviamo per la prima volta in un mondo che ha un solo
paese-leader, senza contrappesi del suo livello. Percio' bisogna a ogni
costo trovare il modo di imporre dall'esterno un limite a questo potere, che
non se lo dara' da se'. In un libro che ho appena pubblicato, The Great
Terror War, indico tre aree di lavoro. Primo, riaffermare il ruolo del
diritto internazionale nella regolazione dell'uso della forza fra gli stati.
Secondo, incoraggiare le Nazioni Unite e i loro membri a rispettare la Carta
dell'Onu anche in presenza dei nuovi conflitti. Terzo, riprendere la teoria
della "guerra giusta", che e' l'unica adatta alla situazione attuale perche'
connette il diritto internazionale alla morale e alla religione, e'
abbastanza flessibile da rispondere all'esigenza genuina di combattere
efficacemente il terrorismo globale, e consente di operare la cruciale
distinzione fra quello che a mio avviso avrebbe potuto essere un giusto
intervento contro l'Afghanistan (anche se non lo e' stato, per i modi in cui
e' stato attuato e per la mancata definizione rigorosa dei suoi obiettivi) e
quella che sarebbe una ingiusta guerra contro l'Iraq.

3. MAESTRE. LETIZIA TOMASSONE PRESENTA "QUINTESSENCE" DI MARY DALY
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 dicembre 2002. Letizia Tomassone e'
pastora valdese a Verona, gia' impegnata nell'esperienza di Agape, e' una
delle figure piu' prestigiose dell'impegno per la pace e di solidarieta']
Un viaggio ci propone Mary Daly con questo libro, un viaggio che ci porta a
costruire un futuro diverso, aperto alla vita, oltre la violenza del
patriarcato.
Ed e' la visione di questo continente "perduto e ora ritrovato" dalle donne,
che permette alla speranza di alimentare il nostro presente.
Sara' in Italia per pochi giorni questa autrice che ha segnato la ricerca
teologica delle donne a partire dagli anni '70, quando scrisse prima La
Chiesa e il secondo sesso, poi Al di la' di Dio Padre. Con un percorso di
critica e poi di allontanamento sempre piu' radicale dalla chiesa stessa,
lei ha pero' fornito a tante gli strumenti simbolici e di pensiero per
vivere la liberta' femminile anche dentro la fede cristiana.
Oggi ci si presenta con questo libro - Quintessence, Realizing the Archaic
Future, A Radical Elemental Feminist Manifesto, Beacon Press, 1998 - che
aspira ad essere una visione, una profezia capace di dispiegare l'interezza
dell'anima femminile che attinge ai cinque elementi e si radica nella
natura. Un libro che mette al centro la presenza della "Donna Selvaggia" e
l'armonia con tutta la creazione. Mary Daly si inserisce cosi'
nell'elaborazione di quel pensiero chiamato "eco-femminismo", che parte dal
sentimento di interdipendenza nel mondo per arrivare a costruire una
possibile armonia ritrovata.
Quintessence e' per Mary Daly la parola che mostra cio' che "le Donne
Selvagge hanno sempre cercato: significa conoscere la vita il piu'
possibile. Quintessenza non e' un nome, e' un verbo". In questo testo
l'autrice coglie a pieno l'urgenza del nostro tempo di nominare le atrocita'
e di raccogliere il coraggio necessario per fronteggiarle e sconfiggerle. Se
riusciamo a scorgere e a nominare le interconnessioni tra l'oppressione
sessuale, quella razziale e quella politica, noi lavoriamo per la vita,
partecipiamo alla creazione della vita ora e simultaneamente nel futuro.
Ecco perche' la nominazione della necrofilia, delle manipolazioni genetiche,
dello sradicamento della foresta amazzonica, per non dare che pochi accenni,
permette a un futuro diverso di venirci incontro.
In Quintessence Mary Daly dialoga con interlocutrici del 2048, che
appartengono ad un'era biofilica, che ha ritrovato quell'armonia nella
creazione da noi minacciata sempre piu' duramente. Il suo viaggio nel futuro
alimenta la speranza di oggi: all'inizio la speranza ispira gli atti di
giusta rabbia, e la rabbia ispira gli atti di Speranza Espansa. "Quando ci
muovemmo per trovare/creare il nuovo continente ci spingevano sia la rabbia
sia l'enorme desiderio di radunarci in esso. Avevamo la grande brama di
andare oltre lo stato di paralisi patriarcale".
In che senso la presenza di Mary Daly in Italia e' importante?
Certamente e' importante incontrare una donna che ha fatto del cammino
dell'essere una delle dimensioni essenziali del femminile. Per lei il
movimento stesso delle donne e' un movimento "ontologico", che esprime il
coraggio di essere e di creare, e cosi' espande il senso della presenza
femminile nel tempo e nello spazio.
In secondo luogo puo' certamente aprire spazi piu' ampi alla riflessione e
alla pratica rispetto al legame donne-natura-creazione, inserendo in questo
dibattito quegli elementi essenziali di spiritualita' femminile che spesso
tralasciamo.
Infine, con la sua lucidita', Mary Daly ci offre ulteriori strumenti per
leggere i fili che legano i diversi piani della violenza patriarcale nella
nostra attualita': dalla guerra, alla violenza sessuale, alle violenze
contro la natura.
Sara' interessante confrontarsi da vicino con una pensatrice cosi' radicale,
che ha accettato di venire in Italia grazie alla relazione che la lega a
Luciana Percovich.
Forse gli incontri italiani con Mary Daly saranno l'occasione giusta per far
espandere la nostra rabbia e la nostra speranza: perche' l'utopia del tempo
biofisico e' nel Presente, e' Qui e Ora che si gioca il nostro coraggio di
creare.

4. INCONTRI. MARY DALY IN ITALIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 dicembre 2002 riprendiamo anche la
seguente nota]
Teologa, filosofa, femminista radicale, Mary Daly e' stata per molti anni
docente di Etica Femminista al Boston College, ma nell'ultimo anno e' stata
licenziata e chiusa letteralmente fuori dal suo ufficio. Ha accettato
l'invito di venire in Italia per discutere insieme ad altre i temi che sono
al centro della sua ricerca, cominciata nel 1968 con The Church and the
Second Sex e Beyond God the Father: toward a Philosophy of Women's
Liberation del 1973 fino al suo ultimo lavoro Quintessence. Realizing the
Archaic Future. A Radical Elemental Feminist Manifesto del 1998. Dei suoi
libri sono stati tradotti in italiano solo La Chiesa e il secondo sesso
(Rizzoli, Milano 1982) e Al di la' di Dio Padre (Editori Riuniti, Roma 1991)
ma entrambi sono da tempo fuori stampa. Milano, Verona e ancora Milano: gli
appuntamenti in Italia di Mary Daly sono iniziati mercoledi' all'Universita'
Bicocca dove l'Abc (Ateneo Bicocca Coordinamento Donne) in collaborazione
con la Libera Universita' delle Donne di Milano ha organizzato un incontro
su "Mary Daly. Un mondo possibile qui e ora. Donne e uomini nel XXI secolo"
con Carmen Leccardi, Liana Borghi e Marina Calloni con la traduzione di
Elizabeth Green. Venerdi' Daly e' stata ospite di Diotima, nel Dipartimento
di Filosofia dell'universita' di Verona, presentata da Chiara Zamboni e da
Letizia Tomassone. Oggi [15 dicembre - ndr -], invece, dalle 10,30 fino alle
17,30, sara' ospite della Libera Universita' delle Donne di Milano/Unione
Femminile Nazionale (Corso di Porta Nuova 32) presentata da Luciana
Percovich, con la traduzione di Maria Luisa Moretti, Elizabeth Green e
Oriana Palusci. Il seminario dal titolo "Il Viaggio metapatriarcale di
rabbia e speranza di Mary Daly" e' organizzato con iscrizione. Per ulteriori
informazioni: 02-8395724; lucianapercovich@libero.it

5. MATERIALI. UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA INTRODUTTIVA SULLA RETORICA
a) Due letture preliminari
- Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, Torino 1983;
- Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della
comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971;
b) Trattati, sintesi e strumenti
- Renato Barilli, Retorica, Mondadori, Milano 1976, Isedi, Milano 1979, poi:
Corso di retorica, Mondadori, Milano 1995;
- Roland Barthes, La retorica antica, Bompiani, Milano 1972, 1979;
- Vasile Florescu, La retorica nel suo sviluppo storico, Il Mulino, Bologna
1971;
- Gruppo "mi", Retorica generale, Bompiani, Milano 1976;
- Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, Milano
1978;
- Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano
1967, 1979;
- Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, Milano 1988, 1997;
- Chaim Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell'argomentazione, due
volumi, Einaudi, Torino 1966, 1976;
- Brian Vickers, Storia della retorica, Il Mulino, Bologna 1994;
c) classici
- Aristotele, Retorica, varie edizioni;
- Marco Tullio Cicerone, Bruto, Mondadori, Milano 1996;
- Marco Tullio Cicerone, Dell'oratore, Rizzoli, Milano 1994;
- Marco Tullio Cicerone, L'oratore, Mondadori, Milano 1968, 1998;
- La retorica a Gaio Erennio, Mondadori, Milano 1992, 1998;
- Marco Fabio Quintiliano, La formazione dell'oratore, tre volumi, Rizzoli,
Milano 1997;
d) et coetera
- Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1954, 1979;
- Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993;
- Roland Barthes, Miti d'oggi, Einaudi, Torino 1974;
- Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1975, 1976;
- Sigmund Freud, L'interpretazione dei sogni, Boringheri, Torino 1973,
Bollati Boringhieri, Torino 1997;
- Henri F. Ellenberger, La scoperta dell'inconscio, Boringhieri, Torino
1972;
- Hans-Georg Gadamer, Vertita' e metodo, Bompiani, Milano 2000;
- Luce Irigaray, Speculum, Feltrinelli, Milano 1975, 1989;
- Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Feltrinelli, Milano 1964,
2002;
- Moliere, Tartufo, varie edizioni;
- Walter G. Ong, Oralita' e scrittura, Il Mulino, Bologna 1986, 1997;
- George Orwell, 1984, Mondadori, Milano 1950, 1973 e piu' volte ristampato;
- Vance Packard, I persuasori occulti, Einaudi, Torino 1958, Il Saggiatore,
Milano 1968, 1978;
- Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari
1967, 1985;
- George Steiner, Dopo Babele, Sansoni, Firenze 1984, seconda edizione
rivista, aggiornata e ampliata dall'autore: Garzanti, Milano 1994;
- Tzvetan Todorov, La conquista dell'America, Einaudi, Torino 1992;
- Frances A. Yates, L'arte della memoria, Einaudi, Torino 1972, 1993.

6. RIVISTE: "A. RIVISTA ANARCHICA" N. 286
"A. Rivista anarchica", n. 286 del dicembre 2002 - gennaio 2003. Come sempre
splendida: e' una delle migliori riviste italiane di cultura e riflessione
politica e morale; coloro che per ignoranza frutto di ignavia o pregiudizio
credono che la tradizione e l'elaborazione anarchica odierna abbia poco da
proporre sulle concrete questioni che tutti riguardano e' sufficiente che
sfoglino la bella rivista milanese per ricredersi del tutto, e cogliere come
nell'area anarchica si formulino analisi e proposte di straordinario valore
e vi sia una feconda interlocuzione con tutte le altre riflessioni ed
esperienze intese a promuovere la dignita' umana, la difesa della biosfera,
la pace e quell'intrapresa comune dell'umanita' intera che chiamiamo
civilta'. "A. Rivista anarchica" e' anche nella rete telematica, nel sito:
anarca-bolo.ch/a-rivista (assolutamente da visitare); per contatti con la
redazione: tel. 022896627, fax 0228001271, e-mail: arivista@tin.it

7. RIVISTE: "SEGNO" N. 240
"Segno", n. 240 del novembre-dicembre 2002. Questo volume di oltre 200
pagine dell'eccellente rivista palermitana raccoglie gli atti dell'ottava
settimana alfonsiana tenutasi a Palermo il 21-29 settembre 2002, dedicata ad
Ernesto Balducci. Tu cominci a leggere la prima pagina e solo dopo ore ti
accorgi che non sei riuscito a fermarti prima di aver letto d'un fiato tutti
i contributi, ed insieme ad ogni pagina fermandoti per annotare un pensiero,
una citazione, una proposta di lettura e discussione ulteriore. Magnifica
rivista, straordinarie le persone che la redigono e vi collaborano con la
direzione di padre Nino Fasullo. Per contatti e richieste: tel. e fax
091228317, e-mail: rivistasegno@libero.it

8. LETTURE. JOEL KOTEK, PIERRE RIGOULOT: IL SECOLO DEI CAMPI
Joel Kotek, Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi, Mondadori, Milano 2001,
2002, pp. 624, euro 10,40. "Detenzione, concentramento e sterminio: la
tragedia del Novecento" recita il sottotitolo: una ricognizione dell'orrore,
ed e' impegno urgente e ineludibile di tutti che esso perdurante orrore
cessi.

9. LETTURE. CARLO TORRIANI: LA PORTA DEL CIELO
Carlo Torriani, La porta del cielo, Emi, Bologna 1997, 2000, pp. 208, euro
9,30. Le lettere di padre Carlo Torriani dall'ashram di Taloja in India,
l'esperienza della Lok Seva Sangam per la prevenzione e cura della lebbra.

10. RILETTURE. EMILY BRONTE: POESIE
Emily Bronte, Poesie. Opera completa, Mondadori, Milano 1997, pp. XLVIII +
512, lire 10.000. Tutta l'opera in versi dell'autrice di Cime tempestose. Le
sorelle Bronte meriterebbero tutte una profonda rilettura.

11. RILETTURE. GIULIO GIRARDI: GLI ESCLUSI COSTRUIRANNO LA NUOVA STORIA?
Giulio Girardi, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Borla, Roma 1994,
pp. 288, lire 38.000. Uno dei sempre utilissimi libri del grande filosofo e
teologo della liberazione.

12. RILETTURE. RAUL HILBERG: LA DISTRUZIONE DEGLI EBREI D'EUROPA
Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995, due
voll., pp. XXIV + 1.388, lire 38.000. Un'opera fondamentale.

13. RILETTURE. KARL KRAUS: GLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITA'
Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell'umanita', Adelphi, Milano 1980, 1996, pp.
792, lire 32.000. Il mastodontico capolavoro krausiano: nel suo orrore e
nella sua assurdita' la prima guerra mondiale rivelata, e rivelatrice.

14. RILETTURE. LOUISE LABE': OEUVRES COMPLETES
Louise Labe', Oeuvres completes, Flammarion, Paris 1986, pp. 288. La grande
poetessa del Rinascimento (nata tra il 1516 e il 1523, deceduta nel 1566)
che ci siamo sempre chiesti perche' sia cosi' sottovalutata.

15. RILETTURE. GIULIO A. MACCACARO, ALBERTO MARTINELLI (A CURA DI):
SOCIOLOGIA DELLA MEDICINA
Giulio A. Maccacaro, Alberto Martinelli (a cura di), Sociologia della
medicina, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 416. Un'antologia che sarebbe assai
utile ristampare, progettata e costruita insieme dai due studiosi e dedicata
alla memoria dell'indimenticabile Giulio A. Maccacaro, scomparso prima della
sua pubblicazione.

16. RILETTURE. CHRISTINA G. ROSSETTI: IL CIELO E' LONTANO
Christina G. Rossetti, Il cielo e' lontano. Poesie 1847-1881, Rizzoli,
Milano 1995, pp. 326, lire 16.500. La grande poetessa inglese (1830-1894),
figlia di Dante Rossetti e sorella di Dante Gabriele.

17. RILETTURE. GASPARA STAMPA: RIME
Gaspara Stampa, Rime, Rizzoli, Milano 1954, 1976, pp. 304. Una delle grandi
voci poetiche del Rinascimento italiano (1523-1554), tenera e acuminata
indagatrice e terapeuta della psichica stoffa di cui tutte e tutti
consistiamo.

18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

19. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
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LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
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Numero 448 del 17 dicembre 2002